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Autore: hotaru    07/04/2012    5 recensioni
- Quindi una sirena è sempre destinata ad un amore tragico? - domandò Chibiusa.
- Esistono diversi tipi di amore tragico, bambina. E quello per un uomo che non sa prendersi le sue responsabilità è il peggiore, credi a me.
Chibiusa non replicò, ormai abituata alle "perle di saggezza" che Minako di tanto in tanto le elargiva. Anche se, secondo Makoto, era meglio che non la stesse nemmeno a sentire.
- Lo saprei io, chi trasformare in schiuma di mare...
Chibiusa non la contraddisse, anche se avrebbe voluto spiegarle che non è l'innamorato, ma la sirena a tornare al mare sotto forma di schiuma.
- Ma tanto siamo sempre noi donne a rimetterci – continuò Minako – E se una sirena è donna solo per metà, non significa che l'uomo che si trova abbia il cinquanta per cento in meno di stronz...
Minako si morse la lingua appena in tempo. Il mare prometteva tempesta, e il vento soffiava così forte che spruzzi d'acqua salata riuscivano a raggiungere i loro volti, assieme alle prime gocce di pioggia.
- Dai, torniamo a casa. Non mi piace l'idea che il mare ci stia sputando in faccia il cadavere di una sua disgraziata figliola.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Chibiusa, Makoto/Morea, Minako/Marta | Coppie: Haruka/Michiru
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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2- Le fate delle tre e... Le fate delle tre e...


Quella mattina, quando Chibiusa si svegliò, non si stupì nel sentirsi accanto il familiare calore ronfante di un gatto. C'era più che abituata, Luna dormiva spesso con lei. A farle sgranare gli occhi ancora impastati dal sonno fu tuttavia la vista di una ciambella pelosa bianca come la luna, invece che nera come la notte. E allora si rese conto che quella non era la sua gatta ma Artemis, e che non era a casa sua ma dalle amiche di sua madre, Makoto e Minako, e avrebbe dovuto rimanerci per un mese.
In effetti si ricordò anche che Artemis dormiva con lei da un paio di giorni, tanto che Minako aveva iniziato a fare l'offesa. Non con lei; con il gatto. E in fondo Chibiusa non ci trovava niente di strano: anche Luna e sua madre, di tanto in tanto, si tenevano il broncio a vicenda. Poteva sembrare assurdo, ma quando facevano pace sia lei che suo padre riuscivano ad accorgersene.
E non le era dispiaciuto trovare un simile elemento comune tra Minako e sua madre: la faceva sentire un po' a casa, perché se c'era un momento in cui la nostalgia si faceva sentire, quello era la mattina appena sveglia, prima che si decidesse ad allungare una mano su Artemis e lui si stiracchiasse con un miagolio gutturale, prima di gettare da parte il lenzuolo e andare di sotto ad indovinare, solo dall'odore, che cosa aveva preparato Makoto. Di solito usciva prestissimo per andare al lavoro, mentre Minako si alzava molto più tardi, lasciando Chibiusa con la casa tutta per sé per qualche ora.
- Chibiusa! Minako non si è ancora svegliata? - chiese allibita Makoto, quando tornò a casa per preparare il pranzo.
La bambina scosse la testa: aveva trascorso la mattinata a fare un po' di compiti e ad insegnare ad Artemis a starle stravaccato su una spalla, portandoselo in giro per casa come faceva con Luna. Aveva imparato in fretta, tanto che Chibiusa sospettava che non fosse nuovo a certi giochetti: davvero, Minako era proprio come sua madre.
- Hai voglia di venire con me in negozio, oggi? - chiese Makoto mentre mangiavano, in tono quasi di scusa per averla lasciata sola tutto quel tempo in una casa non sua. Certo che, se Minako non l'avesse piantata in fretta con la sua "crisi depressiva post-relazione fallita"... Makoto aveva l'impressione che ci si stesse più che altro crogiolando.    
- In negozio?
- Sì, lavoro in una piccola pasticceria di proprietà di un'anziana signora del posto. Ti va di venire con me?
Quando gli occhi di Chibiusa, a quell'invito inaspettato, sembrarono divenire d'un tratto più grandi e luminosi, Makoto dovette reprimere un sorriso che avrebbe rischiato di sfociare in una risata. Chiba o no, quella bambina era indubbiamente figlia di Usagi.


