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Autore: Mary P_Stark    26/04/2012    2 recensioni
SECONDA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Gli eventi si svolgono a sei anni di distanza dalle vicende narrate in "Occhi di Lupo". Il branco di lupi del villaggio di Hyo-den sembra preso da una strana frenesia e, mentre la principessa Naell giunge nel piccolo paesino tra le montagne, una antica presenza passeggia nei boschi osservando attento ciò che succede a Eikhe e la sua famiglia. Una breve storia per scrutare ancora una volta nelle vite Antalion, Liana e soci. (riferimenti alla storia presenti nel racconto precedente)
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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3.

 
 


  Una pioggerella sottile picchiettava sul tetto ricoperto di lastre di pietra grigia, mentre la notte avanzava placida sulle sue ali spiegate.

Le emozioni dirompenti di quel primo giorno, in compagnia degli zii e dei cugini, avevano così scombussolato Naell che, ancora troppo agitata per dormire, navigava con lo sguardo nella semi oscurità della stanza in cui si trovava.

Ormai da ore si chiedeva quando, finalmente, il sonno avrebbe preso anche lei.

Alla notizia che Naell sarebbe rimasta al villaggio priva della sua abituale dama di compagnia, Eikhe si era immediatamente preoccupata che la ragazza potesse sentirsi troppo sola, nella casa di Antalion, ancora vuota e disabitata.

La principessa, però, aveva presto risolto l’annosa questione, chiedendo agli zii che un lupo dormisse con lei nella sua stanza.

La richiesta era subito stata accolta con un sospiro di sollievo.

Mentre Staryn si era impegnato a terminare il ritratto di Enyl e Rannyl che era stato invitato a fare – dimostrando un’abilità davvero sopraffina dipingere – Eikhe aveva mostrato la casa a Naell.

Armata delle sue sacche da viaggio e di un incrollabile ottimismo, Naell l’aveva seguita con fiducia.

Non appena aveva messo piede nell’abitazione di Antalion, aveva sospirato di ammirazione nel vedere i tanti vasi colmi di fiori, e il fresco profumo di cera d’api passata da poco sui mobili.

L’ambiente, rallegrato da diverse lanterne appese alle pareti, era accogliente pur se privo degli orpelli che, di solito, si potevano trovare nelle case abitate.

Nell’oltrepassare la porta che divideva il soggiorno dalla zona notte, aveva detto alla zia: «Antalion e Liana hanno costruito una casa davvero molto bella.»

Eikhe le aveva sorriso compiaciuta e, nell’aprire un battente di pesante legno d’abete rosso, le aveva mostrato la sua stanza, mormorando: «Qui dormirai tu.»

Sbattendo le palpebre con aria ammirata, Naell aveva annuito gaia, lieta di poter finalmente iniziare quella strabiliante avventura.

Stringendosi alla zia, aveva sussurrato emozionata: «Grazie per l’opportunità che mi state offrendo.»

«E’ importante per tutti noi, che tu capisca come vive il tuo popolo. Quel che facciamo qui non è così dissimile da quello che succede negli altri villaggi. Potranno esserci leggi diverse, per quel che riguarda il rapporto tra uomini e donne ma, per mandare avanti una casa, servono sempre le stesse cose; olio di gomito e tanta forza di volontà.»

Nel dirlo, le aveva sorriso bonaria, prima di sospingerla dolcemente all’interno della stanza per proseguire nel suo dire.

«Domani, vedrai come vive una normale donna-lupo, quali sono i suoi compiti all’interno del villaggio e cosa ci si aspetta da lei. Naturalmente, inizierai i tuoi lavori solo dopo aver attentamente visionato quel che c’è da fare e, visto che sei una principessa, vedremo di non metterti a spaccare legna fin dal primo giorno.»

Naell aveva subito levato lo sguardo a scrutarla allarmata ed Eikhe, sogghignando divertita, aveva ammesso: «Scherzo. Alle bambine non diamo il compito di spaccare legna. Non prima dei diciotto anni, comunque. Prima, farebbero davvero troppa fatica, e sarebbe deleterio per la loro crescita.»

