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Autore: Claire Knight    24/03/2012    4 recensioni
Laila è una ragazza con un passato da ricostruire, lo insegue tra le vie alterne che il futuro le propone di percorrere, sulle tracce di un nome che le ha cambiato la vita. Il suo non può definirsi un lavoro del tutto in regola, ma le ha offerto tutto ciò che fino a questo momento l'ha resa ciò che è. La sua avventura comincia in un triste e tormentato giorno di novembre, avventura che, volente o nolente, la porterà a spolverare vecchi ricordi sepolti, a prender scelte importanti che segneranno il suo percorso non meno del suo travagliato passato; tutto comincia nel disordinato locale della sua gilda, quando una misteriosa figura fa il suo ingresso nella vita, già di per suo complicata, di Laila. A complicare ancor di più la sua storia personale, che verrà imemdiatamente soffocata da vicende più impellenti, entreranno in scena le problematiche sociali del suo tempo, le insidie del coverno del re Grinfis ed i primi focolai di rivoluzione...
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Questa è una storia a stampo "originale", se così vogliamo chiamarla, iambientata in un mondo completamente differente da quello dei nostri cari Inazumiani. Questa storia è dedicata interamente a Niki_White, come regalo di compleanno, anche se decisamente in ritardo.
Dunque, ora vi lascio al testo, se la trama vi ha intrigato. Buona lettura.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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2. Quando si spegne una stella.

 

Quando avvertì un leggero tepore riscaldarle il corpo ed il campo visivo farsi più luminoso e vasto, serrò istintivamente gli occhi, sebbene sentisse che fossero già chiusi. Dopo questo primo gesto inconscio, riapparvero alla sua mente la confusione ed il caos della sera precedente, ancora vivi e presenti, e subito questi la risvegliarono nella sua impulsività non appena avvertì un'ombra, una presenza improvvisa. Si portò un braccio a coprire il viso, piegò le gambe al petto, rotolò di lato senza saper dove stesse andando, capiva solo che era su un terreno piano. Appena acquistò un po' più di concezione di sé e un equilibrio abbastanza stabile, con la mano destra sfoderò abilmente un coltellino dalla cintura, puntò il peso sul ginocchio destro e sul piede sinistro, avvertendo tuttavia un dolore, simile ad uno strappo, percorrerle tutto il corpo. Spalancò gli occhi e si sentì accecare la vista. Da quanto non li apriva? Bruciavano. Ma protese comunque in avanti il braccio che impugnava la lama. Passarono secondi di confusione, poi la vista si fece più acuta, cominciò a distinguere a poco a poco i lineamenti del mondo che la circondava. Ma prima che potesse accorgersene, una mano si chiuse fermamente attorno al suo polso e, nonostante si opponesse, le sfilò di mano l'arma. Terrorizzata dalla semi cecità che la attanagliava, sferrò un colpo con il braccio sinistro ancora libero e ci mise tutta la forza che aveva. Ma andò a vuoto, come era destinato. Un'altra mano parò l'attacco azzardato e agguantò il pugno, immobilizzandolo.
< Laila >. Non sapeva dire se quella voce fosse familiare o meno. La ragazza, in preda al panico, prese a scalciare, urlando parole incomprensibili, lo sguardo teso all'insù. Ora che lo guardava, il cielo era grigio e plumbeo: finalmente riusciva a vederlo. In pochi istanti si sentì costretta a terra, ancora. Tutti quei repentini movimenti, misti allo stordimento della vista e dei sensi, le diedero la nausea. Si trattenne a stento dal rimettere lì e subito, raggomitolandosi su se stessa e coprendosi la bocca con una mano.
< Si sente male > esordì confusamente una voce.
< Ehi tu, trova qualcosa... un secchio, ma fai in fretta >.
< Un secchio, un secchio! >.
< Veloce, sta per vomitare >.
< Ma dove vuoi che lo trovi un secchio qui?! >.
