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Autore: Flaminia_Kennedy    06/03/2012    2 recensioni
Lo chiamavano Leone Rosso, per il coraggio che dimostrava in battaglia e per la criniera di fulvi capelli indomiti.
Un Principe alla sua prima vera conquista, una città sacra e un giovane Custode, tutto avvolto dal mistero e dal suono scintillante e dal tocco raschiante della sabbia che scorre.
Genere: Avventura, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti, Xemnas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La carovana di soldati aveva fatto ritorno, con ben poche perdite e parecchi cavalli ricolmi d’oro.
Un carro per il trasporto di bestiame da macello era stato invece riservato per il trasporto dei prigionieri, perlopiù donne da usare come serve e uomini giovani, che sarebbero presto diventati nuova forza lavoro per la capitale e per lo Sceicco.
Anche io ero stato stipato in quel carro ed ero il più agitato di tutti: stringevo con forza le mani attorno alle assi di legno e allungavo il collo, cercando di vedere attraverso di esse dove fosse finita la Clessidra.
Sapevo ch’era stata presa assieme agli altri -ben pochi veramente- inestimabili tesori di Alamut, ma non riuscivo a vedere la carovana fino alla sua coda. Il mio cuore batteva così forte in petto da spezzarmi le costole, la Clessidra non doveva essere aperta “ancora un po’ e avrai il collo più lungo di quello del mio cavallo” venne una voce da fuori e i miei occhi si posarono sul volto spaccone del Principe.
L’osservai con rabbia, come se avessi potuto ucciderlo con lo sguardo: era stato lui l’artefice della mia disgrazia “tu non sai che cos’avete fatto!” esclamai subito, facendo tremare le sbarre di legno mentre mi buttavo su di esse, sul lato più lungo del carro.
Qualche scheggia si piantò nella carne dei miei palmi, ma non ci feci caso, ero troppo impegnato a maledire quel Principe viziato e guerrafondaio che aveva ridacchiato al mio grido d’ira “certo che lo so, abbiamo raccolto un bel po’ di materie prime…il regno non si costruisce da solo” aveva risposto Axel con un ghignetto soddisfatto sulle labbra, per poi dare una tallonata nei fianchi del suo cavallo per accelerare il passo e raggiungere la testa della carovana.
Lo guardai andare via, lasciandomi cadere ad occhi chiusi sulle mie ginocchia, in un impeto d’impotenza, assecondando il dondolare del carro finchè non fu fermato di fronte a un palazzo, il cui lusso faceva impallidire cento volte quello di Alamut.
Alzai gli occhi, aprendo la bocca dallo stupore mentre guardavo i giardini fioriti a gradoni tutt’attorno alla reggia, l’acqua che stillava limpida dalle fontane mi fece render conto di quanto arida fosse la mia lingua “su forza, scendete!” disse una voce dal retro del carro, ch‘era stato aperto.
L’uomo era ancor più possente del Principe di quel regno, i capelli lunghi e scuri come la notte erano raggruppati in una coda alta, suddivisa in altrettante ciocche. I suoi occhi mettevano paura con un solo sguardo “anche tu ragazzino, muoviti!” disse, quando esitai a scendere dal carro.
Venni spintonato assieme ad altri miei compaesani fin dentro il palazzo, camminando su tappeti raffinatamente elaborati, tendaggi della miglior seta e infine la Sala da Giorno, una stanza grande quanto una cattedrale, con il soffitto a cupola con finestre intarsiate e dipinte, con foglie d’oro che ricoprivano i particolari più raffinati.
La stanza era stretta da una lunga serie di colonne in candido e purissimo marmo e a terra, i tappeti ricoprivano quasi tutto il pavimento anch’esso di marmo più pregiato.
Venimmo raggruppati da una parte, accerchiati da una manica di guardie statuarie e silenziose.
Sentii il cuore venirmi meno però quando vidi qualcosa coperto di velluto violetto, alto due uomini e circondata da un alone di mistero: sicuramente era la Clessidra del Tempo “Maestà! Che piacere vedervi!” disse un uomo panciuto e dai capelli un po’ spettinati, vestito con un enorme turbante adornato di una gemma preziosa grossa quando un pugno, c’era entrato dopo di loro.
Il Re, dal volto buono nonostante le sue azioni bellicose, aveva abbracciato come un amico l’uomo paffuto e con un ampio gesto della mano gli aveva indicato la stanza “mio caro Sceicco, ho parecchi doni qui, per ringraziarti della tua visita” aveva detto il regnante.
Inghiottii a vuoto, sentendo la frenesia e la paura stringermi la gola fino a soffocarmi “schiavi e serve per rinfoltire la tua reggia e qualcosa che va ben aldilà dei tuoi più sordidi desideri” aveva continuato il Re.
In quel momento entrò quello spaccone del Principe, che pareva esser appena tornato da una passeggiata invece che da una battaglia, fresco e riposato come sembrava.
Il telo venne rimosso da sopra l’oggetto da un paio di mani abbronzate e la Clessidra sfolgorò in tutto il suo pericoloso splendore, le sabbie dorate brillavano ancora, ma il ciclo ininterrotto pareva esser stato scombussolato dal viaggio.
Sfortunatamente, la Clessidra era stata persino capovolta, in modo da mostrare l’elaborato disegno sul vetro, simile ad una serratura “che cos’è, carissimo amico mio?” chiese lo Sceicco, completamente rapito dalla luce e dal movimento della sabbia.
Anche il Re pareva interessato a sapere che cosa fosse, così fu il consigliere il primo a spiegare cosa fosse quell’oggetto tanto importante “la Clessidra del Tempo, avrete sentito parlare di essa in alcune leggende” disse “il nostro buon Re ha deciso di donarvela come segno di pace e amicizia, affinché perduri e superi i limiti mortali del tempo” i salamelecchi si protrassero ancora per qualche minuto, con lo Sceicco che non spostava gli occhi dalla sabbia luccicante.