Un lungo sospiro di sollievo era scaturito dalle labbra a cuore di Naell mentre Eikhe, nel darle una pacca sulla spalla, l’aveva rassicurata con dolcezza.

«Nessuno di noi pretenderà niente di speciale da te, Naell. Sappiamo tutti che la vita di palazzo è diversa da questa. I bambini che nascono qui sono abituati fin da piccoli a questo genere di vita, mentre tu no. Impara ciò vedi; è questa la lezione più importante. Non ti sarà richiesto di eguagliare nessuno, solo di capire.»

«Penso di poterlo fare» aveva assentito Naell, sedendosi sul letto prima di guardare i propri piedi, infilati in un paio di morbide pianelle di coniglio, e chiosare: «Sai che è la prima volta che sono in una camera completamente  da sola? Sì, insomma, senza servitù e bambinaie al seguito.»

«Questo ti preoccupa?» le aveva domandato Eikhe, sedendosi al suo fianco e passandole un braccio attorno alle spalle.

Scuotendo il capo e lasciando che i lunghi capelli – ora sciolti – scivolassero sulle sue spalle, Naell aveva giocherellato per un po’ con alcune ciocche morbide e ondulate, sussurrando flebilmente: «Ho paura di fare la figura dell’imbranata. Ammetto di essere un po’ permalosa, per quanto riguarda le critiche.»

Un risolino spontaneo era galleggiato attorno a loro prima che Eikhe le spiegasse la sua personale esperienza.

«Uno di questi giorni, prova a chiedere ad Aken cosa successe, durante il  nostro viaggio tra i Monti Urlanti. Vedrai che è una cosa comune a molti.»

Naell si era allora appoggiata alla sua spalla, mormorando: «Mi manca un po’ la mamma.»

«Non sai che quando una fanciulla-lupo è lontana da casa per una missione, la donna-lupo più anziana del gruppo di cui fa parte, le fa da madre?» le aveva spiegato gentilmente Eikhe, dandole un bacio sulla chioma bruna. «E’ normale che tu ne senta la manca. Tu e Renke siete sempre state assieme. Ma non temere, andrà tutto bene e, presto, questo dolore scemerà in qualcosa di più dolce.»

Aveva pianto in silenzio sulla sua spalla per qualche minuto fin quando, con un ticchettio di unghie, aveva fatto la sua comparsa Fyn, argenteo alla luce fioca delle lanterne e pronto a fare la guardia alla loro ospite.

Ora Fyn riposava tranquillo sul tappeto ai piedi del letto, e il suo respirare sommesso le dava la sicurezza di non essere sola, di avere assieme a lei qualcuno che si sarebbe battuto con tutto se stesso per proteggerla.

Allungando una mano, lo carezzò un paio di volte, assaporandone la morbidezza del manto e la forza dei muscoli sotto quello strato di candida peluria. 

Sapeva che lo zio era il suo compagno da poco più di un anno ma, da come li aveva visti interagire durante tutto il giorno, le era parso che fossero affiatati come se si conoscessero da sempre.

Anche lei avrebbe tanto voluto averne uno ma, nel suo viaggio a Hyo-den, non era contemplato che lei imparasse la lingua dei lupi.

Avrebbe richiesto troppo tempo, anni e anni, e lei non poteva permetterselo.

Per quanto moderni e aperti di idee fossero i suoi genitori, lei rimaneva pur sempre una principessa, e non avrebbe mai potuto abbandonare tutto per vivere in mezzo ai boschi.

Non era per lei imbracciare un arco per cacciare o, peggio ancora, avere un lupo da addestrare.

Zio Aken lo aveva fatto per motivi più che seri, ma il suo sarebbe apparso né più né meno come un capriccio.

