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Autore: michi88    29/03/2012    3 recensioni
Probabilmente fu quello che mi convinse a dare un'ultima occhiata. Mi piegai per avvicinarmi di più al cadavere. Avevo intravisto qualcosa. < Ma che diavolo... > Se la mia teoria era corretta e quindi quel poveretto era morto dissanguato...no, non era possibile. Troppo piccoli per essere la causa della morte...non poteva essere... Due fori. Piccoli e abbastanza ravvicinati. Sul collo, all'altezza della vena giugulare. Sicuramente fu quello che vidi che mi convinse a prendere parte a quel caso.
Genere: Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nonostante non sia sicura che dopo tutto questo tempo ci sia ancora qualcuno disposto a leggere, io ci provo.
Ho avuto parecchie ragioni - più o meno serie - che mi hanno impedito di portarla avanti prima.
Non starò qui ad elencarle. Posso dire che non ho intenzione di metterci più tutto questo tempo per aggiornare.
Spero solo abbiate voglia di provare a darmi fiducia ancora una volta.
Bon, a voi l'ardua sentenza.






Impiegai diversi minuti per convincere Charlie che no, non avevo battuto la testa contro l'asfalto e no, non vedevo uccellini azzurri e stelline girarmi in tondo sopra la testa.
Riuscii addirittura ad evitarmi il giro in ambulanza, solo dopo essermi sottoposta alle prove di mio padre che, a parer mio, assomigliavano tanto alla procedura che usava quando fermava un auto e sospettava che il conducente fosse in stato di ebbrezza.
L'ambulanza fu chiamata per il povero malcapitato alla guida del furgone che stava per trasformarmi in una frittella. Nell'urto si era procurato un grosso taglio sopra l'occhio destro e potevo solo immaginare il mal di testa che ne sarebbe seguito e al quale, ero sicura, avrebbe contribuito lo sceriffo con una delle sue ramanzine.
Stranamente riuscii anche a convincere Charlie a restare alla centrale per occuparsi delle scartoffie relative all'incidente e, di conseguenza, a lasciarmi andare da sola al luogo dell'ultimo ritrovamento.
Ovviamente, come condizione, dovetti promettere che sarei passata prima all'ospedale a farmi dare una controllata. Giurai che ci sarei andata, premurandomi di tralasciare nella mia promessa la parola "prima".
Lui parve non accorgersene e io mi sentii autorizzata a non sentirmi in colpa.


Nonostante il pensiero dell'assurda apparizione di quel ragazzo mi ronzasse ancora in testa, decisi di accantonare momentaneamente la faccenda per concentrarmi sul caso.
Ci avrei ragionato più tardi.
Parcheggiai davanti all'officina del signor Palmer, recuperai dal sedile del passeggero valigetta e giacca e scesi dall'auto.
La zona era molto tranquilla, nessun rumore a parte lo sciabordìo pacato dell'acqua, dato dalla vicinanza del molo e il verso di qualche gabbiano di passaggio. Sarebbe potuta sembrare una zona disabitata se non fosse stato per i due vecchietti seduti davanti alla vetrina del vecchio Fred, il barbiere. Vedendomi, interruppero il loro fitto chiacchiericcio e seguirono con lo sguardo la mia figura, mentre camminavo verso l'officina distante una ventina di chilometri.
Alzai il braccio in segno di saluto e in cambio ricevetti due cenni accennati del capo. Sentii i loro sguardi piantati tra le scapole finchè non attraversai l'ingresso.
L'interno era esattamente come la si potrebbe immaginare: uno spazio mediamente grande, decisamente poco ordinato e disseminato di attrezzi, pezzi di ricambio - a terra e su tavoloni di legno - e olio. Olio da motori che chiazzava ovunque il cemento grezzo del pavimento e il cui odore forte impregnava l'aria. Un paio di auto erano parcheggiate verso il fondo del locale, pronte per essere controllate. A vederle, tuttavia, sembravano più che altro pronte per lo sfasciacarrozze.
Sembrava non ci fosse nessuno ma un forte e continuo rumore metallico mi suggerì il contrario. Feci qualche passo avanti e, da sotto una delle sue auto, vidi spuntare due gambe fasciate da un paio di vecchi jeans logori e macchiati di scuro in più punti.
Mi schiarii la gola per palesare la mia presenza e subito il clangore, provocato dagli attrezzi, cessò.
“Eccomi, arrivo subito!” La voce arrivò attutita da sotto il veicolo.

