I’m back!
E porto con me la bellezza di dieci pagine di
capitolo!
Ecco che
arriva la risposta di Tonks... in questo capitolo
ricorderà un particolare importante… Sarà sufficiente per dare il benservito ad
un vecchio Malandrino?
Adoro
questo capitolo, mi fa morire dal ridere, qui Lady
Bracknell ha dato sfoggio delle sue abilità con la penna ( o meglio, con la
tastiera ).
Se con la traduzione
riuscirò a strapparvi tutte le risate che la versione originale mi ha
suscitato, allora ho raggiunto il mio scopo.
2. Il Fante.
Remus non vide né sentì Tonks
per tutto il giorno. La Strillettera che si aspettava non arrivò, quindi quando scese per l’incontro dell’Ordine riusciva a
malapena a nascondere il suo divertimento al pensiero che ancora non aveva la
più pallida idea di quello che le aveva combinato. O è
così, pensò, oppure ha programmato una vendetta clamorosa durante l’incontro di
stasera.
Tonks era già seduta a tavola
e stava parlando con Kingsley e Sirius, quando Remus aprì la porta e mise piede
in cucina.
Lei alzò lo sguardo,
palesemente in attesa della sua apparizione, e lui le
offrì un veloce sorriso tirato che poteva essere interpretato come un sorriso
imbarazzato o di scuse, in base allo stato della sua memoria e dal fatto che
volesse lanciare una maledizione alle sue parti basse o meno. Lei rispose al
sorriso e lo salutò con un timido “Ehilà,” che gli
lasciò supporre che, in effetti, non ricordasse assolutamente niente. Serrò le
labbra per evitare di ridere, voltando appena la testa in modo che lei non
notasse quando gli stesse costando il mantenere
un’espressione neutrale.
“Tonks,”
rispose.
Si schiarì la gola per
dissipare la risata che minacciava di uscire da un momento all’altro, quindi
deglutì, in finto nervosismo, scivolando poi su una sedia dalla parte opposta
della tavola, categoricamente rifiutando di incontrare il suo sguardo.
Aveva pensato di dirle la verità – beh, non era del tutto vero. Aveva pensato
che avrebbe dovuto dirle
la verità, ma ora che vedeva la sua espressione preoccupata e il desiderio di
rimediare che c’era dietro di essa... non voleva essere crudele, ma non poteva
fare a meno di pensare che, confessare in questo momento sarebbe stata
un’occasione sprecata. E ad essere onesti, era curioso
di vedere quanto sarebbe riuscito a tirarla avanti prima che lo scoprisse.
Remus evitò lo sguardo di
Tonks per tutto il tempo della riunione, rimuginando sulla prossima mossa da
fare. Si chiese se ci fosse ancora qualcosa da sfruttare per tormentarla...
Entro la fine dell’incontro,
aveva deciso che la cosa migliore era lasciarla fare, vedere come avesse
intenzione di comportarsi, e partire da lì.
Salutò
brevemente e garbatamente tutti, quindi si ritirò nel soggiorno. Scelse un libro, lo aprì e se lo posò in grembo,
tenendo un dito sul margine della pagina come se stesse per voltarla. E aspettò che lei venisse a cercarlo.
Non molto dopo, sentì Tonks
inciampare sull’ultimo gradino, imprecare fra sé a bassa voce quindi fermarsi
esitante fuori dalla porta. Aspettò qualche momento,
respirò a fondo e lasciò uscire l’aria in un sospiro, poi entrò.
“Ehilà,”
disse piano, entrando nella stanza e chiudendo la porta dietro di sé.
“Ciao.”
Con la coda dell’occhio la
vide fissarsi la punta dei piedi e smuovere appena con la scarpa
il bordo del tappeto, mentre fingeva – abbastanza palesemente - di
essere assorto nella lettura. Il silenzio crebbe, e quando lei infine parlò, la
tensione era così densa che le parole vi si facevano
strada a fatica.
“Come stai?” chiese.
“Bene, grazie.” le rispose. La sua risposta fu piuttosto fredda, come se
fosse decisamente imbarazzato, ma cercasse di non
darlo a vedere. Per coronare l’effetto, aggiunse un altro debole sorriso,
palesemente forzato, alzando a malapena lo sguardo dal libro che ovviamente fingeva
di leggere.
