Musica scelta: Audiomachine -Legends of Victory (vi consiglio di ascoltarla)
Parola scelta: Solo (nel senso di rimanere solo)
Eran centocinquanta i suoi compagni
Che uno dopo l’altro egli predette.
Sebbene fossero forti e animi magni,
Tutti infine caddero e egli stette
A tener solo le alte mura d’Agni.
Uno ad uno li vide egli perire
Ultimo a cadere, ultimo a morire.
(Dal poema “Il Baluardo
dell’Ovest”)
Erano
morti
Earos e Taiver, Lyves e Cleigil, Rivue e Deniris, Turan
e i suoi dodici fratelli, uno
dopo l’altro erano caduti tutti; le loro dita avevano
allentato la
presa
intorno alla spada, le gambe non li avevano sorretti e
i
loro corpi erano caraccollati a terra, le
loro armature avevano impattato fragorosamente contro il suolo, il loro
sangue
aveva tinto la roccia dell’Agni e la fortezza aveva tremato,
reclamandoli,
mentre la vita li lasciava.
Un
giorno dopo
l’altro Eliad aveva inciso i loro nomi sulla grande lastra di
pietra
grigia al
centro del maschio, accanto a quello di tutti i guerrieri che erano
periti per
difendere l’Agni e il passo delle sorgenti
dell’Aedeison, finchè, il
centocinquantunesimo giorno, non era rimasto che lo spazio per il suo.
Si
affacciò
alla finestra e contemplò l’infinita schiera di
mostri che si ammassava
crescendo come un’onda scura per abbattersi sulla rocca e
infrangersi
con forza
contro il portone.
La
luce della
sua ultima alba gli ferì gli occhi ed il principe
chinò il capo per
sussurrare
all’orecchio dell’ultimo falco richiamato dal cielo
poche, stanche
parole: «Resto
io solo a difendere tutte le terre occidentali. La mia vita
tramonterà
prima
del sole e i servi del Primogenito dilagheranno.»
Gli
carezzò la nuca lentamente, prima che spiccasse il volo, e
lo osservò seguire le correnti ascensionali fino a
scomparire alla
vista,
diretto a Sud, verso l’esercito di suo padre e i rinforzi nei
quali
disperava
da mesi.
Non
vestì la sua
armatura, perché non era rimasto nessuno che potesse
aiutarlo a
stringerne i
lacci: aveva perso l’ultimo dei suoi compagni al crepuscolo
del giorno
precedente, quando Risbel si era accasciato contro il
muro,
trafitto da
un nugolo di frecce nere. Il suo scudiero, invece, era morto
già il
novantesimo giorno, senza
che lui potesse fare nulla per evitargli una simile sorte. Aveva
tentato molte volte
di convincerlo a
uscire dal
portone occidentale con il favore delle tenebre e incamminarsi lungo le
tortuose vie montane fino alle vaste piane del regno, per accertarsi
che i
falchi messaggeri fossero giunti a destinazione, per andare a chiamare
a
raccolta i rinforzi che li avrebbero salvati, ma il giovane Ildem non
si era
lasciato ingannare; si era rifiutato di lasciare il proprio posto,
sapendo che
nessun esercito che non fosse già stato in marcia sarebbe
mai arrivato
in
tempo. “Torna
a casa” Eliad gli aveva
detto “bacia via le lacrime dalle guance di mia moglie al
posto mio;
dille che
l’ho amata più del cielo, più del
dovere e più della vittoria; chiedile
di
perdonarmi per non essere tornato da lei come avevo
promesso”, ma Ildem
era rimasto, perché aveva appena due
decadi e amava l’onore più della madre e delle
sorelle che non avrebbe
più
rivisto.
Eliad
impugnò la
propria spada e affrontò deciso il sorgere
abbacinante del sole, i riflessi rossastri della prima luce del mattino
sulle
montagne, il volto doloroso della bellezza che si mostra soltanto a chi
vada
incontro alla morte.
