All’alba
del quinto giorno, Draco Malfoy
si svegliò verso le quattro del mattino; il freddo si era insinuato sotto le
coperte e quel misero plaid non bastava a proteggerlo. Potter gli aveva
mostrato che nell’armadio in mogano situato nel corridoio poteva trovare i
piumoni, quindi Draco si costrinse ad alzarsi e, dopo
aver ripescato un maglione dal pavimento, scese le scale.
Si accorse
che, nonostante il freddo, il suo stomaco pretendeva del cibo, perciò sorpassò
l’armadio e si diresse in cucina. Hermione non gli
faceva mangiare cereali da giorni;
ogni volta che Draco provava ad afferrare la scatola,
anche solo per fare merenda, lei gli diceva che poteva benissimo mangiare
altro. Ormai a colazione mangiava pane imburrato o con la marmellata, lo stesso
di cui si saziava lei; confezioni di burro e marmellata occupavano gran parte
del frigorifero e non sembrava essere un problema.
Draco aprì piano la credenza
e tirò fuori la scatola colorata, versò un po’ di cereali in una scodella e ci
aggiunse del latte. Prese un cucchiaio, la ciotola e si avviò in soggiorno.
Poteva sedersi sul divano e guardare un po’ di tv.
Si
accomodò o almeno così pensò, dato che non quest'ultimo non avrebbe mai potuto
cacciare un urletto. Lo aveva fatto la persona stesa
su di esso.
-
Maledizione, Malfoy! Quello è il mio sedere!
Draco si alzò con uno scatto.
– Granger! Non essere indignata, il tuo deretano è comodo come il divano, sai…
- Stronzo.
- Questo
lo avevamo già appurato. Di grazia, che diamine ci fai sul mio divano? – domandò, cercando tentoni l’interruttore della luce.
Posò la scodella sul tavolino basso e continuò a tastare la parete.
- Tuo
quando te lo compri… - borbottò l’altra. In
quell’istante la luce illuminò la stanza, permettendo a Draco
di vedere la ragazza, stesa sul divano, che si copriva il viso con un plaid a
quadri.
- Insomma?
– incalzò lui, qualche secondo dopo.
- Al piano
di sopra fa freddo – mormorò lei, togliendosi la coperta dal viso e puntando
gli occhi gonfi di sonno sopra la figura del ragazzo.
Draco ghignò. - Provvederò a riscaldare l’ambiente con
qualche incantesimo – ripetè le parole che Hermione aveva pronunciato qualche giorno prima.
Lei sbuffò
e tornò a coprirsi la testa. – Adesso lasciami dormire, è ancora presto.
Il ragazzo
non se lo fece ripetere e, afferrata la sua tazza colma di cereali, se ne tornò
nella sua stanza.
§
- Malfoy, perché, mentre ero via, tutta la mia roba è stata spostata nella tua stanza?
- Perché,
nonostante tu sia la strega più brillante del nostro anno, non sei in grado di
produrre un incantesimo che riscaldi
l’ambiente. Fra parentesi, non credo esistano incantesimi del genere.
- Ma…
- Niente
ma, il tuo sedere non è davvero così comodo come ti ho detto.
§
Passata
una settimana, un gufo picchiettò alla finestra di Draco
Malfoy. Di sicuro era un gufo del Ministero, un
pennuto così piccolo e così irritante poteva solo appartenere a esso. La totale
prova di ciò si palesò quando, dopo aver sfamato il volatile, Draco si accorse che la lettera non era destinata a lui,
bensì a Hermione Granger.
- Stupido
pennuto – borbottò.
Prese la
lettera e la posò sul tavolo, dove sarebbe rimasta se non si fosse accorto che
portava il sigillo del Ministro: ergo, la lettera proveniva proprio da lui.
La prese
fra le mani e, dopo averci pensato qualche minuto, si decise ad aprirla.
Era una
lettera piuttosto lunga, dove l’aggiornava su Harry Potter e Ron Weasley - da quanto aveva capito, erano impossibilitati a
contattarla - e sul suo ufficio. Saltò interamente quella parte e lesse le
ultime righe.
In
tono del tutto confidenziale ti chiedo: come stai? Ti trovi bene lì? So che la
decisione di mandarti nella Londra Babbana è stata
presa così in fretta che a malapena hai avuto il tempo di obbiettare, ma adesso
ho degli Auror liberi. Non sono gli stessi che aveva
prima Draco Malfoy, ma
possono sempre sostituirti nel caso tu ne abbia bisogno.
