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Autore: gaccia    06/03/2012    6 recensioni
Non è possibile!
I mostri non esistevano, me lo diceva sempre la nonna, quando mi rimboccava le coperte.
E allora che ci faccio qui? Legata a una roccia in attesa di essere mangiata da una creatura nera e malvagia emersa dalle profondità del mare.
Io sono Isabella Marie Swan, e mi trovo qui, prigioniera, destinata al sacrificio, come Andromeda.
Mini-fic. liberamente ispirata al mito.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
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Ciao a tutti…

Tanti auguri a meeeeeee, tanti auguri a meeeeee, tanti auguri a Graziaaaaaaa, tanti auguri a meeeeeee (sembro una pecora…)

Ebbene sì, ieri compivo gli anni… e visto che sono arrivata a un punto dove l’età si tiene nascosta… è il terzo anno di fila che compio la stessa età: è più comodo, cifra tonda, non mi sbaglio…tutte le giustificazioni possibili per barare sulla carta d’identità!

Vi lascio con il secondo capitolo di questa storiella…

Per chi si chiedesse dov’è Edward, sappiate che l’abbiamo già incontrato…

Ricordatevi che questa è una storia piena di magie!

Adesso vi lascio alla lettura…

 

---ooOoo…

 

Continuavamo ad avanzare con gran fatica tra i giunchi di quella parte di terra paludosa.

Avevo seguito Jacob, diretta verso sud, con la speranza di salvarmi dalle guardie che ci seguivano e nello stesso tempo, la voglia di crearmi un futuro, visto che quello che avevano sperato i miei genitori mi era ormai precluso.

“Forza, Isabella, dovremmo esserne quasi usciti”. Era almeno mezza giornata che il mio compagno ripeteva la stessa frase a cadenze regolari. Non avrei mai creduto che la gioia di essere uscita dalla foresta si sarebbe trasformata in questa agonia.

Meno male che, in fatto di paludi, ero abbastanza esperta, avendo vissuto in quello strano microcosmo che era la mia valle di origine. Oltre i nostri campi e il torrente, c’era una piccola palude con tanto di sabbie mobili. Sin da piccola, lo zio mi aveva insegnato come distinguere ed aggirare i pericoli, pertanto ero sufficientemente sicura di riuscire ad uscirne sana e salva e con me Jake.

 

Non potevo sperare in un compagno di viaggio migliore, era allegro e arguto.

Mi raccontò che era originario di un villaggio ai piedi della catena montuosa che cingeva il regno di Nimuve. I suoi genitori erano intagliatori del legno ed erano molto apprezzati per i loro manufatti.

Purtroppo gli piaceva la lotta, e ovunque scoppiasse un tafferuglio, lui era presente, sin da piccolo.

Era il classico ragazzino vivace, ma amorevole con la sua famiglia.

Il podestà del villaggio, non la pensava così, invece e, all’ennesimo guaio, chiamò i soldati per farlo arrestare.

In pochissimo si ritrovò a lavorare nelle caserme dell'esercito, come garzone tuttofare, sottoposto a tutte le angherie possibili e vessazioni che avrebbero spezzato chiunque.

“Pensa che mi facevano pulire anche le incrostazioni sugli stivali...” ed iniziò a ridere al ricordo di qualcosa “una volta avevo anche riempito gli stivali di sterco... dovevi sentire le urla, credo che le abbiano sentite sino a Gamsca” e anche io mi misi a ridere.

Alla fine era riuscito a scappare e per questo ora era inseguito per tutta la regione.

 

Alla fine del quarto giorno dalla mia fuga, eravamo riusciti ad uscire dalla foresta e dalla palude. Una vasta pianura si stendeva ai nostri piedi, a perdita d'occhio mischiando il suo colore verde e giallo con l'azzurro del cielo, sino a confondersi all'orizzonte.

Là in fondo, sorgeva la città libera di Sfinghertea, con il suo porto da dove poter salpare alla volta delle nuove terre.

“Ci vorranno ancora dieci giorni di cammino, ma se non ci sono incidenti e il tempo sarà buono, ce la faremo senza ritardi”. Il pronostico di Jacob mi riempì il cuore, ancora dieci giorni e la mia vita sarebbe definitivamente cambiata.

 

Avevamo preso a dormire abbracciati sotto le ampie fronde degli alberi. Jake cercava sempre di proteggermi dal freddo, prepararmi il giaciglio più comodo, cedermi le parti migliori degli animali che cacciava per mangiare. Era anche riuscito a trovare alcune pesche e non ne aveva assaggiato neanche una fetta, regalandola a me, con la scusa che ero troppo magra e gracile e dovevo nutrirmi bene.

