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Autore: bacinaru    11/03/2012    6 recensioni
"Alla verità non si può fuggire in eterno e Gregory la trovò a casa, ad aspettarlo tra le lenzuola del letto disfatto. Non fu tanto la vista di sua moglie che si scopava allegramente il vicino di casa – neanche si erano accorti della sua presenza sulla porta, tanto erano forti (e volgari!) i loro gemiti di piacere – ma piuttosto la triste consapevolezza di aver sempre saputo e non aver mai fatto nulla a riguardo, che lo fece voltare ed uscire fuori dall'appartamento di corsa, senza una parola."
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lestrade , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II CAPITOLO

Call me when you need it





-Non faccia lo stupido ispettore. Sa benissimo di cosa sto parlando-.
In realtà a Lestrade sembrò di non sapere più nulla.
Quando la sera prima lo aveva salvato da quei tre teppisti, Gregory aveva pensato di lasciarlo in ospedale, magari fargli qualche domanda e, se avesse avuto fortuna, catturare i delinquenti. Di certo non si aspettava che il ragazzo facesse irruzione nel suo ufficio, finendo ammanettato alla scrivania, né che si presentasse a lui con una frase del genere.
-Il caso Moulier?
La domanda apparve più esitante di quanto avrebbe voluto.
Lo sconosciuto alzò gli occhi al cielo con una teatralità sconcertante.
-No, parlo del tempo. Certo che si tratta del caso.
Calò un silenzio pesante in tutto il reparto. Quella strana situazione aveva attirato l'attenzione anche di agenti impegnati in tutt'altro, che non avevano saputo resistere a qualcosa di così interessante.
A Lestrade non erano mai piaciute tutte quelle attenzioni.
-Va bene, tornate tutti a lavoro!
Ordinò a quei maledetti curiosi. Poi si rivolse al sergente e, consegnatale la cartella con i nuovi sviluppi, le chiese di fare qualche ricerca e vedere se quella pista poteva portarli da qualche parte.
Solo quando rimasero soli, la porta dell'ufficio chiusa alle loro spalle, Lestrade rivolse tutta la sua attenzione al giovane, che ancora occupava il suo posto.
Si sedette dalla parte opposta della scrivania, quella dove di solito sedevano tutti gli altri, e fissò i propri occhi in quelli azzurri, simili al ghiaccio, del ragazzo.
La luce del giorno gli conferiva un aspetto molto diverso - o forse era solo, come dire, più pulito della notte precedente.
Il fango sui vestiti era scomparso, così come la polvere che si era infilata tra i riccioli scuri, e del sangue che aveva imbrattato quel viso cereo – poteva ricordarne ogni singola goccia come se lo vedesse in quel momento stesso – era rimasta solo una brutta ferita.
Il suo volto era magro, scavato - da quanto tempo non mangiava?
-Come si chiama?
-Non è rilevante. Ora, se ha finito con domande stupide, ispettore, le consiglio di fare subito qualcosa riguardo al caso. Sbaglio o il vostro compito è quello di catturare assassini?
Lestrade strinse le labbra in una linea sottile.
Il ragazzo era arrogante e sicuro di sé, ma con l’aspetto di chi non non vedeva un letto da secoli.
Era inquietante, oltre che fastidioso, ma per qualche motivo l'ispettore se ne sentiva inevitabilmente attratto.
C'era qualcosa di curioso, qualcosa che non era ancora riuscito a cogliere e che metteva a dura prova il suo istinto di poliziotto.
-Bene, si spieghi.
-Cosa c'è da spiegare?
-Non posso arrestare un uomo solo perché lei ritiene che sia un assassino!
Il giovane sospirò frustrato, facendo tintinnare appena le manette che lo tenevano legato alla scrivania.
-E' così semplice! Guardi queste foto, non riesce a vedere?!
Detto questo, il ragazzo gli spinse sotto il naso le immagini che ritraevano la scena del crimine, più una della donna quando era ancora in vita.
Gregory le guardò, non cogliendovi nulla di nuovo. Aveva studiato quelle foto già un miliardo di volte senza che ne ricavasse un ragno dal buco.
