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Autore: Acquiesce    19/03/2012    2 recensioni
Carpe Diem, "cogli l'attimo". Questa è la storia di un incontro tra due persone diverse ma che trovano qualcosa l'uno nell'altra capace di unirli, anche se per breve tempo. Due persone che colgono l'attimo, lasciandosi alle spalle le loro consuetudini per un po' e che si abbandonano a quell'attimo fuggente e irripetibile.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Carpe diem. Fin da piccola mi hanno insegnato l’importanza di “cogliere l’attimo”, di sfruttare le occasioni. Crescendo mi appassionai alla fotografia, all’arte di immortalare un momento, renderlo eterno, cogliere l’attimo, appunto. La fotografia era diventata il mio lavoro e la mia vita. Ogni giorno uscivo con la mia reflex in cerca di qualcosa che catturasse la mia attenzione, che mi incuriosisse. Talvolta venivo catturata da semplici gesti di persone normalissime nell’intento di operare con il loro lavoro; da una carezza di un genitore al proprio bimbo, o di un uomo alla propria donna. Amavo fotografare le persone e rendere immortali quei piccoli gesti così speciali.
Un giorno mentre mi trovavo al parco a trovare qualcosa che catturasse la mia attenzione feci un incontro speciale: incontrai una persona che mi catturò, proprio come le foto che scattavo, come le scene e le emozioni che imprimevo sulla pellicola.
Stavo scattando foto lì in giro a qualunque cosa trovassi lontanamente interessante: ero concentrata su un bambino che stava giocando con il suo grosso cane, sotto gli occhi vigili e ridenti della madre che li sorvegliava poco lontano. Aspettavo il momento adatto per fare il mio scatto, attendevo quella scintilla che mi avrebbe fatto capire che quello era l’attimo giusto da rendere eterno. Ma poi improvvisamente mi accorsi di una melodia in lontananza. Non sapevo bene cosa fosse, so solo che attirò la mia attenzione al punto di interrompere la ricerca di quell’attimo da catturare per seguire quella musica vagamente malinconica.
Più mi avvicinavo, più la melodia si faceva chiara e triste. Due accordi di chitarra ripetuti all’infinito. Nonostante fosse stata una calda giornata primaverile, avevo la sensazione che in quell’angolino di parco da cui partiva la sinfonia fosse arrivato l’autunno, senza colori, solo il freddo e la malinconia per una calda estate già passata.
Quando fui abbastanza vicina potei vedere un uomo seduto su una panchina davanti al lago intento a strimpellare con una chitarra, lo sguardo fisso verso l’acqua. Indossava un maglioncino scuro con le maniche arrotolate; potevo vedere le braccia sottili percorse da grosse vene che si infittivano sulle mani, lunghe, con le dita affusolate. –Tipiche mani da musicista.- pensai. Non si era ancora accorto di me, mentre io ero già stata conquistata da quella scena: mi chinai e imbracciai la mia reflex: inquadrai quell’uomo misterioso che mi aveva attirato fin lì con le sue note, lui, solo, in mezzo a quel ridente paesaggio; gli alberi intorno, gli uccelli che cinguettavano e che saltellavano da un ramo all’altro o beccavano sul sentiero di ghiaia alle sue spalle. Alcune anatre nuotavano nel lago sotto lo sguardo vacuo del musicista. La vita insomma, e lui praticamente immobile lì in mezzo, anche se stava suonando; aveva qualcosa di triste, che stonava enormemente con quel paesaggio radioso e dinamico.
 Catturai quell’attimo così unico e contraddittorio e rimasi per qualche secondo chinata ad osservare il mio scatto dal display della reflex. La melodia si interruppe. Solo quando alzai lo sguardo mi accorsi che quell’uomo si era accorto di me. Mi guardava incuriosito, come se avessi invaso il suo territorio, come se fossi entrata nella sua bolla di solitudine. Mi misi in piedi e decisi di avvicinarmi. Era un po’ più grande di me, avrà avuto non più di 40 anni, era biondo; alcuni capelli bianchi sulle tempie avrebbero suggerito un’età diversa. Aveva il volto stanco, sciupato, una sottile barba bionda che tendeva al bianco verso il mento. Gli occhi grigi, chiari come un cielo nuvoloso. Non solo le note, ma anche il suo sguardo suggeriva una leggera malinconia.
Anche lui mi scrutava allo stesso modo, vide in me una donna poco più giovane di lui, lunghi capelli corvini e mossi, occhi verdi. Uno sguardo curioso e furbo.
Quando gli fui vicina mi fece cenno di sedermi. –Perché stavi suonando quella melodia così triste?- gli chiesi, o meglio, quelle parole mi uscirono di bocca senza che potessi controllarle, tanta era la mia curiosità; lui continuava a fissarmi, poi rispose:-Tu perché spii le persone cercando di immortalare le loro emozioni?-. rimasi spiazzata, senza parole, finché aggiunse:-Sono un musicista: creare delle melodie è il mio lavoro. Lo faccio per guadagnarmi da vivere, tutto qui.- concluse tornando a fissare il lago con ancora la chitarra in braccio. Sapevo che mentiva,  che non era tutta la verità. Lui era come me: io non scattavo foto solo per sbarcare il lunario, lo facevo per passione. Anche lui non suonava  solo per arrivare a fine mese, lo faceva perché amava la musica. Se vuoi uno stipendio fisso e sicuro non ti metti a fare il musicista di strada o il fotografo free-lance.
Gli chiesi se potessi scattargli delle foto, almeno per rompere quel silenzio imbarazzante che si era creato intorno a noi, e lui mi lasciò fare. Fui attratta dalle sue mani: se ne stava appoggiato con le braccia sulla cassa della chitarra e teneva le mani a penzoloni, o meglio, reggeva la sinistra con l’altra mano. Cercai l’angolazione migliore e scattai. Dopo un paio di foto imbracciò la chitarra e riprese a suonare, ma non intonò più quei tristi accordi, bensì una melodia ben più allegra. Lui suonava e io scattavo foto. Quella fredda atmosfera malinconica e quasi autunnale ben presto sparì lasciando spazio a qualche timido sorriso divertito di lui che si trasformava in risata quando tentavo di cantare sulle note di qualche canzone famosa che stava suonando. Nonostante fosse più allegro di quando lo vidi, quel velo di malinconia non lasciava il suo volto.
  
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