Mi sentivo protetta e onestamente la compagnia di Jacob mi stava piacendo più del lecito. Obbiettivamente era un bel ragazzo e vederlo così concentrato sulla sicurezza della mia persona mi faceva sentire importante.

Quando si avvicinava, cominciavo a sentire le mie guance diventare sempre più rosse, mentre il mio cuore batteva più forte. Mi ero sentita vagamente così, quando il garzone del fabbro passava dalla fattoria. Mi aveva fatto capire che gli piacevo, ed io mi sentivo lusingata, poi però aveva spezzato il mio cuore quando avevo saputo che si era fidanzato con la figlia del fornaio del villaggio.

Adesso era diverso, più intenso, più vero.

 

Quella sera trovammo un capanno spoglio e abbandonato, che era adattissimo al nostro riparo notturno. Jacob, cominciò subito a preparare i giacigli mentre io andai alla ricerca di frutta e bacche per cena, non avevamo trovato selvaggina e dovevamo accontentarci.

Il sole mandava ancora i suoi ultimi raggi, regalando la luce più intensa prima del tramonto.

Avevamo ripreso a seguire il corso del torrente che adesso si era trasformato in un vero fiume.

Camminando mi ritrovai in riva alle acque. Desideravo lavarmi, mi sentivo sporca e stanca e l'acqua scorreva cristallina ed invitante.

Decisi in un secondo ed iniziai a spogliarmi, rimanendo in sottoveste, scendendo poi in mezzo ai flutti, rilasciando un lieve sospiro di piacere.

Nuotai sino al centro del fiume, lasciandomi poi trascinare dalla corrente. Non era molto prudente, ma in quel momento non mi interessava, volevo solo rilassarmi senza pensare a nulla.

 

Non so quanto tempo passò, ma quando mi decisi a tornare sui miei passi, mi trovai prigioniera della corrente, trascinata lontano tra i flutti. Il fiume sembrava ingrossato, e mi stava spostando violentemente verso alcune rocce che spuntavano minacciose.

Iniziai ad avere paura e cominciai a urlare con tutto il fiato che avevo in gola, nella speranza che Jacob riuscisse a sentirmi. Avevo freddo, ero stanca e si stava facendo buio rapidamente.

Ero quasi arrivata al limite, ed iniziavo a sputacchiare l’acqua che cercava di entrare nei miei polmoni, quando percepii una superficie viscida e squamata sotto la mia mano.

Era un pesce, ed era… enorme, più grande di me.

 

Sentii l’acqua mulinare, come se quell’essere subacqueo mi girasse attorno. Avevo paura, voleva mangiarmi? La coda del pesce si spinse nuovamente contro la mia mano, come a invitarmi ad afferrare una pinna. L’istinto di sopravvivenza ebbe la meglio ed afferrai saldamente l’appiglio che mi veniva offerto.

Subito venni trascinata a velocità folle, lontano dai pericoli e verso il punto in cui avevo lasciato i miei abiti. Ogni tanto puntavo la testa sotto l’acqua, per vedere com’era l’essere che mi stava portando in salvo, ma, proprio perché era buio e molto veloce, non riuscivo a distinguere nulla oltre la lunga coda argentata.

Non so quanto tempo fosse passato, ma mi trovai esausta in pochissimo e pian piano persi le forze lasciando il mio appiglio e la coscienza.

_______________________________________________________________________________

 

“Isabella, Isabella. Ti prego svegliati”. Qualcuno cercava di togliermi il velo dell’oblio dagli occhi. Ero stanca, non potevano volere anche questo.

Con uno sforzo sovraumano, cercai di focalizzare il viso preoccupato che era chinato su di me.

“Dio! Ti ringrazio! Eri come morta. Ho avuto tanta paura di averti perso” disse Jacob, stringendomi.

Solo in quel momento mi accorsi di essere completamente nuda sotto la coperta lacera che copriva entrambi.

Anche lui era nudo, abbracciato a me, e continuava a fregare le braccia per scaldarmi.

“Cosa…” la gola era secca e raschiava al passaggio dell’aria “Cosa è successo?”

“Era tardi e tu non eri ancora tornata, così sono venuto a cercarti. Ti ho trovata sulla riva del fiume, bagnata e fredda… non ti muovevi e respiravi a fatica… eri talmente fredda. Così ti ho portata qui, ho acceso il fuoco, ti ho spogliata ed ho cercato di scaldarti con il mio corpo… scusami”. L’ultima parola la disse arrossendo, mentre si allontanava da me e si infilava la camiciola, senza guardare il mio viso.

