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Autore: Angel666    09/03/2012    4 recensioni
“E’ solo un gioco per te?” chiese lei.
“Esatto. Non è nient’altro che una partita; e io sono disposto a tutto pur di vincerla.”
Il caso del Serial Killer di Los Angeles raccontato dal punto di vista di un ostaggio molto speciale. Cosa lega la ragazza all'assassino? Quali piani ha in mente per lei? Quando giochi in nome della giustizia si trovano sempre pedine sacrificabili, l'importante è conoscere le regole del gioco e non venire eliminati. Please R&R!
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, Beyond Birthday, L
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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L’insegna al neon rossa della libellula era stampata a forza sotto le sue palpebre; come quando si osserva per lungo tempo il sole e rimangono le macchie scure negli occhi.
Cercò di fare mente locale sul suo significato. Il Dragonfly…certo.
Prima di aprire gli occhi cercò di affinare tutti i sensi per captare qualcosa sull’ambiente circostante. Rumore ovattato di voci con musica in sottofondo, tintinnio di bicchieri e risate soffocate: un club. L’orologio accanto al suo orecchio sembrava scandire con precisione le martellate che le colpivano le tempie.
Faceva caldo: aveva la pelle ricoperta da un leggero strato di sudore e i vestiti erano incollati al tessuto sintetico del divano.
“Alzati bella addormentata, tra 15 minuti tocca a te.” La voce distorta di qualcuno le trapassò il cervello rimbombando. Sentì la porta richiudersi.
Un respiro profondo e si fece coraggio ad alzarsi: si trovava nel salottino privato sopra il Dragonfly, il locale dove avrebbe suonato quella sera. Cinquanta dollari e consumazioni gratis, non male in fondo.
Arrancò fino al lavandino del piccolo bagno adiacente e tuffò la faccia sotto il getto di acqua fredda, fregandosene ampiamente del trucco. Due respiri e la stanza smise di girare.
Da quando il riflesso nello specchio aveva smesso di assomigliarle? Lunghi capelli neri spettinati, occhi leggermente sporgenti perennemente circondati da profonde occhiaie, accentuate dal trucco sbavato; carnagione di un pallore malato e un’espressione svampita, di chi sembra sempre persa in un mondo tutto suo.
Doveva decisamente smetterla di bere così tanto, soprattutto prima di un’esibizione. Si accorse di avere una gran fame: non ricordava l’ultima volta che aveva fatto un pasto decente. Più tardi si sarebbe fatta una bella scorpacciata di pizza.
Con questo pensiero afferrò la chitarra acustica davanti alla porta di vetro e scese al piano di sotto.
La clientela del giovedì sera al Dragonfly era piuttosto eterogenea: si potevano trovare tutti i peggiori strati della società di Los Angeles. Seduta su uno sgabello al centro del palco, con il faro puntato negli occhi, poteva permettersi di non vedere tutti quei delinquenti accompagnati dalle loro puttane. Poteva perdersi nelle note della sua musica e far finta di essere da un’altra parte, dove la gente l’ascoltava per davvero e non le venivano dati cinquanta dollari in una busta di carta bianca a fine serata, fuori dall’uscita posteriore.
Non era facile, ma quella era la sua vita al momento. Domani, in fondo, chissà dove sarebbe stata.

“Ehi Rumer, vieni con noi? Volevamo fare un salto da Peter.” Dopo la chiusura del locale Ed le porse la busta coi soldi, sorridendo speranzoso.
Caro, dolce, ingenuo Ed; il modo in cui ci provava con lei era così discreto che le faceva quasi tenerezza.
“Grazie, ma sono stanca. Stasera passo, ci vediamo domani!”
Non aveva voglia di imbucarsi all’ennesima festa piena di sconosciuti, e poi il dolore alla testa si stava rifacendo vivo. Tutto quello che desiderava al momento era arrivare a casa, buttarsi sotto la doccia e dormire dodici ore di fila.
Il rumore dei tacchi risuonò sordo sull’asfalto: la Città degli Angeli in quelle zone di notte assumeva i vaghi contorni dell’inferno. East LA era praticamente deserto alle 4 del mattino, di certo non un posto molto sicuro per una ragazza sola; ma lei era cresciuta per strada e le brutte zone, che fossero di Londra o Los Angeles, non cambiavano poi molto.
Finalmente, dopo aver passato il ponte della metropolitana, imboccò le scale del palazzo che potavano al suo modesto appartamento.
La sua coinquilina Joey era in vacanza a Santa Barbara con il fidanzato. Effettivamente restare in città il 27 Luglio, con quel caldo, era una vera tortura.
Entrò in casa senza aprire la luce: l’appartamento era piccolo e il mal di testa adesso era davvero forte. Lanciò le scarpe da una parte del salotto e si avviò verso il bagno per farsi una doccia e lavarsi via l’odore di fumo dai capelli.
