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Autore: Writer96    13/03/2012    4 recensioni
La neve, a Berlino, è sempre stata una cosa bella.
Vorresti alzarti e guardare fuori, cercando le avvisaglie di un primo, timido inverno, indicando a Jona tutti quei piccoli segnali che sai trovare tanto bene.
Vorresti della neve per creare a tuo figlio un pupazzo di neve e un caminetto per riscaldarlo, ma l’unica cosa che c’è in questa stanza grigia è lo squallido divano a fiori rossi, sovrastato dalla finestra carceriera che Lilly tanto ama e tanto odia.

Versione "spotterizzata" di un'altra mia storia, "Dieci Minuti".
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Hai dieci minuti.
I tuoi ultimi dieci minuti, ma non lo sai ancora.


Halloween là fuori sembra solo uno spettro di carta delle tue paure.
Guardi Jona che sorride in direzione della mamma, con la sua boccuccia sdentata mentre batte le manine ad ogni tuo anello di fumo che si alza in aria e poi scompare.
Vorresti che anche il tuo dolore fosse così. Breve, fugace e destinato a sparire.
Ma anche se tu non l’hai mai detto a Lilly, sai che non finirà presto. Forse non finirà mai.
Sarete stati solo due insulse pedine in un gioco più grande di voi, un gioco del quale conoscete a malapena le regole.

Hai nove minuti.
I tuoi ultimi nove minuti, ma non lo sai ancora.


C’è Lilly che è rilassata, ora sembra di nuovo la tua Lilly, quella che correva inseguendoti e che ti guardava male quando schiamazzavi in mezzo alla strada insieme ai tuoi amici.
Tu dici di essere un animale in gabbia, ma è lei quella che soffre di più. Come un uccellino al quale hanno tolto le ali, che continua a vivere, ma non può farlo come vorrebbe.
Lilly ama vivere. Lo vedi nei suoi occhi ogni volta che scosta la tendina senza farsi vedere e guarda il mondo fuori. Vedi le sue mani che vorrebbero aprire la finestrella, che tremano nel tentativo di fermarsi.
Non può più volare, la tua Lilly.
 

Hai otto minuti.
I tuoi ultimi otto minuti, ma non lo sai ancora.

 
Jona si arrampica su per la tua gamba e si accaparra il posto che contende sempre a Lily, quello sulle tue ginocchia con la testa appoggiata sul tuo collo.
È così piccolo. O forse no. Lui non sarà mai piccolo. Sarà sempre più adulto e maturo di te.
Indipendentemente dal fatto che ha solo un anno e due mesi, riesce ancora a sorridere alla vita.
Lo guardi e sorridi, perché è tuo figlio e tu sei fiero, fiero, di lui. Ti chiedi come sarà il suo futuro, cosa gli porterà e ti immagini lì a sorridere insieme a lui, a osservarlo mentre cresce, a litigarci e poi a farci pace.
Lo guardi ed hai la sensazione che la fine di questa maledetta guerra non sia troppo lontana.

Hai sette minuti.
I tuoi ultimi sette minuti, ma non lo sai ancora.


Vorresti avere un caminetto, come quella che avevi a casa tua quando avevi dieci anni. Ti mettevi seduto lì vicino, attento a non scottarti e guardavi fuori la neve che cadeva lenta.
La neve, a Berlino, è sempre stata una cosa bella.
Vorresti alzarti e guardare fuori, cercando le avvisaglie di un primo, timido inverno, indicando a Jona tutti quei piccoli segnali che sai trovare tanto bene.
Vorresti della neve per creare a tuo figlio un pupazzo di neve e un caminetto per riscaldarlo, ma l’unica cosa che c’è in questa stanza grigia è lo squallido divano a fiori rossi, sovrastato dalla finestra carceriera che Lilly tanto ama e tanto odia.

Hai sei minuti.
I tuoi ultimi sei minuti, ma non lo sai ancora.


Chiudi gli occhi, mentre anche Lilly si stende accanto a te e a Jona.
Ricordi ancora la prima volta in cui lei ti parlò senza urlarti contro, senza freni, senza dolore o paura.
“Abbiamo un problema”
“Chi ha un problema?”
“Noi. Io e te, tu ed io. Chi, sennò?”
“ E quale sarebbe questo problema?”
“Mi sono innamorata di te, diamine!”