La donna era piuttosto giovane, trentadue anni o giù di lì.
Era distesa con la schiena su uno di quei lettini bianchi e comodi che si potevano trovare solo in un centro benessere costoso come quello; il volto, incorniciato da lunghi capelli biondi, era rilassato, come se l'assassino si fosse preso la briga di distenderlo dopo averla pugnala più volte con un paio di forbici del centro e soffocata subito dopo.
-Avanti, ispettore. E' così ovvia la differenza che c'è tra la foto che la ritrae prima della morte e quella dopo!
Lestrade alzò lo sguardo per incontrare quello impaziente dell'uomo.
Si sentiva uno scolaro interrogato alla cattedra e colpevole di non aver imparato la lezione.
Tornò ad osservare le foto indicate. Quella che ritraeva la donna ancora in vita non differiva poi così tanto da quella post-mortem, a parte il fatto che aveva ancora gli occhi aperti, un sorriso sulle labbra e non si vedeva tutto il corpo, ma solo la parte superiore, dal seno in su.
-Non lo so. Non c'è...
E poi i suoi occhi si posarono quasi inconsciamente su un particolare, così minuscolo da passare inosservato.
-La collana che porta al collo. Non l'abbiamo trovata sul corpo.
Si maledì interiormente per aver fatto apparire quella che doveva essere un'affermazione più simile ad una timida domanda.
La risposta sembrò comunque soddisfare il giovane. Lestrade era quasi certo che l'angolo delle labbra gli si fosse piegato in su giusto per un attimo in un accenno di sorriso e si sentì stupidamente orgoglioso di esserne la causa.
-Pensa che l'assassino possa averla presa con sé?
-Non lo penso: lo so.
Il mondo sembrava capovolto e per un momento a Lestrade parve di essere tornato indietro nel tempo, ai suoi primi giorni d'agente, quando tutto era nuovo e spaventoso, ma anche eccitante; l'emozione nel risolvere un enigma e consegnare un colpevole alla giustizia, sapendo di aver fatto qualcosa di buono e concreto, che diventava quasi palpabile e gli inebriava i sensi.
-Ok. Dimmi tutto quello che sai.
Gregory si pentì di quello che aveva detto non appena vide un sorrisetto arrogante comparire sul viso dell'altro. Sapeva, per qualche strana ragione, che con quelle parole si era appena dato la zappa sui piedi.
-La collana è ovviamente un regalo del marito. E' vecchia di più di dieci anni, poco più di quanto non lo sia la fede, segno evidente che sia un regalo di fidanzamento. E anche non notando questo si può benissimo capire che non è un regalo comprato dall'amante, troppo costoso, né da se stessa - non avrebbe portato al collo un oggetto così prezioso ogni giorno se fosse stata lei ad averlo pagato. Ora, perché la collana è scomparsa dal corpo? I segni sul collo della vittima sono abbastanza eloquenti. La collana gli è stata tolta violentemente, un atto di passione? Sì, ma la violenza e l'oggetto preso indicano qualcos'altro: tradimento. Potrebbe essere stato l'amante, geloso del marito, ma come ho già detto quest'uomo, pur potendoselo permettere, non gli ha mai comprato nulla di costoso - evidentemente non teneva a lei tanto quanto la donna teneva a lui, quindi non avrebbe avuto alcun movente. Adesso il marito. Ha scoperto la relazione, ovviamente, e si è sentito tradito. Ha seguito la moglie fino al centro benessere, forse voleva solo parlarle, ma la situazione gli è sfuggita di mano e in preda alla rabbia l'ha pugnalata al petto con il primo oggetto che gli è capitato tra le mani. In un centro benessere non è difficile trovare un paio di forbicine per sopracciglia. I colpi non le furono subito fatali, perciò lui, che amandola ancora non poteva guardarla morire in agonia, l'ha soffocata con una pezza bagnata, trovata sempre in quella stanza, e poi ha adagiato il corpo sul lettino, chiudendole gli occhi ormai vuoti. In un ultimo gesto di rabbia e disperazione le ha strappato la collanina di dosso. Molto probabilmente la tiene ancora nascosta da qualche parte, per una di quelle assurde ragioni che esseri stupidi come lui sono soliti trovare in tutto ciò che fanno.