Laila non attese che le tre voci si mettessero d'accordo. China sulle ginocchia rigettò tutto quello che il suo corpo e la sua anima sentivano di non tollerare più. Ma qualcosa dovette tenerselo, prima di sprofondare ancora nell'incoscienza. Perché in effetti era vero, vero che si chiamava Laila.

 

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Si risvegliò a notte fonda, al ricordo di quel cielo opprimente, conscia di trovarsi altrove, lontana dal pericolo. Aveva ricordi offuscati di ciò che era successo alla gilda e la bocca spiacevolmente impastata, la gola raschiata. Aprì gli occhi di scatto, sebbene un istante prima si fosse raccomandata di agire con più calma. Si tirò su a sedere con un capogiro, le mancò il respiro ma non ebbe altri conati di vomito. Puntellò i gomiti sulle ginocchia piegate e si prese la testa fra le mani.
Soffiava una brezza leggera, sembrava pizzicarle il viso, a poco a poco la risvegliava. Così acquistò la certezza di esser lucida e vigile, come sempre era stata. Con cautela, si guardò attorno, mentre la luna con qualche nuvola passeggera creava mutevoli giochi d'ombra e di luce. L'erba alta ondeggiava dolcemente e Laila pensò di trovarsi in un campo di grano, seduta tra i lunghi gambi delle spighe argentate. Ma sapeva bene che in quella regione non si praticavano colture come quella, perché il clima era troppo secco e arido. Ma, bene o male, non si fece un problema di quell'erba alta e incolta. Ginocchioni a terra, alzò furtivamente la testa e scorse delle ombre, dapprima macchie più scure di buio, poi tre corpi distesi a terra, a breve, brevissima distanza da dove si trovava. Solo in quel momento percepì un tessuto ruvido fra le dita e capì che ci dovevano essere non tre, ma quattro giacigli, fatti di borse e forse qualche straccio. Per esser stata rapita, era capitata nelle mani di ladri stranamente gentili, se così si poteva definire un gruppo di delinquenti. Per quel pensiero un sorriso le accarezzò le labbra: in fondo lei non era tanto diversa da loro. Si trattava pur sempre di un lavoro sporco, ne era consapevole. Con questa allusion sentì sopraggiungere una stretta allo stomaco: non sapeva cosa fosse accaduto alla gilda la sera prima, non aveva idea del perché in quel momento si trovasse nelle mani dei briganti o in un campo di grano. Poco ma sicuro, non era mai stata rapita, era la prima volta che si ritrovava a dover affrontare una situazione del genere.
Gattonò lentamente, lasciandosi alle spalle solo insensibili fruscii, raggiunse il giaciglio più vicino e la persona che vi dormiva, voltata di spalle. Attese silenziosamente qualche istante, per assicurarsi che avesse un respiro pesante e regolare. Poi, poggiando il peso sulle punte dei piedi, si portò una mano alla cintura, ma le sue dita, che già si aspettavano di toccare la superficie gelida dell'elsa del pugnale, afferrarono il vuoto. Che ingenua era stata: si trattava di ladri e banditi, le avevano sicuramente tolto di dosso tutte le armi. Mantenendo a stento il sangue freddo, decise di indietreggiare di nuovo. Scappare a quell'ora della notte sarebbe stato pericoloso, non sapendo né da dove partiva né dove andava. Forse alla luce del giorno avrebbe scorto qualche punto di riferimento familiare e la fuga sarebbe stata più facile. Ma doveva assolutamente recuperare le sue armi, non si sarebbe mai sentita al sicuro senza.
Sgattaiolò velocemente verso le sacche ai piedi del giaciglio e, con mano esperta, slegò i lacci della prima borsa che si trovo di fronte. Doveva stare attenta: se avesse svegliato qualcuno, dubitava che con il solo corpo a corpo sarebbe riuscita a cavarsela contro tre persone. Rovistò su e giù con una circospezione tale che dall'esterno si sarebbe potuta definire calma.