 

Un’immagine di sfuggita del suo torace muscoloso, mi fecero arrossire come non mai. Non ero mai stata così vicina a un uomo, né mi ero fatta vedere così discinta da qualcuno che non fosse mia madre. Subito mi spaventai… mi aveva fatto qualcosa? Era stato irrispettoso della mia persona?

Questi pensieri erano stupidi, Jacob non l’avrebbe mai fatto, se avesse voluto farmi del male o prendermi con la forza, ne avrebbe avuto tutte le possibilità in quei giorni. In più, sentirlo così vicino, senza l’ostacolo dei vestiti era stato qualcosa di sconvolgente, nel senso buono del termine.

Non sapevo come comportarmi ma non volevo che si allontanasse da me, a dispetto di tutte le conseguenze possibili.

Tesi la mano e lo trattenni, avvicinandomi a lui. Nel gesto, mi ero seduta, e la coperta era scivolata sul grembo, mostrando il mio seno ai suoi occhi. In quel momento non mi vergognai, volevo solo sentire la sua pelle sulla mia, sentirmi ancora protetta.

 

Mi allungai verso di lui e lo accarezzai. Lo sentii tremare sotto le mie dita, mentre guardava ipnotizzato i miei occhi, per poi passare alle labbra, al seno, e poi ricominciare.

Ci ritrovammo nuovamente abbracciati, le sue mani vagavano delicate sul mio corpo, soffermandosi sul mio petto.

Quando le sue dita sfiorarono il mio capezzolo, non riuscii a trattenere un gemito ed inarcare la schiena chiedendo di più. Il suo viso si avvicinò lentamente al mio.

Volevo baciarlo, volevo farmi baciare. Desideravo ardentemente il mio primo bacio, in quel momento, in quel posto, con lui.

Chiusi gli occhi e mi sporsi ulteriormente, sentivo il suo respiro infrangersi sulle mie labbra, vicinissimo…

Poi, più nulla. Aprii gli occhi di scatto e lo vidi alzarsi ed infilarsi i vestiti.

“Jacob”. Che voce strana avevo, sembrava il pigolio di un uccellino smarrito.

Si inginocchiò vicino a me e mi carezzò la guancia che ancora scottava dal rossore.

“Non voglio prendermi delle libertà sull’onda del momento… preferisco che ne siamo ambedue convinti e sicuri” disse dolcemente, aggiungendo “Vado a cercare un po’ di legna, tu vestiti nel frattempo” e indicò i miei abiti appoggiati accanto al giaciglio.

Quella notte non lo sentii tornare. Mi ero addormentata subito dopo la sua uscita e mi svegliai solo il tardo mattino seguente, quando sentii crepitare il fuoco, accompagnato dal profumo di carne.

Jacob era di nuovo vicino a me, sereno, e decisi che per il momento mi stava bene così.

 

Altri giorni trascorsero tranquillamente. Non facevamo menzione di quanto accaduto la prima notte nella pianura, così come io non dissi nulla sulla strana creatura che mi aveva salvato dalle acque.

Continuavamo a seguire il corso del fiume, così era più facile imbatterci in fattorie e poter mangiare qualche pezzo di pane o una zuppa di orzo.

I contadini erano poveri, ma dividevano generosamente il poco che avevano anche con noi.

Ogni tanto sentivo il rumore degli schizzi d’acqua e sorridevo, pensando che fossero provocati dall’essere che mi aveva aiutato.

 

Eravamo quasi arrivati alla città, in lontananza se ne intuivano le ombre, circondate dalla foschia.

Sembrava che Jacob mi avesse letto nella mente perché confermò “Ancora un paio di giorni e ci s…” non riuscì a terminare la frase che il sibilo di una freccia ruppe il silenzio, colpendo il mio compagno alla spalla.

“Ahhh!”. Un gemito di dolore fu tutto quanto disse accasciandosi, prima di gettarmi a terra per coprirmi da altre armi “Stai giù!” ordinò, poi iniziò a strisciare tra l’erba alta.

Il rumore che sentii subito dopo furono una serie di colpi e qualche urlo, poi il silenzio.

Ero preoccupata e spaventata, qualcuno aveva tentato di uccidere Jacob, e magari c’era riuscito.

Mi alzai e incurante del pericolo corsi verso i rumori che avevo sentito prima.