Fammi
sapere il più presto possibile!
Draco strinse le dita attorno
alla carta e, mentalmente, imprecò.
Hermione non doveva andarsene. L’aveva appena
ritrovata! Lui aveva passato anni a rincorrere quella stupida fantasia dove
forse lei un giorno l’avrebbe visto.
Come si vede una persona, come la si vede per quello che è davvero. Sei anni
passati a camminare su un terreno fatto di chiodi, dove anche il minimo sbaglio
doveva essere ripagato col suo stesso sangue.
Poi, alla
fine del sesto anno, il declino. La sensazione di essere complice, la paura
della morte, il terrore di non poter vivere serenamente nemmeno nella propria
casa. Era stato certo di non poterla più vedere, di aver perso ogni
possibilità, di averla persa. Invece,
uno di quei giorni grigi – quei giorni tutti uguali, tutti caratterizzati dalla
stessa paura di sottofondo – era comparsa insieme a Potter e Weasley nel Manor; per un
momento, era stato contento: l’aveva vista; anche un solo sguardo alla sua
figura pallida e scarna gli aveva sollevato il morale.
Qualche
minuto dopo, Draco aveva desiderato solo morire: le
grida di lei si erano propagate per tutta la casa e, come se avessero
impregnato i muri, ogni volta che Draco camminava per
quei corridoi riusciva ancora a udirne l’eco.
Ora lei
era lì, con lui, e avrebbe fatto di tutto pur di non perderla, di nuovo.
Doveva far
sparire quella lettera, subito. Hermione non doveva
leggerla. Se il Ministro avesse mandato, in un futuro prossimo, un’altra
lettera ove gli chiedeva della precedente, lei avrebbe detto che non l’aveva
ricevuta. Fatto probabile, dato che quel gufo aveva consegnato la lettera a lui; poteva benissimo averla recapitata
a qualcun altro, no?
§
La mattina
dell’ottavo giorno, Draco trovò Hermione
in cucina; stava scribacchiando su un foglio e un cipiglio concentrato le dava
un aspetto fin troppo serio. Quando la ragazza si ritenne soddisfatta,
raddrizzò le spalle e portò alcune ciocche dietro l’orecchio. Prese il foglio e
con un pezzo di scotch magico lo attaccò alla parete.
Draco si avvicinò per vedere
che cosa avesse scritto, la prima parola che attirò la sua attenzione fu: Dieta.
- Granger?
- Sì? – il
rumore delle stoviglie accompagnò la sua risposta.
- Che
cos’è questo coso?
- Oh, la
mia dieta!
- Eh? – fu
tutto quello che gli venne in mente per replicare.
- Mi serve
per dimagrire, Malfoy. Vorrei poter indossare una
gonna per la fine dell’inverno.
- Eh?
Hermione non gli rispose e posò
sul tavolo il necessario per fare la colazione. Draco
notò un barattolo scuro e lo prese fra le mani, se lo rigirò fra le dita chiare
e poi si decise a domandare:
- E
questo?
Lei si
voltò e notò il barattolo che stringeva. – Marmellata senza zucchero – rispose.
Draco ebbe il buon gusto di
non commentare, sollevò un sopracciglio e trattene in gola i dubbi che gli
erano sorti.
Si era
promesso che ce l’avrebbe fatta, che avrebbe trovato il modo di farla rimanere
lì. Contestare le sue decisioni non sarebbe stato d’aiuto.
Spalmò il
burro sul pane in cassetta e si versò un po’ di caffè; finirono la colazione in
assoluto silenzio, ma nessuno dei due osò alzarsi. Di solito, dopo aver bevuto
l’ultimo sorso di caffè, Hermione era già in piedi,
pronta per fare la spesa e qualche commissione. Quel giorno, invece, lei
tentennava.
- Allora,
oggi? – chiese Draco.
Hermione fece per aprire la
bocca, ma esitò. Si morse pensierosa un labbro, con la punta dei polpastrelli
carezzava il legno del tavolo.
- Credo che… rimarrò a casa – rispose infine.
- Ok – fu
la prima risposta che gli venne in mente.
