3.
Una pioggerella sottile picchiettava
sul tetto ricoperto di lastre di pietra grigia, mentre la notte avanzava
placida sulle sue ali spiegate.
Le emozioni dirompenti di quel primo
giorno, in compagnia degli zii e dei cugini, avevano così scombussolato Naell
che, ancora troppo agitata per dormire, navigava con lo sguardo nella semi
oscurità della stanza in cui si trovava.
Ormai da ore si chiedeva quando,
finalmente, il sonno avrebbe preso anche lei.
Alla notizia che Naell sarebbe rimasta al
villaggio priva della sua abituale dama di compagnia, Eikhe si era immediatamente
preoccupata che la ragazza potesse sentirsi troppo sola, nella casa di
Antalion, ancora vuota e disabitata.
La principessa, però, aveva presto risolto
l’annosa questione, chiedendo agli zii che un lupo dormisse con lei nella sua
stanza.
La richiesta era subito stata accolta con
un sospiro di sollievo.
Mentre Staryn si era impegnato a terminare
il ritratto di Enyl e Rannyl che era stato invitato a fare – dimostrando
un’abilità davvero sopraffina dipingere – Eikhe aveva mostrato la casa a Naell.
Armata delle sue sacche da viaggio e di un
incrollabile ottimismo, Naell l’aveva seguita con fiducia.
Non appena aveva messo piede
nell’abitazione di Antalion, aveva sospirato di ammirazione nel vedere i tanti
vasi colmi di fiori, e il fresco profumo di cera d’api passata da poco sui
mobili.
L’ambiente, rallegrato da diverse lanterne
appese alle pareti, era accogliente pur se privo degli orpelli che, di solito,
si potevano trovare nelle case abitate.
Nell’oltrepassare la porta che divideva il
soggiorno dalla zona notte, aveva detto alla zia: «Antalion e Liana hanno
costruito una casa davvero molto bella.»
Eikhe le aveva sorriso compiaciuta e,
nell’aprire un battente di pesante legno d’abete rosso, le aveva mostrato la
sua stanza, mormorando: «Qui dormirai tu.»
Sbattendo le palpebre con aria ammirata,
Naell aveva annuito gaia, lieta di poter finalmente iniziare quella
strabiliante avventura.
Stringendosi alla zia, aveva sussurrato
emozionata: «Grazie per l’opportunità che mi state offrendo.»
«E’ importante per tutti noi, che tu
capisca come vive il tuo popolo. Quel che facciamo qui non è così dissimile da
quello che succede negli altri villaggi. Potranno esserci leggi diverse, per
quel che riguarda il rapporto tra uomini e donne ma, per mandare avanti una
casa, servono sempre le stesse cose; olio di gomito e tanta forza di volontà.»
Nel dirlo, le aveva sorriso bonaria, prima
di sospingerla dolcemente all’interno della stanza per proseguire nel suo dire.
«Domani, vedrai come vive una normale
donna-lupo, quali sono i suoi compiti all’interno del villaggio e cosa ci si
aspetta da lei. Naturalmente, inizierai i tuoi lavori solo dopo aver
attentamente visionato quel che c’è da fare e, visto che sei una principessa,
vedremo di non metterti a spaccare legna fin dal primo giorno.»
Naell aveva subito levato lo sguardo a
scrutarla allarmata ed Eikhe, sogghignando divertita, aveva ammesso: «Scherzo.
Alle bambine non diamo il compito di spaccare legna. Non prima dei diciotto
anni, comunque. Prima, farebbero davvero troppa fatica, e sarebbe deleterio per
la loro crescita.»
Un lungo sospiro di sollievo era scaturito
dalle labbra a cuore di Naell mentre Eikhe, nel darle una pacca sulla spalla, l’aveva
rassicurata con dolcezza.
«Nessuno di noi pretenderà niente di
speciale da te, Naell. Sappiamo tutti che la vita di palazzo è diversa da
questa. I bambini che nascono qui sono abituati fin da piccoli a questo genere
di vita, mentre tu no. Impara ciò vedi; è questa la lezione più importante. Non
ti sarà richiesto di eguagliare nessuno, solo di capire.»