Ma la ricerca si rivelò infruttuosa e, dirigendosi verso il secondo giaciglio, la sfiorò l'idea che i ladri se le fossero tenute indosso, le sue armi, cosa che in fondo era più che probabile. All'improvviso mise un piede in fallo, inciampò in un sasso a ricadde a terra di pancia con un gemito soffocato. Uno dei corpi si dimenò nel sonno e lei tenne il fiato sospeso. Dopo qualche interminabile attimo di silenzio, proseguì poggiando sui gomiti e trascinandosi in avanti come una serpe.
Si fermò a studiare solo pochi istanti quel viso sconosciuto, poi passò immediatamente alle sacche in fondo, ma ancora niente. Si lasciò sfuggire un sospiro di smarrimento. Guardandosi indietro, scorgeva nel prato i segni del suo passaggio, laddove con più goffaggine aveva piegato i gambi delle spighe al punto da mostrare una via, serpeggiante e luminosa ai raggi della luna. Se al mattino l'avessero ritrovata nel suo giaciglio forse i banditi avrebbero potuto pensare ad un ladruncolo di passaggio.
Si decise che era ora di sbrigarsi, ma fu proprio mentre si dirigeva al terzo ed ultimo giaciglio che capì di aver sbagliato qualcosa. Prima fu un fruscio quasi impercettibile, un presentimento spaventoso. Voltandosi capì che non era solo un'impressione: il primo giaciglio era vuoto.
Si sentì invadere dal panico. All'improvviso, prima che potesse formulare anche solo un altro pensiero, qualcuno le si scagliò addosso, l'afferrò per i fianchi e provò ad immobilizzarla. Lei reagì quasi istintivamente, ferrò una ginocchiata allo stomaco del suo aggressore, che gemette ma non mollò la presa. Dalle sue proporzioni, si doveva trattare di una donna, anche se non riusciva a riconoscerne i lineamenti nel buio. Si sorprese di quanta forza potesse contenere un corpo così esile e all'apparenza fragile, che la contrastava con una facilità impressionante e senza nemmeno usare un pugnale.
Nel frattempo anche gli altri s'erano svegliati e, con mani frettolose, uno dei due aveva acceso una piccola lanterna ad olio. Non appena si avvicinarono, la lanterna fu poggiata a terra ed altre quattro mani si aggiunsero per aiutare la donna. Ma erano del tutto superflue. Alla luce flebile della fiamma la ragazza riscoprì un viso giovane, incorniciato da capelli scuri come la notte, acceso da due occhi color ametista. Vacillò un istante e subito fu costretta con le spalle a terra.
< Aika, sei tu? > balbettò con il cuore in gola. Le mani della compagna la lasciarono di scatto, comprendendo solo allora il proprio errore.
< Laila! > esclamò un'altra voce. La ragazza la riconobbe subito se ne sentì rassicurata, mentre tutta l'ansia fuggiva via in un attimo. Sentì le membra stesse del suo corpo rilassarsi, mentre l'altra si affrettava a liberarla dal proprio peso. Respirò con calma per qualche istante, ancora stesa a terra, poi con un sorriso ricambiò la mano che Adeh le porgeva per aiutarla a tirarsi su.
< Ti prego, perdonami > disse Aika, non appena si guardarono in viso, < Ti avevo scambiato per un ladro >.
< Non preoccuparti... io pensavo di esser stata rapita dai banditi >.
Dopo qualche attimo di silenzio, Laila riprese: < Ma come hai fatto? Non pensavo di aver fatto tanto rumore... non così tanto almeno... >.
< Beh... > sorrise Aika, < Sono o non sono la tua superiore preferita? >. Poi, avanzando qualche passo nell'erba, fece segno agli altri due di venire. All'ombra della notte, si sedette tra le spighe alte e incoraggiò Laila a fare lo stesso con un sorriso. Si sarebbe potuto dire che fosse di buon umore, ma tradiva segni di stanchezza sul viso e nei gesti. Sembrava quasi che non dormisse da giorni e Laila non poté far altro che preoccuparsi, e non solo per la salute di lei, mentre si rimetteva a terra a gambe incrociate.