“Non mi sembra che tu stia
bene,” disse.
Remus tacque, fissando
attentamente una figura sul libro.
“Ti senti ancora strano per
ieri notte?” gli chiese. Lui alzò lo sguardo per trovarla a guardarlo con la
stessa espressione preoccupata di quella mattina, ma non appena i loro sguardi si incrociarono, lei si raddrizzò e si fissò le spalle,
tentando ovviamente di mostrarsi per nulla scossa o fargli vedere che si
sentiva strana.
“Strano?”
“Sì.”
Scelse un’espressione di imbarazzata incredulità, decidendo che un altro po’ di
sensi di colpa non avrebbero guastato, e che forse avrebbe potuto far aumentare
ancora un po’ il suo sconforto.
“La scorsa notte ho diviso
con te qualcosa che non avevo mai diviso con nessun altro prima, e tu nemmeno te lo ricordi.” commentò piano,
torturando nervosamente i margini del volume che aveva fra le mani. “ ‘Strano’ riesce lontanamente a rendere l’idea.”
Lei aprì la bocca per dire
qualcosa, ma lui la interruppe prima che ne avesse la
possibilità.
“Sul serio, preferirei
davvero chiudere qui questa conversazione.” Disse,
lanciando l’esca.
“Non credo sia effettivamente
una possibilità, non credi?” rispose, cascandoci, come lui
sperava facesse. Dopo tutto, se lei l’avesse
assecondato e l’avesse lasciato solo, non sarebbe stato poi così divertente. “Se continuiamo a comportarci in modo strano davanti agli
altri, capiranno che è successo qualcosa. Dobbiamo cercare di risolvere la cosa
fra noi, se non altro.”
Remus si domandò cosa
intendesse con ‘se non altro’,
ma lei lo sollevò dal disturbo di pensare effettivamente a ciò in quanto Tonks
continuò.
“Tutti si sentono
un po’ strani dopo – lo sai – la prima volta.
Remus alzò gli occhi al cielo
per nascondere quel sorriso che voleva uscire nel vedere come lei cercava di farlo
sentire meglio. Ma naturalmente lui non si lasciava consolare
tanto facilmente.
“Ti prego non peggiorare le
cose trattandomi con condiscendenza,” si lamentò.
“Non ti stavo...”
“Mi sento già l’uomo più
clamorosamente patetico che sia apparso sulla faccia della terra... Voglio dire
non ho mai avuto questa grande autostima o
consapevolezza di me,” disse, “Ma questa è la prima volta che mi succede
qualcosa che mi fa sentire ancora peggio di quei livelli.”
Si chiese se si fosse spinto
troppo in là, parso troppo avvilito o possibilmente troppo melodrammatico,
ma Tonks attraversò la stanza e si accomodò sul divano, l’espressione
talmente indescrivibile che avrebbe potuto avvicinarsi comunque all’ansia. Si
appoggiò pesantemente al bracciolo del divano, coprendosi la bocca con una mano
e respirando profondamente contro le dita sperando che l’interpretasse come
imbarazzata costernazione, piuttosto che divertimento.
“Mi spiace davvero di non
ricordare.” Mormorò.
“E’ tutto a posto,” rispose, “Non hai bisogno di spiegare. Se avessi dormito
con me, pure io avrei voluto rimuovere tutto.”
“Non è assolutamente questo.
Sono sicura che è stato...”
Esitò, e lui si chiese fra
quali parole stesse decidendo. Bello? Divertente? Perfettamente adeguato? Come pensava sarebbe stato andare a letto con lui?
“Ma
non è questo il problema, no?” intervenne, decidendo che probabilmente non
voleva saperlo. “Tu non hai idea di come è stato, è
non è che non abbia elementi con cui fare il paragone.”
“Guarda,”
iniziò, posandogli timidamente una mano sul braccio. “Sono sicura che non è
niente di personale...”
“Niente di personale?”
domandò, incontrando il suo sguardo con una traccia di orrore
per averlo anche solo suggerito.