- Oh, sono dolci occidentali?
- Principalmente sì, la signora aveva sposato un europeo, e insieme avevano messo su questo piccolo negozio – spiegò Makoto, iniziando a tirar fuori i dolci dal grande frigo della cucina per disporli in vetrina.
Mentre osservava deliziata le paste, i pasticcini e le fette di torta, Chibiusa chiese:
- A che ora aprite?
- Alle tre, in tempo perché arrivino le fate.
Chibiusa ci mise un momento a realizzare ciò che Makoto aveva appena detto, impegnata com'era a non sbavare su un vassoio di bigné ripieni di crema e panna, su cui faceva capolino un pezzo di pasta allungato a formare collo e becco. Un dolcissimo cigno, da cui Chibiusa si costrinse a distogliere lo sguardo.
- Le... fate? Alle tre? - era certa che quella frase non le fosse nuova, perché un simile, bizzarro accostamento era difficile dimenticarselo – Ah!
- Che cosa c'è? - le chiese gentilmente Makoto, bagnando una spugna per andare a pulire i tavolini all'esterno.
- La mamma mi aveva raccontato delle fate delle tre, una volta che abbiamo fatto i biscotti! - le rivelò Chibiusa seguendola, e aiutandola a sistemare le sedie.
- Ma davvero? - fece Makoto sorpresa – Se lo ricorda ancora?
- In che senso?
- Sai, sono stata io a raccontare a lei e alle altre delle fate delle tre, sempre in qualche occasione in cui facevamo i biscotti insieme. Era una vecchia tradizione di mia madre – Makoto sistemò l'ombrellone, ridacchiando piano – E pensare che all'epoca andavamo ancora a scuola, Usagi ha proprio una bella memoria!
- Solo per certe cose.
- Già, è davvero... ehi! - Makoto si voltò, mentre Chibiusa si nascondeva dietro un sorriso birichino – Non si parla così della propria mamma.
- Ma è la verità – rispose candidamente Chibiusa.
- Anche se è la verità – replicò Makoto senza battere ciglio – E adesso vieni, sono certa che uno di quei cigni non vede l'ora di diventare il tuo dessert.


