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Autore: Morgana    20/04/2012    4 recensioni
Il primo giorno che era approdato nella sua casa nel West End per poco non si era tostato una mano; la prima volta che era squillato il telefono, lo aveva distrutto con un Avada Kedavra e quando aveva, per sbaglio, acceso il televisore, sedendosi sopra il telecomando, era riuscito a trasformarlo in un piccione che enunciava l’ultima estrazione del lotto. D’altronde, non era mai stato bravo in Trasfigurazione.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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All’alba del quinto giorno, Draco Malfoy si svegliò verso le quattro del mattino; il freddo si era insinuato sotto le coperte e quel misero plaid non bastava a proteggerlo. Potter gli aveva mostrato che nell’armadio in mogano situato nel corridoio poteva trovare i piumoni, quindi Draco si costrinse ad alzarsi e, dopo aver ripescato un maglione dal pavimento, scese le scale.

Si accorse che, nonostante il freddo, il suo stomaco pretendeva del cibo, perciò sorpassò l’armadio e si diresse in cucina. Hermione non gli faceva mangiare cereali da giorni; ogni volta che Draco provava ad afferrare la scatola, anche solo per fare merenda, lei gli diceva che poteva benissimo mangiare altro. Ormai a colazione mangiava pane imburrato o con la marmellata, lo stesso di cui si saziava lei; confezioni di burro e marmellata occupavano gran parte del frigorifero e non sembrava essere un problema.

Draco aprì piano la credenza e tirò fuori la scatola colorata, versò un po’ di cereali in una scodella e ci aggiunse del latte. Prese un cucchiaio, la ciotola e si avviò in soggiorno. Poteva sedersi sul divano e guardare un po’ di tv.

Si accomodò o almeno così pensò, dato che non quest'ultimo non avrebbe mai potuto cacciare un urletto. Lo aveva fatto la persona stesa su di esso.

- Maledizione, Malfoy! Quello è il mio sedere!

Draco si alzò con uno scatto. – Granger! Non essere indignata, il tuo deretano è comodo come il divano, sai…

- Stronzo.

- Questo lo avevamo già appurato. Di grazia, che diamine ci fai sul mio divano? – domandò, cercando tentoni l’interruttore della luce. Posò la scodella sul tavolino basso e continuò a tastare la parete.

- Tuo quando te lo compri… - borbottò l’altra. In quell’istante la luce illuminò la stanza, permettendo a Draco di vedere la ragazza, stesa sul divano, che si copriva il viso con un plaid a quadri.

- Insomma? – incalzò lui, qualche secondo dopo.

- Al piano di sopra fa freddo – mormorò lei, togliendosi la coperta dal viso e puntando gli occhi gonfi di sonno sopra la figura del ragazzo.

Draco ghignò. - Provvederò a riscaldare l’ambiente con qualche incantesimo ripetè le parole che Hermione aveva pronunciato qualche giorno prima.

Lei sbuffò e tornò a coprirsi la testa. – Adesso lasciami dormire, è ancora presto.

Il ragazzo non se lo fece ripetere e, afferrata la sua tazza colma di cereali, se ne tornò nella sua stanza.

 

§

 

- Malfoy, perché, mentre ero via, tutta la mia roba è stata spostata nella tua stanza?

- Perché, nonostante tu sia la strega più brillante del nostro anno, non sei in grado di produrre un incantesimo che riscaldi l’ambiente. Fra parentesi, non credo esistano incantesimi del genere.

- Ma…

- Niente ma, il tuo sedere non è davvero così comodo come ti ho detto.

 

§

 

Passata una settimana, un gufo picchiettò alla finestra di Draco Malfoy. Di sicuro era un gufo del Ministero, un pennuto così piccolo e così irritante poteva solo appartenere a esso. La totale prova di ciò si palesò quando, dopo aver sfamato il volatile, Draco si accorse che la lettera non era destinata a lui, bensì a Hermione Granger.

- Stupido pennuto – borbottò.

Prese la lettera e la posò sul tavolo, dove sarebbe rimasta se non si fosse accorto che portava il sigillo del Ministro: ergo, la lettera proveniva proprio da lui.

La prese fra le mani e, dopo averci pensato qualche minuto, si decise ad aprirla.

