Recensioni per
Frattaglie
di Francine

Questa storia ha ottenuto 71 recensioni.
Positive : 71
Neutre o critiche: 0


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Recensore Veterano

Mi fA sorridere come ultimamente tutto quello che leggo di tuo cominci con 'sono impazzita', tanto da far percepire chiaramente che il processo creativo che si ammanta di quella sana follia attiva sia, in fin dei conti, una sorta di noromalitA',.

Non Amo i vampiri, non Amo le svariate declinazioni ed inclinazioni - spesso precipitevoli- che assumono queste creature nell'ambito del fandom a, qualunque esso sia - Twilight non ci ha insegnato quanto possa essere stucchevole il parassita elevato a smagliante oggetto d' innamoramento adolescenziale? Non ci ha insegnato quanto sia rischioso andare a mettere del proprio dove non ce n'è bisogno ?- non ho mai digerito, fatta eccezione per 'Buffy l'AmmazzaVampiri' che mi ammazzAva ogni volta con la sua scanzonata ironia, ciò che si discostasse da una concezione fortemente classica del Vampiro e di tutto il panorama poco tangibile che lo circonda.
Allora, perché sono qui a rompere le scatole con a mia puzza sotto il naso e la narice spocchiosamente arricciata?
Perché Amo quello che TU scrivi - in ambito SaintSeiyAno, per il resto non so, non mi sono ancora mai cimentata.
Amo in un modo che non mi è ancora chiaro, ma so che tTu , in qualche modo, saresti in grado di farmi digerire qualsiasi cosa - ed il giorno inc ui riuscirai a farmi digerire Milo e Rhadamanthys, bè alzerò le mani...
Ultimamente sono in venA di Universi Alternativi, dunque sì. Procederò!