Alle tre in punto aprirono il negozio, e dopo nemmeno un minuto il campanello sopra alla porta trillò allegramente.
- Buon pomeriggio, signora – la salutò Makoto, senza sorprendersi di quell'inaspettato tempismo – Il solito?
- Certo, cara. Io e le ragazze siamo qui fuori.
Chibiusa si sporse dalla porta, sbirciando senza farsi vedere le "ragazze": tre signore sulla settantina, che sedute attorno ad un tavolino rotondo cicalecciavano come tre studentesse uscite da scuola. A giudicare dalla risatina di gruppo che seguì, avrebbe giurato che stessero parlando di ragazzi.
- Te l'avevo detto, no? - fece Makoto, preparando una cioccolata e due caffé, accompagnati sul vassoio da tre paste differenti – Che sarebbero arrivate alle tre.
- Mmm? - Chibiusa era tornata al suo cigno-bigné, e ora aveva la bocca tutta sporca di crema chantilly. Si voltò verso la porta, perplessa, e poi tornò a guardare Makoto. Inghiottì pensierosa l'ultimo boccone senza nemmeno curarsi di pulirsi la bocca, per poi avvicinarsi di soppiatto all'entrata, mentre Makoto portava fuori il vassoio.
Un coro entusiasta accompagnò l'arrivo dei dolci, e quelle tre signore decisamente pienotte, ma con mani e piedi incredibilmente minuti, si dedicarono ciascuna alla propria porzione, senza smettere di chiacchierare un secondo.
- Sarebbero loro? - sussurrò Chibiusa, tornata dietro al bancone con Makoto – Le fate delle tre?
- Chissà – fece Makoto con un sorriso – Certo è che, se verrai qui anche domani, le vedrai arrivare alla stessa ora e ordinare le stesse cose, e questo ogni singolo giorno dell'anno in cui il negozio è aperto.
Chibiusa fece tanto d'occhi, pensando che in quel caso la taglia della signore era pienamente giustificata.
- E ogni volta hanno da raccontarsi tante di quelle cose che sembra non si vedano da mesi, chissà come fanno!
Mentre Makoto parlava, la conversazione all'esterno si era fatta più animata, finché due di loro scoppiarono a ridere e la terza si rifugiò dietro la sua tazza, imbronciata.
- Oh, ma non ci sono solo loro – Makoto si sporse verso di lei, alzando un indice e facendole l'occhiolino – In questo negozio vedrai anche le sirene delle cinque e le streghe delle sette e mezza.
- Come? - Chibiusa sbatté un paio di volte le palpebre, chiaramente perplessa. Credeva che Minako fosse l'unica matta sul serio, ma in effetti per andarci d'accordo Makoto non poteva non esserlo un po' anche lei. E poi erano entrambe amiche di sua madre, il che rendeva tutto più chiaro.
- Di' un po', ti va di aiutarmi a fare dei biscotti ai semi di papavero? - le propose Makoto.
- Ai semi... di papavero? Si possono fare dei biscotti con i semi dei fiori? - Chibiusa sgranò gli occhi, ancora più incredula che per le fate, le streghe e le sirene.
- Ma certo che sì! Ah già, a tua madre non piacciono, dice che i semi le si incastrano tra i denti e poi non se ne accorge – Makoto ricordava ancora quella volta che Usagi si era presentata ad un appuntamento con il suo Mamo-chan e questi le era quasi scoppiato a ridere in faccia, vedendo i suoi denti più neri che bianchi. Erano solo i primi tempi che si frequentavano, e Usagi quella figuraccia non l'aveva mai mandata giù – Se solo si fosse ricordata di lavarsi i denti...
- Chi deve lavarsi i denti? - domandò Chibiusa, chiedendosi che cosa stesse passando per la testa di Makoto per ridacchiare così.
- Tutti, dopo aver mangiato dei dolci! - esclamò lei, posandole le mani sulle spalle e spingendola nel retrobottega – E adesso al lavoro!
 

Aiutare Makoto si rivelò davvero divertente. Chibiusa era sicura di rallentarla parecchio, visto che in teoria lei era al lavoro e non nella cucina di casa, ma Makoto era abile e paziente: se con una mano le mostrava come usare lo stampino dei biscotti per sprecare meno impasto possibile, con l'altra infornava una torta e farciva di crema dei cestini di pastafrolla. E senza far cadere mai niente: non un sacchetto di farina, non una scodella colma di panna. Chibiusa era allibita, ma iniziava a sospettare di essere lei fin troppo abituata ai pasticci di sua madre.
Ogni tanto arrivava qualche cliente, che si faceva annunciare dallo scampanellio alla porta, e Makoto volava nell'altra stanza per servirlo.
- Ci sono sempre così pochi clienti? - chiese Chibiusa, che non riusciva a credere che dolci come quelli potessero non venire apprezzati.
- Solo in questo periodo dell'anno – rispose Makoto – Anche se dà sul mare, questo posto non è per niente una località turistica, quindi d'estate si svuota più che riempirsi. Dipende dai giorni, comunque: se mi accorgo che sono troppo indaffarata, di solito chiedo a Minako di venire a darmi una mano.
- Minako non lavora? - chiese candidamente Chibiusa.
- A volte – rispose Makoto, senza scomporsi troppo – Quando vince un provino e le danno una parte in qualche drama (¹).
- Oh, è vero! - esclamò Chibiusa, chiedendosi come avesse fatto a dimenticarlo – Era lei la fidanzata di Satoshi, quella che muore cadendo da una rupe scoscesa!
- Vedo che sei informata, eh? Immagino che tua madre non si perda una puntata delle serie in cui compare Minako – Chibiusa annuì – In effetti i suoi personaggi fanno sempre una fine tragica: i produttori dicono che è brava ad esprimere il pathos senza esagerare, quindi le danno sempre ruoli di questo genere.
- Sì, sì: mi ricordo che una volta è caduta dalle scale d'emergenza di un ospedale in cui faceva l'infermiera, e un'altra è annegata in un lago al tramonto, col suo fidanzato che ha gridato il suo nome per tutta la notte! - continuò Chibiusa infervorata – La mamma piange sempre, quando muore lei.
- Immagino che piangano un sacco di spettatori, per questo la fanno morire così spesso – sbuffò Makoto, che certe logiche di marketing proprio non le capiva – Certo è che così ogni lavoro le dura appena pochi mesi.
E poi doveva correre da un set all'altro per una nuova serie di provini, ma Minako tutta entusiasta diceva che era un ottimo modo per fare gavetta e accumulare esperienza.
- Contenta lei... - concluse Makoto, guarnendo una torta di fragole – Comunque al momento è tutta presa dal suo "periodo di assestamento", come lo chiama lei. Il tempo di trovare un altro ragazzo che le muoia dietro, e sarà di nuovo felice e contenta, vedrai.
Makoto tacque, rendendosi conto di aver parlato ad alta voce ed essersi lasciata sfuggire forse un po' troppo, ma constatò sollevata che Chibiusa era tornata in negozio, attirata dal trillo del campanello.
Un'occhiata all'orologio appeso alla parete, e Makoto già sapeva chi era appena entrato.