Era una lettera piuttosto lunga, dove l’aggiornava su Harry Potter e Ron Weasley - da quanto aveva capito, erano impossibilitati a contattarla - e sul suo ufficio. Saltò interamente quella parte e lesse le ultime righe.

 

In tono del tutto confidenziale ti chiedo: come stai? Ti trovi bene lì? So che la decisione di mandarti nella Londra Babbana è stata presa così in fretta che a malapena hai avuto il tempo di obbiettare, ma adesso ho degli Auror liberi. Non sono gli stessi che aveva prima Draco Malfoy, ma possono sempre sostituirti nel caso tu ne abbia bisogno.

Fammi sapere il più presto possibile!

 

Draco strinse le dita attorno alla carta e, mentalmente, imprecò.

Hermione non doveva andarsene. L’aveva appena ritrovata! Lui aveva passato anni a rincorrere quella stupida fantasia dove forse lei un giorno l’avrebbe visto. Come si vede una persona, come la si vede per quello che è davvero. Sei anni passati a camminare su un terreno fatto di chiodi, dove anche il minimo sbaglio doveva essere ripagato col suo stesso sangue.

Poi, alla fine del sesto anno, il declino. La sensazione di essere complice, la paura della morte, il terrore di non poter vivere serenamente nemmeno nella propria casa. Era stato certo di non poterla più vedere, di aver perso ogni possibilità, di averla persa. Invece, uno di quei giorni grigi – quei giorni tutti uguali, tutti caratterizzati dalla stessa paura di sottofondo – era comparsa insieme a Potter e Weasley nel Manor; per un momento, era stato contento: l’aveva vista; anche un solo sguardo alla sua figura pallida e scarna gli aveva sollevato il morale.

Qualche minuto dopo, Draco aveva desiderato solo morire: le grida di lei si erano propagate per tutta la casa e, come se avessero impregnato i muri, ogni volta che Draco camminava per quei corridoi riusciva ancora a udirne l’eco.

Ora lei era lì, con lui, e avrebbe fatto di tutto pur di non perderla, di nuovo.

Doveva far sparire quella lettera, subito. Hermione non doveva leggerla. Se il Ministro avesse mandato, in un futuro prossimo, un’altra lettera ove gli chiedeva della precedente, lei avrebbe detto che non l’aveva ricevuta. Fatto probabile, dato che quel gufo aveva consegnato la lettera a lui; poteva benissimo averla recapitata a qualcun altro, no?

 

§

 

La mattina dell’ottavo giorno, Draco trovò Hermione in cucina; stava scribacchiando su un foglio e un cipiglio concentrato le dava un aspetto fin troppo serio. Quando la ragazza si ritenne soddisfatta, raddrizzò le spalle e portò alcune ciocche dietro l’orecchio. Prese il foglio e con un pezzo di scotch magico lo attaccò alla parete.

Draco si avvicinò per vedere che cosa avesse scritto, la prima parola che attirò la sua attenzione fu: Dieta.

- Granger?

- Sì? – il rumore delle stoviglie accompagnò la sua risposta.

- Che cos’è questo coso?

- Oh, la mia dieta!

- Eh? – fu tutto quello che gli venne in mente per replicare.

- Mi serve per dimagrire, Malfoy. Vorrei poter indossare una gonna per la fine dell’inverno.

- Eh?

Hermione non gli rispose e posò sul tavolo il necessario per fare la colazione. Draco notò un barattolo scuro e lo prese fra le mani, se lo rigirò fra le dita chiare e poi si decise a domandare:

- E questo?

Lei si voltò e notò il barattolo che stringeva. – Marmellata senza zucchero – rispose.

Draco ebbe il buon gusto di non commentare, sollevò un sopracciglio e trattene in gola i dubbi che gli erano sorti.

Si era promesso che ce l’avrebbe fatta, che avrebbe trovato il modo di farla rimanere lì. Contestare le sue decisioni non sarebbe stato d’aiuto.

Spalmò il burro sul pane in cassetta e si versò un po’ di caffè; finirono la colazione in assoluto silenzio, ma nessuno dei due osò alzarsi. Di solito, dopo aver bevuto l’ultimo sorso di caffè, Hermione era già in piedi, pronta per fare la spesa e qualche commissione. Quel giorno, invece, lei tentennava.