Inoltre, lei aveva un’idea piuttosto romantica della vita tra i boschi e, forse, tutto quello che aveva immaginato le si sarebbe rivoltato contro già da domani, dinanzi alla cruda realtà dei fatti.

Forse, sarebbe tornata a Rajana con la coda tra le gambe, distrutta nello spirito e umiliata a vita.

Drizzandosi a sedere nel bel mezzo del letto, Naell si diede un paio di schiaffetti sul viso per darsi una scrollata e, accigliandosi, sbottò: «E’ vero, sono una principessa, ma non sono una mammoletta! E lo dimostrerò a tutti!»

***
  «Naell… Naell…»

  Un mugugno si levò dal cuscino di piume, sul quale Naell teneva poggiato il viso ed Eikhe, con un mezzo sorriso, la scosse leggermente prima di ripetere il suo nome con un po’ più vigore.

  Ancora palesemente rintronata dalla stanchezza, la ragazzina si volse, mostrandole le spalle e, nuovamente, un mugugno raggiunse le orecchie di Eikhe.

  Ora ridacchiando, la donna sogghignò divertita prima di levare di colpo le coperte e lasciare che l’aria fresca della stanza le solleticasse il corpo, ricoperto da una pregiata camicia da notte.

  Subito, Naell strillò di sorpresa e, rizzandosi a sedere sul letto con il chiaro intento di mandare al diavolo chi l’aveva svegliata, si ritrovò a fissare il viso abbronzato e sorridente della zia che, serafica, le chiese: «Sì, tesoro? Dimmi.»

Avvampando in viso con la velocità del fulmine, Naell rammentò immediatamente dove  e perché  si trovava lì assieme a Eikhe e, con un risolino imbarazzato, scese da letto e infilò i piedi nelle pianelle.

«E’ molto tardi, zia?»

«Sono le sette del mattino. Aken sta preparando la colazione, e Antalion sta mungendo la mucca. Tutto nella norma. I gemellini si stanno vestendo, e i lupi stanno divorando la loro razione di carne.»

Detto ciò, schioccò la lingua in direzione di Fyn che, con un uggiolio allegro e una scodinzolata, se ne andò lesto dopo averle strusciato il corpo contro una gamba a mo’ di saluto.

A quella vista, Naell sorrise deliziata prima di chiedere alla zia: «Cosa posso fare?»

«Vestirti?» ipotizzò sorridente Eikhe, prima di chiederle: «Hai bisogno di una mano?»

«No. Ho portato con me solo abiti che potessi indossare da sola» le spiegò Naell, avvicinandosi alla cassapanca per prendere i vestiti che avrebbe messo quel giorno.

Annuendo compiaciuta, Eikhe la scrutò pensierosa mentre Naell prendeva dal mobile un paio di brache di cuoio, una camiciola di cotone e una tunica corta in lana secca color fuliggine.

Erano tutti indumenti semplici, senza ricami particolari o alamari di fattura raffinata, tutte cose che la figlia sacra approvò in pieno.

Non che temesse l’invidia delle ragazza, ma era pur sempre giusto non fomentare inutili rivalità.

Per quanto l’educazione, nel villaggio, prevedesse di non giudicare nessuno dall’aspetto fisico, o dal luogo di provenienza, tutti sapevano chi  fosse Naell.

Non dubitava, perciò, che vi sarebbe stato qualche incidente diplomatico, per così dire.

Quando infine Naell fu pronta, la accompagnò fuori e, tornati che furono sulla via principale, risalirono le scale che portavano alla veranda dell’abitazione di Eikhe.

Sull’entrata, quindi, esclamò: «Eccoci qui!»

Un coro di ‘buongiorno’ le investì piacevolmente e Naell, con un gran sorriso, si accomodò al tavolo della cucina prima di osservare curiosa ciò che si trovava sul ripiano di legno.

Uova fresche si accompagnavano a toast ricoperti di burro e marmellata, oltre a latte in quantità e frutta di stagione.