Recensore Junior
19/02/18, ore 14:59

Io arrivo alla fine, in punta di piedi.
A un soffio dalla fine, così da potermi gustare la conclusione di questa piccola perla dalla prima fila. Non ti farò un commento capitolo per capitolo; me ne dispiace, ma non ce la farei. Per troppi motivi.
Allora ho optato per un commento fiume. Un commento che li ripercorra tutti, questi tuoi capitoli adrenalinici. Perché è questo che sono: sospensione, attesa, quel brivido che ti scorre lungo la schiena come un cubetto di ghiaccio. E poi. Poi c’è il crak del ghiaccio. E quel crak ti raschia sulla pelle come le unghie sulla lavagna.
Ma partiamo dall’inizio.
Mi piace il genere dark e horror. L’horror vero, non lo spatter o il B-movie di serie Z. E nemmeno l’horror edulcorato che piace adesso, e che di horror ha solo la patina d’ombra. Non l’horror alla Twilight, con vampiri sbrilluccicanti succhiaverudre. Anche se ho amato Twilight. Ho amato leggerlo, per poi smontarlo in classe. Parola per parola.
Quindi sì: trovare Frattaglie e divorarla è stato come tornare a immergermi quello che è l’horror come lo percepisco io. L’horror che non ha paura di essere politicamente corretto con se stesso, con quello che è giusto che sia. Fin dal titolo. Da quel Frattaglie che ricorda troppo un ammasso sanguinolento e gelatinoso, disgustoso, eppure. Eppure ha un qualche fascino, un fascino di normalità. Di cucina. E sì: mi ha conquistato proprio il titolo. Il titolo e la tua firma. Perché, se non disdegno i vampiri, non amo particolarmente le AU. O meglio: non amore le AU in Saint Seiya. Forse perché appartiene alla mia infanzia in un modo speciale, quasi egoistico e possessivo. Perché è difficile fare un’AU senza stravolgere i personaggi. Ma ero curiosa; e mi sono fidata.
E ho fatto bene. Decisamente bene.
L’atmosfera cupa, sanguigna, si respira fin da quel primo capitolo, con un tramonto romano che ha quel colore di arance mature. O sangue vischioso. Aioria è perfetto, in quel ruolo di cacciatore dimesso e tormentato, annoiato della sua noia e del suo disgusto. Un eroe che non è un eroe, ma un predatore abituato a cacciare. Per sopravvivenza. L’immagine iniziale è perfetta: mi ha ricordato un dandy, o forse un cacciatore steampunck. Non importa che non abbia nulla a che fare con quello che stati scrivendo tu. È l’immagine che mi ha evocato: forte, potente e capace di trascinarti subito lì, nella scena, nell’ambientazione. Non hai mezzi termini, non ci giri attorno: questa non è una storia di eroi buoni che sconfiggono i mostri cattivi. Questa è una storia in cui l’amalgama è la carne, le pulsioni, le necessità. È il desiderio. Una brama viscerale che ti prende lo stomaco ed è l’unica cosa che ti fa andare avanti. Nella caccia.
E poi quella scalata improvvisa, nel secondo capitolo. Una dissertazione bio-chimica e/o medica che ha il sapore della quotidianità. Una di quelle pandemie che rimbalzano di bocca in bocca con il terrore anche solo nella parola, che diventa lei stessa la malattia da estirpare. Perché se un virus è brutto, e pericoloso e letale; allora. Allora la paura stessa, il pensiero stesso di qualcosa che sfugge alla logica, che sfugge alla scienza, fa ancora più paura. Perché nella scienza trova la sua spiegazione. E all’improvviso trovi quelle parole: Sanctuary, nome in codice Atena XXX. Ti sembra di essere improvvisamente proiettato in un mondo post-apocalittica (alla Kenshiro. Hai presente, no?). E poi. Poi quel nome che ti colpisce come un montante: vurdulak. Perché, per quanto si vada avanti, le paure più grandi sono quelle che vengono dal passato, sono quelle che produciamo nella nostra mente. E nella nostra mente alimentiamo, pezzettino per pezzettino. Sbocconcellandoci il fegato e la testa. E quando il patto narrativo te li fa incrociare, scienza e mitologia, scienza e paura, allora. Allora hai due strade: o ci credi o ti ingrippi. E tu. Tu lo concretizzi, tu lo rendi palpabile e forte e presente.
Come presente è Aioros. Questa, in fondo, è la storia di Aioros. Un Aioros diverso, ma mai protagonista come in altre storie che ho letto. Non è solo una trasposizione, è una riscrittura, una traduzione vera, nel senso etimologico. Perché hai preso Saint Seiya e lo hai ricreato. Mettendo Aioros al centro, come deve essere. Hai messo Aioros e la sua forza quale fulcro della narrazione. E tanto nella versione classica Aioros è mitizzato, è l’eroe soffuso di aura e purezza, tanto tu lo precipiti all’inferno, gli togli ogni qualsiasi aura di luce, e lo trasformi in una creatura altrettanto potente. E affascinante. Nella sua brutalità.
Ma prima. Prima ci fai intravedere anche un altro Aioros. L’Aioros che forse ci credeva, a quello che faceva. Ci credeva e ci si ancorava. Gli dai un passato, gli dai uno spessore, quello spessore che nel manga non ha, e che contribuisce a dargli quella grandezza. Tu invece. Tu invece gli dai anima e talismani. Gli dai (cinicamente. Spietatamente) quella componente umana, quella parte di fratello, uomo, ragazzo che poi gli strappi senza pensarci. E sei così sublime, nel farlo, che questo capitolo diventa una striscia sanguinolenta, una di quelle frattaglie che lo rende ancora più incisivo. Così come è stupendo il rapporto fra lui e Aioria. Quello stesso rapporto che diviene il motore della narrazione, che diviene la stilla che ti perfora la testa nella ricerca di indovinare quella che sarà, la mossa successiva, la scelta successiva.
Forse la tua grandezza è tutta qui: nel dare umanità a questi personaggi, a restituire loro quella dignità che poi diventa altro. Perché nella trasformazione, Aioros e Aioria non diventano solo vampiri. No. Diventano altro. Aioros diventa altro. Né buono né cattivo. Solo un predatore; solo una brama incarnata. E i predatori, le brame, non hanno morale. Sono come i vampiri; sono come le nostre paura: sono senza coscienza. Sono solo quello: paure.