Dakedo ima mo wasurerarenai no
Anata ga itsumo utatta merodii
Mune ni hibiku tabi itsuka modoreru ki ga suru no ano koro ni
Kitto kitto kaereru no tsunagareta kusari furiharai
Futatsu no sekai ga musubareta aoi umi he

[Ma anche ora non posso dimenticare
la melodia che cantavi sempre
risuona nel mio petto e ho l'impressione di poter tornare a quel giorno
posso tornare senza dubbio a quel periodo, è tutta una catena che mi lega e da cui mi libererò
verso il mare blu a cui sono legati due mondi]


La prima cosa a cui Chibiusa pensò quando la vide, fu il colore dell'acqua nella baia il pomeriggio in cui era arrivata lì con i suoi genitori, un paio di giorni prima. O forse era solo l'odore del mare poco distante ad essere appena entrato dalla porta del negozio, in un refolo di brezza pomeridiana.
- Buon pomeriggio, signorina Kaiou – salutò Makoto accanto a lei – Il solito?
La donna annuì, prendendo già dalla borsa il portafogli per pagare. Makoto tagliò senza esitazioni una fetta da una torta esposta in vetrina: un tripudio di panna, cioccolato e amarene. A Chibiusa sembrò quasi strano che a una donna così sottile e raffinata potesse piacere un dolce del genere, ma magari era per qualcun altro.
Mentre la osservava, la donna si voltò a guardarla e le sorrise gentile, facendo sobbalzare Chibiusa. Aveva come l'impressione di averla già vista, o forse erano i suoi capelli ondulati a ricordarle qualcosa... ma poi si disse che era impossibile, era lì solo da due giorni, come poteva conoscere qualcuno?
Per prendere il pacchetto che Makoto le porgeva, la donna distolse lo sguardo. Pagò e salutò senza chiedere a Makoto chi fosse quella nuova bambina, quando invece parecchi clienti quel giorno si erano interessati a lei. Senza dubbio in quel posto ogni faccia nuova doveva destare molta curiosità.
- Hai fame? Vuoi fare merenda? - le chiese Makoto quando la donna fu uscita, dicendole poi di scegliere quello che voleva.
Mentre addentava una fetta della stessa torta presa dall'ultima cliente- Foresta Nera, si chiamava, era un dolce tedesco- Chibiusa lanciò un'occhiata all'orologio del negozio.
Erano da poco passate le cinque.