«Penso di poterlo fare» aveva assentito
Naell, sedendosi sul letto prima di guardare i propri piedi, infilati in un
paio di morbide pianelle di coniglio, e chiosare: «Sai che è la prima volta che
sono in una camera completamente da sola? Sì, insomma, senza
servitù e bambinaie al seguito.»
«Questo ti preoccupa?» le aveva domandato
Eikhe, sedendosi al suo fianco e passandole un braccio attorno alle spalle.
Scuotendo il capo e lasciando che i lunghi
capelli – ora sciolti – scivolassero sulle sue spalle, Naell aveva
giocherellato per un po’ con alcune ciocche morbide e ondulate, sussurrando
flebilmente: «Ho paura di fare la figura dell’imbranata. Ammetto di essere un
po’ permalosa, per quanto riguarda le critiche.»
Un risolino spontaneo era galleggiato
attorno a loro prima che Eikhe le spiegasse la sua personale esperienza.
«Uno di questi giorni, prova a chiedere ad
Aken cosa successe, durante il nostro viaggio tra i Monti Urlanti. Vedrai
che è una cosa comune a molti.»
Naell si era allora appoggiata alla sua
spalla, mormorando: «Mi manca un po’ la mamma.»
«Non sai che quando una fanciulla-lupo è
lontana da casa per una missione, la donna-lupo più anziana del gruppo di cui
fa parte, le fa da madre?» le aveva spiegato gentilmente Eikhe, dandole un
bacio sulla chioma bruna. «E’ normale che tu ne senta la manca. Tu e Renke
siete sempre state assieme. Ma non temere, andrà tutto bene e, presto, questo
dolore scemerà in qualcosa di più dolce.»
Aveva pianto in silenzio sulla sua spalla
per qualche minuto fin quando, con un ticchettio di unghie, aveva fatto la sua
comparsa Fyn, argenteo alla luce fioca delle lanterne e pronto a fare la
guardia alla loro ospite.
Ora Fyn riposava tranquillo sul tappeto ai
piedi del letto, e il suo respirare sommesso le dava la sicurezza di non essere
sola, di avere assieme a lei qualcuno che si sarebbe battuto con tutto se
stesso per proteggerla.
Allungando una mano, lo carezzò un paio di
volte, assaporandone la morbidezza del manto e la forza dei muscoli sotto
quello strato di candida peluria.
Sapeva che lo zio era il suo compagno da
poco più di un anno ma, da come li aveva visti interagire durante tutto il
giorno, le era parso che fossero affiatati come se si conoscessero da sempre.
Anche lei avrebbe tanto voluto averne uno
ma, nel suo viaggio a Hyo-den, non era contemplato che lei imparasse la lingua
dei lupi.
Avrebbe richiesto troppo tempo, anni e
anni, e lei non poteva permetterselo.
Per quanto moderni e aperti di idee
fossero i suoi genitori, lei rimaneva pur sempre una principessa, e non avrebbe
mai potuto abbandonare tutto per vivere in mezzo ai boschi.
Non era per lei imbracciare un arco per
cacciare o, peggio ancora, avere un lupo da addestrare.
Zio Aken lo aveva fatto per motivi più che
seri, ma il suo sarebbe apparso né più né meno come un capriccio.
Inoltre, lei aveva un’idea piuttosto
romantica della vita tra i boschi e, forse, tutto quello che aveva immaginato
le si sarebbe rivoltato contro già da domani, dinanzi alla cruda realtà dei
fatti.
Forse, sarebbe tornata a Rajana con la
coda tra le gambe, distrutta nello spirito e umiliata a vita.
Drizzandosi a sedere nel bel mezzo del
letto, Naell si diede un paio di schiaffetti sul viso per darsi una scrollata
e, accigliandosi, sbottò: «E’ vero, sono una principessa, ma non sono una
mammoletta! E lo dimostrerò a tutti!»
***
«Naell… Naell…»
Un mugugno si levò
dal cuscino di piume, sul quale Naell teneva poggiato il viso ed Eikhe, con un
mezzo sorriso, la scosse leggermente prima di ripetere il suo nome con un po’
più vigore.