Un altro
minuto di silenzio. Gli occhi di Hermione osservavano
la stanza, come se fosse la prima volta che vedevano quell’abitacolo. Lo
sguardo si soffermò sul frigorifero, poi tornò al tavolo e infine fissò
insistentemente l’orologio appeso alla parete. La ragazza fra le mani stringeva
il manico della tazza; premeva sul coccio scuro, le nocche quasi bianche per lo
sforzo. Per un momento abbassò lo sguardo su Draco –
uno sguardo attraversato da un lampo di colpevolezza che illuminò, proprio come
una vera luce, i pensieri del ragazzo - poi tornò sull’orologio.
-
Aspettiamo qualcosa? – fece lui.
Hermione si morse l’interno di
una guancia.
- …
Qualcuno? – ritentò.
- Non
proprio – mormorò lei. Guardò l’orologio, poi Draco.
Draco aveva capito che Hermione cercava di guardare l’orologio per evitare
qualcos’altro; d’altronde, aveva visto anche sua madre fare la stessa identica
cosa. Narcissa non gli diceva mai nulla, lo
proteggeva come se avesse ancora undici anni e quando alla fine era arrivato il
momento di abbandonarlo, l’unica cosa che era riuscita a dirgli era stata: “Comportati bene”.
Anche dopo una sentenza che l’aveva condannata, anche dopo la fine della
guerra, anche dopo il declino di suo padre – di suo marito – lei manteneva quel suo contegno austero, lo stesso
che le aveva permesso di non crollare mai, nemmeno una volta.
Draco si alzò, posò la tazza
nel lavabo e si trascinò fino al divano. Non sarebbe resistita a lungo, da
quello che aveva compreso su di lei, sapeva bene che l’ozio la faceva
impazzire. Hermione doveva fare qualcosa, mai stare
con le mani in mano.
Lui si
stravaccò sul divano in pelle e attese.
Il
televisore era accesso, ma il ragazzo non lo ascoltava veramente. Udiva a malapena
i rumori di Hermione, che in cucina sistemava le
stoviglie e chiudeva gli sportelli della credenza.
Qualche
minuto dopo, la ragazza si palesò in soggiorno e si andò a sedere vicino a lui.
Ritta, con le spalle contratte, fissava le immagini che il televisore le
proponeva. Batteva la punta del piede sul parquet chiaro mentre chiudeva e
apriva la mano destra.
- Ok,
basta – esalò cinque minuti dopo. – Non posso farcela ancora per molto. Stare
qui a non fare nulla mi sta uccidendo, ma, d’altronde, non posso uscire.
Draco si concentrò sullo
schermo. Odiava quel coso Babbano, inutile e anche inopportuno.
- Perché?
- Aspetto
una lettera.
Il corpo
di lui si irrigidì. – Da chi? – domandò in un sussurro.
- Dal
Ministero, il che non è nemmeno un problema, sapevo che prima o poi mi
avrebbero contattata. Effettivamente, il problema non è la lettera – disse
infine.
- Granger, stai forse impazzendo? – si voltò verso di lei,
una smorfia dipinta in volto.
- Ok,
allora, la lettera c’entra poco. Secondo te, se il Ministero dovesse mandare un
Auror in questa zona per incontrare una persona,
ecco, uhm, poi nello stesso giorno mandasse una lettera a una persona che vive
in questo quartiere – non la stessa persona che doveva incontrare l’Auror - quante probabilità ci sono che l’Auror consegni la lettera a quella persona? Il Ministero
sarebbe più sicuro della consegna, no? Insomma, due piccioni con una fava!
- Due piccioni con una fava? Granger, stai delirando, maledizione.
- È un
modo di dire Babbano, Malfoy
– lo liquidò. – Ecco, molto probabilmente questa lettera mi arriverà per mano
dell’Auror, quindi non posso muovermi da casa. Devo
rimanere qui e aspettare il suo arrivo. Non lo credi anche tu?
I matti vanno assecondati, gli aveva detto una
volta sua madre.
- Fa’ un
po’ come ti pare.
Tornò a
fissare il televisore, conscio che quello fosse l’unico momento per porre
quella domanda.
- Problemi
in paradiso fra te e Weasel?
Lei
sussultò e puntò i suoi occhi sgranati su di lui. – C-Come?