Stava per esporre la sua prima domanda quando intravide un'ombra poco familiare; sapeva che Adeh le stava alle spalle. Solo in quel momento si ricordò del terzo “brigante” che mancava all'appello. Era il ragazzo sconosciuto che aveva visto dormire nel secondo giaciglio. Lo osservò in silenzio mentre quello, intento ad accendere un fuocherello in un piccolo braciere di pietre nere, non dava quasi segno di essersi accorto di loro. Aveva lunghi capelli biondi raccolti in una coda alta, qualche ciocca ribelle ricadeva prepotentemente sul viso. Occhi vermigli che risplendevano nelle fiamme.
< Tu chi sei? > domandò sfacciatamente Laila, sporgendosi insensibilmente in avanti.
L'altro alzò lo sguardo, un po' intimidito dal tono quasi minaccioso della ragazza, ma rimase calmo: < Il mio nome è Suzari e sono un'abitante delle terre di Tashìra >.
< Le cosiddette terre del pianto > affermò Adeh con un sorrisetto bizzarro.
Suzari, stabilizzato il fuoco, si lasciò cadere fiaccamente a terra, poi lanciò uno sguardo al cielo e storse il naso. Mentre Laila e gli altri si accostavano per mendicare un po' di calore, lui prese a rovistare dentro una borsa scura e ne tirò fuori qualche piccolo sacchetto infagottato.
< Cos'è? > domandò ancora Laila.
< Cibo > sentenziò pacatamente, < Sono già le quattro e mezza del mattino. Penso che se ci mettiamo in viaggio ora riusciremo senza problemi a superare il confine prima dell'ora di pranzo >.
< Superare... il confine? In che senso... dove siamo? E la gilda, cosa è successo alla riunione indetta dal Master? >. Un torrente di domande vorticava nella mente di Laila, ma solo poche, le più importanti, trovavano modo di venir sputate fuori dalle labbra.
Aika si adombrò ma non si sforzò per cercare le parole giuste.
< La gilda non c'è più. Il Master è morto >.
Le parole caddero lapidarie, Laila sentì in fondo al cuore l'eco di qualcosa che si spezzava, per poi scoprire che si trattava dei rami ardenti nelle fiamme.
< Ma... ma come? No, è impossibile. Il Master morto? Impossibile... >.
< È vero, Laila > soggiunse Adeh, < Lo hanno appeso per un piede al balcone più alto della gilda... l'ho visto coi miei occhi >.
Il ragazzo lanciò furiosamente un sasso nel fuoco, < Poi se ne sono andati, portandosi via la sua testa come trofeo >.
Non v'erano tracce di lacrime sul suo viso, solo dolore e rabbia indomita. L'immagine del Master decapitato doveva esser tremenda, tremendamente difficile da sopportare. Laila non riusciva a crederci, non poteva immaginare la scena. Come aveva fatto il capo della migliore gilda di assassini a morire in modo così miserevole? Decapitato, sgozzato e appeso come simbolo di vittoria a fianco della bandiera straziata, simbolo di un nome e di una fama perduti? E lei dov'era quando tutto questo era successo?
< Come è successo? > domandò, cominciando a prendere coscienza della situazione. Se il Master era morto e la gilda sciolta nessuno di loro aveva più una casa cui far ritorno, un posto dove vivere. Sebbene avessero sempre svolto incarichi anche per conto di politici molto in vista, che spesso volevano togliersi di dosso qualche avversario di partito, per lo stato erano ricercati. Capitava infatti che ogni tanto subissero attacchi dalle forze armate, ma loro non andavano certo a protestare da quelli che una volta avevano servito giustamente. Gli interessi personali e le verità pubbliche coesistevano da sempre ed erano diverse, quasi contraddittorie; mentre la giustizia metteva taglie sulle loro teste, uomini politici da ogni dove si rivolgevano a loro in continuazione. La gilda, infatti, variava spesso la propria sede, più frequentemente di quanto i membri potessero tollerare, a volte. Generalmente riuscivano a fermarsi circa un mese ad ogni spostamento, ma non era raro che passassero per decine e decine di città prima di trovare un luogo ideale e momentaneamente sicuro, spostandosi da una parte all'altra del paese.