Ancora palesemente rintronata dalla
stanchezza, la ragazzina si volse, mostrandole le spalle e, nuovamente, un
mugugno raggiunse le orecchie di Eikhe.
Ora ridacchiando, la
donna sogghignò divertita prima di levare di colpo le coperte e lasciare che
l’aria fresca della stanza le solleticasse il corpo, ricoperto da una pregiata
camicia da notte.
Subito, Naell strillò di sorpresa e, rizzandosi a sedere sul letto con
il chiaro intento di mandare al diavolo chi l’aveva svegliata, si ritrovò a
fissare il viso abbronzato e sorridente della zia che, serafica, le chiese:
«Sì, tesoro? Dimmi.»
Avvampando in viso con la velocità del
fulmine, Naell rammentò immediatamente dove e perché si trovava lì assieme a Eikhe e, con un
risolino imbarazzato, scese da letto e infilò i piedi nelle pianelle.
«E’ molto tardi, zia?»
«Sono le sette del mattino. Aken sta
preparando la colazione, e Antalion sta mungendo la mucca. Tutto nella norma. I
gemellini si stanno vestendo, e i lupi stanno divorando la loro razione di
carne.»
Detto ciò, schioccò la lingua in direzione
di Fyn che, con un uggiolio allegro e una scodinzolata, se ne andò lesto dopo
averle strusciato il corpo contro una gamba a mo’ di saluto.
A quella vista, Naell sorrise deliziata
prima di chiedere alla zia: «Cosa posso fare?»
«Vestirti?» ipotizzò sorridente Eikhe,
prima di chiederle: «Hai bisogno di una mano?»
«No. Ho portato con me solo abiti che
potessi indossare da sola» le spiegò Naell, avvicinandosi alla cassapanca per
prendere i vestiti che avrebbe messo quel giorno.
Annuendo compiaciuta, Eikhe la scrutò
pensierosa mentre Naell prendeva dal mobile un paio di brache di cuoio, una
camiciola di cotone e una tunica corta in lana secca color fuliggine.
Erano tutti indumenti semplici, senza
ricami particolari o alamari di fattura raffinata, tutte cose che la figlia
sacra approvò in pieno.
Non che temesse l’invidia delle ragazza,
ma era pur sempre giusto non fomentare inutili rivalità.
Per quanto l’educazione, nel villaggio,
prevedesse di non giudicare nessuno dall’aspetto fisico, o dal luogo di
provenienza, tutti sapevano chi fosse Naell.
Non dubitava, perciò, che vi sarebbe stato
qualche incidente diplomatico, per
così dire.
Quando infine Naell fu pronta, la
accompagnò fuori e, tornati che furono sulla via principale, risalirono le
scale che portavano alla veranda dell’abitazione di Eikhe.
Sull’entrata, quindi, esclamò: «Eccoci
qui!»
Un coro di ‘buongiorno’ le investì piacevolmente e Naell, con un gran sorriso,
si accomodò al tavolo della cucina prima di osservare curiosa ciò che si
trovava sul ripiano di legno.
Uova fresche si accompagnavano a toast
ricoperti di burro e marmellata, oltre a latte in quantità e frutta di
stagione.
Servendosi del latte, ne assaporò la bontà
morbida e dolce e, subito dopo, addentò il toast alla marmellata di lamponi,
mormorando: «Mmmhh, delizioso. Ha un sapore così pieno!»
«E’ la fame a parlare» ridacchiò Eikhe,
pur apprezzando il complimento.
«E’ la verità, zia. E’ buonissima!»
esclamò Naell, prima di chiedere loro: «Staryn e gli altri sono già svegli?»
«Che io sappia, no. Non ho ancora visto
nessuno, in giro per il villaggio» le spiegò Eikhe con un risolino.
Accolti nelle case di Hyo-den come ospiti
onorati, i soldati e il principe non si erano ancora fatti vivi in paese, dopo
i bagordi della sera precedente.
Da quel poco che Aken e gli altri potevano
immaginare, sarebbero passate ancora diverse ore, prima che qualcuno di loro si
presentasse al loro cospetto.