Servendosi del latte, ne assaporò la bontà morbida e dolce e, subito dopo, addentò il toast alla marmellata di lamponi, mormorando: «Mmmhh, delizioso. Ha un sapore così pieno!»

«E’ la fame a parlare» ridacchiò Eikhe, pur apprezzando il complimento.

«E’ la verità, zia. E’ buonissima!» esclamò Naell, prima di chiedere loro: «Staryn e gli altri sono già svegli?»

«Che io sappia, no. Non ho ancora visto nessuno, in giro per il villaggio» le spiegò Eikhe con un risolino.

Accolti nelle case di Hyo-den come ospiti onorati, i soldati e il principe non si erano ancora fatti vivi in paese, dopo i bagordi della sera precedente.

Da quel poco che Aken e gli altri potevano immaginare, sarebbero passate ancora diverse ore, prima che qualcuno di loro si presentasse al loro cospetto.

Con tutto l’idromele  che era corso la notte precedente, e tutti i balli che erano stati fatti, sia Aken che Eikhe dubitavano che si sarebbe visto qualcuno prima del pomeriggio.

Naell sogghignò divertita e chiosò: «Se mamma venisse a sapere che Staryn si è ubriacato con l’idromele, darebbe in escandescenze.»

«Renke è troppo lontana, per affondare le unghie nella schiena di quel poveretto. E penso che, almeno per qualche anno, non ne vorrà più sapere di bere degli alcolici fatti in casa» sghignazzò Aken, strizzando l’occhio alla nipote, che annuì complice.

Terminato per primo la colazione, Antalion si alzò in fretta, portando il suo piatto nel lavabo.

Dopo averlo sciacquato, diede un bacio ai fratellini prima di dire alla madre: «Mi trovi sul retro di casa mia, se hai bisogno. Lavorerò allo steccato tutto il giorno.» Poi, rivoltosi al padre, gli chiese: «Hai tempo di raggiungermi, oggi?»

Aken scosse il capo, spiacente, replicando: «Sono impegnato dai frangi-valanghe. L’altro ieri non abbiamo finito e, da quel poco che ho visto, ne avremo per tutta la giornata.»

«Fa niente. Ci metterò un po’ più tempo» scrollò le spalle Antalion, sorridendo a Naell e dicendole allegro: «Buon primo giorno a Hyo-den, piccola.»

«Grazie, cugino Antalion, e buon lavoro» disse Naell, con cortesia.

Antalion si fermò a metà di un passo, la fissò vagamente divertito e asserì: «Naell, non c’è bisogno di usare la formula di cortesia, qui. Il ‘cugino’ puoi pure cancellarlo. Sono Antalion. Punto.»

«Va bene» annuì allora Naell, tutta sorridente.

«Ottimo. A stasera!»

«Ti porterò il pranzo!» gli gridò dietro Eikhe prima di sentire sbattere la porta.

Naell rise di fronte all’espressione divertita della zia e, nel terminare il suo uovo sodo, asserì: «Ho finito anch’io. Cosa devo fare a questo punto?»

Eikhe la seguì al lavabo, le mostrò come funzionava la pompa che attingeva al pozzo e le spiegò il modo corretto di ripulire il piatto dai residui di cibo.

Concentrata al massimo, Naell eseguì tutto ciò che la zia le indicò di fare prima di poggiare il piatto come aveva fatto Antalion.

Scrutandolo dubbiosa per alcuni secondi, infine le chiese: «Dubito tu li lasci lì ad asciugarsi. Posso passarli con lo strofinaccio, se vuoi.»

«Oggi, i piatti spettano ai gemelli. Da domani, entrerai anche tu nella turnazione, va bene?» le spiegò Eikhe, avvolgendole le spalle con un braccio.

«D’accordo.»

Rivoltasi poi al compagno, Eikhe disse: «Porterò anche a te il pranzo, più tardi. Pensi tu a portare Enyl e Rannyl dall’insegnante?»