“Voglio dire... sono sicura
che non avrei ricordato nessuno.” Serrò i denti per
non scoppiare a ridere.
“E
questo dovrebbe farmi sentire meglio?” disse adottando un tono avvilito che si
abbinava alla sua espressione. Tonks, batté le palpebre un paio di volte,
evidentemente scossa.
“Beh, sì.” Rispose. Remus
sospirò e chiuse gli occhi, incapace di guardarla ancora se non voleva tradirsi.
“Penso di non volerne
parlare.” Ripeté.
Lei inspirò profondamente,
lasciando uscire l’aria lentamente, come se si stesse trattenendo dal dire
qualcosa che non avrebbe dovuto.
“Senti, Remus,” iniziò, abbassando nervosamente lo sguardo. “Sono
dannatamente inutile per questo tipo di cose. In effetti, sono probabilmente la
persona peggiore di questo emisfero con cui potessi
decidere di andare – non so mai cosa dire normalmente, figuriamoci in una – hai
capito – situazione delicata come questa...” il suo
tono di voce si affievolì, apparendo lei stessa avvilita mentre gesticolava con
le mani in segno di scusa.
Remus stava per dire qualcosa quando lei si raddrizzò, essendosi ovviamente
rimproverata mentalmente.
“Ma io – tu – intendo dire
noi – lo abbiamo fatto ed ora non possiamo fare altro che accettare la cosa.” Disse. Lui sorrise appena per la sua sincerità, sperando
che non lo notasse,e pensando che, se fosse successo
veramente, non avrebbe potuto scegliere una persona migliore.
“E sì, è delicato e
imbarazzante e un sacco di altre cose che
probabilmente non dovrebbero essere, ma, lo sai, è capitato, quindi...” Esitò
di nuovo. “Vuoi un abbraccio o qualcosa del genere?” offrì esitante.
Una mezza risata gli scappò
prima che potesse trattenersi e decise che fosse meglio annuire in modo da
sfuggire al suo sguardo per un momento. Lei lo tirò a sé e lui appoggiò la
testa sulla sua spalla, sperando che lei non riuscisse a percepire il suo
sorriso attraverso i vestiti. Lo strinse per rassicurarlo poi gli diede un paio
di colpetti sulla schiena e lo lasciò andare.
Lei le
sorrise incerta e lui per poco non mandò all’aria tutto per dirle la
verità.
“Scusa, sono stato un po’...”
iniziò, ma lei scosse la testa.
“E’ tutto a posto,” lo rassicurò. “Non è che abbia poi avuto queste grandi
idee per affrontare la cosa o di cosa dovremmo fare poi.”
Alla parola ‘poi’ il corpo di
Remus fu percorso da un brivido, ma lui praticamente
non se ne accorse mentre lei continuava.
“Voglio dire, non è che di
solito io vada a letto per caso con la gente...”
Si bloccò, si fece seria e lo
guardò dritto negli occhi. Gli occhi di lei erano
ridotti quasi a due fessure mentre lo squadrava e poi si portò una mano alla
bocca. Attraverso le dita lui riuscì ad intravedere una lontana traccia di
sorriso e capì d’essere stato scoperto. Le sue labbra si incresparono
in un ghigno divertito.
“Non lo faresti.” Affermò,
sebbene anche nel momento in cui pronunciò quelle parole, era chiaro dalla sua
espressione che non ne era affatto sicura. Sgranò gli
occhi, serrò la mascella ed inspirò profondamente attraverso un sorpreso
sorriso tirato. Lui le sorrise esitante, aspettando la
scenata che sicuramente stava per arrivare.
“Non lo farei?” chiese.
“Stavi scherzando,” mormorò, e lui annuì.
Per un minuto sembrò
contemplare una risposta adeguata. Immaginò che stesse soppesando le due
possibilità – sgridarlo e minacciarlo un po’ e poi buttarla sul ridere, oppure
coprirlo di maledizioni e non rivolgergli più la parola. Gli occhi le si offuscarono momentaneamente per la rabbia, ma le sue
labbra continuavano a curvarsi in un sorriso che stava disperatamente cercando
di trasformare in indignazione, lasciandogli credere che avesse scelto la
seconda opzione.