- Allora, oggi? – chiese Draco.

Hermione fece per aprire la bocca, ma esitò. Si morse pensierosa un labbro, con la punta dei polpastrelli carezzava il legno del tavolo.

- Credo che… rimarrò a casa – rispose infine.

- Ok – fu la prima risposta che gli venne in mente.

Un altro minuto di silenzio. Gli occhi di Hermione osservavano la stanza, come se fosse la prima volta che vedevano quell’abitacolo. Lo sguardo si soffermò sul frigorifero, poi tornò al tavolo e infine fissò insistentemente l’orologio appeso alla parete. La ragazza fra le mani stringeva il manico della tazza; premeva sul coccio scuro, le nocche quasi bianche per lo sforzo. Per un momento abbassò lo sguardo su Draco – uno sguardo attraversato da un lampo di colpevolezza che illuminò, proprio come una vera luce, i pensieri del ragazzo - poi tornò sull’orologio.

- Aspettiamo qualcosa? – fece lui.

Hermione si morse l’interno di una guancia.

- … Qualcuno? – ritentò.

- Non proprio – mormorò lei. Guardò l’orologio, poi Draco.

Draco aveva capito che Hermione cercava di guardare l’orologio per evitare qualcos’altro; d’altronde, aveva visto anche sua madre fare la stessa identica cosa. Narcissa non gli diceva mai nulla, lo proteggeva come se avesse ancora undici anni e quando alla fine era arrivato il momento di abbandonarlo, l’unica cosa che era riuscita a dirgli era stata: “Comportati bene”. Anche dopo una sentenza che l’aveva condannata, anche dopo la fine della guerra, anche dopo il declino di suo padre – di suo marito – lei manteneva quel suo contegno austero, lo stesso che le aveva permesso di non crollare mai, nemmeno una volta.

Draco si alzò, posò la tazza nel lavabo e si trascinò fino al divano. Non sarebbe resistita a lungo, da quello che aveva compreso su di lei, sapeva bene che l’ozio la faceva impazzire. Hermione doveva fare qualcosa, mai stare con le mani in mano.

Lui si stravaccò sul divano in pelle e attese.

Il televisore era accesso, ma il ragazzo non lo ascoltava veramente. Udiva a malapena i rumori di Hermione, che in cucina sistemava le stoviglie e chiudeva gli sportelli della credenza.

Qualche minuto dopo, la ragazza si palesò in soggiorno e si andò a sedere vicino a lui. Ritta, con le spalle contratte, fissava le immagini che il televisore le proponeva. Batteva la punta del piede sul parquet chiaro mentre chiudeva e apriva la mano destra.

- Ok, basta – esalò cinque minuti dopo. – Non posso farcela ancora per molto. Stare qui a non fare nulla mi sta uccidendo, ma, d’altronde, non posso uscire.

Draco si concentrò sullo schermo. Odiava quel coso Babbano, inutile e anche inopportuno.

- Perché?

- Aspetto una lettera.

Il corpo di lui si irrigidì. – Da chi? – domandò in un sussurro.

- Dal Ministero, il che non è nemmeno un problema, sapevo che prima o poi mi avrebbero contattata. Effettivamente, il problema non è la lettera – disse infine.

- Granger, stai forse impazzendo? – si voltò verso di lei, una smorfia dipinta in volto.

- Ok, allora, la lettera c’entra poco. Secondo te, se il Ministero dovesse mandare un Auror in questa zona per incontrare una persona, ecco, uhm, poi nello stesso giorno mandasse una lettera a una persona che vive in questo quartiere – non la stessa persona che doveva incontrare l’Auror - quante probabilità ci sono che l’Auror consegni la lettera a quella persona? Il Ministero sarebbe più sicuro della consegna, no? Insomma, due piccioni con una fava!

- Due piccioni con una fava? Granger, stai delirando, maledizione.

- È un modo di dire Babbano, Malfoy – lo liquidò. – Ecco, molto probabilmente questa lettera mi arriverà per mano dell’Auror, quindi non posso muovermi da casa. Devo rimanere qui e aspettare il suo arrivo. Non lo credi anche tu?

I matti vanno assecondati, gli aveva detto una volta sua madre.

- Fa’ un po’ come ti pare.