Ti ricordi il brivido che provasti mentre lei pronunciava queste parole.
Ti ricordi la gola secca e il bisogno di aria e poi il bisogno di Lilly, senza un ordine preciso.
Ti ricordi il modo in cui assaporavi piano la parola noi, per paura di rovinarla.
Quel noi  che è ciò che ancora ti permette di non mollare, di non lasciarti morire di fame come gli animali dello zoo.

Hai cinque minuti.
I tuoi ultimi cinque minuti, ma non lo sai ancora.


Lilly si gira, ti guarda interrogativa. Sai che scriverà una lettera tra poco.
Ha quella che tu chiami faccia da lettera, con le sopracciglia sollevate e le labbra leggermente dischiuse.
Non le manda mai a nessuno, le sue lettere. Come potrebbe, del resto?
Ne scrive tante, però. Ne scrive ovunque, sui pezzetti di tovaglioli e sui fazzolettini da naso.
Ogni tanto ne legge qualcuna a Jona e lo fa divertire, cambiando tono o facendo facce buffe a seconda delle sue frasi.
Quando le sorridi, lei è già in un altro mondo, il suo mondo fatto di parole ed inchiostro.
L’unico mondo che ancora la fa sorridere e sognare così.

Hai quattro minuti.
I tuoi ultimi quattro minuti, ma non lo sai ancora.


Jona continua a ridere ma più piano, mentre fai gli ultimi anelli di fumo con la bocca.
Si addormenterà tra poco, ormai non riesce nemmeno a tenere gli occhi aperti più di cinque secondi.
Lo abbracci piano, anche Lilly vi abbraccia e per una volta sembrate una normale famigliola tedesca che se ne sta a casa per una semplice serata.
Tua moglie borbotta  qualcosa riguardo al dover andare tutti a dormire, ma la stringi più forte per farla tacere.
Non vuoi che se ne vada, non vuoi che ti lasci qui a pensare che di normale non c’è niente, che siete solo degli ebrei che si devono nascondere da quelli che un tempo chiamavano amici, colleghi, datori di lavoro.
Vuoi semplicemente che in tutto questo pazzo mondo, lei resti lì, come uno scoglio nel bel mezzo del mare.

Hai tre minuti.
I tuoi ultimi tre, ma non lo sai ancora.


Lilly poggia la testa su quella di Jona, che oramai dorme, la testa sul tuo collo e un pugnetto abbandonato vicino alla boccuccia spalancata.
Lei si alza e prende Jona, baciandoti sul capo per darti la buonanotte.
Ha i capelli spettinati e le occhiaie, ma stringe vostro figlio, mugolando una ninnananna e ballando sul posto.
La vedi sforzarsi di sorridere, mentre dondola avanti e indietro con Jona tra le braccia e ci provi pure tu, ma sei stanco e la tua bocca è stata piegata per troppo tempo in una smorfia di dolore.

Hai due minuti.
I tuoi ultimi due minuti, ma non lo sai ancora.


Si sentono dei passi e l’urlo della signora Hartz precede di poco il tonfo della porta che si spalanca.
Lilly spalanca gli occhi e tu la spingi dietro di te, mentre senti Jona cominciare a piangere per tutta la confusione.
Gli occhi dei due nazisti davanti a te sono vuoti, troppo pieni di follia per lasciare spazio alla vita.
-Non fatele del male!- urli, mentre a braccia aperte le stai davanti e tenti di proteggerla.
-Prendete solo me!- continui, ma loro hanno delle pistole in mano e il tuo terrore è troppo.
La finestrella si spalanca di botto, spinta da un colpo di vento più forte degli altri e tu ti giri, stupidamente.
A loro non serve altro.
La pallottola è precisa, dopotutto è il loro mestiere.
Cadi e non c’è tempo per un ultimo pensiero, non c’è tempo per niente.
La stoffa del divano è vicina e per la prima volta non ti sembra neanche così orribile.
 

Hai un minuto.
Il tuo ultimo minuto, ma ancora non lo sai.


Lilly urla, corre verso di te e loro ridono.
Ridono e la insultano, puntandole addosso una pistola.
Lei continua a piangere, ignorando le minacce.
Silenzio, e poi uno sparo.
La pallottola vola e Lilly cade addosso a te.
Ecco. Ora, Otto, sei morto anche tu.
 
 



Versione Rivisitata di un'altra mia storia, "Dieci Minuti", che era a tema Potteriano.
La storia si ambienta nel 1944, più o meno, a Berlino.
Storia triste e nota.
Solo questo.
Che strano modo per augurarmi buon compleanno.

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