- Oh, beh,
insomma, Granger. Dopo la scenetta dell’altro giorno,
mi pare ovvio che l’Auror di cui parli è Lenticchia.
Hermione aggrottò le sopraciglia
per qualche secondo, spostò lo sguardo dall’altra parte della stanza, poi tornò
su di lui.
- È vero,
è Ron – ammise infine. – Il Ministro mi aveva detto che entro oggi avrei
ricevuto una sua lettera e, beh, il resto della storia lo sai.
Entro oggi avrei ricevuto la lettera. Draco
non si scompose dopo aver udito quelle parole; solo la vena sul suo collo
pulsava, ma non per l’agitazione di esser scoperto, più per la rabbia che
provava in quel momento.
- Allora… - si sforzò di non ringhiare. – Non vuoi incontrare
Weasel?
Lei fece
un segno di diniego.
- Posso
chiederti il perché?
- Be’,
diciamo che non ci siamo lasciati nel migliore dei modi…
insomma, lui ha lasciato me e io ho fatto una scenata pazzesca, di cui mi
vergognerò per i prossimi dieci anni o giù di lì – schioccò la lingua in segno
di disapprovazione. – Mi sono comportata in modo patetico e sto continuando a
farlo.
Quando finì
di parlare, si voltò verso di lui, come per chiedere il suo parere.
- Vuoi
sapere cosa ne penso?
- Se non è
di troppo sforzo per le tue corde vocali – lo canzonò.
- Come mai
ti ha lasciata? – domandò invece.
Hermione lo trafisse con
un’espressione significativa; Draco, guardandola in
volto, capì che lei aveva lo sguardo velato di angoscia repressa, quella che si
sfoga da soli, quando si è a letto e nessuno può vedere o sentire. In quel
momento, gli occhi di Hermione trasmettevano una
tristezza rassegnata. Draco poteva quasi sentire il
sapore agrodolce del sentimento tanto era magnetico il suo sguardo.
- Mi ha
detto che era convinto di essere innamorato, poi però ha capito che l’affetto
che provava per me era qualcosa di fraterno. Sai, tutta quella roba della guerra… La scusa migliore per scaricare una ragazza: dirle
che quello che avete condiviso ha trasformato il tuo amore in amicizia.
- Be’, la
scenata non è stata una cosa molto ragionevole – osservò Draco,
ghignando.
- Gli ho
fatto una scenata perché il giorno dopo l’ho visto baciare la Patil!
- Quale
delle due?
- Non ne
ho idea e non mi interessa.
- Be’, Granger, se ci pensi bene la scenata è stata inappropriata
comunque. Lui ti aveva detto che non era innamorato, quindi era libero di
baciare chiunque.
- E i miei
sentimenti?
- Non è
che un ragazzo può sempre pensare ai sentimenti della sua ex, Granger.
- Malfoy, – lo richiamò lei. – Stai dando ragione a Ron Weasley.
Draco si bloccò, la mano che
giocherellava col telecomando ferma a mezz’aria.
- Si è veramente
meritato quella scenata – disse qualche secondo dopo il ragazzo.
§
Mancavano
tre giorni.
Tre giorni e lei se ne sarebbe andata.
Dal giorno
della chiacchierata su Weasley, non avevano più
parlato di lei o di quello che le era accaduto dopo la guerra. A dire la
verità, si erano parlati poco. Lei, agitata per la lettera che non l’era
arrivata – qualcosa simile al senso di colpa aveva pizzicato Draco, ma lui l’aveva messo a tacere - aveva scritto al
Ministro, ma lui non le aveva ancora risposto.
Si era
arrovellata per giorni, fino a pensare che il Ministro fosse così occupato da
non trovare il tempo di risponderle.
Quel
giorno finirono di fare la spesa, poi tornarono a casa scegliendo di
attraversare i Giardini. Il vento trasportava le foglie sul terreno e procurava
un gradevole rumore di sottofondo, non il solito fischio impetuoso.
I sacchetti colmi di cibo occupavano le mani
di entrambi. Hermione non lo aveva detto
esplicitamente, ma Draco era abbastanza certo che
avesse fatto tutta quella spesa in previsione della sua partenza, sapendo che
lui sarebbe tornato ai soliti cereali con qualche goccia di latte.
-
Sediamoci un momento – esalò lei.