Tornò a fissare il televisore, conscio che quello fosse l’unico momento per porre quella domanda.

- Problemi in paradiso fra te e Weasel?

Lei sussultò e puntò i suoi occhi sgranati su di lui. – C-Come?  

- Oh, beh, insomma, Granger. Dopo la scenetta dell’altro giorno, mi pare ovvio che l’Auror di cui parli è Lenticchia.

Hermione aggrottò le sopraciglia per qualche secondo, spostò lo sguardo dall’altra parte della stanza, poi tornò su di lui.

- È vero, è Ron – ammise infine. – Il Ministro mi aveva detto che entro oggi avrei ricevuto una sua lettera e, beh, il resto della storia lo sai.

Entro oggi avrei ricevuto la lettera. Draco non si scompose dopo aver udito quelle parole; solo la vena sul suo collo pulsava, ma non per l’agitazione di esser scoperto, più per la rabbia che provava in quel momento.

- Allora… - si sforzò di non ringhiare. – Non vuoi incontrare Weasel?

Lei fece un segno di diniego.

- Posso chiederti il perché?

- Be’, diciamo che non ci siamo lasciati nel migliore dei modi… insomma, lui ha lasciato me e io ho fatto una scenata pazzesca, di cui mi vergognerò per i prossimi dieci anni o giù di lì – schioccò la lingua in segno di disapprovazione. – Mi sono comportata in modo patetico e sto continuando a farlo.

Quando finì di parlare, si voltò verso di lui, come per chiedere il suo parere.

- Vuoi sapere cosa ne penso?

- Se non è di troppo sforzo per le tue corde vocali – lo canzonò.

- Come mai ti ha lasciata? – domandò invece.

Hermione lo trafisse con un’espressione significativa; Draco, guardandola in volto, capì che lei aveva lo sguardo velato di angoscia repressa, quella che si sfoga da soli, quando si è a letto e nessuno può vedere o sentire. In quel momento, gli occhi di Hermione trasmettevano una tristezza rassegnata. Draco poteva quasi sentire il sapore agrodolce del sentimento tanto era magnetico il suo sguardo.

- Mi ha detto che era convinto di essere innamorato, poi però ha capito che l’affetto che provava per me era qualcosa di fraterno. Sai, tutta quella roba della guerra… La scusa migliore per scaricare una ragazza: dirle che quello che avete condiviso ha trasformato il tuo amore in amicizia. 

- Be’, la scenata non è stata una cosa molto ragionevole – osservò Draco, ghignando.

- Gli ho fatto una scenata perché il giorno dopo l’ho visto baciare la Patil!

- Quale delle due?

- Non ne ho idea e non mi interessa.

- Be’, Granger, se ci pensi bene la scenata è stata inappropriata comunque. Lui ti aveva detto che non era innamorato, quindi era libero di baciare chiunque.

- E i miei sentimenti?

- Non è che un ragazzo può sempre pensare ai sentimenti della sua ex, Granger.

- Malfoy, – lo richiamò lei. – Stai dando ragione a Ron Weasley.

Draco si bloccò, la mano che giocherellava col telecomando ferma a mezz’aria.

- Si è veramente meritato quella scenata – disse qualche secondo dopo il ragazzo.

§

 

 

 

Mancavano tre giorni.

Tre giorni e lei se ne sarebbe andata.

Dal giorno della chiacchierata su Weasley, non avevano più parlato di lei o di quello che le era accaduto dopo la guerra. A dire la verità, si erano parlati poco. Lei, agitata per la lettera che non l’era arrivata – qualcosa simile al senso di colpa aveva pizzicato Draco, ma lui l’aveva messo a tacere - aveva scritto al Ministro, ma lui non le aveva ancora risposto.

Si era arrovellata per giorni, fino a pensare che il Ministro fosse così occupato da non trovare il tempo di risponderle.

Quel giorno finirono di fare la spesa, poi tornarono a casa scegliendo di attraversare i Giardini. Il vento trasportava le foglie sul terreno e procurava un gradevole rumore di sottofondo, non il solito fischio impetuoso.

 I sacchetti colmi di cibo occupavano le mani di entrambi. Hermione non lo aveva detto esplicitamente, ma Draco era abbastanza certo che avesse fatto tutta quella spesa in previsione della sua partenza, sapendo che lui sarebbe tornato ai soliti cereali con qualche goccia di latte.