Inoltre, gli attacchi da parte del governo era stati sempre fallimentari. Non capiva come fossero riusciti non solo a sgominare la loro “roccaforte”, ma anche a uccidere Master Hail, un uomo ancora non invecchiato e per niente sprovveduto. Ricordava indistintamente l'atmosfera frizzante dell'ultima sera, il momento della riunione aveva scaturito in tutti i membri molta curiosità e sembrava dovesse trattarsi di qualcosa di importante. Ma ora dove erano finiti tutti quanti? Morti? Non poteva credere che loro tre fossero i soli superstiti.
< È successo tutto in meno di un'ora > rispose Aika, < Un attacco a sorpresa, ma non siamo sicuri che si trattasse delle forze dell'ordine, che sicuramente non avrebbero compiuto un atto tanto azzardato come quello di martirizzare il Master: ne sarebbe andata della buona immagine che il governo vuol dare di sé ai cittadini >.
< Pensiamo che possa trattarsi di un nuovo gruppo di sicari. Probabilmente appartenenti ad un'altra gilda che vuole metterci i bastoni tra le ruote > sbuffò con disprezzo il compagno, < E a quanto pare ci sono riusciti >.
Laila chinò impercettibilmente il capo. Cominciava a sentire i primi rivoli di rabbia avvelenarle il sangue. Lo sguardo scivolò sulle mani caute di Suzari che davano altra legna al fuoco e tra sé imprecò: lui non c'entrava nulla. Lui non soffriva, non capiva. Cosa ci faceva uno come lui con tre come loro?
< Dove ci troviamo ora? > sentenziò poi, stringendo e riaprendo i pugni ripetutamente, < Cosa ci facciamo in viaggio con un abitante di Tashìra? >.
< Non avendo più una sede né un capo, nessuno di noi sa bene dove andare. La cosa sicura è che per ora in questo paese è pericoloso per noi, dal momento che siamo ricercati e scompigliati allo stesso tempo il governo potrebbe approfittarsene... > disse Aika, < Pensavamo di... passare quel confine >.
< Per le terre al di là del mare?! >.
< Esatto >.
< No! >. Laila si alzò in piedi di scatto, < Vorresti lasciare che la morte del Master rimanga impunita? Non vuoi sapere chi è stato a toglierci tutto... proprio tu, Aika, che per lui eri come una figlia? Lo vuoi tradire così?! >.
Aika non era mai stata una persona violenta o sanguinaria, sebbene il suo lavoro lo richiedesse, solo un'abile ed inflessibile combattente che esigeva il rispetto che gli si doveva. Senza armi addosso sapeva essere la persona più amabile della terra. Le parole di Laila non solo la ferivano e le mancavano di rispetto, ma la ponevano di fronte alla scelta più difficile della sua vita, facevano vacillare le decisioni che aveva preso. Quella ragazzina non doveva permettersi di parlare così in sua presenza, di offenderla con il suo tono arrogante. Non sarebbe certo tornata indietro, questo lo sapeva: non avrebbe cambiato idea. Fu per questi motivi, per un istinto innato di proteggere i propri sentimenti che si lasciò sfuggire uno schiaffo sulla guancia di Laila, più forte di quanto in realtà avesse voluto.
L'altra sputò a terra, non si sarebbe sorpresa di aver perso un dente, sapeva quanto forte fosse Aika. In parte si aspettava una reazione del genere.
< Non permetterti di parlarmi in questo modo, ricordati sempre che io sono una tua superiore. Cosa pensi? Di essere l'unica ad essere arrabbiata? Tutti quanti eravamo come figli per il Master e lui era un padre per tutti noi. Tienilo bene a mente >.
< E poi... > intervenne Adeh alzandosi in piedi per terzo, < Non abbiamo alcuna intenzione di fargliela passare liscia, Laila. Anche io all'inizio ero scettico come te, ma poi ho capito che fuggire per ora è la cosa giusta. Siamo divisi, gli altri membri della gilda che sono sopravvissuti in viaggio anche loro per il confine. Dobbiamo ricongiungerci e poi dare la caccia ai colpevoli tutti assieme. Se la giustizia ci trovasse ora per loro sarebbe un gioco da ragazzi acchiapparci tre o quattro per volta, non pensi? >.