Il carrellino su cui era sdraiata la figura scivolò in avanti e le ruote produssero un cigolìo abbastanza fastidioso.
L'uomo si alzò a fatica. Doveva avere all'incirca settant'anni, i capelli bianchi e radi, chiazzati di grigio in alcuni punti. La barba folta e lunga copriva parte della salopette che indossava e che, probabilmente, in passato non lo strizzava nell'area dell'addome come invece faceva ora. L'impietoso scorrere del tempo.
Il suo sguardo curioso e attento mi riscosse dai miei pensieri, così allungai una mano verso di lui.
Mi sorrise cordiale, facendomi notare però le condizioni delle sue, mentre tentava inutilmente di ripulirle dall'unto con un vecchio straccio che forse un tempo era stato bianco.
Risposi con un sorriso, abbassando la mano.
Buongiorno, lei è Jedediah Palmer?
In carne, ossa e artrosi, Miss! disse con un curioso accento texano.
Piacere, signore. Mi chiamo Isabella Swan, sono qui per la telefonata che ha fatto quasta mattina alla centrale.
Un lampo di consapevolezza illuminò i suoi occhi, seguita anche da quella che mi sembrò un'ombra di terrore nel sentire la parte finale della mia frase.
Oh, Swan! Lei dev'essere la dottoressa, la figlia del buon Charlie! Ne parla spesso, sa? Ho letto qualche articolo su di lei e sul suo lavoro. Sa, mia moglie - Peggy Sue - è un'appassionata di queste cose. Conosce a memoria ogni battuta di ogni puntata della Signora in Giallo! Impressionante, mi creda! sorrisi, divertita dall'incompatibilità tra me e Jessica Fletcher e le rispettive professioni.
Sono io, signore. Alla centrale c'è stato un piccolo - uhm - imprevisto, ma a breve arriveranno degli agenti per circoscrivere la zona a dovere. Io sono un'antropologa. Collaboro spesso con la polizia in queste situazioni. specificai, notando lo sguardo confuso dell'uomo al termine "antropologa". Avrei bisogno di dare un'occhiata al...vorrei che mi mostrasse quello che ha rinvenuto.
Evitai di nominare il termine cadavere, dato che il pover'uomo sembrava già sufficentemente scosso all'idea di tornare sul luogo.
Oh, certo...certo. Le-le faccio strada, Miss. balbettò flebilmente. Appunto.
Uscimmo dall'officina e mi condusse verso una vacchia rimessa distante una decina di metri. Andammo sul retro e a quel punto l'incedere dell'uomo si arrestò quasi di colpo. Si girò verso di me, mentre i suoi occhi saettavano ovunque come impazziti, senza posarsi mai su qualcosa di preciso e le mani torturavano lo straccio sporco d'olio che ancora stringevano.
E' là, qualche passo più avanti...Io...Io non... La voce gli usciva tremante, così lo raggiunsi e posai una mano sulle sue, fermandole.
Stia tranquillo, signor Palmer. Non deve venire con me. Perchè non torna in officina? Prima ho interrotto il suo lavoro. gli sorrisi incoraggiante, stringendo un po' la presa.
Mi rispose con un sorriso tirato ma chiaramente riconoscente e, con un cenno del capo, ritornò indietro decisamente spedito per un vecchietto affetto da artrosi.
Quando lo vidi sparire all'interno, mi diressi dove mi aveva indicato.
Intorno a me l'erba era giallognola e secca in diversi punti, alta e incolta. Tuttavia non dovetti faticare molto per trovare quello che cercavo. Poco più in là, l'erba era piegata a formare uno spiazzo circolare. Al suo interno un corpo immobile.
Mi avvicinai maggiormente e potei constatare che si trattava di una donna. I vestiti, strappati in più punti, erano sporchi ma questa volta non c'erano tracce di sangue su di essi.
Mi piegai sulle ginocchia, appoggiando a terra la valigetta ed estraendo i guanti in lattice per poi indossarli.
Ad una prima occhiata, la donna doveva avere intorno ai quarantacinque anni. Le braccia erano strette al petto, come a proteggersi, e le gambe erano piegate verso l'addome. Con cautela spostai leggermente il viso, girato di lato verso il terreno, e scostai i capelli scuri che coprivano il collo.
Ed ecco che il dubbio che - come un tarlo - mi aveva tormentato da quando avevamo ricevuto quella telefonata, divenne una certezza.
Due fori.
Identici a quelli dell'altra vittima.
In quel momento sentii il rumore di pneumatici avvicinarsi. Mi rialzai, presi l'IPhone dalla tasca dei jeans e scattai una foto al corpo e una nel dettaglio ai due segni. La polizia ne avrebbe fatte altre per il caso, ma io ne avevo bisogno subito. Dovevo mostrarle a qualcuno e quella era la mia tappa successiva.
Mi allontanai, tornando verso l'officina. Mentre mi avvicinavo, scorsi mio padre e Mike parlare con il signor Palmer, mentre altri due agenti scaricavano il necessario dalle auto della polizia.
Charlie.
Mio padre alzò il viso dal taccuino su cui, con ogni probabilità, stava appuntando le informazioni fornitegli da Jedediah.
Bells. Stavamo per raggiungerti. fece cenno di aspettare ai due uomini e mi raggiunse. Ci spostammo di qualche passo per evitare al signor Palmer i dettagli.
Allora, che mi dici?
E' una donna, sui quaranta. Stessi segni. risposi, grave e concisa.
Charlie mi fissò, uno sguardo deciso ed inequivocabile quanto la domanda implicita che celava.
Non esitai a rispondere.
Temo che ci troviamo davanti ad un seriale, papà.
Rimase a guardarmi immobile per qualche secondo, poi con uno sbuffo si passò una mano tra i capelli, grattandosi la nuca. Era teso, preoccupato e decisamente confuso.
In effetti l'idea di un serial killer in un paesino come Forks aveva dell'incredibile.
Ok, mando i ragazzi. fece un cenno a Newton, che richiamò i due agenti e si diressero tutti e tre verso la rimessa.
Papà, io devo andare in un posto. Devo chiedere un parere ad un vecchio amico. Ci vediamo più tardi a casa, va bene? Ho l'impressione che per un po' dovrò restare. dissi, con un sorriso amaro.
D'accordo, Bells. A dopo. Ah! mi richiamò quando avevo già fatto qualche passo verso la mia auto. Che ti ha detto il dottore?
Purtroppo ci misi qualche secondo di troppo a collegare e il mio sguardo confuso dovette tradirmi, perchè Charlie mi rivolse un' occhiata di rimprovero.
Bells... il tono era sicuramente di rimprovero, misto però anche a rassegnazione.
Ci sto andando. Guarda: sto andando... sorrisi furba, aprendo lo sportello dell'auto.
Misi in modo, ridendo alla vista dello sceriffo che scuoteva la testa, mentre si incamminava verso il signor Palmer.