Ah: per la cronaca. Ho amato tanto la rivisitazione della collana di Aioros come plettro sia la figura di Ariadne (di cui, prima o poi, spero che racconterai di più). E ho amato quel komboloi azzurro. Un kombolori che diventa l’essenza stessa di Aioria. La disillusione di chi non ci crede, ma non vuole perdere quello che ha. E quello che Aioria ha è solo suo fratello. È solo Aioros.
E poi arriviamo a quel quarto capitolo. Al capitolo che ha De Andrè nel titolo e il rovesciamento di Pescatore nelle parole. Quel capitolo che è una cavalcata sublime nel panico, nell’angoscia e nel rimorso. Quel capitolo che è una narrazione cinematografica, con una carica emotiva che farebbe invidia a un tir. Un capitolo che sembra essere il punto di arrivo in una narrazione che procede per scene, per singhiozzi come una cantilena, la nenia di una prefica. C’è una tale impotenza, in questo capitolo, e una tale frequentazione che fa male. Fa male pensare che sono emozioni che, fuori dalla storia, fuori dalla narrazione, sono altro. Sono la quotidianità di chi, in guerra, ci passa davvero la vita. Anche oggi. Forse sono io che sono troppo sensibile a questo argomento, ultimamente. Però. Però questo capitolo l’ho sentito con una forza viscerale, violenta. Carnale. E. E ha fatto male. Molto male. Come è giusto che sia. Come è necessario che sia.
Come è giusto quello spicchio di mela. È giusto raccogliere i cocci e andare avanti. È giusto perché in guerra i morti non poi piangerli. E quando i morti non hanno nemmeno un corpo, e il nemico è qualcosa che non vuoi nemmeno provare a immaginare, allora la forza di piangere non te la puoi permettere. Perché poi. Poi vorrebbe dire il rischio che invece che piangere per dolore, piangerai per l’orrore. E allora. Allora ti aggrappi alla falsa speranza. E poi cedi alla quieta sicurezza dell’ovvietà. Di un appiglio qualunque che smentisca l’orrore che non vuoi accettare. Qualcosa di peggiore dell’immaginare un amico, un compagno, nello stomaco di chi hai giurato di sterminare. E più che il cannibalismo in sé (ma si può definire “cannibale” un animale, un vampiro, anche se prima era un uomo?) è l’idea dello strazio, l’idea di quello che significa essere la preda, dopo che sei stato il cacciatore.
Ed è quella sicurezza. È quello, l’orrore che metti in scena nel quinto capitolo. Capitolo cinque come sono cinque i giorni per masticare, rimestare e digerire l’orrore che Aioria non può accettate. Capitolo cinque per cinque giorni di agonia che sono anche le cinque fasi del lutto. Non so se lo hai voluto, se lo hai pianificato o cosa. So solo che ci sta. In mezzo a quella cavalcata di emozioni, a questa discesa in una psiche che è un coro popolare che grida orrore e forza e voglia di vivere sempre e comunque. A prescindere da che parte si guardi. Ecco: in mezzo a tutto questo, arriva all’improvviso questa elaborazione. La necessità di accettare quello che è successo. E allora va bene farlo anche diventando un rottame. Anche trasformandosi in qualcosa di diverso. Qualcosa da raccattare da un pavimento, fra bottiglie vuote e il sentore stantio di alcool scadente. Anche se a raccattarti è un amico che prendi a pungi perché è l’unico che ha il coraggio di sbatterti in faccia quella realtà che conosci troppo bene, che senti troppo bene come assenza, per poterla davvero accettare.
Perché è l’assenza di un amico, di un compagno, di un fratello. Perché è l’assenza di quel rimorso che ormai ti ha mangiato il cervello. Come un cancro. E Aioria è questo: un relitto del proprio rimorso che qualcuno (Shura: stupendo in questo suo ruolo. Forse in quel ruolo che avrebbe sempre voluto avere e che la serie classica gli ha precluso, ha fatto solo relegare a piccole cose. Episode G: Assassins docet) rimette a forza in piedi. E chi si rimette in piedi spesso lo sa volendo illudersi: e tu dai ad Aioria l’illusione più bella, e più tragica. Gli ridai Aioros.
Glielo ridai in un capitolo che è bellissimo nella sua incredulità. Perché è come riemergere dopo una sbronza, dopo un incubo. Ci hai trascinato giù. Ci hai fatto toccare il fondo, assieme ad Aioria. E poi. Poi ci dai quel barlume di speranza, quel barlume che tutto torni a com’era prima. Che tutto torni alla normalità. Ci illudi. E Aioria con noi. O forse viceversa.
Ma ci regali un Aioros che è sublime nella sua debolezza. È magnifico, con quell’abbandonarsi come un sacco di sabbia sul fratello. Su quel fratellino che è tutto ciò che gli resta. È tutto ciò che ha. Ci vedi l’incredulità, la sorpresa. Ci vedi l’incapacità di entrambi ad accettare che sì, tutto è normale. Tutto può tornare normale. E poi. Poi cogli i dettagli. Poi il dubbio ti viene. Aioros è “stanco”. Ma non una stanchezza umana, non una stanchezza naturale. Sembra una stanchezza più profonda, una stanchezza insensata. Soprattutto se c’è riuscito, a trascinarsi fin a “casa”. E allora. Allora a noi il dubbio viene. A noi, che guardiamo la scena da fuori, anche se ne siamo immersi. A noi che sentiamo l’ansia di Aioria sciogliersi come gelato a luglio. Che lo sentiamo respirare di nuovo come non respirava da tanto tempo. E che vorrebbe ridere e vorrebbe piangere e si arrabbia, con quel fratello che ha paura di disturbare. Che ti ricapita fra capo e collo dopo la morte, e che gli sembra ancora di disturbare. E ce lo vuole trascinare di peso, in stanza. Che lo invita.
Raggiungi qui forse la più raffinata delle torture narrative.
