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Autore: Doralice    06/03/2012    4 recensioni
Piccola, azzurra aleggia
una farfalla, il vento la agita,
un brivido di madreperla
scintilla, tremola, trapassa.
Così nello sfavillio d'un momento,
così nel fugace alitare,
vidi la felicità farmi un cenno
scintillare, tremolare, trapassare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Mpreg, Tematiche delicate
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Cinque

~

Di nuovi modi per dire cose che ancora non si possono dire


Che tu lo voglia o meno,

quando fai l'amore con qualcuno,

il tuo corpo fa una promessa.

Vanilla Sky –



Non fu una notte facile. L'insonnia aggredì John con la stessa velocità con cui il sonno prese Sherlock, sfiancato dal viaggio e dalle nausee e dai prelievi, risparmiandogli imbarazzanti mutismi che gridavano dubbi lapalissiani.

Non che tali dubbi l'avessero lasciato in pace. Ma per lo meno non aveva la presenza vigile di Sherlock ad ingigantirli tra di loro fino a farli diventare insopportabili.

Era riuscito a dormire cullato dalle deflagrazioni delle granate e dai colpi di mortaio, John, ma niente era paragonabile al silenzio assordante che si scontrava con la tappezzeria chiassosa di quella camera. La stessa camera. Era già buio, ma avrebbe potuto ugualmente osservare il medesimo scorcio dalla finestra, con quelle tende color amaranto di quella trama soffocante. La disposizione dei letti identica, il bagno a sinistra della porta d'ingresso. Le pieghe di quel copriletto scozzese, che faceva a pugni col resto dell'ambiente e con i suoi ricordi.

John si era svegliato per due mattine in quel letto. La seconda, la sua vita era stata appena stravolta, ma il suo subconscio aveva già deciso opportunamente di classificare il tutto come “sogno”.

Un sogno.

Un sogno e l'importanza delle parole. Fu allora che la parte emotiva di John decise che non ne aveva più voglia di stare rincantucciata.

Con uno scatto, scostò le coperte e si mise a sedere. La schiena contro la testiera del letto, il capo reclinato contro la parete, respirava l'aria ferma della stanza cercando di filtrare l'odore, di non farlo arrivare a quella parte di sé addetta al controllo dei ricordi.

John era dotato di una spiccata memoria olfattiva. L'odore del bourbon gli ricordava Henry, il profumo di echinacea gli faceva tornare in mente gli anni del college – le aiuole attorno al campus dove gli piaceva studiare erano infestate di quei fiori –, la polvere da sparo gli risvegliava contemporaneamente i momenti migliori del corso di addestramento e quelli peggiori vissuti in Afghanistan.

Adesso John doveva fare i conti con l'odore un po' muffito che si portavano appresso quelle pareti tappezzate, misto al profumo di deodorante per l'ambiente che impregnava col suo sentore di gelsomino tutta la stanza. E in sottofondo, quasi timido eppure perfettamente percepibile, il suo odore.

E non era sicuro di essere in grado di gestirlo. Proprio no.

Era peggio di quel “Positivo” sentenziato senza possibilità di appello dalla Stapleton. Perché non c'è come il silenzio e una stanza vissuta per sbatterti in faccia la realtà. Sono cose che parlano molto più delle prove concrete e altre puttanate simili. Non per niente gli avvocati vincenti dei thriller facevano leva sull'emotività della giuria, piuttosto che sulle evidenze.

In quel momento, l'evidenza ineludibile di aver messo incinto Sherlock, era clamorosamente eclissata dal fatto che ci avesse fatto l'amore. E che non ricordasse quasi niente.

Ripasso mentale: hai fatto l'amore con Sherlock e praticamente non lo ricordi. È chiaro, così?

Lampante.

Bene.

Quel pensiero era irreprimibile e angosciante. In particolare perché pareva ossessionare solo lui. Il respiro lento e costante di Sherlock accompagnava la presa di coscienza di John. Era abbastanza emblematico, a pensarci bene.