Si
sedettero su una panchina, forse la stessa dove si era steso Draco molti giorni prima, visto che da lì potevano vedere
la statua di Peter Pan.
Hermione cercò di spostare i
capelli che le erano ricaduti sul viso a causa del vento, ma era inutile: i
riccioli continuavano a infastidirla.
Draco osservò il suo profilo:
il naso piccolo, le guance un po’ scavate, gli occhi socchiusi per impedire
all’aria che soffiava di farli lacrimare. Non voleva azzardare troppo ma,
rispetto alla figura scarna che aveva trovato davanti l’uscio dell’appartamento
qualche giorno prima, quella era un’altra persona; sembrava più rilassata, serena… a suo agio con quello che la circondava.
Forse era stato il ritorno nel mondo Babbano.
Ma tanto
se ne sarebbe andata.
Tre giorni.
Socchiuse
gli occhi ed espirò bruscamente. Chi voleva prendere in giro? Si era convinto
che far sparire quella lettera sarebbe bastato per farla restare e invece
eccola lì, pronta ad andarsene il prima possibile.
Non
sarebbe rimasta certo per lui: Hermione aveva la sua
vita, più importante di qualsiasi compito o lavoro.
Lei non
aveva un motivo reale per restare e di certo lui non era in grado di fornirglielo.
Hermione si voltò, poi mormorò:
– Malfoy… - forse voleva dirgli qualcosa di importante o
magari qualcosa di così futile che sarebbe stato inutile anche solo pensarlo,
ma Draco non ebbe il tempo – la volontà - di udirla.
In mezzo
secondo annullò la distanza che c’era fra lui e lei, posò le labbra su quelle
di Hermione, morbide e fredde. Premette piano, ma con
una punta di insistenza; le labbra di Hermione erano
ancora socchiuse, memori di quelle parole non pronunciate. Draco
provò l’impulso di alzare una mano e carezzarle quella guancia liscia, ma si
contenne: capiva quanta distruzione – su se stesso – avrebbe recato quel bacio:
un altro gesto, seppur di minore importanza, non avrebbe
migliorato le cose.
Improvvisamente
si scostò dal volto di lei, giusto in tempo per ricevere in pieno viso il suo
schiaffo.
- Malfoy, ma che diamine fai? – gridò lei. Era sconvolta, la
bocca semiaperta per lo stupore, le gote arrossate per la vergogna e gli occhi
umidi per il vento.
Era bellissima.
Quel
pensiero lo colpì come il dolore di quello schiaffo.
Gli occhi
di lei lo fissavano frenetici, alla ricerca di una spiegazione che non ebbe. Draco chinò il capo, i sottili capelli biondi a nascondere
lo sguardo agitato – agitato perché quel breve contatto aveva smosso qualcosa
dentro di lui, come se tutti i suoi organi avessero cambiato posto.
Si alzò
dalla panchina, con uno scatto si allontanò da lei, le voltò le spalle e si
incamminò verso il più lontano possibile da quella panchina – e da quel bacio.
§
Si era
maledetto più di una volta in quella vita che non aveva mai saputo sfruttare.
Si era
maledetto perché aveva scelto il male.
Si era
maledetto perché aveva scelto i pregiudizi.
Si era
maledetto perché era nato nell’oro, ma aveva sempre dimostrato di meritare solo
melma.
Si era
maledetto perché aveva baciato Hermione Granger, senza spiegarle il motivo di quel gesto così
avventato. Avrebbe dovuto dirle che non l’aveva mai dimenticata, che non
l’aveva mai odiata per il sangue, ma perché lei si era mostrata più brava di
lui, in quel mondo che a lei era stato donato e a lui solo impartito.
I tre
giorni che rimasero li passarono a far finta che l’altro non esistesse; Hermione non aveva fatto domande – di sicuro sapeva che Draco non avrebbe trovato le risposte – e si era limitata a
fare le commissioni senza di lui.
Quando,
all’alba dell’ultimo giorno, un gufo si presentò alla finestra della ragazza, Draco fu indeciso se maledirsi di nuovo o maledire
qualsiasi Dio esistesse. Il gufo recapitò una lettera da parte del Ministro
della Magia, dove quest’ultimo le chiedeva se poteva rimanere un’altra
settimana – al massimo dieci giorni – con Draco Malfoy, poiché tutti gli Auror
erano stati richiesti in una missione della massima importanza.