Perché Aioria sa come si muovono quelle creature; sa che per entrare devono essere invitare. Sa. Vede. Sente. Sente i segnali; sente il peso diverso; sente la fame e la stanchezza di suo fratello. Conosce i sintomi; e conosce la malattia. Ma non li vede. Non li vuole vedere. Perché ha suo fratello. Ha di nuovo suo fratello. E perché vuole credere, alla promessa fatta da Shura. Perché quella promessa era tutto quello che aveva. Tutto quello che gli restava.
E quando le zanne di Aioros affondano nel suo collo, allora. Oh allora sì, che inizia l’abisso. Allora sì che inizi davvero a raccontare. In un modo che è.
Lo dico con le tue parole: <i>«La gente è sempre interessata all’orrore, Aiolia. Ci si butta a pesce, come squali attorno a un pezzo di carne o dei gatti appresso a un sacchetto di frattaglie.» Pausa. «Questo siamo noi. Frattaglie.»
«Potrebbe essere un bel titolo.»
«Sì. Da bestseller proprio...»</i>
Il capitolo di passaggio è un capitolo di passaggio. Ci proietti dentro alla normalità: ci proietti nel tempo, nello spazio, nella testa. Ci proietti a un domani dove la normalità è diventata davvero una caccia spietata, frenetica. Quasi un bisogno, una fame. Ci proietti in una quotidianità che dà le vertigini e la nausea, assieme a quel pigolio disperato, straziante, di una vita che si vorrebbe riavvolgere. Aioria è di un’umanità disarmante, di una naturalezza che fa male, nella sua cinica disillusione. E nel suo raccontarsi la bugia più grande: che Aioros è stato suo fratello. Ci crede. E ce lo fai credere. Ce lo fai credere fin nelle viscere. Attraverso Shura. Attraverso quel compagno che aveva promesso di riportarlo indietro. E che deve cedere anche lui. Che deve cedere come ogni altro essere umano. E vedersi disintegrare sotto gli occhi il mito; il modello.
Mi piace come scherzi con i tuoi personaggi. Come li metti uno di fronte all’altro nella quotidianità di una narrazione che comunque rimane serrata, angosciante, anche negli istanti di pausa. Di passaggio appunto. Se anche potresti per un istante dimenticare il cosa e il come, ecco che no, ci pensi tu a ricordare: ricordare che sono soldati, carne da cannone. Frattaglie, appunto.
E faranno la fine delle frattaglie. In quell’ottavo capitolo che. Che è l’horror allo stato puro. L’horror come dovrebbe essere un horror.
Non c’è una stilla di sangue di troppo, non c’è una violenza gratuita messa lì tanto per, in quell’ottavo capitolo. Non c’è nulla che sia stato scritto, descritto, finto (e sì: anche qui torniamo all’etimologia. Fingere=creare, come ben sai) e figurato solo perché era horror e doveva esserci. Mi è piaciuta la tua narrazione, così cinematografica come sarà poi il decimo capitolo. Mi è piaciuto il punto di vista di Aioria, quel sentirsi dentro di lui, quel vedere attraverso di lui. Hai fatto una mattanza. E una mattanza doveva esserci. Doveva essere così. Perché ancora non si era toccato il fondo. E in questo capitolo metti in scena la più sordida, crudele, delle vendette.
Aioros è questo: un grumo di vendetta che cammina. Perché Aioros sarà anche diventato altro; sarà anche diventato un essere senz’anima. Eppure. Eppure, in un certo senso, l’Aioros vampiro è unna figura piena di umanità. Di quella umanità più bieca e violenta e incancrenita che il mondo sa rigurgitare. Ma che c’è. E che combatte solo per se stessa. Come una bestia braccata.
L’entrata in scena di Aioros, su uno sfondo rosso di fiamme, sangue, dolore. Su uno sfondo apocalittico, è qualcosa che ti fa scorrere un brivido lungo la schiena. È la comprensione di essere una preda, la sicurezza di essere la preda di un cacciatore che è già certo di vincere. E per questo si concede di giocare con te. Per questo ti concede di sperarci, ancora nella vittoria.
Le teste che rotolano. Saga. Kanon. E poi ancora. Il fumo nei polmoni. Rabbia. Impotenza. Dolore. Riesci a rendere l’orrore e lo sbigottimento con una prosa lucida, graffiante. Una prosa che induge sui particolari senza appesantire, senza trastullarsi inutilmente.
È un confronto bellissimo, quello che metti in scena (unica nota stonata, permettimelo: quel bicchiere di vino. In questo scenario. Ma è solo opinione personale. Forse lo avrei apprezzato di più su quel ramo, la bocca e gli artigli grondanti sangue e cervella. Aristocratico forse. Ma anche ferino. Bestiale). E Aioria che si aggrappa con disperazione e pietà a quello cui non ha mai creduto.
 <i>«Te l’ho detto, fratellino. Devi crederci», replicò Aiolos. «Altrimenti non vale. Lo so io, e lo sai tu.»</i>
È forse il momento più pathetico. È forse l’apice della storia. Sì: più del capitolo dieci. È il rendersi conto che solo la volontà può davvero cambiare qualcosa. Solo la fede. In qualsiasi cosa. E Aioria. Aioria aveva fede solo in quello che vedeva; in quello che toccava. Aioria ha (aveva) fede in suo fratello. E quello stesso fratello gli dimostra che la fede è una p*****a che si vende giusto al miglior offerente. La fede è un komboloi di plastica azzurra e un tau intrecciati assieme e ficcati con spregio nella bocca di chi li ha sempre declamati. E Aioros lo sa. Sa quello in cui suo fratello non crede. E sa anche quello che può essere. Qualcuno come lui. Qualcosa come lui. Un essere che è istinto, ma all’istinto non soggiace.
Perché è così che mi sono immaginata Aioros. Un uomo con una tale brama, con una tale forza, da essere capace di mantenere il controllo di sé anche da vampiro, anche da trasformato. Non il controllo della propria fede o della propria razionalità. Nemmeno il controllo dei propri istinti. In Aioros non c’è dubbio o rimorso perché non conosce più il dubbio e il rimorso. È divento altro: quella creatura amorale che segue solo la propria volontà. Ma per non essere schiavo della volontà, della fame, bisogna avere proprio volontà.