Il
boato del
primo colpo di tamburo rimbombò per la stretta vallata,
andando a confondersi con quelli che lo seguirono. Il suonò
montò,
marea nera
e inarrestabile, fino alle alte torri dell’Agni, senza che il
vento
sferzante
riuscisse a disperderlo. L’esercito
di
mostri deformi, fila disordinate come flutti incalzati dalla tempesta,
si
abbatté contro le mura;
centinaia di
piccole e gradi scale vennero poggiate contro la roccia, ondate che
arrivavano
sempre più in alto prima che il tremore delle fondamenta
dell’Agni le
facesse
precipitare verso l’ampio mare sottostante: un oceano
roboante e
oscuro, sempre
pronto sputare nuovi abomini per sostituire quelli caduti, del quale
Eliad
non riusciva a scorgere la fine.
Rimase
immobile
per un istante, sopraffatto dal compito di proteggere,
solo, l’intera civiltà occidentale; Earos gli
aveva pronosticato, con
parole
dall’odore ferroso del sangue che gli bagnava le labbra, che
il loro
sacrificio
non sarebbe mai stato dimenticato, che i bardi avrebbero cantato per
tutte le
epoche a venire dell’ultima battaglia di Eliad e dei suoi
centocinquanta
compagni, che sarebbe stato chiamato “il Baluardo
dell’Ovest” e avrebbe
vissuto
in eterno nelle leggende: per sempre giovane, eroico e forte.
Quando
la prima
freccia lo colpì alla spalla, Eliad pensò che non
vi
sarebbe stata nessuna canzone, perché lui non sarebbe mai
stato capace
di
tenere l’Agni da solo fronteggiando un intero esercito; era
il compito
di un
grande eroe, ma Lomaril la Spada Ardente era caduto, straziato dai
colpi del
generale degli Arnoch, e persino Fendail, il Grande Sire, era morto
senza
lasciare un’altra fiaccola a brillare nella cupa notte dei
popoli
liberi.
Si
mosse
ugualmente, rapido
e
deciso, percorrendo
il camminamento e le
alte scale verso la piazza d’armi, la sua marcia solenne
scandita dai
tonfi
dell’ariete nemico sull’ampio portone orientale.
Eoras aveva torto: lui
sarebbe
morto entro sera e nessuno avrebbe ricordato la loro battaglia. Se
anche quello
che stava per fare avesse avuto un senso, nessuno avrebbe saputo come
lo scudo
di Inad fosse stato divelto dai colpi mentre proteggeva la ritirata di
suo
fratello, nessuno avrebbe cantato di come Lorar si fosse dissanguato
combattendo sul bastione meridionale, nessuna rima sarebbe stata
composta su
Ardelen e i trecento che aveva abbattuto prima di cadere a propria
volta.
Se
anche
l’Occidente fosse sopravvissuto a quel giorno, non ci sarebbe
stato nessuno a raccontare le loro gesta, ma non aveva importanza,
perché,
anche se avessero ricordato il loro valore, avrebbero dimenticato i
loro nomi; il
Baluardo dell’Ovest e i suoi
centocinquanta compagni sarebbero entrati nella leggenda, ma le persone
che
erano stati sarebbero state dimenticate.
L’Agni
sussultò
con maggior potenza, forte della determinazione di
tutti coloro che erano morti per difenderlo, e i merli delle mura
precipitarono
all’esterno contro gli assalitori che tentavano di scalarle,
coprendo
con il
frastuono del proprio schiantarsi al suolo il rombo dei tamburi e i
colpi
dell’ariete.
L’enorme
portone
di quercia eretto dagli Alerean nella giovinezza del
mondo vacillava sotto l’immensa forza degli schiavi del
Primogenito e
Eliad gli
andò incontro con decisione, ordinandogli di spalancarsi. I
battenti
cedettero
improvvisamente, lasciandosi oltrepassare dalla massa di abomini, e
l’Agni
vibrò con tanta forza che parve la terra volesse
inghiottirlo; Eliad
pregò che
lo facesse.
Si
scaglio contrò l’esercito
avversario e la sua spada brillò per un attimo del riflesso
della luce
del
mattino, prima di lordarsi del sangue nero e denso del primo dei suoi
assalitori. Gridò il nome di uno dei suoi compagni ad ogni
affondo, ad
ogni
fendente, ad ogni colpo di pomo; quando la prima lama ricurva gli
penetrò fra
le costole, Eliad trasalì e l’Agni
iniziò a crollare.
