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Autore: Aleena    12/03/2012    3 recensioni
1979. L'anno della distruzione del primo Horcrux - e della scomparsa di Regulus Black.
Due momenti rubati, uno da un passato di amore frateno, l'altro da un presente gelido.
E una speranza, quella che Sirius possa ancora considerare Regulus un fratello.
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1a classificata al "The Fluff Contest" indetto da Visbs88 sul forum di Efp
Partecipa al contest "Secondario a Chi?" indetto da Ray Wings sul forum di EFP
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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1979
 
 
Credits: Lostknightkg

 
 Regulus si ferma sul marciapiede, lo sguardo perso fra le volute di neve che gli danzano attorno. Ha il volto arrossato, le labbra congestionate dal freddo intenso del pomeriggio, ma non vi bada. Fra le mani stringe un involto di cartone, sorretto quasi fosse di fragile cristallo: dentro, la promessa di una giornata non dissimile da quella di sette anni prima. 
Il tempo non l’ha cambiato poi molto: i tratti del volto sono sempre morbidi e le ciglia, troppo lunghe, danno un’impressione di fanciullesca malinconia e innocenza che male si sposa col marchio che gli sfigura l’avambraccio. Un accenno di barba sopra e attorno alle labbra e i capelli castano chiaro lunghi fino alle spalle - entrambi già ragnatela per i minuscoli granelli di ghiaccio che gli danzano attorno - rendono la sua figura più matura, più virile; vedendolo qualunque donna l’avrebbe definito bello, eppure non possiede che una stilla del fascino di Sirius, quel fratello lontano e grande che Regulus cerca di imitare quasi senza rendersene conto e che invidia, consapevolmente. Perfino quel giorno, perfino lì, sulla soglia della sua casa. 
Regulus non aveva mai brillato di luce propria eppure un talento l’aveva, sordido e insondabile ma talmente grande da impedirgli di rendersene appieno conto: disciplinava la sua mente, nascondeva emozioni e sensazioni dietro una coltre di servilismo schietto e un distaccato disinteresse. Perfino a Lui, perfino al suo Signore. 
L’aveva imparato a casa sua prima, giorno dopo giorno, e poi ad Hogwarts; aveva imparato a nascondere il suo affetto per Sirius e poi il suo disprezzo per i “compagni” Mangiamorte e infine l’odio, puro e ribollente, che provava verso quel padrone senza remore o pietà cui era costretto a sottostare, muto e apparentemente impotente. 
Poteva nascondere a Lord Voldemort quasi ogni cosa, schermarla dalle continue intrusioni che l’esperto Legilimens operava ai danni dei suoi sottoposti, e questo era stato il suo punto di rivalsa. Aveva impiegato anni per affinare egli stesso la Legilimanzia e, quando alfine l’aveva padroneggiata in maniera sufficientemente buona, aveva torchiato quell’idiota codardo di Peter Minus affinché gli desse informazioni sul luogo nel quale si vociferava Sirius si nascondesse; quel voltagabbana, già lieto della possibilità d’essere ammesso nella cerchia, aveva collaborato ben più mitemente di quanto si fosse aspettato Regulus il quale, sorprendentemente, ne aveva ricavate abbastanza informazioni da comprendere la necessità di cancellare parte della memoria a Minus: era pericoloso e Regulus sperava di poter arginare questa sua dannosità con un rimedio come l’Oblivion. 
Così, quando l’esatta ubicazione della casa di suo fratello gli era stata rivelata, Regulus aveva ordito il proposito di fargli visita per riferirgli del tradimento e, perché no, anche del piano che andava costruendo da quando era venuto in possesso delle informazioni sul suo Padrone. Dall’incontro con Minus erano passati poco più di quindici giorni, ma solo questa mattina Regulus aveva trovato la forza di attuare il suo proponimento: dunque aveva lasciato il sontuoso pranzo di famiglia e si era Materializzato all’incrocio della via indicatagli dal Malandrino traditore, esattamente laddove sapeva trovarsi la casa. 
Non  c’è alcun incanto Fidelius a proteggere l’abitazione, solo una basilare barriera anti babbani simile a quella della dimora dei Black e qualche incantesimo di difesa sparso per il giardino rinsecchito. 
Regulus suona il campanello e attende, ritto dinnanzi al cancelletto di legno sbeccato, che la faccia di Sirius spunti dall’uscio serrato, nella sua immaginazione così simile a quella porta chiusa del giorno di Natale di qualche anno prima, il giorno che Regulus ricorda con così tanto affetto perché li ha visti uniti per l’ultima volta. 
Eppure, la faccia che si palesa oltre la soglia non è quella irata eppure benevola del ricordo ma un volto carico di un odio così radicato che Regulus deve trattenersi dal fare un passo indietro. Deglutisce invece e, con un moto di coraggio, muove per spingere il cancelletto avanti. 
«Fermati. Se fai un altro passo ti Schianto, è una promessa» sussurra Sirius mostrando la bacchetta levata e squadrando torvo Regulus. «Che cazzo vuoi?» sussurra poi, talmente piano che pare non voglia disturbare la quiete ovattata del suo misero giardino. 
«Sirius io…» attacca Regulus ma s’accorge di non saper continuare. Cosa dire per scusarsi? Come fargli capire – meglio, credere – che non è quello che lui crede? 
«Tu. Dovresti essere con i tuoi amichetti. A leccare i piedi di quel maledetto assassino con la tua allegra compagnia. E che cazzo hai in mano?» ringhia Sirius, indicando con la mascella contratta il pacco di cartone su cui qualche fiocco di neve inizia già a posarsi.
«Sirius, permettimi di spiegare ti prego. Permettimi di… fammi entrare. Sediamoci e…» comincia Regulus, la voce che trema, le parole congelate in gola che si rifiutano di salire alle labbra restando incastrate lì, in un groppo doloroso. È convinto, ancora convinto che, se solo si siederanno l’uno di fronte all’altro nella misera cucinetta, ogni problema verrà risolto, ogni divergenza appianata. Forse perfino quei nove anni potranno essere dimenticati, spazzati via come la neve dagli abiti.
Ci crede, aggrappandosi a quel sogno con tutte le sue forze – ma non sa lottare, non è mai stato in grado. 
«Tu vorresti entrare in casa mia? Un Mangiamorte nella casa di un membro dell’Ordine?» domanda Sirius retoricamente e poi sbotta in una risata senza allegria, cupa e rombante come il latrato di un cane messo alla corda. Regulus impallidisce, improvvisamente colto dal panico.
«Non dovresti dirlo così… così apertamente. Vi stanno dando la caccia, Sirius. Se qualcuno ti sente…»
«Mi hai sentito tu, no, sporco Mangiamorte? Coraggio, vallo a riferire al tuo Padrone, digli che non ho paura, che può provare a venirmi a prendere quando vuole» dice Sirius, sfidandolo con la cieca decisione che, Regulus lo sa, altro non è che una reazione alla paura. 
«Sirius ti prego, io non…» attacca Regulus, sempre meno convinto.
«Mi fai schifo Regulus. Te l’avevo detto, no? Sei cambiato, sei come loro, come tutti loro. Un venduto, un assassino, un maledetto pezzo di merda. Ma non mi avrete, né tu né loro. Diglielo.»
«Sirius io…»
«Vaffanculo Regulus, possibilmente lontano da qui. ORA!» La voce di Sirius è un grido adesso, la bacchetta levata manda scintille di un pericoloso rosso brillante. Regulus non attende oltre; con una piroetta men che leggiadra scompare nell’aria della notte lasciandosi dietro una parte di sé.
 