Fermai l'auto nel parcheggio davanti all'ospedale. Recuperai la borsa e scesi.
Mentre mi incamminavo verso l'entrata, vidi uscire due figure, un uomo e una donna. A giudicare dall'aspetto dovevano avere più o meno la mia età.
Il ragazzo aveva il viso teso e lo sguardo di uno che avrebbe preferito andare in guerra piuttosto che rimettere piede in quel posto. Era biondo, alto e snello. Decisamente bello. La ragazza lo teneva a braccetto, sorridendo e accarezzandogli lentamente il braccio. Aveva i capelli neri e corti, scompigliati ad arte. Era minuta e aggraziata. Pronta per salire su una passerella. Senza dubbio innalzavano drasticamente il livello estetico della città, considerando la media di Forks.
Quando ci trovammo a pochi metri di distanza, vidi lei alzare lo sguardo e puntarlo senza esitazione nel mio. Il suo sorriso si allargò ulteriormente e, non appena fummo spalla contro spalla, parlò.
Buona giornata, Bella!
Mi fermai immediatamente, voltandomi confusa a guardare le loro schiene allontanarsi. Salirono su una Mercedes nera e partirono.
Rimasi imbambolata a fissare l'auto, finchè la vidi svoltare ad un incrocio e sparire.
Cosa...?
Ero certa di non conoscere quella ragazza. Ne ero più che sicura, la mia memoria fotografica era uno dei miei punti forti. Allora come?
Certo, Forks era un piccolo paesino. Le persone si conoscevano tutte e sapevano tutto di tutti. Ipotizzai che avesse sentito parlare della figlia dello sceriffo. Eppure un particolare stonava.
Mi aveva chiamata Bella. E quello era un soprannome che solo le persone a me più vicine conoscevano e usavano.
Ripresi a camminare, entrando nell'edificio scuotendo la testa, frastornata.
Quella giornata stava diventando ogni minuto più strana.