Ho amato (e amo) questo Aioros oscuro, dannato. Questo Aioros che è granitico nel male (?) così come lo era nel bene. Che mostra la propria risolutezza restando fedele a se stesso, nonostante sia stravolto. Sia irriconoscibile.
Questo Aioros che è un dominatore, che è il burattinaio che muove i fili di tutta la tragedia. Come nel capitolo nove. Come in quel capitolo che apparecchia la rivelazione. Che apparecchia lo sbatterci in faccia ciò che Aioria è diventato. È quella trama sottile, sottopelle, di rimorso e dolore che è tutto ciò che lo tiene a galla. Forse sono solo io, ma ci ho visto una versione dark di Pasolini e dei suoi ragazzi di strada. Ci ho visto un abbruttimento morale e umano che Aioros e Aioria sfruttano a loro vantaggio. Quasi scolpandosi di quello che fanno. Ci ho visto un orrore che è solo metafora di una quotidianità che con vampiri e mostri e fantasmagorie non ha nulla ha che fare. Ma che c’è. Comunque. Poco importa se il disgraziato di turno morto stecchito ci finisce per delle zanne nella gola o per qualcos’altro. Dimmi: ce l’ho visto solo io? Non per polemica, quello no.
Solo. Forse è per questo che l’horror ci piace. Piace. Perché traveste la realtà con qualcosa che non ci appartiene, con qualcosa che facciamo provenire da un altro mondo, da un altro universo. Regalandoci l’illusione di poterla sconfiggere e la becera convinzione che la responsabilità non è nostra. Ma di altri. Di qualcos’altro. Che si può sconfiggere. Facendo di noi degli eroi.
È forse, di tutti quelli che hai scritto fin’ora, il capitolo più straniante. Perché ti senti quasi dalla parte di Aioria e Aioros. Senti quasi il bisogno viscerale di soddisfare la loro sete con loro. Senti quello che provano; quello che prova Aioria, e quello che prova Aiorso. Quello che provano due reietti, che cercano fra i reietti come loro di trascinare avanti un’esistenza. E allora ti chiedi: qual è il confine fra vita ed esistenza? Dove finisce la vita, e dove inizia la sopravvivenza? C’è la fame certo. E c’è la caccia. Ma poi. Poi c’è quel rimescuglio di pietà in fondo ad Aioria che ci fa chiedere ancora, di nuovo, qual è la prospettiva giusta. Quale sia la scelta giusta. E cosa cambierà.
Ci porti nell’abisso; ci trascini fino sul fondo limaccioso di coscienze che si ingarbugliano. Di gesti che non sai più se saresti propenso ad assolvere o a condannare. E poi. Poi fai esplodere il tutto. Come una bomba.
Perché è questo il decimo capitolo. Un’esplosione. Senza buonismi o riscatti morali dell’ultimo minuto. No. La forza di quest’ultimo decimo capitolo è tutta nella sua scarna, nuda, essenziale violenza. Una sequenza cinematografica che è un climax rovesciato. Un trascinarti giù. Fin nel baratro.
Ho amato quel titolo che sa di luce, di riscatto. Quel titolo che è una presa in giro, in fondo. E l’inizio. Con la citazione della <i>succuba</i>. Con Leaphya che è solo uno strumento nelle mani di Aioria. E allora ti viene da chiedere se davvero Aioria non abbia perso la sua umanità, quell’ultimo barlume di umanità che gli aveva fatto chiudere gli occhi e ricomporre il corpo della sua preda.
Qui Aioria non è umano. E non è nemmeno forse il vampiro.
Qui Aioria è solo altro. Una creatura con una sua visione della realtà, con una sua idea di giusto e sbagliato. Una creatura amorale; o forse con una moralità più forte ancora di quella dell’uomo. La moralità dell’animale, del predatore. La moralità che non è moralità ma ossessione di sopravvivere. Perché è questo che si rivela Aioria un ammasso di ossessione: non è nemmeno rabbia. E non è neanche esitazione. Perché no: non riuscirai mai a farmi credere che quella spada in alto alzata, quella spada che resta lì, verticale sulla testa di Aioros, ci resti per esitazione. Forse lo pensa Aioros. Forse vuoi farcelo pensare tu. Ma no. Assolutamente no. Io non ci voglio credere.
Quella spada sospesa è la tregua, è l’istante che si deve frapporre fra ciò che si è voluto e ciò che si potrà realizzare. È il pregustarsi la fine, la vendetta. O forse solo il ripetere una scena ancora e ancora come nella mente. Prima di calare la lama e realizzare ciò che si è immaginato. Per giorni, mesi, anni, o anche solo per istanti.
Questa è volontà. Aioria è quello che è sempre stato: volontà.
Fino all’ultimo istante. Ecco perché alla fine non si fa nemmeno guardare da Leaphya, e ruggisce fino a farla fuggire. Aioria è la volontà che piega ogni cosa, anche se stesso. E fa paura scoprirlo, fa paura vedersi come non ci si voleva vedere: il burattinaio di una nuova realtà.
Lo avrai capito, insomma!
Ho amato e amo questa storia in modo viscerale.
Ho amato e amo tutti i rimandi mitologici, folklorici e atropologici che vi sono inseriti. Il modo che hai di giocarci, di ricalibrarli e impastarli per ottenere. Questo. Questa piccola perla.
Ho amato come, non nonostante sia una AU, tutto torni alla perfezione, ogni riferimento, rimando, omaggio alla storia “classica” abbia la sua collocazione. E ho amato come tu sia riuscita a trasformare Aioros da luce (ma lo è davvero mai stato, pura luce?) in ombra. Senza tradire di una virgola la sua essenza.
Ok. È un commento eterno. Potevo inviartelo per e-mail. Però (se il sistema me lo permette) volevo che fosse inserito. Non per me, perché è lungo o cose simili. Volevo fosse inserito per te. Per farti capire quanto questa storia sia stata per me qualcosa di prezioso. Molto.
Qualcosa di stupendo. Perché umana, vera, forte. Perché non si può rendere facilmente l’orrore restando ancorati alla quotidianità. Giocando con i sentimenti più umani che esistano, lasciandomi indifferente. E tu. Tu ce l’hai fatta senza concedere un grammo alla retorica, pur omaggiando e occhieggiando.
E. Basta.
Non saprei come altro esprimerti tutta la mia ammirazione (la mia venerazione, in questo momento).