Mentre l’acqua scorreva entrò in camera e iniziò a spogliarsi.
La finestra era aperta e le tende bianche ondeggiavano leggermente per la brezza notturna.
Si stava sfilando la maglietta quando lo sentì. Un rumore. Lo scricchiolio del pavimento dovuto a dei passi. Per un attimo pensò di esserselo solo immagino, ma quando invece subito dopo sentì chiaramente lo sbattere dell’anta del frigorifero, capì di non essere sola in casa.
Quale ladro si sarebbe mai fatto uno spuntino notturno, con lei dentro per giunta?
Il più silenziosamente possibile afferrò la mazza da baseball del ragazzo di Joey, dietro l’armadio e cercò di avvicinarsi alla cucina tramite il piccolo corridoio, passando davanti al bagno.
L’acqua nella doccia continuava a scorrere, riempiendo il silenzio dell’appartamento immerso nel buio.
La mazza di legno quasi scivolava tra le sue mani sudate; aveva sentito di alcuni furti avvenuti nel quartiere di recente, ma non si era mai decisa a prendere serie precauzioni al riguardo. Si maledisse: anche se non era di certo una persona ricca e non teneva roba di valore in casa, almeno un catenaccio alla porta poteva metterlo!
Varcò la soglia del soggiorno, trovandolo vuoto. La presenza di qualcuno nell’appartamento era sempre più tangibile.
Senza accorgersene aveva iniziato a tremare: il dolore alla testa era completamente passato, grazie all’adrenalina entrata in circolo, affilando al massimo i suoi sensi.
Improvvisamente l’acqua nella doccia cessò di scorrere.
Rumer si bloccò nel centro del soggiorno, come se gli arti si fossero congelati sul posto. Intravide un’ombra dietro le spalle, ma non fece in tempo a voltarsi. Brandì la mazza nel buio alla cieca, mancando il suo aggressore, e fece uno scatto in avanti inciampando nel tappeto.
Avrebbe urlato volentieri, con tutto il fiato che aveva in corpo, se un laccio da scarpe non si fosse prontamente chiuso attorno alla sua gola.
Percepiva il corpo dell’uomo pressato sulla schiena e il suo respiro accelerato nell’orecchio. Provò a dimenarsi tirando calci e pugni, ma non faceva altro che fendere l’aria, scivolando sul pavimento nella macabra imitazione di un nuotatore.
Perché diavolo non aveva accettato la proposta di Ed quella sera? In quel momento sarebbe stata con un ragazzo carino a divertirsi, anzi che sul pavimento del salotto con qualcuno che cercava di ucciderla.
La presa attorno al suo collo si fece più ferrea; la vista le si annebbiò per le lacrime, mentre la lingua era come inghiottita, pressata contro le tonsille. Sentiva i gomiti dell’aggressore puntati nelle sue scapole e le sue gambe che la tenevano inchiodata a terra: era in trappola.
L’unico pensiero fu che non voleva morire, non in quel modo, senza neppure aver visto in faccia il suo assassino.
Con le ultime forze rimaste fece scattare indietro la testa colpendo il volto dell’uomo con violenza; percepì nettamente i suoi denti fenderle il cuoio capelluto, ma tanto bastò per fargli allentare il laccio sul suo collo. Senza pensarci Rumer colpì le sue costole con un gomito, levandoselo finalmente di dosso. Sentì un lamento smorzato e la presa sulla sua gola cedere definitivamente.
Non si fermò a riprender fiato: un secondo di indugio sarebbe stato fatale.
Con un balzo in avanti si alzò dal pavimento e corse verso la porta di ingresso.
Inutile dire che la mancanza di ossigeno non rese i suoi muscoli abbastanza scattanti; era a metà del salotto quando si accorse che l’uomo si era alzato da terra ed era già dietro di lei. Si sentì afferrare da una mano gelida, prima che lui le facesse sbattere con violenza la testa sullo stipite della porta. Riuscì a intravedere un paio di occhi rossi nel buio.
L’ultimo pensiero che formulò prima di perdere completamente i sensi fu quello di essere finita in un incubo.


Un poco alla volta i contorni dell’ambiente circostante iniziarono a prendere fuoco.
Si trovava in una grande stanza, completamente spoglia: il pavimento sporco era ricoperto di vetri rotti e pezzi di legno. L’immensa vetrata opaca faceva filtrare la luce del mattino, mettendo in risalto la polvere che vorticava nell’aria. Sicuramente si trovava in un vecchio magazzino, o in qualche stabile in disuso. Ce n’erano molti come quello a Los Angeles.
Aveva male dappertutto: le membra erano intorpidite, la testa pulsava e la lingua sembrava un vecchio straccio annodato. Si accorse di avere i polsi legati con delle manette agganciate ad un tubo sopra la testa. I piedi sfioravano appena il pavimento.