Quel che era successo la seconda notte, lui aveva sempre ricordato esattamente per ciò che realmente era – certo, per quel che le tossine e gli ormoni gli permettevano. Non si era perso in giochetti di subconscio e aveva affrontato ogni cosa. John ne era ammirato: c'era davvero bisogno di uno “spettro emotivo” differente per fare una cosa del genere. E per accettare senza scomporsi la definizione di “sogno” che gli era sfuggita il giorno prima, mentre erano in auto.

Che tipo di spettro emotivo sarebbe servito, a lui, per digerire il fatto che fare l'amore con il suo migliore amico era stato metabolizzato come un bellissimo, glorioso sogno irrealizzabile?

John si aggrappò alle coperte e batté la testa contro la parete, dondolandola affranto. Si lasciò sfuggire un patetico, disperato “Ohw”, quale ultimo segno di cedimento del suo già bistrattato orgoglio.

Ma non era la prima volta – no, non lo era affatto – che John faceva i conti con qualcosa di più grande della sua volontà. Generalmente era a questo punto che entrava in gioco il suo istinto di sopravvivenza. 'Ché essere un soldato non significava solo far sopravvivere il proprio corpo, ma innanzitutto la propria mente, ed era questa la prima cosa che t'insegnava la guerra.

Dio, ti prego, salvami” aveva pregato appena la pallottola gli aveva perforato la spalla. Ma non erano state le preghiere a riportarlo vivo tra i suoi compagni di plotone. Era stata una domanda: “Vuoi vivere?”. E una risposta: “Sì.”

In quel momento la sua sopravvivenza dipendeva da un'unica cosa. Un sussurro in mezzo all'accozzaglia dei ricordi. Qualcosa a cui la sua mente s'era sempre aggrappata, in quell'ultimo mese, proprio per convalidare l'idea che non era mai successo, che era stato solo un sogno. Reale o immaginario che fosse, John prese quel sussurro dal legittimo padrone e gli pose un punto interrogativo alla fine.

Lo ami?

John batté le palpebre nel buio che andava schiarendosi per le prime luci dell'alba. Rilasciò un sospiro che rilassò le membra e riportò il battito cardiaco nella normalità. La risposta arrivò e trovò posto dentro di lui con insospettabile facilità.

John Hamish Watson sarebbe sopravvissuto anche questa volta.


Aveva dormito poco e male, ma non lo nascondeva. Il silenzio era meno imbarazzato rispetto al giorno prima, anche se non del tutto naturale – ma Sherlock non poteva certo aspettarsi miracoli. Era sostanzialmente rilassato e appariva in qualche modo determinato, tanto da non scomporsi sotto la sua palese analisi.

Dunque John durante la notte doveva aver preso una qualche Grande Decisione riguardo la loro situazione. Una decisione della quale tuttavia non voleva renderlo partecipe. Questo fatto, tutto sommato, non lo preoccupava granché. Anzi, Sherlock era lieto del fatto che Il Discorso fosse stato rimandato: ciò gli facilitava decisamente le cose. Aveva tre mesi da pianificare assieme a lui: era indispensabile che fosse lucido e che non si lasciasse andare ad isterismi.

I pass lasciati da Mycroft avevano validità ancora per quella giornata. Comunque la Stapleton fornì loro scorte di ormoni per un solo mese, dicendo loro di tornare di lì a quattro settimane per un check-up completo e una nuova scorta dosata in maniera adeguata. Fece loro un milione di inutili raccomandazioni, comprese banalità quali “Non faccia sforzi eccessivi”, “Non si esponga in situazioni pericolose” e “Non faccia uso di alcol e sostanze stupefacenti”.

Compresa la nicotina? – volle informarsi John.