Recensore Veterano
16/02/18, ore 10:14

Quale miglior modo di iniziare la giornata che leggere di vampiri decapitati?
Non mi aspettavo questo sviluppo. Ero convita che Aiolia fosse così soggiogato dalla personalità <i>esuberante</i> del fratello che mai sarebbe riuscito a ribellarsi... anzi, già mi immaginavo uno scenario in cui addirittura moriva per salvare Aiolos dai cacciatori. Chiaramente, adoro essere smentita dagli autori che leggo! :)
La scena è imbandita in modo succulento. Granelli di sale, paletto di rosa, proiettili d'argento... e un'esecuzione sanguinaria e perfetta.
Per un attimo ho temuto che Aiolia si sarebbe lasciato convincere, visto quanto bene hai reso il suo tormento. Però ora sarebbe uno spreco lasciarlo alla finestra ad aspettare l'alba, giusto? Oppure no? Il mio cuoricino trema a quello che potrebbe riservarci il prossimo aggiornamento. 
Aiuto! <3  

Recensore Master
15/02/18, ore 19:07

Applauso. 
Un immenso, gigantesco, applauso. 
Non mi aspettavo una scena del genere, devo ammetterlo: forse ingannata dalle similitudini Lestat e Louis (e qui in effetti casca l'asino, perché adesso che ci ripenso anche Claudia lo frega alla grande avvelenandolo) mi ero già immaginata un Aiolos trascinatore folle per il mondo e un Aiolia sempre più triste e combattuto, e invece mi hai sorpreso. 
Aiolia è rimasto cacciatore fino alla fine - graficamente splendido il modo in cui uccide il fratello - e ha adempiuto al proprio ruolo, mantenendo una promessa di vendetta fatta a se stesso e a tutti i compagni caduti. 
Questa storia è una perla, posso dirlo? Mi è piaciuta un sacco e adesso attendo con ansia le battute finali - in fondo ci siamo quasi, no? 