 

“Maledetto… tu e tutti quelli come te… meriti l’inferno…” un uomo, vestito con umili panni, era riverso sul terreno, mentre Jake stringeva una corda attorno al suo collo.

Era orribile, spaventoso. Vedevo le braccia del mio amico gonfiarsi e tendersi nello sforzo di procurare la morte a quell’uomo che adesso mi sembrava indifeso.

Quando smise di agitarsi e la fine lo colse, le braccia di Jacob si rilassarono e si lasciò scappare un sospiro di sollievo voltando il capo verso di me.

I suoi occhi erano freddi, il suo viso tirato in una maschera di odio. Mi spaventai e mi uscì un gemito simile a un singhiozzo, subito coperto dalle mani. Non lo avevo mai visto così, era terribile.

 

“Isabella, Isabella, vieni. Non aver paura. È tutto finito” mi disse non appena mi vide così sconvolta. Non sapevo cosa fare, le gambe non reagivano e non riuscivo a muovermi.

Si avvicinò a me e mi abbracciò, carezzandomi la schiena e continuando a ripetermi che non vi era più pericolo e che sarebbe andato tutto bene.

Poco a poco mi rilassai. Ero al sicuro e tra poco saremmo giunti in città, per salpare alla volta delle nuove terre. Ero quasi arrivata alla fine del viaggio, grazie a lui che mi aveva protetta. Come potevo averne paura? Mi riscossi e medicai immediatamente la sua ferita, prima che si infettasse.

 

Finalmente, laceri e sporchi, giungemmo a Sfinghertea. Grazie all’intraprendenza di Jacob, riuscimmo a passare i cancelli di guardia ed addentrarci nella città.

Era davvero bellissima, con alti palazzi in pietra e vicoli puliti. I cittadini giravano indaffarati con le loro ceste piene di mercanzie e ovunque si sentiva il profumo di pesce e carne alla brace.

“Vieni, mi è stato detto che per gli imbarchi dobbiamo recarci in una casa vicino alla cattedrale” disse Jacob, prendendo il mio polso e trascinandomi verso questa destinazione.

Sembrava quasi posseduto, camminava velocemente come se fosse inseguito, tanto che io dovevo correre per stargli dietro e non cadere sul selciato.

In pochissimo tempo arrivammo alla casa. Era l’imbrunire del decimo giorno, come aveva predetto Jake, uscendo dalla foresta.

Bussò alla porta, tre colpi forti, seguiti da due deboli e nuovamente tre forti. Sembrava un segnale.

Non sentii togliere alcun catenaccio, ma la porta si aprì silenziosamente e il mio compagno entrò senza altro indugio, trascinando anche me all’interno della casa.

 

Feci alcuni passi sino ad arrivare al centro di una stanza in penombra. Non era spoglia come mi aspettavo, anzi, era riccamente arredata, con cassettoni, panche, arazzi alle pareti e morbidi tappeti a terra.

“Jacob” mormorai, mentre iniziavo a tremare, inquieta. C’era qualcosa che non andava.

“Bravo Jacob! L’hai riportata sana e salva!”. La voce sprezzante del comandante ruppe il silenzio, mentre da un angolo buio della stanza, si ergeva in tutta la sua terribile figura.

“Come mi avevate ordinato, comandante”. Jake, il mio amico, colui che mi aveva protetta tutto quel tempo… mi aveva tradita. Era un impostore, un inganno.

Mi vennero in mente gli ultimi insulti dell’uomo che aveva ucciso pochi giorni prima ‘Maledetto tu e tutti quelli come te, meriti l’inferno’ poi mi ricordai della storia che mi aveva narrato. Non era stato un garzone, era stato arruolato a forza nell’esercito. Era un soldato ed era mio nemico.

“E’ ancora integra, vero?” chiese ancora il comandante.

Un altro colpo al mio cuore, venne inferto con quelle parole. Mi aveva rifiutata per questo, dovevo rimanere pura, per il compito per il quale ero stata rapita e la mia famiglia uccisa.

“Sì” confermò il ragazzo sconosciuto che era stato al mio fianco in quei giorni.

“Puoi andare” ordinò il comandante prima di iniziare ad avvicinarsi a me “E ora a noi… piccola Isabella”.

In quel momento capii di essere perduta.

 

---ooOoo---

 

Angolino mio:

per chiunque volesse, sono a disposizione pale e forconi per infilzare questo stronzo.

E non credo si debba aggiungere altro…

Pertanto, ringrazio per l’attenzione

Alla prossima (martedì prossimo con il terzo capitolo)

baciotti

 

  
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