Recensioni di RuboLaVitaDentroDiMe

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Recensione alla storia Produzione di allucinogeni Esther Duncan: Three Hundred Thousand. - 12/08/14, ore 02:14
Capitolo 14: Then the night fell on us.
Oh.
Oh, no, accidenti. No. No. No. No.
Questo non lo dovevo fare, cazzo. Non dovevo leggere tutto questo.
Non ci sono riuscita, a fermarmi, ci ho provato e ho fallito di nuovo. Ho finito la storia e ho detto ora basta, adesso non ci pensi più, non ci pensare, non pensare a... a Déterre, che è egocentrico (Dio, ne abbiamo parlato anche troppo), ma non ce la faccio. Non ce la faccio a sapere che io dissottero mentre tu... tu innalzi gli olimpi.
Déterre e Then the night fell on us sono come uno dei miei disegni di prima media e un Monet, hai presente? Non puoi paragonarli, Gatto, e per quanto tu possa mentire a te stessa non c'è storia.
Non hai mai la sensazione che le parole ti scappino, Gatto? Secondo me lo fanno davvero, ti scappano. Voglio credere che lo facciano, perché altrimenti ne morirei. Voglio credere che tu scriva con un'intenzione e che siano loro, a esplodere ed espandersi in milioni di significati, perché se fosse colpa tua, se fossi tu ad intenderli uno ad uno, Dio... non ci sarebbe proprio più speranza per nessuno.
Sono molto melodrammatica, questa sera, non trovi?
Ho le labbra rotte. Voglio dirtelo perché sì. Sono crepate proprio in mezzo e più le lecco più si rompono e sanguinano.
Forse c'è un qualche collegamento, qualche metafora, qualcosa... ma non saprei, probabilmente no. Prendi le mie labbra che piangono e fanne quello che vuoi, io mi arrendo, per stanotte.
Basta. Mi butto sul letto, guardo il soffito, calcio le lenzuola sfatte e provo a ricordarmi di respirare, ma non posso promettere niente.
Buonanotte, Gatto, augurami una veglia insonne, voglio tenere in grembo i sogni di lana cotta che si avvicinano timidamente e, per una volta, una sola, chiedolo solo questo, riuscire a non ingoiarli.
Io di nuovo (ma non ne sono ancora tanto sicura)
Recensione alla storia Produzione di allucinogeni Esther Duncan: Three Hundred Thousand. - 12/08/14, ore 01:56
Capitolo 13: Prima che fossimo come le patatine fritte: insanguinati sul pavimento. (A raccontarci bugie.)
Questo capitolo sta bene dove sta, Gatto. Ci si è acciambellato e non credo proprio che si staccherà da lì. Questo è il suo posto, e se me lo concedi, io continuo a pensare che sia anche il tuo.
Dio... non so che dire nemmeno questa volta. E' che si è fuso tutto quanto... tutto assieme, tutto d'un tratto e tutto di filato.
Le luci di Los Angeles, folli e schizofreniche, le luci del mio lampione sotto casa, quello sotto cui mi fermo, quello da cui mi precipitano falene bruciate nei capelli... l'odore delle Camel, la bocca piena di sangue, l'odore dell'ultima sigaretta, e di quella dopo l'ultima, perhcé boh, perché sì, mi andava, e adesso che non posso mastico le guance e ahi... come sono adesso? Che ne sono, sei uno scatolone, la voglia bruciante di distruggerli uno a uno, quello con la scritta "fragile" per primi, solo per sentire la tua vita che si accartoccia con loro...
Tutto si fonde e scorre lontano, sotto il cielo macchiato dei fuochi d'artificio che sei riuscita a far esplodere anche questa volta.
La mia è una scrittura pulita, Gatto? Pulita? Perfetto. Va bene.
La tua è sporca, allora. Sporca da far male, riesco a vedere le frasi imbrattate, luride, di quello sporco nel quale ti getteresti subito, se potessi, se solo avessi la certezza che servirebbe a qualcosa.