- Sediamoci un momento – esalò lei.

Si sedettero su una panchina, forse la stessa dove si era steso Draco molti giorni prima, visto che da lì potevano vedere la statua di Peter Pan.

Hermione cercò di spostare i capelli che le erano ricaduti sul viso a causa del vento, ma era inutile: i riccioli continuavano a infastidirla.

Draco osservò il suo profilo: il naso piccolo, le guance un po’ scavate, gli occhi socchiusi per impedire all’aria che soffiava di farli lacrimare. Non voleva azzardare troppo ma, rispetto alla figura scarna che aveva trovato davanti l’uscio dell’appartamento qualche giorno prima, quella era un’altra persona; sembrava più rilassata, serena… a suo agio con quello che la circondava.

Forse era stato il ritorno nel mondo Babbano.

Ma tanto se ne sarebbe andata.

Tre giorni.

Socchiuse gli occhi ed espirò bruscamente. Chi voleva prendere in giro? Si era convinto che far sparire quella lettera sarebbe bastato per farla restare e invece eccola lì, pronta ad andarsene il prima possibile.

Non sarebbe rimasta certo per lui: Hermione aveva la sua vita, più importante di qualsiasi compito o lavoro.

Lei non aveva un motivo reale per restare e di certo lui non era in grado di fornirglielo.

Hermione si voltò, poi mormorò:

Malfoy… - forse voleva dirgli qualcosa di importante o magari qualcosa di così futile che sarebbe stato inutile anche solo pensarlo, ma Draco non ebbe il tempo – la volontà - di udirla.

In mezzo secondo annullò la distanza che c’era fra lui e lei, posò le labbra su quelle di Hermione, morbide e fredde. Premette piano, ma con una punta di insistenza; le labbra di Hermione erano ancora socchiuse, memori di quelle parole non pronunciate. Draco provò l’impulso di alzare una mano e carezzarle quella guancia liscia, ma si contenne: capiva quanta distruzione – su se stesso – avrebbe recato quel bacio: un altro gesto, seppur di minore importanza, non avrebbe migliorato le cose.

Improvvisamente si scostò dal volto di lei, giusto in tempo per ricevere in pieno viso il suo schiaffo.

- Malfoy, ma che diamine fai? – gridò lei. Era sconvolta, la bocca semiaperta per lo stupore, le gote arrossate per la vergogna e gli occhi umidi per il vento.

Era bellissima.

Quel pensiero lo colpì come il dolore di quello schiaffo.

Gli occhi di lei lo fissavano frenetici, alla ricerca di una spiegazione che non ebbe. Draco chinò il capo, i sottili capelli biondi a nascondere lo sguardo agitato – agitato perché quel breve contatto aveva smosso qualcosa dentro di lui, come se tutti i suoi organi avessero cambiato posto.

Si alzò dalla panchina, con uno scatto si allontanò da lei, le voltò le spalle e si incamminò verso il più lontano possibile da quella panchina – e da quel bacio.

 

§

 

Si era maledetto più di una volta in quella vita che non aveva mai saputo sfruttare.

Si era maledetto perché aveva scelto il male.

Si era maledetto perché aveva scelto i pregiudizi.

Si era maledetto perché era nato nell’oro, ma aveva sempre dimostrato di meritare solo melma.

Si era maledetto perché aveva baciato Hermione Granger, senza spiegarle il motivo di quel gesto così avventato. Avrebbe dovuto dirle che non l’aveva mai dimenticata, che non l’aveva mai odiata per il sangue, ma perché lei si era mostrata più brava di lui, in quel mondo che a lei era stato donato e a lui solo impartito.

I tre giorni che rimasero li passarono a far finta che l’altro non esistesse; Hermione non aveva fatto domande – di sicuro sapeva che Draco non avrebbe trovato le risposte – e si era limitata a fare le commissioni senza di lui.

Quando, all’alba dell’ultimo giorno, un gufo si presentò alla finestra della ragazza, Draco fu indeciso se maledirsi di nuovo o maledire qualsiasi Dio esistesse. Il gufo recapitò una lettera da parte del Ministro della Magia, dove quest’ultimo le chiedeva se poteva rimanere un’altra settimana – al massimo dieci giorni – con Draco Malfoy, poiché tutti gli Auror erano stati richiesti in una missione della massima importanza.