Laila dovette arrendersi all'evidenza dei fatti, sbuffò infastidita, smozzicando qualche parola di protesta. Poi si risedette a terra ed incrociò le braccia al petto. E lo sguardo ricadde nuovamente sull'inquilino Suzari: non lo sopportava.
< E tu che ci fai qui? > domandò, rivolgendosi direttamente a lui. Il ragazzo alzò i suoi occhi cremisi su di lei. Uno sguardo gelido e tagliente, ma che non tradiva sentimenti particolari. Sembrava semplicemente calmo e indifferente: era questo che la irritava.
< Sono qui per aiutarvi > rispose, < Senza il vostro Master che conosceva le destinazioni dei vostri pellegrinaggi di paese in paese quasi nessuno di voi sarebbe in grado di trovare la via giusta per il mare >.
< Capisco... dimmi, sei un mago? > fece Laila, incuriosita dagli strani gingilli che portava al collo.
< Ne so qualcosa. Diciamo che sono un apprendista... proprio come te >.
< E dov'è il tuo maestro? >.
< Il punto è questo. Lo devo raggiungere al di là del mare. Quando vi ho incontrati è stato per caso. Tu eri ancora svenuta ma ci siamo detti che viaggiare assieme sarebbe stato più sicuro per tutti: voi mi avreste protetto dai briganti, io vi avrei portati a destinazione >.
Aika ed Adeh si caricarono in spalla ognuno le proprie borse, < Siamo in viaggio da un paio di giorni, questo è il terzo. Ora che sei sveglia e puoi camminare sulle tue gambe potremo accelerare il ritmo di marcia e guadagnare qualche ora >.
< Non sembra ma sei pesante, Laila > ridacchiò Adeh.
Anche Suzari si alzò in piedi, < Potresti aiutarci con qualche borsa o preferisci continuare ad essere un peso morto? >.
< Taci > sbraitò la ragazza infastidita. Si alzò e prese le sacche che Aika le porgeva con un sorriso lieve: probabilmente si era già quasi pentita dello schiaffo che le aveva dato. Laila se le mise in spalla e, ormai alle cinque del mattino, sotto le stelle ripresero il loro viaggio. Le spiegarono durante il tragitto che quel giorno non sarebbero certo arrivati al mare, ma che avrebbero abbandonato le terre di Sealand per entrare in quelle dell'Est. Laila sapeva che dovevano raggirare per il versante orientale le Montagne di Mezzo, che stanziavano al centro della regione, ma abbandonare le terre di Sealand non le provocava alcuna malinconia o tristezza. Aveva sempre viaggiato nella sua vita, non sapeva nemmeno quale fosse la città in cui era nata, ma non le importava. La cosa importante per lei era la sua famiglia, cioè le persone con cui era vissuta e cresciuta, sebbene non ci fossero legami di sangue tra loro. Finché non si fosse ritrovata da sola non avrebbe mai avuto bisogno di domandarsi da dove veniva o di chi era figlia, perché aveva tutto ciò di cui aveva bisogno.
Il sole cominciò a salire in cielo ancor prima delle sei di mattina, rischiarò il cielo con rosso vivido e caldo, raro da vedere perché raramente si presentava; a veder quel sole, però, si diceva che la notte precedente fosse stato versato del sangue.



*Angolo dell'autrice*
Eccoci! Siete arrivati fino in fondo?! Non ci credo, davvero... ero sicura avreste mollato alla quinta riga. Comunque, spero che se siete arrivati fin qui l'abbiate anche apprezzato! Inoltre, ho una domanda da farvi: Cosa ne pensate dei personaggi inventati che sono comparsi nella storia?
Sono curiosa di sapere la vostra!
Vi saluto, al prossimo capitolo!

Claire Knight.

  
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