- Eccomi qui! - annunciò una voce squillante, che batté in volume il campanello alla porta.
- Toh, le sette e mezza. Tempismo perfetto – commentò Makoto lavandosi le mani, dopo aver terminato di pulire il bancone da lavoro.
Chibiusa soffocò una risata quando vide far capolino un'allegra massa di capelli biondi, che di depresso non aveva proprio niente. Ecco chi era la strega, allora.
- Si lavora, eh?
- Già, pensa un po' che cosa assurda.
- Oh, ma come siamo acide. Chi lo direbbe che prepari dolci tutto il giorno? A proposito, ho visto che ti è rimasta un po' di Sacher...
- Minako, non si mangiano dolci prima di cena! - la sgridò Makoto, quasi avesse avuto a che fare con una bambina più piccola di Chibiusa, non una coetanea.
- Ma che hai capito? Te la compro e la porto a casa, così la mangiamo come dessert.
- Ah, allora va bene. Te la metto in una scatola...
- Lascia, faccio io! - muovendosi come a casa propria, Minako prese una scatola di carta della misura adatta e tornò nell'altra stanza, dovendo poi urlare per farsi sentire – Domani vengo a darti una mano!
- No, domani porti Chibiusa da qualche parte! - gridò Makoto di rimando, per sovrastare il rumore dell'acqua nel lavello – È stata chiusa qui dentro con me per tutto il giorno!
- Ah già, Chibiusa! Ti sei divertita?
Chibiusa, che con molto senso pratico si era posizionata sulla soglia della porta comunicante, così da non dover urlare per parlare con nessuna delle due, rispose:
- Molto. Ho sempre desiderato vedere come funziona una pasticceria. E poi ho mangiato una pasta e una fetta di torta.
Minako fece capolino dalla porta, gli occhi sgranati.
- Solo? Sicura di essere figlia di tua madre? - senza aspettare risposta, continuò allegramente: – L'ultima volta che Usagi è stata qui, si è spazzolata mezzo negozio.
- Che esagerata – commentò Makoto – E poi parli proprio tu: hai smesso di ingozzarti solo nel periodo in cui dovevi fare la parte di una ballerina! Me lo ricordo, quanto eri disperata perché dovevi perdere quattro chili in due settimane.
- Ehi, tanto per cominciare io non ero disperata. Ed erano tre e mezzo, non quattro – fece Minako dalla porta con aria battagliera – E poi hai idea di che tortura fosse, stare qui e non poter toccare nemmeno una scaglietta di cioccolato? Roba da far impazzire chiunque!
- Beh, vedo che poi ti sei ripresa alla grande.
- Guarda che quei chili non li ho più recuperati!
- Certo, certo. Comunque, domani porti Chibiusa in qualche bel posto. Magari le mostri il mare.
- Oh sì, andiamo in spiaggia! Ti va? - suo malgrado, Chibiusa ammirò la nonchalance con cui Makoto aveva delicatamente cambiato argomento. Era una capacità che aveva sempre invidiato anche a suo padre – Magari ti trovi il ragazzo!
- Non credo che Mamoru sarebbe molto d'accordo – rise Makoto – E poi non eri tu che due giorni fa le dicevi di non fidarsi degli uomini?
- Oh, un'innocente storiella estiva non può fare male a nessuno, e non c'è alcun bisogno che Mamoru lo sappia – Minako si bloccò, colta da un dubbio improvviso – O sei già impegnata?
Chibiusa scosse prontamente la testa, chiedendosi come avessero fatto ad arrivare ad un argomento simile da un semplice: "Ti sei divertita?".
- Oh! - esclamò invece all'improvviso, ricordandosi di una cosa – Quando siamo arrivati qui, dalla strada ho visto una piccola spiaggia fra gli scogli...
- Ah, ho capito! È un'insenatura a due chilometri da qui – fece Minako – Vuoi andarci? Guarda che là di ragazzi non ce ne sono, però...
Chibiusa si affrettò a spiegare che la mancanza di fauna maschile non le causava nessun problema, al che Minako si chinò a scrutarla in viso, due dita sotto il mento a sostenere un'espressione tutt'altro che rassicurante.
- Mmmh... secondo me hai qualcuno, qui un fidanzatino c'è di sicuro. Magari un senpai (²), eh Mako...
Splash.
Minako non aveva finito di parlare che uno straccio per asciugare i piatti le era arrivato dritto in faccia. Completamente bagnato, tra l'altro.
- Eh, ma che permalosa! Era una battutina innocente! - fece Minako con voce piagnucolosa, togliendosi lo straccio dal viso senza fare una piega.
- Un'altra battutina innocente e salti la cena! - ribatté Makoto – E adesso renditi utile, dammi una mano a pulire!
In due ci misero poco, mentre Chibiusa aspettava vicino all'entrata con la scatola della Sacher tra le braccia, e quando finalmente spensero le luci per uscire non stava più nella pelle. Per la fame, certo, e per la voglia di assaggiare quella torta.
Ma anche per ciò che l'attendeva il giorno dopo: era certa che un giorno al mare con Minako fosse una di quelle esperienze in cui era impossibile annoiarsi. E quando uscirono dal negozio, col cielo che iniziava a farsi più aranciato a ovest e l'odore del mare ad accoglierle, a Chibiusa venne in mente la donna della Foresta Nera, dai capelli dello stesso colore della baia sotto il sole estivo.
Cosa aveva detto Makoto sui clienti delle cinque...?