Hermione Granger
piegò il foglio con assoluta calma, lo infilò nella tasca posteriore dei suoi
jeans e si sedette sul letto.
Un’imprecazione
le irruppe dalle labbra, a voce alta, forse senza accorgersene, dato che la udì
anche Draco. Incuriosito, si presentò alla porta
della ragazza e non ebbe bisogno di chiederle il perché di quell’esclamazione.
- Rimarrò
qui qualche altro giorno.
La vista
di Draco si offuscò, per poi tornare normale.
Evidentemente era destino: si meritava quella notizia. Era stato avventato nel
baciarla così, senza alcuna parola che lasciasse intendere le sue intenzioni:
ora ne pagava le conseguenze.
Guardò Hermione, che ricambiò lo sguardo, strinse i pugni e si
graffiò i palmi con le unghie, cercando di arginare la rabbia che gli stava
montando dentro. Se avesse visto quella scena dall’esterno, come spettatore,
avrebbe riso di cuore; la verità era che quella situazione era surreale: lui
l’aveva baciata, donandole un ricordo che non avrebbe mai avuto se avesse
aspettato. Venire a sapere che era stato inutile farla adirare perché sarebbe
rimasta ancora – giorni fra l’Inferno e il Purgatorio – lo faceva imbestialire.
Hermione si accorse del suo
nervosismo e fraintese: - Tranquillo, chiederò al Ministro di farmi sostituire,
troverà qualcuno.
- Come al
solito non hai capito niente – pronunciò a bassa voce.
La ragazza
inarcò le sopracciglia:
- Scusa?
-
D’altronde non hai mai capito niente, maledizione!
- Ti ho detto
che me ne andrò, smettila di insultarmi!
Draco serrò le palpebre e
sbuffò spazientito. Quel suo tono gli faceva venire voglia di tirare un pugno a
qualcuno.
- Secondo
te perché ti ho baciata? – mormorò, ma Hermione la
udì chiaramente.
Arrossì e
strinse fra le mani il tessuto dei jeans. – Non lo so.
- Di
solito perché le persone si baciano, Granger?
Stavolta
lei boccheggiò, ma si riprese in fretta.
- Malfoy, cosa stai cercando di dirmi?
- Non
voglio che tu te ne vada.
§
Nel
momento stesso in cui Hermione Granger
uscì dalla porta di quell’appartamento, Draco Malfoy provò una sensazione d’abbandono così forte che,
d’istinto, si portò una mano sul cuore e strinse la stoffa che copriva la
pelle. Per fortuna, quel dolore se ne andò in fretta e ne rimase solo l’eco: un
ronzio basso nelle sue orecchie.
Entrò in
cucina, carezzò il ripiano in alluminio finché la punta delle dita non incontrò
la costa del libro che aveva comprato Hermione. Dopo
averlo aperto, senza leggerlo realmente, lo scagliò con forza dall’altra parte
della stanza.
Draco a malapena udì il tonfo
che quello produsse finendo contro il muro. Il ronzio nelle sue orecchie – ancora dolore – era assordante.
§
Non
riusciva più a fare nulla senza pensare a lui. La notte, quando si coricava in
attesa che il sonno la staccasse per qualche ora dai suoi pensieri, si
domandava cosa sarebbe successo se fosse rimasta. Alla fine, se ne era andata
perché lui l’aveva baciata e non per altro: non aveva mai avuto l’intenzione,
prima di quel gesto, di lasciarlo.
Si girò su
un fianco. Le coperte erano maledettamente fredde.
Non voglio che tu te ne vada.
Nemmeno io l’ho mai voluto.
Quando una
chiesa, in lontananza, fece suonare le campane per la messa della domenica
mattina, Hermione era già in piedi, vestita e con la
bacchetta in mano pronta a smaterializzarsi.
§
Tornare
alla solita routine fu piacevole, sotto certi punti di vista. Il suo stomaco si
oppose ai cereali, oramai abituato a carne e pesce; Draco
fu sollevato di non doversi più svegliare alle sette e di poter stare
tranquillo nel suo appartamento, riposandosi e facendo zapping.
Gli Auror che gli erano stati assegnati erano meno svegli di
quelli precedenti, ma erano più inclini a lasciargli fare quello che voleva:
forse, al Ministero, si erano resi conti che la sua vita valeva a malapena uno zellino.