La Stapleton annuì: – Compresa la nicotina, ovviamente. –

Essendo in minoranza, Sherlock si limitò a sbuffare tra sé. Sarebbe stato un esperimento lungo e faticoso.

La dottoressa gli porse la prima dose: – Si lavi accuratamente le mani quando ha finito. –

Sherlock osservò con malcelato sospetto la bustina di gel.

Questo avevo e questo vi beccate. – aggiunse senza giri di parole – Per la prossima volta vedrò cosa posso fare. –

Era prevedibile: le iniezioni erano improponibili e tempo per creare ex novo delle compresse non ne avevano.

I primi tempi le daranno degli effetti collaterali. – lo avvertì mentre si toglieva la camicia.

Sherlock si rigirò la dose tra le mani, cercando l'apertura: – Questo è ampiamente preventivato. –

Hai preventivato tachicardia, nausea, gonfiore, parestesia, disturbi umorali, depressione e sbalzi della libido? – elencò John, togliendogli dalle mani la dose e aprendola per lui.

No, ma grazie per l'esaustiva descrizione di come il dottor Jekyll si tramuterà nel signor Hyde. – ribatté ironico.

Spremette la dose sul palmo della mano e iniziò a spalmarsela sul ventre. Era fredda e appiccicosa. Immaginava che avrebbe dovuto farci l'abitudine.

Ogni dose ha la sua data. – spiegò la Stapleton – Non sgarrate, non confondetele: un dosaggio sbagliato potrebbe compromettere l'intera gravidanza. –

Porse la mano a John: – Buona fortuna. –

Grazie. – fece lui, ricambiando la stretta.

Sherlock allargò le mani unte di gel e arricciò un angolo della bocca in segno di scusa.

A presto, dottoressa. –

Lei ricambiò con un cenno del capo e uscì dal laboratorio.

Cosa c'è? – sospirò dopo un lungo momento.

Io non ho detto niente. – si difese John.

Oh, sì che hai detto qualcosa. – ammiccò mentre andava a lavarsi le mani al lavabo d'acciaio – L'ha fatto il tuo muscolo buccinatore. –

John soffocò un risata.

Ah, sì? – decise di stare al gioco – E che cosa ti ha detto il mio muscolo buccinatore? –

Sherlock si asciugò e gettò la carta nel cestino dei rifiuti organici. Si fissarono un momento, ai capi opposti della stanza, lui con le mani ai fianchi, John appoggiato alla scrivania.

Che sono ridicolo. – ammise francamente.

Ridicolo? Chi, tu? – John mosse la mascella a nascondere un sorriso e si schiarì la voce – Mentre ti spalmi un cocktail di ormoni sulla pancia? –

Scoppiarono a ridere. E – Dio – quanto gli fece bene! Era troppo, davvero troppo tempo. Troppa tensione. Non che una semplice risata fosse capace di risolvere tutti i nodi che in quel mese si erano accumulati tra di loro. Ma non fece affatto male lasciarsi un po' andare.


Girava, girava e girava. Dietro le svolte di quella strada nebbiosa, ad ogni cambio di marcia, durante le lunghe fasi di mutismo della radio, mentre decelerava in prossimità di un incrocio o faceva partire i tergicristalli per scacciare quelle due gocce che talvolta il cielo plumbeo si decideva a spruzzare sul parabrezza, durante le soste nelle piazzole d'emergenza mentre teneva la fronte a Sherlock che rigettava. La domanda girava nella testa di John.

Come fai... com'è che tu ricordi tutto e io no? –

Nella sua mente, John gliel'aveva posta in cento modi diversi quella domanda. S'era masticato le parole per ore, spostando verbi, sostituendo pronomi, togliendo virgole. All'altezza di Warwick le aveva sputate fuori in quel modo e se n'era già pentito – ovviamente. Pregò solo che Sherlock non avesse voglia di fare il difficile.