Dopo un paio di bocconi aveva appoggiato la forchetta sul piattino, senza più degnare il dolce di un'occhiata. Tutta quella panna le dava la nausea, per non parlare del cioccolato. Al massimo poteva apprezzare le amarene, se non fossero state annegate in quella bomba calorica. E pensare che prima era quasi arrivata a piacerle, specialmente in certi... intimi momenti.
Prese bruscamente il piatto, senza curarsi della forchetta che finì sul pavimento, gettando poi la torta nel secchio della spazzatura in cucina.
Tornando in salotto, dove la finestra aperta sul mare lasciava entrare la luce languida del tramonto, lo sguardo le cadde sul suo violino abbandonato sullo sgabello del pianoforte, in posizione quasi pericolosa.
Michiru sospirò. Se i quadri incompiuti nel suo studio potevano essere lasciati a loro stessi ancora per un po', il suo strumento non ammetteva pause. Rimandare al giorno dopo l'esercizio quotidiano significava perdere agilità nella mano, equilibrio nell'archetto e ritmo nell'esecuzione. O, per come la vedeva lei, offendere in modo irreparabile il proprio violino. Aver voluto a tutti i costi imparare a suonare uno strumento simile a sé aveva i suoi lati negativi, ma proprio per questo Michiru sapeva bene come prenderlo.
Una serenata al sole morente l'avrebbe lusingato abbastanza da starsene buono fino al giorno seguente, lasciandola sola col mare e lo sciabordio dei suoi pensieri. Senza pensare che quello era un pezzo con accompagnamento al pianoforte, senza pensare che il violino da solo sembrava piangere, aspettando una voce che non l'avrebbe più raggiunto. Per svuotare il mondo e l'aria che respirava con la sua voce da gatto innamorato, come aveva detto qualcuno.  
Bastava arrivare a domani.   











(¹) Fiction televisive, che in giapponese si chiamerebbero "dorama"
(²) Senpai: compagno di scuola più grande


Il primo capitolo di questa storia l'ho pubblicato mesi fa, e non so se scusarmi per l'immenso ritardo o avvisarvi che probabilmente questa sarà la regola. Nel caso, siate preparati.
La storia delle fate delle tre l'ho ripresa dal quarto film di Sailor Moon, dove è per l'appunto Makoto a raccontare di questa storia alle sue amiche, mentre preparano i biscotti. E anche la faccenda del senpai era il cavallo di battaglia di Makoto, ma soprattutto nelle prime serie.
Capitolo un po' di passaggio, tanto per dedicare spazio a tutti i personaggi che compaiono in questa storia, ma c'è molto altro che deve saltar fuori.
Se avete voglia di lasciarmi un commento ne sarei felice; intanto ne approfitto per augurarvi buona Pasqua!
   
 
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