Lo trafissero alla spalla mentre il torrione orientale caracollava su sé stesso, travolgendo gran parte di quelli che si erano già riversati all’interno della fortezza, qualcuno lo colpì alla schiena ed Eliad cadde bocconi fra i cadaveri di quelli che aveva ucciso, il suo lamento coperto dal boato del crollo del maschio. Sentì il sapore di sangue in bocca, la vista gli si appannò sempre di più e, mentre chiudeva gli occhi, andando verso l’eternità e verso la morte, verso la leggenda e verso l’oblio, gli parve di udire il suono del corno della casa di suo padre sovrastare il rombo dei tamburi nemici.
Note dell'autrice: Ho molte cose da dire circa questa storia. La prima è che, personalmente, non ne sono soddisfatta: l'ho scritta in fretta, ho tagliato una cosa che volevo insierire perchè avrebbe portato via troppo tempo scriverla e, ora, senza mi sembra vuota ma l'ho impostata in un modo tale da non riuscire ad inserirla a posteriori. Mi riservo di scriverne da capo una seconda versione.
Volevo riuscire a parlare della differenza fra la persona e la leggenda, ma temo di avervi solo accennato: il Baluardo dell'Ovest è infatti una leggenda del mio mondo e senza saperlo la storia perde un poco del suo senso intrinseco che ho cercato di recuperare con l'ottava inziale tratta dal poema che narra la sua ultima battaglia.
Per chi avesse letto le mie altre storie fantasy: questo è lo stesso mondo ma in un tempo talmente più antico che di questi eventi si è conservata solo la leggenda, carica di elementi mitici che nessuno ricorda essere vera. Molte cose sono un poco ermetiche, d'altro canto Eliad non può spiegarsi da solo cose che sa già.
Oltretutto il mio ragazzo-beta sta traslocando e quindi non ha avuto tempo di aiutarmi con le virgoline, il che è male. Altra cosa: di solito sono contraria ai titoli in inglese, ma dato che quello della canzone era calzante ho fatto un'eccezione, in fondo si tratta di una citazione e non di servilismo linguistico.
Questa, inoltre, è la valutazione che ha ottenuto la storia nel concorso dove si è classificata seconda. ( Il Banner l'ho fatto io, anche se, nel caso ricevessi quello che mi è stato promesso, lo cambierò).
63.5/65 SECONDA CLASSIFICATA
Correttezza Grammaticale1, sintattica2 ed ortografica3 (13.5/15)*
Non ho riscontrato errori di grammatica pertanto, sotto quell’aspetto, non ho nulla da dire. In alcuni punti ho trovato di difficile comprensione la sintassi della frase. Ciò che mi ha lasciato più perplessa, però, è stata l’ortografia: in alcuni passaggi, la punteggiatura è usata in modo improprio, rendendo la lettura difficile e lenta.
Sviluppo della trama (10/10)
La trama non è complessa o articolata. Ciò che mi ha coinvolto maggiormente è stato l’aspetto descrittivo dei vari ricordi, che Eliad ripercorre prima di vedere la sua “ultima alba”. Quindi, benché in alcuni tratti sia ermetica (appunto perché si riferisce ad un poema non ancora concluso), è una one shot molto intrigante.
Caratterizzazione dei personaggi (15/15):
Eliad è ben descritto. In sé racchiude un mondo particolare ed antico, fiero e gentile, quasi dai tratti classici dell’eroe greco. Ovviamente questa è una mia interpretazione.
Originalità (15/15)
Ho preso in esame il fatto che, essendo tratto da un tuo poema, il tratto dell’originalità è molto evidente. Tralasciando questo aspetto, l’ambientazione epica e mitica riflette bene la canzone che hai scelto.
Attinenza al tema e ai parametri posti (10/10)
Ottima attinenza al tema ed ai parametri posti.
Altri "riconoscimenti"
La storia ha ottenuto inoltre una menzione speciale nel concorso (senza classifica) Edite fantastiche indetto da fravgolina