Ora, invece, si starà chiedendo come mai un omicidio non premeditato come questo non abbia lasciato alcuna traccia. Ebbene, è dicembre, l'uomo portava certamente dei guanti, quindi nessuna impronta digitale. Per quanto riguarda le telecamere, è stato solo un caso che fossero in disuso, deve averle disattivate lo stesso proprietario del centro, non potendo avere alcuna prova della sua relazione con una cliente. Infatti, se non sbaglio, è stato proprio lui a trovare il corpo poco dopo. Ora, crede che questo sia sufficiente per richiedere un mandato di perquisizione? Sono sicuro che troverete la collana nascosta nell'appartamento del marito, dalla quale potrà rilevare le tracce di sangue della vittima che le servono come prova conclusiva per questo caso.
Mi meraviglio che non l'abbiate capito subito, mi sono bastati meno di dieci minuti con queste foto per risolverlo.
Snocciolò il tutto con una tale velocità che Lestrade fece fatica a seguirlo, con la domanda curiosa “ma respira almeno?” che più volte aveva tentato di distrarre l'ispettore da quel ragionamento tanto assurdo quanto logico.
Nessuno avrebbe dato ascolto ad uno sconosciuto qualsiasi che, dopo aver fatto irruzione nel tuo ufficio, ti presenta in meno di cinque minuti la soluzione ad un caso su cui stai lavorando da giorni.
-E' impossibile che tu capisca tutto questo solo guardando un paio di foto! I miei migliori uomini ci hanno lavorato per giorni senza trovare nulla!
-Questo perché siete tutti degli idioti.
Lestrade lo guardò con la bocca aperta, incapace di dire o fare qualsiasi altra cosa. A lasciarlo sbigottito non era stato tanto l'insulto in sé per sé, ma piuttosto la calma con la quale era stato pronunciato, come se il suo scopo non fosse stato quello di offendere, ma solo di constatare una verità certa.
Si leccò le labbra secche, cercando di trovare qualcosa da dire. A toglierlo da quell’impiccio fu il bussare forte e deciso alla porta dell’ufficio.
Una volta datole il permesso, si affacciò all'entrata il sergente Donovan.
-Sir, abbiamo l'indirizzo di Thompson. Dobbiamo portalo in centrale?
Lestrade fissò ancora per un attimo il volto dell'uomo, prima di rivolgersi alla donna.
Tanto valeva tentare.
-No, lasci stare l'amante e si procuri un mandato di perquisizione per la villa del signor Moulier.
Donovan lo guardò sbigottita, pronta a ribattere, ma lo sguardo dell'ispettore la fece desistere.
-Certo, sir.
Uscì, non prima però di aver lanciato uno sguardo infastidito a quel tipo strano ancora ammanettato alla scrivania.
-Spero davvero che lei abbia ragione.
Disse Lestrade, prendendo intanto le chiavi per liberare il giovane dalle manette.
-Dovrei arrestarla per essersi intrufolato nel mio ufficio.
Il ragazzo si massaggiò piano il polso ormai libero, osservando con un particolare interesse il segno rossastro lasciato dalle manette, forse un po' troppo strette.
-Allora perché mi sta lasciando andare?
Sembrava curioso. Da quando lo aveva incontrato la notte scorsa, quella era la prima volta che Lestrade gli vedeva quella sottile linea in mezzo alle sopracciglia, giunta a disturbare il viso altrimenti privo di espressione.
-Immagino stesse solo cercando qualcosa che le appartiene. Anche se le sarebbe bastato chiedere.
Gli rispose, prendendo dalla tasca l'agenda raccolta nel vicolo.
-Questa, giusto? E comunque, come diavolo ha fatto a sapere che lavoro qui?-.
L'uomo ignorò volutamente la domanda. Afferrò l'oggetto e lo ripose nella tasca destra del cappotto. Nell'euforia del momento doveva essersene dimenticato.
-Grazie. Non si disturbi ad accompagnarmi, conosco l'uscita.
Annunciò burbero, avviandosi verso la porta.