“Tu, bastardo!” esclamò, in
un tono di voce acutissimo, tremando di quello che lui sperò disperatamente
essere divertimento represso. Cercò di apparire
convenientemente pentito, nonostante volesse disperatamente scoppiare a ridere.
“Tu, brutto, assoluto, totale
bastardo!”
Afferrò un cuscino dal divano
ed iniziò a colpirlo, cogliendolo leggermente di sorpresa col primo colpo e
prendendolo sul lato della faccia.
“Hai la minima idea di quanto
io mi sia sentita in colpa oggi?” gridò, sottolineando
ogni parola con una cuscinata. Lui emise un suono
incuriosito prima di scoppiare a ridere mentre lei lo
colpiva, e si ritirò addosso al bracciolo del divano, cercando di evitare le cuscinate meglio che poteva. Alzò le braccia, difendendosi
con il libro che aveva fatto finta di leggere, ridendo come un matto. Gli occhi di lei si soffermarono sui suoi, notando il suo
divertimento. Lo guardò storto, sebbene lui non poté
fare a meno di pensare che l’effetto fosse un po’ attutito dallo scintillio
allegro dei suoi occhi.
“Ho praticamente
fatto un buco nel tappeto del mio ufficio mentre andavo avanti e indietro,
preoccupandomi per te!”
“Per me?” chiese. “Davvero,
non avresti dovuto.”
“Oh, beh, adesso lo so,” sbottò, e anche se adesso sorrideva, il tono di voce era
ancora severo. “Non riesco a crederci, tu, totale, completo bastardo,” borbottò e lo colpì un altro paio di volte in testa col
cuscino.
Lo colpì pure sulla spalla
per pareggiare i conti e si portò il cuscino al petto, abbracciandolo. Respirò
profondamente un paio di volte.
“In effetti,”
disse, “Sei talmente oltre il bastardo, che non hanno ancora inventato una
parola per quello che sei.”
Remus si chiese se avrebbe
potuto osare...
“A dir
la verità,” la corresse, mordendosi il labbro divertito. “Credo che la parola
che stai cercando sia Malandrino.”
Lei alzò il cuscino e lo
fissò molto storto, gli occhi ridotti a due fessure, un’espressione in volto
che immagino lei si aspettasse che lui trovasse
minacciosa. Remus abbassò la testa ma il colpo che si
aspettava non arrivò mai.
“Credevo te lo fossi
dimenticata,” aggiunse, abbassando lentamente il suo
libro scudo e sedendosi diritto, avvicinandosi un po’.
“No,”
rispose. “Solo pensavo tu fossi quello che lasciavano girovagare con loro così
da avere qualcuno che li aiutasse con i compiti.”
“Beh, adesso lo sai.” Disse.
“Sì, adesso lo so. Bastardo.”
Stava per scusarsi
quando lei lo interruppe.
“Ritiro l’abbraccio, comunque.” Disse arrabbiata. Abbracciò di nuovo il cuscino, praticamente tremando per le risate soppresse o per
l’irritazione, non riuscì a definire quale delle due. La lasciò sbollire per un
momento, se era questo quello che stava facendo,
sperando che alla fine riuscisse a vedere il lato divertente della cosa.
“Che
cosa mi ha tradito?” chiese, sorridendole esitante.
“A parte la tua espressione
irritantemente soddisfatta?”
“Sì, a parte quella.”
Tonks sospirò, e Remus
sospettò fosse piuttosto arrabbiata con sé stessa per
esserci caduta quanto lo era con lui per averla presa in giro.
“Quando ho detto
che di solito non vado a letto per caso con la gente, mi sono ricordata di
quello che hai detto quando eravamo dai Malfoy.”
“Ah,”
mormorò, “Quello che ho detto riguardo il fatto che non di solito vado a letto
con le persone di proposito.”
“Già,”
confermò, “Non è una risposta di uno che è vergine.”
Iniziò a torturare la federa
del cuscino, e lui si sentì leggermente male per lui, che veniva
punito per qualcosa che lui aveva fatto.