Con tutto l’idromele che era corso la notte precedente, e tutti i
balli che erano stati fatti, sia Aken che Eikhe dubitavano che si sarebbe visto
qualcuno prima del pomeriggio.
Naell sogghignò divertita e chiosò: «Se
mamma venisse a sapere che Staryn si è ubriacato con l’idromele, darebbe in
escandescenze.»
«Renke è troppo lontana, per affondare le
unghie nella schiena di quel poveretto. E penso che, almeno per qualche anno,
non ne vorrà più sapere di bere degli alcolici fatti in casa» sghignazzò Aken,
strizzando l’occhio alla nipote, che annuì complice.
Terminato per primo la colazione, Antalion
si alzò in fretta, portando il suo piatto nel lavabo.
Dopo averlo sciacquato, diede un bacio ai
fratellini prima di dire alla madre: «Mi trovi sul retro di casa mia, se hai
bisogno. Lavorerò allo steccato tutto il giorno.» Poi, rivoltosi al padre, gli
chiese: «Hai tempo di raggiungermi, oggi?»
Aken scosse il capo, spiacente,
replicando: «Sono impegnato dai frangi-valanghe. L’altro ieri non abbiamo
finito e, da quel poco che ho visto, ne avremo per tutta la giornata.»
«Fa niente. Ci metterò un po’ più tempo»
scrollò le spalle Antalion, sorridendo a Naell e dicendole allegro: «Buon primo
giorno a Hyo-den, piccola.»
«Grazie, cugino Antalion, e buon lavoro»
disse Naell, con cortesia.
Antalion si fermò a metà di un passo, la
fissò vagamente divertito e asserì: «Naell, non c’è bisogno di usare la formula
di cortesia, qui. Il ‘cugino’ puoi
pure cancellarlo. Sono Antalion. Punto.»
«Va bene» annuì allora Naell, tutta
sorridente.
«Ottimo. A stasera!»
«Ti porterò il pranzo!» gli gridò dietro
Eikhe prima di sentire sbattere la porta.
Naell rise di fronte all’espressione
divertita della zia e, nel terminare il suo uovo sodo, asserì: «Ho finito
anch’io. Cosa devo fare a questo punto?»
Eikhe la seguì al lavabo, le mostrò come
funzionava la pompa che attingeva al pozzo e le spiegò il modo corretto di
ripulire il piatto dai residui di cibo.
Concentrata al massimo, Naell eseguì tutto
ciò che la zia le indicò di fare prima di poggiare il piatto come aveva fatto
Antalion.
Scrutandolo dubbiosa per alcuni secondi,
infine le chiese: «Dubito tu li lasci lì ad asciugarsi. Posso passarli con lo
strofinaccio, se vuoi.»
«Oggi, i piatti spettano ai gemelli. Da
domani, entrerai anche tu nella turnazione, va bene?» le spiegò Eikhe,
avvolgendole le spalle con un braccio.
«D’accordo.»
Rivoltasi poi al compagno, Eikhe disse:
«Porterò anche a te il pranzo, più tardi. Pensi tu a portare Enyl e Rannyl
dall’insegnante?»
«Non ti preoccupare. Li accompagno mentre
raggiungo gli altri. Buona giornata, ragazze» sorrise Aken, alzandosi per dare
un bacio a entrambe.
Eikhe lasciò che il compagno indugiasse un
attimo sulle sue labbra calde prima di scostarsi, sorridergli carica di
promesse e infine andarsene assieme alla nipote per il loro giro esplorativo
nel villaggio.
Quando furono in strada, Naell sorrise
alla zia e domandò con sincera curiosità: «Aken non sente minimamente la
mancanza di Rajana, vero?»
«Se intendi la città, no. Ma voi gli
mancate, come a me, del resto» le spiegò Eikhe, sorridendo divertita quando
vide uscire un paio di soldati da una casa vicina.
Apparivano vagamente storditi, e le facce
erano pallide e vagamente verdognole.
«Troppo idromele.»
Naell non poté fare a meno di ridere di
gusto e, quando passò accanto ai due soldati della guardia, li salutò con calore
pur volendo piegarsi in due per le risate di fronte alle loro espressioni
sconvolte.