Non ricordo tutto. Mi sono limitato ad unire i puntini. –

Non ricordava tutto. Se lo ripeté, giusto per cercare di rilassarsi un po': non ricordava tutto.

John grattò il volante con l'unghia del pollice: – Allora... –

Sherlock lo occhieggiò, in attesa che concludesse la frase.

Seriamente, John? Vuoi che parliamo di questo? –

No. – si schiarì la voce e scosse la testa – No, lascia stare. –

Oh, al diavolo... sì, , accidenti! Ne aveva bisogno. E no, non lo voleva! Santo Iddio, non riusciva ancora ad accettarlo, non poteva, non ne era in grado. Ma come faceva a lasciare ogni cosa in sospeso in quel modo e...

Oh, santo cielo! – Sherlock sbuffò – John, smettila di pensare, ti prego. –

John alzò una mano dal volante e gesticolò seccato: – Pensavi davvero che avrei messo da parte questa faccenda? –

Assolutamente no. Non sarebbe da te. – ribatté lui – Speravo, per lo meno, che potessi rimandare ancora. –

John rise per l'incredulità: – Sei troppo intelligente per credere che rimandare sia una degna soluzione. –

Quel silenzio lo allarmò. Le sopracciglia inarcate, guardò alternativamente la strada nebbiosa davanti a lui e Sherlock al suo fianco.

Non lo sei? –

D'accordo. John, abbiamo fatto sesso. – dichiarò atono – Sei soddisfatto, adesso? –

Asfalto bagnato, bassa visibilità: non era il caso d'inchiodare come gli veniva istintivo. Due giorni di colpi di scena erano serviti, dopotutto. Adesso i suoi nervi erano scattanti come e meglio che in Afghanistan.

John strinse il volante fino a far sbiancare le nocche e roteò la testa: – No, non lo sono. –

Cos'è che ti turba di più? –

Non lo stava guardando, John. Non ne aveva il coraggio. E in quel momento aveva l'atroce dubbio che non avrebbe mai più avuto il coraggio.

Che hai fatto sesso con un altro uomo? – insisté, poi abbassò la voce e si chinò appena verso di lui – Che hai fatto sesso con una specie di ermafrodita geneticamente modificato? Che l'hai pure messo incinto? –

John mosse la mascella e deglutì a vuoto. Di solito la verità fa male, e quel punto fermo era paradossalmente confortante. Ma quanto avrebbe fatto male quella verità? Quanto avrebbe fatto male a loro due?

Che ho fatto sesso con te. –

Era difficile non sentirsi addosso i suoi occhi mentre tornava lentamente a sedersi composto. Il fruscio del suo cappotto sullo schienale riempì l'abitacolo.

Abbiamo fatto sesso. – trovò la forza di ripetere – E non ero in me. –


E non ero in me. E nemmeno tu lo eri. E quel momento non si ripeterà mai più e noi ce ne porteremo appresso questi ricordi falsati e indegni senza poterci fare niente.

Sherlock lesse questo ed altro nel profilo accigliato di John, prima che una sorta d'improvviso pudore lo costringesse a distogliere lo sguardo. Per un momento si chiese se quel pudore aveva a che fare con John o con sé stesso, ma preferì non darsi una risposta.

Continuare a rimuginarci sopra non cambierà lo stato delle cose, John. – gli fece notare.

Lui schioccò la lingua: – Formidabile analisi, ma speravo che saresti andato un po' più in profondità. –

Ah, lo scudo del sarcasmo! Erano proprio a buon punto.

Accosta. –

L'espressione di John virò immediatamente sulla preoccupazione.

Devi vomitare? – gli chiese mentre rallentava.

No. – Sherlock sganciò la cintura e aprì la portiera nel momento stesso in cui l'auto si fermava, uscì con uno svolazzio del cappotto e si girò a sporgere la testa nell'abitacolo – Non voglio ripetere il rischio di un'inchiodata. –

John ci mise il suo tempo per uscire a sua volta. Tempo che diede modo a Sherlock di respirare a pieni polmoni l'aria umida del Warwickshire e vagare con lo sguardo tra la nebbia della brughiera attorno a loro, quasi cercandovi in mezzo le parole necessarie.