“Avrei
dovuto accorgermene subito,” commentò, “Se solo non fossi stata così
occupata a sentirmi in colpa...” si fermò per colpirlo
forte sulla spalla.
“Ahia!” esclamò lui, non
facendo in tempo a schivare il colpo.
“... riguardo l’averti derubato della tua innocenza o quello che è,
probabilmente l’avrei capito.”
Lui sorrise.
“Scusa,”
disse, “Quando ti sei svegliata e non ricordavi niente, non ho potuto
resistere.”
“La prossima volta ti
dispiace provarci più seriamente?”
Represse l’istinto di ridere,
pensando che il suo divertimento per l’irritazione di lei
non sarebbe stato apprezzato.
“Sei stata così gentile con
me,” disse.
“Per forza lo ero!” esclamò
lei. “Pensavo d’averti fatto ubriacare e praticamente
forzato a venire a letto con me!”
“Lo pensavo davvero...” si chiese se avrebbe dovuto dire quello che stava per
pronunciare, ma pensò, che dopo tutto quello che le aveva fatto passare, si
meritasse che le venissero risparmiati ulteriori commenti da parte sua, e non
che non fossero veri.
“Intendevo dire
che te la cavi bene in questo genere di cose, meglio di quanto tu creda. Molto
meglio.”
Lo osservò per un momento,
squadrando ogni dettaglio del suo viso, presumibilmente per capire se stesse
scherzando. Le sorrise, sperando di apparire sincero come si
sentiva. Lei alzò gli occhi al cielo e distolse lo sguardo.
“Meglio di quanto pensassi,” commentò, “Ma evidentemente non tanto scaltra quanto
credevo.”
Lui ridacchiò sommessamente,
ed a lui sembrò che anche lei stesse tentando di reprimere l’impulso di
sorridere, e seppe che gran parte della rabbia era svanita.
Scosse la testa e sospirò.
“Avrei dovuto immaginare una
cosa del genere.”
“Forse,”
confermò. Non seppe trattenersi dal tormentarla ancora un po’. “Magari questo ti insegnerà a fare supposizioni sulle persone.”
“Cosa?”
“Credo che adesso tu abbia
smesso di pensare che io sia noioso?”
“Oh, penso ancora che tu sia
noioso,” rispose, “Adesso però penso che tu sia noioso
e bastardo.”
Lui rise sommessamente.
“Pensò che sopravviverò.”
Tacquero entrambi per un istante,
poi guardò Tonks che giocherellava con un filo del cuscino e si chiese a cosa stesse pensando.
“Quindi
non è successo niente?” chiese.
Remus quasi
non riusciva a credere alla sua fortuna. Pensò velocemente a cosa dire, inarcando un sopracciglio ed
offrendole un sorriso d’intesa.
“Oh, qualcosa è successo,” la corresse, “Solo che non eri la prima.”
Tonks spalancò la bocca e
sgranò gli occhi. Gli ci volle un enorme sforzo per non ridere.
Non era certo che ci sarebbe
caduta un’altra volta, ma così era stato e non voleva sprecare l’occasione. Inarcò
le sopracciglia.
“E devo dire,” aggiunse. “Che è un peccato che tu non ricordi, perché sembravi
divertirti parecchio.”
“Sono certa che mi tornerà in
mente,” disse mogia, gli occhi ancora spalancati.
“Certo,”
convenne, coprendosi la bocca con la mano per nascondere il ghigno.
Sapeva che non avrebbe dovuto
farlo, che avrebbe dovuto confessare, ma non riusciva
a resistere. Lei era assolutamente facile da ingannare, e, d’altra parte, era estremamente curioso di vedere come avrebbe preso la
notizia. Non gli era sfuggito il suo sguardo incredulo
all’idea di essere andata a letto con lui.
Tonks serrò le labbra
soprapensiero per un attimo, e poi si appoggiò a l
bracciolo del divano, studiandolo con palesemente falsa casualità.
“Cosa
abbiamo fatto, quindi?” chiese, muovendosi a disagio sul posto.
“Non faccio la spia, Tonks.”
“Nemmeno con la ragazza in
questione?”