Eikhe mostrò lo stesso stoico contegno ma,
non appena raggiunsero le stalle dei puledri, si appoggiò a un box ed esplose
in una calda risata di gola, cui si accodò subito dopo anche Naell.
L’addestratrice di cavalli, nel vederle
così ilari, si avvicinò a loro con la tipica andatura flessuosa delle
donne-lupo e disse: «Fate ridere anche me, belle ragazze.»
Eikhe la salutò con un cenno della mano
prima di scostare la porta della stalla e mormorare: «Guarda tu stessa,
Mesera.»
La donna dai folti capelli scuri scrutò la
strada con i suoi profondi occhi di colomba prima di sgranarli, richiudere la
porta e sogghignare divertita.
Un attimo dopo, esplose a ridere di gusto,
trascinando con sé anche Eikhe e Naell che, con le lacrime agli occhi e un
sorriso ilare, esalò quasi senza voce: «Sono messi malissimo!»
Mesera ammiccò complice, chiosando: «Mai
fidarsi dell’idromele di montagna.»
«Credo che ora lo sappiano anche loro»
assentì Naell, prima di ricomporsi non appena vide alcune giovani ragazze-lupo
sul fondo della stalla.
Gli occhi puntati su di lei con aperta
curiosità, le ragazze si avvicinarono quasi saltellando e, dopo una breve
occhiata alle due adulte ridacchianti, la più coraggiosa del gruppo si rivolse
a Naell.
«Possiamo partecipare anche noi a tanta
ilarità, principessa?»
Scuotendo una mano, Naell si affrettò a
dire: «Solo Naell, per favore e sì, potete partecipare. Guardate fuori, e
ditemi se non sono comici.»
Come un solo corpo, le ragazze si mossero
all’unisono per portarsi nei pressi dell’entrata della stalla e, non appena
scorsero il motivo di tanta ilarità, scoppiarono in risatine divertite e
cinguettanti.
Ghignando allegramente, Naell chiosò:
«Credo che questo particolare non lo racconterò a mio padre. Se scoprisse che i
suoi valenti soldati si sono dati alla pazza gioia, e ora brancolano come dei
fantasmi in cerca di ristoro, non credo ne sarebbe molto fiero.»
Eikhe si asciugò le lacrime dal volto
prima di annuire e asserire: «Sì, è meglio se non glielo accenni.»
Lanciando un’occhiata interessata
all’esterno della stalla, da cui si intravedeva in lontananza la casa di Istrea
– dove aveva dormito Staryn – Naell sogghignò furba e si chiese: «Chissà se mio
fratello è messo come gli altri?»
Le ragazzine compresero immediatamente il
suo pensiero e scoppiarono nuovamente a ridere mentre Mesera, tornando più o
meno seria, le redarguiva bonariamente.
«Per Hevos, bambine! Un po’ di contegno!»
Niente da fare.
Le ragazze risero ancora di più ed Eikhe,
avvolgendo con un braccio le spalle della nipote, le confidò: «Dal numero di
boccali che gli ho visto trangugiare, credo che stamattina non lo vedremo tanto
presto. Ma io terrei questa informazione per te, caso mai ti servisse in
futuro.»
«Grazie, zia.»
Il sorriso di Naell fu così ghignante e
malizioso, che Eikhe rischiò di scoppiare nuovamente a ridere.
Battendo le mani per far tornare un po’
d’ordine tra le truppe, Mesera esclamò: «Molto bene! Ora che ci siamo fatte
quattro risate, riprendiamo il lavoro.»
Poi, rivoltasi a Naell, aggiunse: «Ti
affiderò a Kalia e Nyssa. Loro ti spiegheranno i lavori che svolgono le
ragazzine della tua età. Ora, ho bisogno di tua zia per una giumenta in
travaglio. Se avrete necessità di parlarci, ci troverete in fondo al capannone,
va bene?»
«Mi rimetto ai vostri consigli, Mesera»
annuì compita Naell, prima di notare il sorrisone divertito della donna.