Facciamo che adesso però mi zittisco, chudo gli occhi e aspetto che i tre botti finali non arrivino mai, per favore. Solo ancora un po'...
I miei fantasmi ti fanno ciao, Gatto.
Ciao, ciao, ciao
Io, credo
Recensione alla storia Produzione di allucinogeni Esther Duncan: Three Hundred Thousand. - 12/08/14, ore 01:40
Capitolo 12: Come le patatine fritte (è sempre un buon momento per una torta al cioccolato.)
Ecco. Sono arrivata anche io, piano piano e lemme lemme.
Ho paura di parlare, però, ho paura di infrangere la bolla di silenzio che apparteneva solo a Brian e Matt, ho paura di giocare il ruolo di quelle auto che suonano il clacson alle tre di notte, dei fanali che attraversano le tende e le finestre dimenticate aperte. Ho paura di spezzare la magia sotto la punta delle scarpe.
Ha un senso strano, mi sono detta, appena ho finito di leggere. Non appartiene a vista, gusto, o che altro... non è nemmeno sesto senso, in realtà, però lo sento che volteggia attorno alla mia testa e mi anestetizza le gengive, con una sorta di sapore dolciastro in fondo alla gola.
Adoro questo capitolo, non posso farne a meno, non che io abbia poi molta scelta, quando ci siete di mezzo tu e le tue mazzate d'inchiostro.
Brian è lo stesso di Stato di Grazia? Oppure è solo che i Brian hanno un posto speciale nel tuo cuore?
Sai, credo di essermi affezionata al Brian di Stato di Grazia senza nemmeno accorgermene e anche se questo non era lui, appena il suo nome è scoppiato nell'aria non sono riuscita a fermarmi. La sua sagoma in penombra si è avvolta subito di mostri, di fantasmi, di demoni attorcigliati alle sue ciglia di buio. La luce mi ha fatta serrare gli occhi, mentre sentivo quelle presenze (come se fossero appendici di lui, di me) contorcersi, agonizzati, contro il suo viso massacrato, e non sono riuscita a fare a meno di voler azzannare Matt alla gola, per digli "spegni! spegni! non senti? non lo sopporto!".
Brian (questo e quello) mi spaventa, ma forse lo puoi sapere anche tu. Brian mi piace.
Davvero non riesci a capire cosa ci trovo, Gatto? Allora siediti qui con me, che provo a spiegartelo. Prendi in mano i tuoi pastelli, ok?, tutti quanti, dal rosa-il-mondo-non-può-essere-davvero-così-bello al nero-guarda-che-quando-è-fatto-è-fatto-non-si-cancella-più. Voglio che te li pianti nella pancia tutti quanti, uno ad uno, assieme a me, tutti tranne il blu pesante. Voglio che tu ascolti bene i ricordi che le mine colorate hanno risucchiato mentre vomitano nel tuo stomaco. E poi guarda come il blu pesante galleggia nel grigioblu. Voglio che tu capisca quanto hai condensato in due righe, come se fosse qualcosa di semplice da dire, ma no, non lo è, Gatto. Non lo è. Quanti pensi che riescano a vedere l'acqua salmastra che ondeggia nel mondo, quanti pensi che riescano a raccontarlo?
"Dimmi che capisci, perché altrimenti è tutto inutile."
Provavo a riguardare la mia storia su Menta, prima di arrendermi e ricordarmi che mi dovevo qualche momento di tempo-speso-bene, quella che a ora è interrotta bruscamente ad un punto morto.
Sai che dice?
"Insomma, riesci a capire? Dimmi di sì, ti prego, altrimenti è tutto inutile."