Ripescò il
libro di Pozioni, quello del settimo anno, e lo sfogliò svogliatamente,
cercando di memorizzare qualcosa, con scarso successo. Con uno scatto del polso
chiuse il tomo e si alzò, afferrò il giaccone che giaceva su una sedia e si
chiuse l’uscio di casa alle spalle.
Con le
mani affondate nelle tasche dei pantaloni, si allontanò lungo la strada e
superò il cancello che si apriva sui Kensington Gardens. Non tirava vento e, strano a dirsi, c’era il sole
e un cielo azzurro e limpido. Superò una scolaresca e svoltò a destra, diretto
alla sua panchina; purtroppo, però, la trovò occupata e dovette accontentarsi
di quella di fronte.
Sapeva
benissimo che Hermione se ne era andata perché aveva
avuto paura. Non di lui, ma di quello che sarebbe potuto succedere continuando
a stare vicini; più di una volta aveva provato a sognare un futuro che
coinvolgesse lei, ma non era riuscito a dargli una consistenza finché non aveva
visto che Hermione, effettivamente, si trovava bene
in quell’appartamento e che era rilassata nonostante il compito che doveva
svolgere.
Dopo una
settimana, Draco si chiedeva se fosse ancora
possibile riuscire a vederla un’ultima volta, se lo chiedeva da giorni, ormai.
Il vento
soffiava impetuoso, ignaro dei pensieri che si accumulavano nella mente del
ragazzo: tanti forse, altrettanti se.
Forse avrebbe dovuto sorprendersi di vedere il suo
cappotto e la sua figura esile che si avvicinavano, qualche minuto dopo. O
forse, non ci credeva nemmeno lui a quello che vedeva.
Quando
lei, infine, gli si parò davanti, lui fece un sorriso mesto.
- Sei
tornata, Granger?
Lei non
rispose, abbassò la sciarpa che le copriva la bocca e il naso e deglutì.
- Lo
prendo per un sì?
- Non so
se resterò, Malfoy – Draco
sapeva che non si riferiva al suo incarico, al tempo che doveva trascorrere con
lui per lavoro. No, si riferiva ad altro.
Stavolta
il suo sorriso fu sincero. – Ti sottovaluti?
- Non
abbastanza, dato che sono tornata.
Draco si alzò e fece un passo
avanti, accorciando le distanze fra loro.
- E tu
resterai? – gli domandò Hermione.
Imparerai, Granger,
che è una fossa dalla quale è difficile andarsene.
- Sono un Malfoy, io non mi sottovaluto mai.
Lei
sorrise e si guardò intorno a loro. – Gli Auror si
staranno chiedendo perché sono qui.
Draco posizionò le mani
intorno al viso di lei, le scostò i capelli ricci dal viso e si avvicinò così
tanto che le punte dei loro nasi si incontrarono.
- Dovremo
dargli una risposta, allora – le rispose.
E la
baciò, cosciente che lei non si sarebbe tirata indietro, che sarebbe rimasta.
§
Note:
- Il titolo è preso da un singolo dei
Three Days Grace: Over
and over
Ringraziamenti:
Bene, direi che è d’obbligo ringraziare
per prima la mia Consulente narrativa, Anpuccia
Senior (Padre ti chiama così, sei stata ribattezzata) che mi ha spronata a
finire questa OS infinita. Grazie cucciola, ti devo questo e molto altro (pure
dei soldi, già). Loviù ♥!
Grazie alla mia Beta-Magnifica-Santa-Subito - per voi Venenum - che mi ha insegnato il valore dei lamantini e del fegato dei miei personaggi. E che ha associato un animale per ogni personalità di Hermione (Credo ti manchino i rettili e li hai usati tutti!). Thanks, honey ♥.
E grazie anche a poison spring (non mi va di fare il collegamento ipertestuale, sarai nominata e basta U_U), perché è una vacca, perché ha un gatto bellissimo, perché non è più bionda e perché è mia MaTre ♥.
Credo di
aver finito, con questa OS non ho più creazioni in cantiere, quindi non mi farò
sentire per un po’ XD. Ringrazio chi ha recensito la OS
che ho postato qualche settimana fa (o forse mese? Non ricordo, lol): appena il mio deretano non mi peserà più avrete delle
risposte decenti.