Ci sono andato in profondità, John. –

Gli cercò lo sguardo e non fece fatica a trovarlo.

Perché me lo stai dicendo? –

Perché hai bisogno di sentirtelo dire. –

Perché c'erano troppe cose non dette tra di loro, ed era meglio che restassero tali, certo, ma qualche paletto era necessario metterlo. Perché la cappa di dubbio che si portava appresso John era insopportabile e finiva continuamente col distrarlo. Perché Sherlock non poteva permettersi d'indugiare oltre su quella faccenda: distoglieva energie dal fulcro di quella situazione, ovvero l'esperimento. Perché, pur non volendolo – non potendolo – ammettere, c'era una parte di lui mortalmente spaventata da tutto questo. E perché quella domanda – l'ovvia domanda – che certamente John si era posto durante la notte e dalla quale era scaturita la Grande Decisione Misteriosa, se l'era fatta anche lui, ma non aveva trovato il coraggio di rispondersi e ciò lo metteva in seria difficoltà riguardo il discorso che gli aveva fatto la Stapleton.

E per te è chiusa qui? –

Le domande retoriche erano il suo forte, e Sherlock lo sapeva bene, ma ogni volta si stupiva della capacità che aveva John di tirarne sempre fuori una al momento opportuno. Neanche ce le avesse in tasca.

Non pretendo che per te lo sia, ma accetta per lo meno che sia così per me. –

Il silenzio di John e il modo in cui lo guardava fisso, posato al tettuccio dell'auto con le mani intrecciate, erano del tipo “non-mi-stai-convincendo-proprio-per-per-un-cazzo”.

Ti facevo più diplomatico, John. – commentò infastidito.

E io credevo che tu mi conoscessi. – ribatté lui.

Lo vide risalire in auto, il rumore metallico della portiera che sigillava senza appello quell'ultima dichiarazione. Oh, immaginava che sarebbe stato difficile, ma non così tanto.

Vorresti poter dire che abbiamo fatto l'amore e che lo volevamo entrambi e che è stato indimenticabile. – cantilenò Sherlock tutto d'un fiato, mentre apriva la portiera e si sedeva e si allacciava la cintura in un unico movimento – Vorresti poter raccontare un giorno al nostro bambino quale momento meraviglioso abbiamo condiviso quando l'abbiamo concepito. –

John partì con una sgommata. Ad ogni sua parola, il tachimetro mangiava miglia sotto l'acceleratore. Sherlock lo osservava senza fare una piega.

Be', non è così, John. Non sarà mai così. Fattene una ragione, per piacere, ed evitami questi isterismi. –

Ti eviterò questi isterismi quando tu mi eviterai la presunzione di sapere cosa sto provando. –

Ma io lo so. –

No, Sherlock. Non lo sai. –

Lo scambio di battute era stato così serrato che nessuno dei due s'era accordo dell'infittirsi della pioggia. John stava praticamente guidando alla cieca. Sherlock allungò una mano ad attivare il tergicristalli.

Mycroft ti ha fatto il discorso sullo “spettro emotivo”? – gli chiese stringendo gli occhi con sospetto – Il fatto che non provo quello che provi tu, John, non si significa che io non possa comunque capirlo. –

Oh, ma tu potresti anche capirlo, sì... se solo ti sforzassi di volerlo capire. –

Quello era un colpo ben mirato. Sherlock si trovò a sorpresa con il fianco esposto. Non credeva che John avrebbe scoperto così presto il suo gioco.

A te non importa cosa provo realmente. – incalzò – Ti basta potermi categorizzare e mettere da parte in una delle stanze del tuo Palazzo Mentale e per te è a posto così. –

No, John. Non è a posto così. Ma lo sarà per te, fidati.