Io e te dobbiamo avere qualche problema a riguardo, qualche complesso irrisolto di tipo freudiano, perché ho la sensazione che tutto ci risulti incomprensibile, a volte, come se l'umanità parlasse una sola lingua che a noi sembra fatta solo di grugniti e lamenti. La cosa ha un che di nebulosamente ironico, vista un po' di lato.
I noccioli interiori e i caffé mi sono familiari, quanto e forse più del volto di mio fratello, e non so che aggiungere se non che ci sarebbe qualcosa da dire su ogni parola, ma preferisco farne a meno, tenere qualche parola per me, le mie, sdentate, assieme alle tue, che ho rubato da qui, come sempre.
Sorrisi di piombo, Gatto. Tanti, tanti, sorrisi di piombo.
LadraDiVita
Recensione alla storia Produzione di allucinogeni Esther Duncan: Three Hundred Thousand. - 09/12/13, ore 18:23
Capitolo 11: We go where we know.
Dopo aver concluso il mio tardo pomeriggio con i guanti da pinguino, la bicicletta cigolante, una sigaretta che dovevo fumare e invece sono rimasta a guardare fumarsi da sola (ed è una cosa stupenda, davvero), qualche chiacchierata e una frittella calda... beh, ora mi sono rintanata in un ufficio pubblico e cerco di scriverti una recensione, senza perderci il cuore.
Perché ci ho messo così tanto? Perché dovevo rielaborare. Ora come ora posso dirti che questo deve essere uno dei miei capitoli preferiti. Mi è rimasto stampato sulle vene, e ogni tanto mi alzo la manica del maglione per ammirare quelle parole sul reticolo dei polsi.
Però non so veramente cosa dire.
Posso cominciare col dirti che un po' ti invidio, ma non è quella gelosia malevola, no... è quella malinconia che ti prende quando guardi le cose belle e non puoi averle (credo di avertelo già detto da qualche parte, ma lo ripeto) e sai che non le avrai mai. Penso che sarei fiera di me, se queste parole uscissero dalle mie, di dita.
E magari scommetto che tu hai storto il naso, invece, prima di pubblicarla. Di solito va sempre a finire così.
Voglio sentire la voce di Prologo che legge quelle parole fino alla fine dei tempi: "una e trina noi la adoriamo", "i primi quattro colori che vi sono venuti in mente", "Somewhere", "Ottobre"... "barattoli di lucciole sotto il letto".
Sai che non mi piace farlo, ma... il mio naso gocciola (e non credo che sia per il raffreddore, perché mi pizzicano anche gli occhi).
Forse sto cominciando a conoscerti, un po'. Forse è presunzione, probabile, anzi. Ma ho riconosciuto California, Madonna Pioggia Acida, persino Ottobre aveva qualcosa di tuo.
Il male di vivere, poi, mi ha strappato un sorriso lamentoso.
voglio conoscere Ottobre, voglio che qualcuno tiri fuori per me qualcuno come lui. Voglio conoscere Ottobre e Gennaio, e Novembre, e pure Agosto (solo per sputargli in faccia), Marzo... tutti. Ma Ottobre... lui sì, più di tutti.
Ho la sensazione che potrebbe portare a nuova vita anche me, così come faceva tornare magnifica Anna Crystal-blue e farei smorfie buffe, cercherei di cadere apposta, gli manderei una foto dei miei guanti a pinguino, solo per sentirlo ridere. Un po'.
"Per sbaglio."
Per sbaglio.
Per sbaglio.
Accidenti, per sbaglio. Per sbaglio i miei polmoni si sono rivoltati uno sopra l'altro, l'intestino crasso si è annodato, il fegato e scoppiato...
Non lo so, davvero.
Non so che dire, se non che rileggerei questo capitolo cento volte, trovandoci dentro qualcosa in più ogni volta, senza mai trovare le parole giuste per dirlo.
E basta, tutto qui.
Sono morta anche, io, un po', quando il capitolo è finito. Spero che tu scriva una bella epigrafe, per quel pezzittino della mia anima che è rimasto aggrappato a questa storia.