Come una scarica elettrica le piombarono in mente tutte le immagini della sera prima: l’aggressore, il laccio che voleva soffocarla…occhi rossi come il sangue.
Se non altro era viva.
“Vedo che ti sei svegliata, finalmente.”
“Chi sei? Che cosa vuoi da me?” gracchiò. Parlare le faceva male alla gola.
“Questa è una cosa che scoprirai presto, Rumer.”
Sentire il suo nome pronunciato da quella voce incolore le mise i brividi addosso.
Provò a strattonare le manette, senza successo ovviamente.
“Ascoltami io non so chi sei, non ti ho visto in faccia. Lasciami andare ti prego, non ti denuncerò alla polizia. Non ho molti soldi, ma ti darò tutto quello che ho!” si accorse di tremare.
“Sciocca ragazzina, non sono i soldi che mi interessano. In un certo senso tu sei un ostaggio si…ma qui non è questione di denaro, bensì di potere.” Sembrava divertito, ma non poteva dirlo con certezza, dal momento che si trovava dietro di lei e le sussurrava in un orecchio.
“O - ostaggio?” non aveva nessuno al mondo, soprattutto non conosceva nessuno disposto a pagare una somma, anche minima, per salvarle la vita. Il suo pensiero andò un attimo a Ed, ma scartò subito quella possibilità.
“Hai preso la persona sbagliata.” Affermò con sicurezza.
“Io non credo. Ci ho messo parecchio tempo a trovarti: sei una che si muove spesso, senza radici…ma alla fine ti ho preso!”
Quell’uomo la stava tenendo d’occhio? “Perché?” chiese.
“Anche questa è una cosa che scoprirai presto.” La sensazione di un ago che le bucava la vena fu l’ultima cosa che percepì prima di scivolare nuovamente nell’oblio.



A/N: Salve a tutti io sono Angel, piacere. E’ da qualche mese che frequento il fandom di Death Note e probabilmente mi avrete visto recensire le vostre storie. Nonostante io scriva da molti anni, questa è la prima storia in cui mi cimento su questo libro (Another Note) che mi ha veramente colpito ed appassionato. Questa sarà l’unica nota che scriverò prima del capitolo finale, perché non amo le interruzioni nella narrazione, quindi vi chiedo solo un po’ di pazienza.
Questa storia, che ho iniziato a scrivere un mese fa, è già conclusa, quindi non dovete preoccuparvi che la lasci a metà. Io personalmente non sopporto l’idea di appassionarmi ad una storia e non sapere come andrà a finire; ma c’è anche da dire che questa è la prima long che finisco (nonostante ne abbia scritte parecchie) quindi mi sento anche soddisfatta per averla portata a compimento. Posterò regolarmente una volta alla settimana, penso di venerdì, e contiene all’incirca 8 capitoli ( ancora non ho scelto le divisioni precise). La storia, ovviamente, parla di tutto il romanzo Another Note, e contiene quindi spolier per chi non lo avesse ancora letto ( che aspettate? È una meraviglia!), raccontato dal punto di vista della protagonista. Ho messo l’avvertimento non per stomaci delicati, perché contiene un paio di scene di violenza, ma io non credo che sarà molto difficile da sopportare. Ho cercato di essere il più possibile realista nel descrivere un rapporto prigioniero/ sequestratore.
Sappiate inoltre che questa non è una storia romantica. Mi dispiace, spero di non perdere lettori per questo, ma non era quella l’idea di base. Ci sarà comunque una sorpresa se sarete pazienti! So che di solito l’idea di inserire nuovi personaggi è sempre rischiosa. Da parte mia posso dire che ho cercato davvero di rendere Rumer il più credibile possibile, ma questo potete dirmelo solo voi. Spero anche di aver reso bene Ryuuzaki perché odio l’OOC. Non è stato facile, ma io lo vedo molto diverso da L, chi ha letto il romanzo e ha in mente le parti in cui è solo e non finge davanti a Misora sa di cosa sto parlando. Spero che mi lascerete le vostre impressioni, e le vostre critiche che trovo sempre costruttive, perché ho speso tantissime energie in questa fan fiction . Come avrete capito amo parlare e discutere dei personaggi e della trama, quindi da parte mia avrete sempre il dialogo aperto, per qualsiasi dubbio o commento.
Cosa fondamentale: questa storia mi è venuta in mente leggendo la meravigliosa Strawberry Gashes della bravissima Luce Lawliet, quindi fate un salto anche da lei perché merita. Potrete trovare alcuni punti in comune, ma ho avuto il suo permesso per pubblicare la storia.
Spero di riuscire ad appassionarvi o quanto meno incuriosirvi. Buona lettura!
   
 
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