Biscotti al caffè? 

 

Recensore Veterano
12/02/18, ore 14:59

Mmm... ma che gustoso aggiornamento. Gustoso mi sembra il termine appropriato da utilizzare, insieme a sensuale. 
Ho assolutamente adorato Aiolos alle prese con la sua preda. Penso che l'aspetto sessuale dell'atto vampirico non debba mai mancare in storie su questo tema... non so, farà evidenteme il sangue più buono! Eheh! ;)
Ho adorato anche la caratterizzazione di Aiolos, così... vorace, ed in completo contrasto con Aiolia che è ritroso al punto di starsene sulla porta a guardare. Mi chiedo cosa succederà in futuro, per quanto ancora Aiolia potrà sopportare una situazione in cui, chiaramente, si è trovato ma che detesta dal profondo del suo cuore. O, forse, la sua nuova natura avrà il sopravvento e la accetterà... ma qualcosa mi porta a dubitarne.
Intravedo un futuro affatto roseo per tutti e due, anche se Aiolos pare essersi adattato assai "allegramente" alla sua condizione vampirica.
Che sei bravissima l'ho già detto? Mi ripeto! :) 
 
 

Recensore Master
09/02/18, ore 17:17

Lo sapevo, me lo sentivo nelle ossa che Aiolos non avrebbe lasciato andare Aiolia, no, certo che no: l'ha reso come lui, immortale, eternamente affamato. 
I vampiri sono creature solitarie, ma hanno bisogno di qualcuno - cercano qualcuno con cui condividere questa vita. 
Sono anime inquiete, agitate, che non trovano pace - intrappolate a metà. 
La (non)vita del vampiro è un percorso di scoperta e comprensione - accettazione di quello che si è diventati. O rifiuto, dipende dai punti di vista. 
In questa scena ho rivisto tantissimo Lestat e Louis - «Però, la prossima volta non bere fino all’ultima goccia», lo rimproverò la voce di Aiolos, bucando l’obnubilamento del sangue fresco. «Sai che detesto gli sprechi.» - e l'atmosfera intera mi ha catturata (questo senso d'urgenza e oppressione di Aiolia, in netto contrasto con quello più scanzonato di Aiolos.

Bello bello bello! Ce lo facciamo un caffè con una fetta di torta? 

 

Recensore Veterano
07/02/18, ore 16:44

Dicevamo... stavo ancora contemplando l'immagine invitante di Saga in versione commando anti-vampiri che... vabbé, è destino che le cose belle durino poco, giusto? ;)
Che capitolo! Il punto di vista di Aiolia è magistralmente rappresentato e fa venire i brividi. Con le parole evochi suoni, colori, emozioni. E' tutto così tangibile.
Aiolia... lui così fiero, costretto ad assistere al massacro perpetrato dal suo stesso fratello, verso i suoi amici, i suoi compagni. Quelli di tutti e due, anzi :(
Non mi aspettavo uno sviluppo del genere e ne sono rimasta sorpresa. Soprattutto le ultime tre righe mi hanno lasciata a bocca aperta. E mo' so' cazzi, tanto per essere chiari! :O

Recensore Veterano
07/02/18, ore 11:05

Stavolta niente AVIS, me lo sono gustato in pausa caffé :)
Altro ottimo capitolo, con i nostri Santi che scaldano i motori in un momento di quiete, per andare a cacciare il congiunto di Aiolia. Povero Cristo. Aiolia, intendo.
Anche se di AU non te ne intendi gli hai dato un'incarnazione di tutto rispetto, completa di nomi in codice adeguati alla bisogna e al loro canon. Athena III. Saga. Concedimi un momento di bieco fangirlaggio... per Pallade se me lo immagino in mimetica da truppe speciali con paletto di frassino al posto del coltello tattico e mitra spara dardi (di frassino). <3
Sto male... mi serve un altro caffé...

Recensore Junior
07/02/18, ore 07:54

Questa storia e' fantastica . E da come la hai scritta finora sembra che per il momento tu abbia dato solo una sorta di incipit . Non vedo l' ora che arrivi il piatto forte 

Recensore Master
06/02/18, ore 12:54

Scena: la sottoscritta stesa sul divano che fissa il soffito con sguardo perso, chiedendosi COME possa aspettare il prossimo capitolo. 
Ecco, questa sono io. 
A parte la meraviglia e le lodi in cui ormai mi spertico a ogni capitolo (e che ogni volta vengono riconfermate da un'opera veramente ispirata) qui c'è tutto sulla mitologia dei vampiri, particolari e accenni che rendono la storia inquietante, crudele e densa - sulla pelle, nella mente. 
La scena in sé è macabra e perfetta: ci mostra questo manipolo di colleghi, amici, cacciatori - fratelli - morti in una carneficina senza pari. 
Niente, lasciami vegetare un altro po' in attesa del prossimo capitolo - se non si era capito, mi è piaciuto un sacco! 