“Beh, in genere la ragazza in questione non ha bisogno
che io glielo dica.” Commentò, inarcando un
sopracciglio nella sua direzione. “Generalmente mi fa la cortesia di ricordare.”
Lei alzò gli occhi al cielo.
“Allora cos’è tutta questa
messinscena?” chiese, “Un modo per farmela pagare per aver intaccato il tuo
orgoglio maschile?”
Remus non rispose, sebbene le
fosse alquanto grato per averlo suggerito, in quanto aveva decisamente
molto più senso di tutte le possibili spiegazioni che gli stavano passando per
la mente.
“Senti, mi dispiace davvero
di non ricordare.” Disse. “Ero andata. Sono certa che
non è niente di personale.”
Lui sospirò, non
preoccupandosi di nascondere il suo divertimento.
“Allora, cos’è successo?”
chiese di nuovo, arrossendo appena.
“E’ praticamente
lo stesso di quello che ti ho detto stamattina.” Spiegò. Abbassò la testa e la
guardò negli occhi. “Solo che non avevo bisogno di essere istruito.” Aggiunse.
“Fantastico,”
sbottò, incrociando le braccia ed aggrottando la fronte. “Così ero ubriaca e ti
sono saltata addosso.”
“Non è stato...”
“E
non hai cercato di fermarmi?” chiese. Il leggero tono accusatorio nella sua
voce arrestò qualunque pensiero avesse avuto riguardo
il protestare. Non aveva mai voluto farle credere di essergli saltata addosso,
semplicemente di aver fatto la prima mossa, ma visto
che l’aveva suggerito... Era sempre meglio giocare con le carte che gli altri
ti passavano.
Remus abbassò lo sguardo e si
concentrò sui fili che si stavano staccando dalla copertina del vecchio libro
che stava tenendo. Tacque un istante e poi alzò di nuovo gli occhi.
“Sono vecchio,Tonks,” disse con un tono a metà fra la scusa e il
malizioso, “Non morto.”
Lei deglutì.
“E, beh, tu eri alquanto
insistente,” aggiunse, con tutta la nonchalance che
gli riusciva. Tonks deglutì di nuovo.
“Insistente?” chiese
debolmente.
“Sì,”
rispose ridacchiando sommessamente, “Ad un certo punto ho pensato che non
saremmo nemmeno riusciti ad uscire dalla cucina.”
“Davvero?”
“Beh, mi avevi inchiodato
alla porta.”
“Sul serio?”
Si massaggiò una spalla e le
offrì una falsa smorfia.
“A dir
la verità,” disse piano, “Penso verrà fuori un livido.”
Lei arrossì. Merlino, pensò
Remus, è adorabile quando lo fa.
“Scusa,”
mormorò.
“E’ tutto a posto,” la rassicurò, distogliendo lo sguardo e sorridendo fra sé.
“Non mi è dispiaciuto.”
“Oh,”
commentò lei lentamente.
Le aveva dato sufficienti indizi
per farne ciò che voleva, e per quanto gli sarebbe piaciuto stare lì ad osservarla mentre assimilava queste nuove informazioni,
pensò che questa era decisamente una situazione da menti e fuggi.
“D’accordo,”
disse. “”In ogni caso...”
Appoggiò il libro che l’aveva
aiutato sul bracciolo del divano e si alzò in piedi. Lei lo guardò, sorridendo
timida.
“Che
cosa hai intenzione di fare, adesso?”
“Riparlarne domani mattina?”
suggerì lui, e Tonks annuì. L’avrebbe lasciata cuocere nel
suo brodo tutta la notte, pensò, poi le avrebbe detto la verità.
Forse.
“Buonanotte,”
disse.
Riuscì a trattenere le risate
fino in camera, dove lanciò un incantesimo di silenziamento e scoppiò a ridere.
Non sono adorabili?!? Povera Tonks... ancora non è riuscita a capire che lui
si sta prendendo gioco di lei...
Ma state all’erta, perché la vendetta è vicina… e che
vendetta!
Al prossimo – e ultimo
– capitolo di questa storia.
Ecco a voi il link dove cerco di tenervi aggiornati sulle mie storietraduzioni:
http://nonnaminerva.splinder.com/
A presto.
Nonna Minerva