Fu solo allora che Lestrade notò un certa rigidità nei movimenti.
-Aspetti! Non vuole sporgere denuncia?
L'uomo si voltò di nuovo a guardarlo, piuttosto confuso.
-Come, scusi?
-Denuncia. Contro i suoi aggressori.
Il giovane ci pensò un attimo con la fronte corrugata. Non poteva essersene dimenticato!
-Oh!
Il suo viso si distese quando capì di cosa l'ispettore stava parlando e un altro sorrisetto impertinente fece capolino sulle sue labbra.
-Non si preoccupi di loro, ispettore. Se ne è già occupata una mia vecchia conoscenza.
Se ne andò senza aggiungere altro, lasciando Lestrade con un enorme punto interrogativo stampato in faccia e una minima preoccupazione per i tre uomini, che sembravano aver scelto proprio la vittima sbagliata.



Quella stessa sera, più tardi, l'ispettore Gregory Lestrade si trovò di nuovo solo nel suo ufficio, a compilare soddisfatto il rapporto del caso ormai concluso.
Ancora non riusciva a capire bene come lo avessero risolto, ma un criminale era stato assicurato alla giustizia e questo poteva bastargli.
Rilesse per intero il rapporto, controllando calligrafia, stile e grammatica, oltre che ad aver usato il lessico appropriato, e quando fu soddisfatto del proprio lavoro, lo firmò e lo ripose in una cartellina dentro ad un cassetto della scrivania. Lo avrebbe consegnato l'indomani.
Si abbandonò contro lo schienale della sedia con un sospiro gratificato, ripensando un po' agli eventi della giornata.
L'incontro con quel ragazzo era stato interessante. C'era qualcosa che gli sfuggiva e allo stesso tempo lo incuriosiva. Lo aveva osservato mentre gli snocciolava impaziente tutte le informazioni e nonostante era sembrato reggersi in piedi a malapena, in quel momento aveva visto l'eccitazione bruciare nei suoi occhi di ghiaccio. Era la vita che si accendeva.
Lo sguardo cadde quasi inconsciamente sulla busta da lettera che riposava da ormai qualche tempo sulla sua scrivania. Il bianco che si confondeva con il bianco. Avrebbe potuto quasi non vederla, tanto era immacolata, ma il sigillo di cera aveva un colore inconfondibile: rosso come il sangue.
L'aveva ricevuta circa una mezz'ora prima, ma non ci aveva fatto caso. Era impegnato a compilare il rapporto e solo poche cose, come ad esempio la fine del mondo o un'improbabile fuga di massa dalla prigione di Pentonville, avrebbero potuto distrarlo da tale compito.
Quella busta era rimasta in attesa di essere aperta e ora che l'ispettore la stringeva tra le mani, la curiosità di chi mai avrebbe potuto mandargli una lettera del genere iniziò a mangiargli le budella.
Sperò vivamente che non ci fosse una bomba all'interno o che non fosse il regalo di qualche psicopatico.
L'aprì con impazienza, aspettandosi quasi di trovare qualcosa di disgustoso. Quello che ne uscì fuori, però, fu un semplice pezzo di carta. Si librò a mezz'aria per qualche secondo, prima di posarsi con leggiadra sul bianco non altrettanto immacolato della sua amata scrivania.
Su di esso un numero di telefono e poche parole:
Sherlock Holmes,
call me when you need it.
Lestrade sorrise, curioso e anche un po' contento, senza sapere quanto davvero in profondità quelle parole gli avrebbero segnato la vita.










Note piccole piccole: Allora, non c'è molto da aggiungere, se no che con questo capitolo possiamo dire conclusa la parte introduttiva. Dal prossimo dovrebbe iniziare la storia vera e propria, con la speranza che la scuola non mi uccida prima ç.ç
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio tantissimo per il tempo che perdete a leggere questa storia. I commenti sono sempre graditi, ovviamente (come direbbe Sherlock XD) e soprattutto le critiche, perchè mi aiutano a migliorare e ne ho davvero bisogno =)
Ci vediamo il prima possibile con il prossimo aggiornamento, Baci!
  
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