Hermione Granger piegò il foglio con assoluta calma, lo infilò nella tasca posteriore dei suoi jeans e si sedette sul letto.

Un’imprecazione le irruppe dalle labbra, a voce alta, forse senza accorgersene, dato che la udì anche Draco. Incuriosito, si presentò alla porta della ragazza e non ebbe bisogno di chiederle il perché di quell’esclamazione.

- Rimarrò qui qualche altro giorno.

La vista di Draco si offuscò, per poi tornare normale. Evidentemente era destino: si meritava quella notizia. Era stato avventato nel baciarla così, senza alcuna parola che lasciasse intendere le sue intenzioni: ora ne pagava le conseguenze.

Guardò Hermione, che ricambiò lo sguardo, strinse i pugni e si graffiò i palmi con le unghie, cercando di arginare la rabbia che gli stava montando dentro. Se avesse visto quella scena dall’esterno, come spettatore, avrebbe riso di cuore; la verità era che quella situazione era surreale: lui l’aveva baciata, donandole un ricordo che non avrebbe mai avuto se avesse aspettato. Venire a sapere che era stato inutile farla adirare perché sarebbe rimasta ancora – giorni fra l’Inferno e il Purgatorio – lo faceva imbestialire.

Hermione si accorse del suo nervosismo e fraintese: - Tranquillo, chiederò al Ministro di farmi sostituire, troverà qualcuno.

- Come al solito non hai capito niente – pronunciò a bassa voce.

La ragazza inarcò le sopracciglia:

- Scusa?

- D’altronde non hai mai capito niente, maledizione!

- Ti ho detto che me ne andrò, smettila di insultarmi!

Draco serrò le palpebre e sbuffò spazientito. Quel suo tono gli faceva venire voglia di tirare un pugno a qualcuno.

- Secondo te perché ti ho baciata? – mormorò, ma Hermione la udì chiaramente.

Arrossì e strinse fra le mani il tessuto dei jeans. – Non lo so.

- Di solito perché le persone si baciano, Granger?

Stavolta lei boccheggiò, ma si riprese in fretta.

- Malfoy, cosa stai cercando di dirmi?

- Non voglio che tu te ne vada.

 

§

 

Nel momento stesso in cui Hermione Granger uscì dalla porta di quell’appartamento, Draco Malfoy provò una sensazione d’abbandono così forte che, d’istinto, si portò una mano sul cuore e strinse la stoffa che copriva la pelle. Per fortuna, quel dolore se ne andò in fretta e ne rimase solo l’eco: un ronzio basso nelle sue orecchie.

Entrò in cucina, carezzò il ripiano in alluminio finché la punta delle dita non incontrò la costa del libro che aveva comprato Hermione. Dopo averlo aperto, senza leggerlo realmente, lo scagliò con forza dall’altra parte della stanza.

Draco a malapena udì il tonfo che quello produsse finendo contro il muro. Il ronzio nelle sue orecchie – ancora dolore – era assordante.

 

 

§

 

Non riusciva più a fare nulla senza pensare a lui. La notte, quando si coricava in attesa che il sonno la staccasse per qualche ora dai suoi pensieri, si domandava cosa sarebbe successo se fosse rimasta. Alla fine, se ne era andata perché lui l’aveva baciata e non per altro: non aveva mai avuto l’intenzione, prima di quel gesto, di lasciarlo.

Si girò su un fianco. Le coperte erano maledettamente fredde.

Non voglio che tu te ne vada.

Nemmeno io l’ho mai voluto.

Quando una chiesa, in lontananza, fece suonare le campane per la messa della domenica mattina, Hermione era già in piedi, vestita e con la bacchetta in mano pronta a smaterializzarsi.

 

§

 

Tornare alla solita routine fu piacevole, sotto certi punti di vista. Il suo stomaco si oppose ai cereali, oramai abituato a carne e pesce; Draco fu sollevato di non doversi più svegliare alle sette e di poter stare tranquillo nel suo appartamento, riposandosi e facendo zapping.