«Meno formalità, bimba. Non siamo a
palazzo, e qui non c’è bisogno di tanti fronzoli, nel parlare» le spiegò
Mesera, dandole una pacca sulla spalla.
«Messaggio ricevuto» annuì allora Naell
prima di voltarsi in direzione delle ragazze-lupo e deglutire vagamente
imbarazzata.
Kalia e Nyssa, due ragazze di circa
quindici anni, alte e sottili come giunchi e abbigliate con le classiche
tuniche di pelle di daino delle donne-lupo, si fecero avanti tutte sorridenti.
Allungata la mano nella loro direzione,
mormorò: «Naell, tanto piacere.»
In un attimo, la principessa fu
letteralmente circondata dalle ragazzine che, tra risatine imbarazzate e
sorrisi sinceri, si presentarono a loro volta prima di essere scansate dalle
due insegnanti di turno di Naell.
«Via, via, abbiamo del lavoro da sbrigare.
Parlerete con la principessa più tardi!»
«Kalia, non fare la presuntuosa solo
perché sei la più grande!» brontolò Frisa, fissandola malamente.
Naell si affrettò a intervenire, dicendo
diplomaticamente: «Kalia ha ragione. Non vorrei mai essere la causa di un
ritardo nei lavori. Mi concederò alle vostre domande non appena avrò capito
come si fa a tenere in mano una pala.»
Le ragazzine a quel punto risero e Nyssa,
ammiccandole complice, le sussurrò all’orecchio: «Ottima mossa, principessa.»
«Naell» le rammentò la bambina,
sorridendole. «Ci tengo davvero.»
«Niente titoli, allora» sentenziò Nyssa,
afferrando una pala da una rastrelliera vicina per porgergliela. «Cominciamo
dalle cose basilari. La pulizia.»
«Va bene» annuì Naell, afferrando a due
mani il manico di legno prima di seguire fiduciosa le sue due insegnanti.
Entrate che furono in un box, mentre alle
loro spalle il capannello di ragazze-lupo andava scemando, Kalia esordì con
tono pacato.
«Saprai sicuramente che i cavalli non sono
solo belli, ma lasciano anche un discreto olezzo, quando fanno i loro
bisognini.»
Naell ridacchiò, annuendo.
«Ho visto spesse volte gli stallieri
mentre pulivano i box, quindi so cosa intendi. Purtroppo, mi era vietato dar
loro una mano. Se la balia mi avesse sorpresa a fare un lavoro del genere,
probabilmente mi avrebbe rinchiusa nello sgabuzzino.»
Kalia e Nyssa ghignarono assieme a lei
mentre Naell, osservando con il naso arricciato ciò che avrebbe dovuto spostare
con la pala, mugugnò: «Perché ho l’impressione che questo lavoro mi lascerà dei
dolori ovunque?»
Nyssa sentenziò bonariamente: «Perché,
evidentemente, sei una ragazza accorta e intuitiva.»
«Non so perché, ma questo complimento non
mi esalta, ora come ora.»
Schiaritasi poi la gola, aggiunse: «Bene.
Come la aggredisco, quella montagna di roba maleodorante?»
Kalia le sorrise comprensiva e, dopo
averle spiegato come tenere la vanga, le ricordò di non caricarsi di pesi eccessivi,
così da non stancarsi subito e farsi venire dei dolori lancinanti alla schiena.
Di buona lena, Naell iniziò il suo primo
lavoro veramente impegnativo e, dopo meno di dieci minuti di quel
carica-e-scarica, si volse col viso accaldato e l’aria stremata in direzione
delle sue insegnanti, esalando: «E voi lo fate tutti i giorni?»
Nyssa le batté una mano sulla spalla,
annuendo e, presa una seconda pala, iniziò a darle una mano.
«Solitamente, siamo in due. Una spala, e
l’altra porta la carretta alla buca del compostaggio. I residui vengono usati
per creare concimi che, in seguito, vengono portati a Marhna e venduti ai
grossisti. Non si butta via praticamente niente, al villaggio.»
«Capisco» esalò Naell, guardandosi le mani
arrossate prima di chiedere a Kalia: «Sarebbe increscioso se indossassi dei
guanti?»