Io invece temevo per quello che sarebbe potuto succedere: ad Alamut, ovviamente, custodivamo anche la chiave per la Clessidra, un Custode più anziano e abile di me era stato posto alla sua guardia.
Un brillio diverso però mi fece voltare la testa dallo spettacolo baluginante della sabbia che si muoveva vorticosa oltre il vetro pulito della Clessidra: erano gli occhi verdi del Principe, che oltre a guardarsi pigramente attorno sembrava fermare le sue iridi su di me molto più spesso del necessario.
Cos’aveva da guardarmi a quel modo? Lo avrei ucciso, se solo non mi avessero passato prima a fil di spada “e lì che cos’avete, fratello?” sentii il Re parlare al consigliere.
Quella frase staccò gli occhi insistenti del Principe dalla mia persona, fortunatamente, per poi farli ricadere nelle mani dello zio “in effetti è particolare, l’oggetto che tenete in mano” disse il Principe.
L’oggetto tanto conteso era ciò che più temevo, la chiave che poteva aprire il sigillo della Clessidra: all’apparenza simile a uno spunzone dorato, era lungo due palmi, di cui uno completamente occupato dall’elsa in cristallo elaborato, anch’esso ripieno della stessa sabbia che riluceva nella Clessidra “sapete zio? Non ho ancora scelto il mio trofeo di guerra…e quello pare un ninnolo molto grazioso, magari da regalare alla mia prima consorte” continuò il rosso, mentre si avvicinava ancora al consigliere.
Quello pareva tutto tranne che propenso a consegnargli la Chiave “orsù Xemnas, volete negare a vostro nipote il suo primo trofeo? Ricordate bene quando nostro padre ci lasciò scegliere il nostro primo premio” aveva detto il Re in soccorso del figlio e allora quello sorrise al fratello e porse la mano per consegnare l’oggetto “scommetto però che non sapete nemmeno cosa possa fare, vero nipote?” disse.
Feci un passo avanti, sapendo quello che stava per succedere, ma la lama di una guardia si poggiò fredda sul mio petto semi-scoperto per evitare di farmi muovere oltre “quella è la Chiave che apre la Clessidra…ditemi Sceicco” disse poi Xemnas, guardando l’uomo panciuto che stava osservando il vetro pulito e intoccato del suo nuovo regalo “vi andrebbe di toccare con mano le Sabbie del Tempo?”.
All’ospite non sembrò manco vero e il Re di Persia fece cenno al figlio di proseguire con la dimostrazione “no…” mi scappò dalle labbra, mentre vedevo il braccio del Principe alzarsi verso le intarsiature d’oro dove la Chiave avrebbe subito trovato il suo posto “No! NON LO FARE!!” esclamai ancora, cercando di correre via dal gruppo di schiavi tenuti sott’occhio.
Il filo di una sciabola mi ferì lievemente quando sgattaiolai via, ringraziando le mie ridotte dimensioni, e mentre correvo attraverso la stanza che sembrava essersi d’un tratto ingigantita, la mano di Xemnas era arrivata a velocizzare le azioni del nipote, affondando con un sol colpo la punta della chiave nel cristallo trapassandola come burro.
Una luce abbagliante s’accese dentro la Clessidra, la sabbia prese a roteare più velocemente e un’onda d’urto venne scagliata tutt’attorno, facendomi finire gambe all’aria come quasi tutti i presenti “FERMATI!” urlai ancora, mentre slittavo sul marmo nell’alzarmi di nuovo “NON ANDARE OLTE!” ma il consigliere si voltò a guardare la stanza con un sorriso insano sul volto “posso fare anche da me adesso” disse spingendo da parte il Principe, confuso da quella situazione a lui veramente estranea.
Probabilmente non aveva mai sentito parlare della Clessidra del Tempo, tantomeno della leggenda che l’avvolgeva.
Mi gettai addosso all’uomo, allungandomi per afferrare la Chiave e strappargliela di mano “fila via, marmocchio!” mi spintonò giù dai tre scalini di marmo che portavano alla piccola piattaforma dov’era stata posta la Clessidra, come ad esser venerata, e mentre io tenevo ben stretta la Chiave tra le dita, vidi il cristallo della Clessidra venarsi e la sabbia uscì d’un botto, partendo in direzione dei presenti.
L’aria si fece cartavetro da respirare, così mi coprii la bocca con una delle lunghe maniche del mio vestito “ora vedremo chi sarà Re!” disse Xemnas, rivolto al fratello.
Il Re di Persia, lo Sceicco, le guardie e gli schiavi stavano urlando dal dolore che la sabbia faceva provare loro, bruciandone la carne viva fino all’osso e possedendo i loro corpi, scorrendo al posto del sangue “dammi la Chiave” disse Xemnas, mentre un’altra ondata di sabbia minacciava di raggiungermi “dammela, su…forse ti salverai” continuò allungando la mano.
Pareva immune alla sabbia, non seppi spiegarmi il perché “DAMMELA!” “NO!” il mio grido fu attutito dal rombo del soffitto che stava crollando e non potei vedere più niente, perché il pavimento sotto le mie gambe e le mie mani cedette di schianto, facendomi cadere di botto nel buio di un’altra camera sottostante.
Altre pietre e massi di marmo seguirono quello su cui ero caduto io e il buio si tramutò in incoscienza.
Persi i sensi sentendo nelle orecchie la risata malvagia del consigliere e il suono frusciante della sabbia come nugoli di cavallette voraci.
   
 
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