Lo vedi? Stai isterizzando. – ribatté, mantenendo inalterata la facciata.

Certo che sto isterizzando! – sbottò gonfiandosi di stizza – E continuerò a farlo, se tu non la pianti con questa supponenza. –

Stava iperventilando. E... oh, cielo... eccolo. Il momento clou: rinfacciarsi le cose a vicenda. Doveva aspettarselo.

Avrei potuto metterti i bastoni tra le ruote, oppure darmela a gambe... ma no, ho tacitamente deciso di assecondarti in questa follia. Sto alle tue regole, Sherlock. Ma per favore, non venirmi a fare discorsi sull'emotività. Non li accetto. Non da te, no. E, detto per inciso, nemmeno da tuo fratello. –

Apri un discorso sull'emotività e rifiuti che io esprima il mio parere in merito? – replicò, seriamente dispiaciuto dalla sua mancanza di logica e sempre più convinto della dannosità dei sentimenti – È un po' contraddittorio, John. E infantile, a dirla tutta. –

No, Sherlock, non lo è. – dichiarò lui con fermezza – Prova un momento a fermarti a pensare a quello che hai appena detto e ti renderai conto da solo del perché. –

Bam! Effettivamente a Sherlock non ci volle molto per rendersene conto. Colto di sorpresa, sgranò gli occhi verso il biancore nebbioso ed emise un “oooh” pieno di sincero stupore.

No, non poteva essere. Oddio... lo era? Ma questo complicava ulteriormente le cose. Non era affatto contemplato: era sicuro che John si sarebbe concentrato sulla faccenda del “bambino”, senza insistere così tanto sul resto. E se lo conosceva almeno un po', Sherlock non se la sarebbe cavata con una risposta vaga.

Tu non vuoi il mio parere. – esalò, nascondendo a stento l'ansia che già stava iniziando a divorarlo – Tu vuoi... sapere... cosa provo? È questo? –

John ammiccò: – Benvenuto nel mio spettro emotivo, Sherlock. –


Non ti racconterò quello che ho provato quella notte, John. –

Era un'affermazione del tutto fuori luogo e d'una ambiguità tale da fargli mancare un battito. Possibile che fossero davvero così emotivamente lontani? Quei due pensieri schiacciarono John sotto una tenerezza inaudita quanto inaspettata, che rischiò seriamente di farlo andare fuori strada – figurativamente quanto materialmente.

Perfetto. – si schiarì la voce e alzò il mento – Non è quello che voglio. –

Dunque vuoi sapere ciò che provo adesso. – concluse lui.

John inarcò le sopracciglia: – Brillante deduzione, signor Holmes. –

Il breve silenzio che seguì non gli piacque per niente. Cosa aveva da pensare, adesso? Non c'era niente da pensare, c'era solo da sentire. Ma forse quello era un concetto troppo difficile per Sherlock.

Niente in particolare. –

Ok, questo era troppo. E John non inchiodò, come era suo sacrosanto diritto, solo perché erano al casello di uscita dell'autostrada e rischiavano un un tamponamento a catena.

Abbiamo... noi abbiamo fatto sesso. – annaspò, come se ripetere quel concetto che già si stagliava tra di loro, riempiendo tutto l'abitacolo e rendendo l'aria irrespirabile, potesse essere in qualche modo utile – E tu adesso sei incinto. E questo... questa cosa andrà avanti per un bel pezzo e ce lo ricorderà ogni giorno. E tu non provi niente di particolare? –

Si guardarono.

Precisamente. –

Prima o poi anche una persona di mondo come John Hamish Watson – medico, ex soldato, blogger e assistente di un consulente detective – giunge a quell'umiliante punto in cui la scorta delle argomentazioni si esaurisce. Non c'è più nemmeno da grattare il fondo. E cosa resta, a quel punto? L'onorevole fuga del silenzio.