Delle volte, guardandosi allo specchio, Regulus può vedere Sirius nei suoi stessi tratti: una versione più bella e forte di sé, con quel suo sguardo strafottente e la libertà negli occhi. Sono così simili fisicamente, loro due, che spesso si chiede quale caso li abbia voluti così diversi nell’animo; e sotto sotto Regulus invidia Sirius per questa sua forza, per la tenacia con cui ha saputo liberarsi dei vincoli e delle costrizioni che il loro status imponeva – e lo odia, perché è lui stesso ora a doverli portare, a dover reggere il “buon nome di famiglia”.
L’ha fatto: nonostante non sia mai stato in grado di brillare, è divenuto comunque un figlio di cui sua madre può essere fiera – o almeno così gli piace pensare, giacché Walburga pare non poter essere contenta di nulla. Ha scelto la strada che tutti si aspettavano prendesse e fatto le scelte che si reputava fossero giuste… fino ad ora.
Ha voglia di ribellarsi, voglia di fare per una volta la cosa che ritiene giusta. Per questo era andato a trovare Sirius: vuole che lui sappia perché c’è il rischio che di giustizia Regulus muoia; eppure Sirius non c’era, come non c’era da molto, molto tempo: da quando, in una tiepida giornata di settembre, il Cappello venne calato sulla sua testa e, scioccamente, Regulus pensò “ti prego no, non a Grifondoro, ti prego, o mia madre mi ucciderà”; e, nonostante avesse delle remore, il copricapo pronunciò la parola “Serpeverde” dividendoli definitivamente, in un modo che solo ad anni di distanza Regulus poté veramente capire. 
Dunque si lascia la torta alle spalle, sepolta fra le cartacce e i mozziconi di sigaretta dei Babbani e non si volta più a vedere la forma sempre meno distinta via via che la neve ne smussa i contorni, ricoprendola. 
Forse la primavera farà emergere tutte le buone intenzioni che racchiudeva; forse, una volta che la neve si sarà sciolta e il freddo dissipato, Regulus potrà trovare il coraggio di tornare davanti a quella porta e affrontare suo fratello.
È con una speranza nel cuore e la determinazione nelle membra che Regulus varca per l’ultima volta la soglia di casa sua. 
È la sera di Natale del 1979. Fra poche ore, Regulus s’immergerà negli abissi di una grotta senza nome, per non riemergerne mai più. 
  
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