Ciao, prima di accettare “lo scambio a catena” del nostro gruppo ho voluto dare un’occhiata alle tue opere per vedere se quantomeno avevamo fandom o temi in comune. Penso che lo facciano tutti. Nessuno vuol leggere cose che non gli piacciono a naso. La lettura dovrebbe sempre essere un piacere.
Ho trovato questa raccolta e ho iniziato a leggerla ritenendo molto interessante il tema scelto ed esplicato nell’introduzione, poi ho incontrato il costrutto “l’indelebile dedica” e l’ho trovato veramente ben espressa.
Non ti darò pareri sulla metrica o sul conteggio dei versi, poiché non ne ho i mezzi. Da parte mia, posso esprimere solo un’opinione sensibile da un punto di vista totalmente soggettivo e personale. Non ho laure o altri titoli altisonanti, e se ne avessi, non userei quelli per pormi su chissà quale piedistallo.
Credo che la scrittura sia soprattutto cuore, e se arriva al cuore va bene lo stesso, qualsiasi sia la sua forma, a prescindere dalle macchie d’inchiostro che sporcano il bianco del foglio fra una parola carica e l’altra.
I cimiteri, come qui dici, sono davvero freddi.
Questo aggettivo semplice dipinge alla perfezione l’immagine che rendono, a prescindere da quanti fiori si possano disporre nei vasi davanti ai ritratti dei nostri cari. Fiori: fragili creature dai colori vivaci e ridenti ma dalla vita assai breve, come spesso ci viene raccontato in molte opere letterarie.
La bara stantia mi ha evocato l’immagine del legno. Una bara di legno. E il legno stagna. Ristagna. Assorbirà acqua, laggiù, nell’umido dove nessuno potrà raggiungerla. La fossa dove cala lentamente la bara.
Appunto: la bara viene abbandonata al buio del quale tu parli.
Per molti altri non è ancora il momento e piangono.
Le lacrime e le grida ci sono sempre durante i funerali ( le perdite definitive dei cari ) ed esprimono un dolore che ognuno accorda come crede. Il contrasto fra gli aggettivi “sommesso” e “strozzato”, falsi sinonimi, resta intonato alla scena. E’ difficile che qualcuno urli in un cimitero, tutti si cerca di tenere un contegno. La parola “grida” enfatizza il dolore della perdita.
Il cielo grigio, accompagnato dalle “lacrime assurdamente minacciose” mi è piaciuto particolarmente come scenario. Non è il cielo “romantico” che si accompagna alle sensazioni umane per esaltarle, e in qualche modo, cullarle. Affatto. E’ quasi un cielo che contrasta. E’ un cielo cattivo che quasi pare rispecchiare la paura del poi. La perdita è terribile, ma il dopo fa molta più paura del momento in cui stai perdendo. E’ il silenzio assordante dopo le cannonate, per intenderci. E’ il momento delle domande e della realizzazione.
Tuttavia, nella sua ostilità, il cielo è anche rispettoso e nel leggere il successivo costrutto “per godere del divin silenzio donato al tenero compianto”, stavolta, posso pensare a un cielo alleato. Un cielo che egli stesso può rappresentare qualcuno, ma non qualcuno che sta al di sopra, piuttosto, la metafora di un caro importante.
E poi si passa al finale lieto e alla tenue descrizione dell’immaginario “poi del poi”. Per un attimo ho quasi idealizzato una sorta di visione del Paradiso, poi ho ripensato all’immagine del cielo, che qui da grigio è diventato azzurro. Le lacrime rabbiose son mutate in vento tiepido, un cirro capace di accarezzar danzando.
“E’ salubre giunger lì”
Qui è stato assai facile per me metaforizzare il lungo percorso che deve affrontare qualcuno che perde un caro. La guarigione passa per il dolore. Una strada sana. Il cielo deve esser grigio per ritrovare l’azzurro naturale “limpido e splendente”. Splendente perché il dolore effettivamente “macchia” e una cosa che macchia toglie di lucentezza a un materiale, che di suo, lascia passare la luce, e appunto, splende.
Infine, ho apprezzato la chiusura del “ricordo che permane con dignità”. Il cerchio della vita si chiude e si esprime nella sua bellezza con il vecchio che parla all’infante. L’aggettivo “solennità” colora d’importanza una scena che pare rubata a una vecchia locandina di un film, forse color seppia. Il saluto lascia il lettore con il cuore in pace, come se egli stesso avesse sofferto per guarire solo alla fine, ottenendo consapevolezza. Il bacio viene donato con serenità, un bacio che è simbolo di molte cose, soprattutto belle.
Come ho già detto all’inizio, non sono una poetessa né ho pezzi di carta che mi attribuiscono chissà quali meriti, in ogni caso, ho apprezzato la sensibilità e l’efficacia di questo componimento. Le parole non sono usate casualmente e ognuna di esse ha la sua funzione precisa.
Si vede che c’è testa dietro questa poesia.
Grazie di questo racconto.
Oshi-chan |