Gli Auror che gli erano stati assegnati erano meno svegli di quelli precedenti, ma erano più inclini a lasciargli fare quello che voleva: forse, al Ministero, si erano resi conti che la sua vita valeva a malapena uno zellino.

Ripescò il libro di Pozioni, quello del settimo anno, e lo sfogliò svogliatamente, cercando di memorizzare qualcosa, con scarso successo. Con uno scatto del polso chiuse il tomo e si alzò, afferrò il giaccone che giaceva su una sedia e si chiuse l’uscio di casa alle spalle.

Con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, si allontanò lungo la strada e superò il cancello che si apriva sui Kensington Gardens. Non tirava vento e, strano a dirsi, c’era il sole e un cielo azzurro e limpido. Superò una scolaresca e svoltò a destra, diretto alla sua panchina; purtroppo, però, la trovò occupata e dovette accontentarsi di quella di fronte.

Sapeva benissimo che Hermione se ne era andata perché aveva avuto paura. Non di lui, ma di quello che sarebbe potuto succedere continuando a stare vicini; più di una volta aveva provato a sognare un futuro che coinvolgesse lei, ma non era riuscito a dargli una consistenza finché non aveva visto che Hermione, effettivamente, si trovava bene in quell’appartamento e che era rilassata nonostante il compito che doveva svolgere.

Dopo una settimana, Draco si chiedeva se fosse ancora possibile riuscire a vederla un’ultima volta, se lo chiedeva da giorni, ormai.

Il vento soffiava impetuoso, ignaro dei pensieri che si accumulavano nella mente del ragazzo: tanti forse, altrettanti se.

Forse avrebbe dovuto sorprendersi di vedere il suo cappotto e la sua figura esile che si avvicinavano, qualche minuto dopo. O forse, non ci credeva nemmeno lui a quello che vedeva.

Quando lei, infine, gli si parò davanti, lui fece un sorriso mesto.

- Sei tornata, Granger?

Lei non rispose, abbassò la sciarpa che le copriva la bocca e il naso e deglutì.

- Lo prendo per un sì?

- Non so se resterò, MalfoyDraco sapeva che non si riferiva al suo incarico, al tempo che doveva trascorrere con lui per lavoro. No, si riferiva ad altro.

Stavolta il suo sorriso fu sincero. – Ti sottovaluti?

- Non abbastanza, dato che sono tornata.

Draco si alzò e fece un passo avanti, accorciando le distanze fra loro.

- E tu resterai? – gli domandò Hermione.

Imparerai, Granger, che è una fossa dalla quale è difficile andarsene.

- Sono un Malfoy, io non mi sottovaluto mai.

Lei sorrise e si guardò intorno a loro. – Gli Auror si staranno chiedendo perché sono qui.

Draco posizionò le mani intorno al viso di lei, le scostò i capelli ricci dal viso e si avvicinò così tanto che le punte dei loro nasi si incontrarono.

- Dovremo dargli una risposta, allora – le rispose.

E la baciò, cosciente che lei non si sarebbe tirata indietro, che sarebbe rimasta.

 

§

 

Note:

 

- Il titolo è preso da un singolo dei Three Days Grace: Over and over

 

 

Ringraziamenti:

 

Bene, direi che è d’obbligo ringraziare per prima la mia Consulente narrativa, Anpuccia Senior (Padre ti chiama così, sei stata ribattezzata) che mi ha spronata a finire questa OS infinita. Grazie cucciola, ti devo questo e molto altro (pure dei soldi, già). Loviù!

Grazie alla mia Beta-Magnifica-Santa-Subito - per voi Venenum - che mi ha insegnato il valore dei lamantini e del fegato dei miei personaggi. E che ha associato un animale per ogni personalità di Hermione (Credo ti manchino i rettili e li hai usati tutti!). Thanks, honey .

E grazie anche a poison spring (non mi va di fare il collegamento ipertestuale, sarai nominata e basta U_U), perché è una vacca, perché ha un gatto bellissimo, perché non è più bionda e perché è mia MaTre.

Credo di aver finito, con questa OS non ho più creazioni in cantiere, quindi non mi farò sentire per un po’ XD. Ringrazio chi ha recensito la OS che ho postato qualche settimana fa (o forse mese? Non ricordo, lol): appena il mio deretano non mi peserà più avrete delle risposte decenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

   
 
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