Grazie, Gatto.
Bim bum bam. Venti volte.
Ragnatela
Recensione alla storia Produzione di allucinogeni Esther Duncan: Three Hundred Thousand. - 26/11/13, ore 22:38
Capitolo 9: "It's like being at Disneyland. On acid."
Ti scrivo questa recensione, con una musica di sottofondo squisitamente drammatica, quasi una colonna sonora, con un sorriso sulle labbra, un vuoto dentro il torace - ché tutto quello che doveva starci dentro è scappato via -, una risposta ad un messaggio su whattsapp che rimane intrappolata tra le impronte digitali e un ricordo di uno dei momento più frizzanti che io abbia avuto da tanto.
Perciò non ti sorprendere se parlerò troppo o se non dirò nulla.
Non posso dire di non essere stata contenta quando ho visto che si trattava dell'aggiornamento di questa storia. Sai che ha un posto speciale dentro di me, accovacciata tra fegato e cistifellea.
Il capitolo Menodizero è stato un'apertura di sipario di quelle che tireresti le rose al palco senza nemmeno aver visto la scena. Potrebbe essere penosa, bellissima. Chissenefregadisicurononio. Menodizero.
Sono un po' in equilibrio su un filo, ora, sai? Sono sorpresa. Questo capitolo ha un filo logico che ho afferrato senza dover saltare troppo in alto. Ti sta contagiando, questo senso così ingombrante che ci abbraccia tutti?
Mi è piaciuta da morire - avrei scritto che mi è piaciuta da vivere, da sciogliermi, da battere i denti... piaciuta da morire è banale, ma era divertente l'ironia, quindi passamela.
Sarà che in questo periodo la morte ha su di me una presa avvinghiante, ma quando si parla di queste cose i miei denti cominciano a battere veramente. Non riesco a capire se sia il "simile si conosce con il simile" di Empedocle o il "simile si conosce con il dissimile" di Anassagora (perdonami, cinque ore di studio di filosfia lasciano cicatrici da filo di sutura veramente notevli). Non riesco proprio a capire se mi fa male pensarci perché sono troppo viva o per chissà che altro. Bah.
Sai, l'altro giorno una mia amica è spuntata fuori con una delle sue scoperte "incredibili": ha tirato fuori la sindrome del morto vivente e del fatto che è tremendo che qualcuno sia vivo e creda di essere morto. Ci ho pensato un sacco. Sono giunta alla conclusione che è molto più triste vedere tutte quelle persone che credono di essere vive e invece sono morte. Sindrome del vivente morto, probabilmente. Dici che si diagnostica?
Quelle epigrafi erano uno spettacolo. Davvero. Stavo per... non lo so cosa stavo per fare. Spero che qualcuno un giorno possa scrivere delle epigrafi così. Sarebbe ok, credo. Magari me la scriverò io, giusto per essere sicura che sia bruttina, ma che non sia tremenda come quelle che vedo sempre in giro. Deprimersi da morti deve essere tremendo. Tu che ci scriveresti sulla tua epigrafe? Non per forza una epigrafe per la tua morte. Esiste una epigrafe per la vita?
Detto questo dico che questo capitolo è... è... E'. E' e non è. E allo stesso tempo non può non essere e non può essere. Toh.
Un prologo. Un prologo. Come andebbe avanti, mi chiedo io. Quante parti di me dovrei perdere per leggere tutto quello che scrivi, visto che te ne lascio una ogni volta? Ho un'anima rattoppata, ormai.
Ah, Duncan S e il suo mondo di fantasmi.
Ho finito le cose da dire che posso dire senza cadere in pezzi. Non è che queste fossero tanto giuste, eh (guarda te se uno si deve mettere a parlare di morte quando vorrebbe solo trovare qualche complimento normale), ma in frigo non mi era rimasto nulla.
Bim-boom-bam.
LadraDiVita