Sgranando leggermente gli occhi, Kalia
arrossì profusamente prima correre fuori dal box per poi tornarne, pochi attimo
dopo, con un paio di guanti di pelle.
«Scusa. Non ci avevo proprio pensato.
Errore mio.»
Infilati i guanti con un moto di
gratitudine, Naell riprese il lavoro di buona lena, pur sentendosi bruciare le
spalle e le braccia per il dolore.
Non voleva sconti di alcun genere, pur
sentendosi prossima al cedimento.
Nyssa, però, la bloccò dopo poco più di
un’ora di quel duro lavoro, prendendo il suo posto.
Prevenendone qualsiasi replica, le spiegò:
«Non ha senso che ti sfianchi subito. Devi provare, non ucciderti. Già Eikhe mi
sgriderà perché ti ho permesso di metterti subito al lavoro, invece di farti
solo vedere cosa facciamo qui.»
«Non glielo dirò» le promise
immediatamente Naell.
Nyssa allora ridacchiò.
«Se ne accorgerà stasera, quando ti
lamenterai per il male ai muscoli. E credimi, ti lamenterai» le predisse
bonariamente la ragazza, lavorando con agilità di movimenti mentre Kalia
annuiva alle parole dell’amica.
Mordendosi un labbro, un’espressione
imbronciata dipinta sul viso acqua e sapone, Naell brontolò: «Dirò che ho
insistito io.»
«Nobile da parte tua, Naell, ma non
occorre che mi copri» replicò Nyssa, facendo poi un cenno a Kalia perché
uscisse con la carriola. «Segui Kalia, così vedrai dove finisce questa roba.
Dopo, andremo a strigliare i cavalli.»
«Quello lo so fare!» esclamò più
tranquilla Naell, ritrovando il sorriso.
«Ottimo.»
Poi, dandole una pacca sulla spalla, Nyssa
le confidò: «Non è mai facile per nessuno, il primo giorno. Solo, noi iniziamo da
piccole, a lavorare nella stalla. Ti abituerai come hanno fatto tutte. Inoltre,
non lavoriamo soltanto.»
«E cioè?» volle sapere Naell, curiosa.
Kalia le strizzò un occhio e la invitò a
seguirla fuori dalla stalla.
All’esterno, l’aria frizzante e il profumo
dei fiori proveniente dal bosco vicino la rallegrarono non poco, dopo il puzzo
non proprio eccellente del box dove aveva lavorato.
Seguendo come un cucciolo fiducioso la sua
insegnante, le sentì dire: «Seguiamo lezioni di cucito, di canto e di ballo,
oltre a studiare matematica, lingue e storia. Tuo zio Aken è uno degli
insegnanti.»
«Davvero?» esalò Naell, più che sorpresa.
Annuendo, Kalia aggiunse: «Lui si occupa
di tutto ciò che riguarda la matematica e il commercio, oltre a impartirci
lezioni di scherma. Sai, dobbiamo stare attente a non farci mettere nel sacco
dai commercianti, quando vendiamo le nostre mercanzie e, all’occorrenza,
dobbiamo saper snudare le daghe con efficienza.»
Naell rise, annuendo, prima di spiegarle:
«Si occupava di commercio anche quando viveva a palazzo. Nessuno meglio di lui
potrebbe insegnarvi come evitare i tiri mancini dei mercanti. Per quel che
riguarda la spada, poi, non potreste avere insegnante migliore.»
Inerpicandosi su per uno stretto viottolo
che conduceva poco fuori il villaggio, Kalia aprì un cancelletto di tronchi
d’albero prima di entrare in un recinto.
Nello scrutare curiosa Naell, le chiese:
«Quanto è diversa, la vita di palazzo, da questa nel villaggio?»
«Credo come il giorno dalla notte» iniziò
col dire Naell, aiutandola a sollevare un grosso tappo di legno, sotto cui si
trovava il compost in fermentazione.