Mi spiace che la mia risposta non corrisponda alle tue aspettative. – fece Sherlock.

John accostò al casello e abbassò il finestrino per pagare il pedaggio.

Sei un robot. Sei fottutissimo robot del cazzo. – dichiarò con stanca irritazione – Litigare con una cassa automatica è più produttivo. –

Se preferisci vederla così... –

Uno non può non provare niente! – incalzò, sentendosi alquanto ridicolo a continuare a battere su quel discorso – Non è qualcosa di umano! –

Sherlock sospirò con fastidiosa aria di sufficienza: – John, non è che mi hai “rubato l'innocenza” o che so io... insomma, è stato un rapporto sessuale. Punto. –

Con me! – precisò sull'orlo di una crisi di nervi – Accidenti, Sherlock, l'hai fatto con me! –

Dio, non poteva credere di essere caduto così in basso! Era umiliante. Dannatamente umiliante. Non voleva crederci.

Vuoi sentirti dire che è stato speciale? – lo sbeffeggiò – Sei davvero a questi livelli di sentimentalismo? –

E siamo punto e capo. – ringhiò stringendo il volante – Non sai quello che mi voglio sentir dire. E vuoi sapere una cosa buffa? Non voglio che tu mi dica quello che vorrei sentirmi dire. Voglio che tu mi dica la verità. –

La verità. – ripeté Sherlock.

Senza la minima esitazione, John annuì.

Non sei pronto per la verità, John. –

Vero, verissimo. Ma non poteva certo cavarsela così. E poi che discorso era? Nessuno era mai pronto per la verità. Ma mica ci si poteva fermare per questo. Non era così che andava il mondo.

Questo lascialo giudicare a me. –

Lo sguardo fisso sul marciapiede che scorreva fuori dal finestrino, Sherlock parlò lentamente: – E se ti dicessi che forse non sei l'unico a non essere pronto per la verità? –

John batté le palpebre un paio di volte e fu con voce strozzata che disse: – Sei... tu sei disposto a portare avanti una gravidanza, ma non sei pronto per... –

Esattamente. –

Un'occhiata. Gli sguardi che tornano in fretta a scrutare la strada trafficata davanti a loro.

Fammene una colpa, se questo può farti sentire meglio. –

Prima ancora che finisse la frase, John si scoprì a scuotere la testa.

Non te ne faccio una colpa. No. – strinse la mascella e deglutì a vuoto – A dirla tutta, avevi ragione. – si schiarì la voce – Sul non essere pronto, intendo. –

È un modo per dire che il discorso è rimandato? –

John sospirò sonoramente. E infine annuì.


Sherlock non aveva bisogno di eliminare dal suo database cerebrale qualche informazione per fare spazio, né di creare una nuova stanza nel suo Palazzo Mentale. Perché non era nel cervello che quelle nuove informazioni dovevano trovare il loro posto. Scoprì, piuttosto, di avere lo spazio adatto in un'altra parte di sé, di recente costruzione. Lì andarono a finirci, e in maniera del tutto autonoma, le seguenti informazioni.

Il modo in cui entrambi, con il loro fare impacciato e totalmente fuori dagli schemi con cui gestivano sempre il loro rapporto, erano riusciti sistematicamente, per tutta la giornata, a dichiararsi l'un l'altro quello che provavano, esattamente mentre tentavano di non farlo.

Lo sguardo di John quella mattina: la totale, innocente assenza del benché minimo tentativo di celare come aveva passato la notte.

La domanda che si erano posti entrambi.

Le risposte che restavano sospese.

L'espressione di John, nell'esatto momento in cui aveva detto che non era pronto.

La riluttanza con cui si adeguava quella situazione: mille volte più preziosa del fatto stesso che accettasse tutto questo.

Il proprio senso di colpa che lo divorava nel sapere quanto stavano rischiando entrambi in tutto questo.

   
 
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