Buongiorno, posso esserle utile?
L'infermiera al banco accettazione mi sorrise cordiale. Era una donna sui cinquant'anni, un viso tondo e paffuto e un'espressione tanto gentile.
Si, la ringrazio. Se fosse possibile avrei bisogno di parlare con un medico. Ho avuto un piccolissimo incidente stamattina e, avendo un padre abbastanza apprensivo, vorrei controllare che sia tutto ok. spiegai.
Certo, mi può dire il suo nome? chiese la donna, iniziando già a picchiettare le dita tozze sulla tastiera del pc.
Isabella Swan.
La donna sollevò di scatto il viso, inchiodandomi con uno sguardo tra il sorpreso e l'eccitato. Sembrava le avessi appena rivelato di essere la First Lady.
Lei è la figlia dello sceriffo!! urlacchiò, elettrizzata, facendo voltare diverse teste - tra pazienti e personale medico - nella nostra direzione.
Imbarazzata, mi sporsi ulteriormente verso il bancone, abbassando il tono.
Ehm, già...
Oh, ma che bello! Sai - oh, posso darti del tu? Certo, sei così giovane che potresti essere mia figlia! - ho letto tutti gli articoli che ti riguardano! Sei una celebrità qui a Forks! Giovanissima e uscita da poco dall'università hai affiancato il tuo mentore in quel caso che poi è finito su tutti i giornali. Che brutto fattaccio! E se non ricordo male, sei stata fondamentale nella risoluzione!! Oh, cara! Che bella sorpresa trovarti qui, sei venuta a trovare tuo papà? O forse sei qui per lavoro? concluse con fare cospiratorio.
Ero rimasta interdetta. Un po' per la parlantina-che-stordisce della donna, un po' per la quantità di informazioni che sembrava conoscere sul mio conto.
Ancora quel caso. Era la seconda volta quel giorno.
Decisi di mettere fine alla situazione, avevo una certa fretta e non potevo sprecare il pomeriggio per quella stupida e inutile visita medica.
Uhm, entrambe sorrisi cordiale Senta, se ora è un momentaccio posso passare più tardi...
La donna si riprese e agitò la mano in aria come a scacciare un insetto.
Che dici, cara! Ti chiamo subito un medico. mi assicurò, riprendendo a pigiare sui tasti. Vediamo...ah! Ecco, il dottor Cullen dovrebbe aver finito ora una visita. Aspetta che lo rintraccio!
Sollevò la cornetta e premette tre tasti, poi restò in attesa continuando a sorridermi. In modo vagamente inquietante.
Mi guardai intorno, giusto per spezzare l'imbarazzante connessione di sguardi, e notai che in effetti la sala d'aspetto del pronto soccorso era semi-deserta. Nessun ferito grave, a giudicare dall'assenza di pezze insanguinate tra le mani di quelli presenti.
Ecco, cara. tornai a prestare attenzione alla donna che stava posando il ricevitore Secondo piano, in fondo al corridoio sulla destra. Sulla porta c'è la traghetta col nome. Dottor Cullen, non puoi sbagliare! concluse con un sorriso.
La ringraziai e raggiunsi l'ascensore. Prima che le porte si chiudessero del tutto la vidi sventolare la mano con fare frenetico nella mia direzione.

Avanti. Una voce calda e gentile rispose al mio bussare.
Aprì la porta ed entrai nella stanza. Individuai immediatamente la figura dell'uomo, in piedi accanto ad una scrivania in legno scuro, intento a leggere quella che sembrava una cartella clinica.
Alzò lo sguardo e mi sorrise gentile.
La signorina Swan, presumo. mi venne incontro allungando la mano.
La strinsi, sorprendendomi di quanto fosse fredda e liscia.
Sono io. risposi, contraccambiando il sorriso.
Hanno spostato la settimana della moda a Forks? mi ritrovai a pensare. In un solo giorno avevo incontrato tre persone che avrebbero tranquillamente potuto essere modelli delle griffe più rinomate.
Quattro. Mi corresse il mio subconscio. Il ragazzo di stamattina...
Piacere, Carlisle Cullen. Allora, signorina Swan. Come posso aiutarla? La voce del dottore mi riportò alla realtà.
Oh, vede, stamattina ho avuto un banale incidente. Tuttavia, mio padre è un po' apprensivo e ha voluto che venissi a fare un controllo. spiegai, ripetendo più o meno quello che avevo detto all'infermiera.
Lo vidi annuire e fissarmi intensamente. Per qualche strano motivo avevo la sensazione che sapesse perfettamente di che incidente parlassi. Assurdo.
Conosco Charlie e direi che sarebbe meglio farlo questo controllo, così da rassicurarlo. disse, facendomi segno di sedermi sul lettino.
Annuii distrattamente, persa ancora nei miei ragionamenti.
Lo osservai meglio, mentre indossava i guanti in lattice. Improvvisamente un particolare mi colpì in pieno. Il colore dei suoi occhi era talmente insolito, per non dire unico, che era difficile non notarlo. Infatti, grazie anche alla mia famosa memoria fotografica, mi tornarono in mente le immagini dell'incontro di poco prima fuori dall'ospedale.
Quei due ragazzi...
All'inizio non ci avevo dato troppa importanza, distratta dalla frase della ragazza. Entrambi avevano gli occhi del medesimo colore del dottore. Ambra.
E subito un paio di occhi ancora più magnetici tornarono nella mia mente.
Il ragazzo che mi aveva salvato quella mattina.
Non c'era dubbio.
Il colore era lo stesso.





Alla prossima.
(Se mai qualcuno avesse davvero letto il capitolo XD)


  
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