Con un ghigno, poi, la principessa
aggiunse: «A palazzo, sono perennemente controllata a vista dalla balia,
dall’istitutrice, dai maestri di canto e dizione, dall’insegnante di ballo…
insomma, è uno strazio. Devo sempre moderare i toni, mostrarmi carina e
affabile, sorridere in ogni situazione, ricordarmi che sono la principessa
almeno ottanta volte al giorno, camminare ritta ed elegante, portare con
proprietà le pietanze alla bocca…»
Interrompendola con un risolino, Kalia
scosse il capo ed esalò: «E’ uno strazio!»
«Eccome! E considera che i miei genitori
sono dei progressisti, e alcune cose le hanno cambiate, rispetto al passato»
mormorò Naell, reclinando il capo e guardandosi le mani ancora coperte dai
guanti. «Ho solo dodici anni, ma comincio a capire perché lo zio stesse
lentamente spegnendosi, a Rajana. Non c’era aria sufficiente, per lui. Era
soffocato da tutta l’opulenza del palazzo, dalle sue leggi assurde e vetuste,
dal suo protocollo inflessibile.»
«Esistono regole anche qui» ci tenne a
dire Kalia, riprendendo la via del ritorno.
«Oh, lo so» asserì Naell. «E imparate a
seguirle fin da piccoli, come noi. Ma… non so, è come se qui fosse più
semplice, seguirle. Come se fossero meno soffocanti.»
Kalia rifletté un attimo sulle parole
della principessa, prima di assentire.
«Credo che il duro lavoro non ci pesi,
perché sappiamo che tutti lo devono portare avanti, senza distinzione di sesso
o altro. Persino Istrea, che è la Signora del Villaggio, fa i suoi turni in
stalla esattamente come gli altri. Ma non credo dipenda solo da questo. Penso
che anche da te ci siano persone che amano il proprio lavoro, esattamente come
qui.»
«Sì. Mio padre è bravo nel suo mestiere, e
non gli spiace farlo, anche se a volte vorrebbe strangolare qualche ministro, o
prendere a pugni alcuni delegati troppo esuberanti» ammise Naell.
Kalia sorrise a quel commentò e annuì,
replicando: «Il problema credo stia nel fatto che, per quanti lussi o agi uno
possa avere, se quello non è il tuo posto, non ti troverai mai bene. E
viceversa. Qui al villaggio ci sono state ragazze che hanno lasciato perdere
questa vita, si sono sposate con uomini di Marhna e hanno abbandonato la vita
nei boschi. Obbligare qualcuno a seguire un’inclinazione che non è la propria,
porta solo dolore.»
Naell reclinò il capo per un momento,
scrutando nuovamente le sue mani inguantate prima di risollevare lo sguardo e
osservare meditabonda il contorno dei tetti del villaggio.
Le sarebbe piaciuto vivere lì per sempre?
O la sua era una fase di ribellione?
Era sempre stata la più irrequieta, tra i
figli del re, ma questo poteva voler dire di avere la stessa avversione che lo
zio aveva avuto per la vita a palazzo?
Non sapeva dirlo, e la cosa la spaventò un
poco.
Mordendosi un labbro, si volse a guardare
Kalia, che la attendeva paziente sul sentiero, e le domandò incerta: «E se la
vita di palazzo non facesse per me?»
«Allora, hai un grande problema, Naell,
figlia di Ruak e Renke» sospirò Kalia. «Scendiamo. Nyssa si starà chiedendo
dove siamo sparite.»
«Sì, andiamo» annuì la principessa,
riprendendo il cammino.
Sarebbe stata ancora la principessa Naell,
alla fine di quel periodo di vacanza?
O avrebbe rimesso piede a palazzo come una
persona nuova, a cui il mondo opulento della regalità sarebbe stato inviso come
una tempesta di neve tra i monti?
Davvero non ne aveva idea, ma il solo
pensiero la portò a rabbrividire.
Amava la sua famiglia, ma anche lo zio li
amava, eppure si era trasferito lì in pianta stabile.
Certo, lui aveva voluto raggiungere
l’amore della sua vita, il figlio mai conosciuto, perciò la faccenda era
completamente diversa. Eppure…
Sarebbe riuscita a separarsi dalla madre,
dal padre, dai fratelli, pur di vivere lontana dalle regole restrittive imposte
a una principessa?
E, soprattutto, era quello che desiderava
veramente?