Tortelloni?

Recensore Master

Eccomi cara! Mi ha mandato da te @sonia, per la tombola, ed eccomi qua.
Non è la prima volta che leggo qualcosa di tuo e devo dire che ritrovo sempre le stesse piacevoli caratteristiche anche se le tue storie sono molto diverse tra loro...
Hai uno stile particolare, tagliente a volte, intrigante persino, spesso disincantato, ma mi piace. Mi piace. Il modo in cui tratteggi i personaggi, il loro esserci nello spazio, che sembra sempre troppo piccolo per le loro anime.
Qui c'è un Aiolia affamato ed un gabbiano silenzioso, sullo sfondo della città di Roma, che io adoro, e niente, in poche righe hai detto tanto, e niente, lasciando tutto in sospeso e nello stesso tempo facendo capire che c'è qualcosa sotto.
Mi è piaciuto questo prologo, soprattutto il paragone tra predatori...
A presto!
Ladyhawke83
(Recensione modificata il 08/02/2018 - 04:22 pm)

Recensore Master
04/02/18, ore 12:31

Io esplodo, esplodo dalla bellezza a ogni capitolo. 
Questa storia è scritta benissimo - un gioiello, davvero. 
Fila via bene come i caffè espresso che mi faccio la mattina, e i dialoghi, i dialoghi e il pensiero che vi è dietro sono stupendi. 
Lo so che sarebbe meglio un commento più costruttivo, di quelli che analizzano e non sono solo una sbrodolata di complimenti, ma ogni pagina mi lascia incollata allo schermo in attesa della prossima - ogni pezzo combacia e si ricolloca nel canon. 
Persino la scelta del lessico - Aiolos e la sua morte che diventano una cicatrice, questa volta anche fisica oltre che morale - mi lascia addosso un senso di conosciuto e di curiosità allo stesso tempo che mi fanno dire sì, ci siamo! 

Bello bello bello! 

Caffettino?
 

Recensore Master
04/02/18, ore 10:15

Povero Aiolos. A lui tocca sempre e solo qualche comparsata. Due dialoghi un paio di capitoli fa, e in questo resta nella storia giusto il tempo per finire preda dei vampiri. Che sono furbi. E quindi, secondo me, non se lo sono affatto mangiato. Nossignore. Vuoi mettere il vantaggio strategico (visto che di unità paramilitari stiamo parlando) di avere un infiltrato di lusso al Santuario? Se così fosse sarebbe un bel colpo narrativo. Ora mi spiego l'intro del primo capitolo. La vedo brutta. Peccato solo che i miei ritmi di lettura siano troppo lenti per seguire le evoluzioni della tua storia in tempo reale.
Buona domenica!
S.

Recensore Veterano
03/02/18, ore 14:00

Comincio con il dire che gli AU vampirici, a differenza di quelli con gli zombie, li ho sempre adorati, anche se è difficile trovarne di decenti. Beh, questa sicuramente rientra tra le eccellenti!
La prosa è come sempre quasi cinematografica per come sono resi i dettagli delle varie scene, ma arricchita delle emozioni dei protagonisti. Sembra quasi di vederli lì davanti a noi lettori, a parlarsi una mela sotto il sole greco :)
Aiolos... che strazio, povero ragazzo. Ma forse è peggio per il fratello, pure mordicchiato come un succulento polletto. Scena scritta in modo sublime, peraltro. Anche se te l’aspetti arriva come una bastonata tra capo e collo.
Questa storia finisce immediatamente tra le seguite (c’è pure un nuovo capitolo online, whoohoo!).
Grazie per averla scritta e per... avermi fatto passare piacevolmente il tempo stamattina, mentre stavo facendo una donazione per l’AVIS. Il posto giusto per leggere di vampiri! Ehehe 😉

Recensore Master
31/01/18, ore 19:32

Merda. Merda. SANTISSIMA MERDA. 

*si agita tutta*

Io lo sospettavo, per la miseria, lo temevo. 
Il mio cervellino alimentato da un criceto narcolettico ha cominciato a mettere i pezzi insieme al i vurdalak tornano sempre dai membri della famiglia per primi al non hanno trovato il corpo di Aiolos. 
E adesso? Adesso Aiolia è stato morso? Toccherà a Shura ammazzare il neo vampiro Aiolos? Oppure allo stesso fratello? 
E ADESSO IO COME DORMO SENZA SAPERLO? 

*si sgita ancora più di prima*

Tieni, caffè per due corretto - mentre aspetto il seguito non fa mai male.