«Non ti preoccupare. Li accompagno mentre raggiungo gli altri. Buona giornata, ragazze» sorrise Aken, alzandosi per dare un bacio a entrambe.

Eikhe lasciò che il compagno indugiasse un attimo sulle sue labbra calde prima di scostarsi, sorridergli carica di promesse e infine andarsene assieme alla nipote per il loro giro esplorativo nel villaggio.

Quando furono in strada, Naell sorrise alla zia e domandò con sincera curiosità: «Aken non sente minimamente la mancanza di Rajana, vero?»

«Se intendi la città, no. Ma voi gli mancate, come a me, del resto» le spiegò Eikhe, sorridendo divertita quando vide uscire un paio di soldati da una casa vicina.

Apparivano vagamente storditi, e le facce erano pallide e vagamente verdognole.

«Troppo idromele.»

Naell non poté fare a meno di ridere di gusto e, quando passò accanto ai due soldati della guardia, li salutò con calore pur volendo piegarsi in due per le risate di fronte alle loro espressioni sconvolte.

Eikhe mostrò lo stesso stoico contegno ma, non appena raggiunsero le stalle dei puledri, si appoggiò a un box ed esplose in una calda risata di gola, cui si accodò subito dopo anche Naell.

L’addestratrice di cavalli, nel vederle così ilari, si avvicinò a loro con la tipica andatura flessuosa delle donne-lupo e disse: «Fate ridere anche me, belle ragazze.»

Eikhe la salutò con un cenno della mano prima di scostare la porta della stalla e mormorare: «Guarda tu stessa, Mesera.»

La donna dai folti capelli scuri scrutò la strada con i suoi profondi occhi di colomba prima di sgranarli, richiudere la porta e sogghignare divertita.

Un attimo dopo, esplose a ridere di gusto, trascinando con sé anche Eikhe e Naell che, con le lacrime agli occhi e un sorriso ilare, esalò quasi senza voce: «Sono messi malissimo!»

Mesera ammiccò complice, chiosando: «Mai fidarsi dell’idromele di montagna.»

«Credo che ora lo sappiano anche loro» assentì Naell, prima di ricomporsi non appena vide alcune giovani ragazze-lupo sul fondo della stalla.

Gli occhi puntati su di lei con aperta curiosità, le ragazze si avvicinarono quasi saltellando e, dopo una breve occhiata alle due adulte ridacchianti, la più coraggiosa del gruppo si rivolse a Naell.

«Possiamo partecipare anche noi a tanta ilarità, principessa?»

Scuotendo una mano, Naell si affrettò a dire: «Solo Naell, per favore e sì, potete partecipare. Guardate fuori, e ditemi se non sono comici.»

Come un solo corpo, le ragazze si mossero all’unisono per portarsi nei pressi dell’entrata della stalla e, non appena scorsero il motivo di tanta ilarità, scoppiarono in risatine divertite e cinguettanti.

Ghignando allegramente, Naell chiosò: «Credo che questo particolare non lo racconterò a mio padre. Se scoprisse che i suoi valenti soldati si sono dati alla pazza gioia, e ora brancolano come dei fantasmi in cerca di ristoro, non credo ne sarebbe molto fiero.»

Eikhe si asciugò le lacrime dal volto prima di annuire e asserire: «Sì, è meglio se non glielo accenni.»

Lanciando un’occhiata interessata all’esterno della stalla, da cui si intravedeva in lontananza la casa di Istrea – dove aveva dormito Staryn – Naell sogghignò furba e si chiese: «Chissà se mio fratello è messo come gli altri?»

Le ragazzine compresero immediatamente il suo pensiero e scoppiarono nuovamente a ridere mentre Mesera, tornando più o meno seria, le redarguiva bonariamente.

«Per Hevos, bambine! Un po’ di contegno!»

Niente da fare.

Le ragazze risero ancora di più ed Eikhe, avvolgendo con un braccio le spalle della nipote, le confidò: «Dal numero di boccali che gli ho visto trangugiare, credo che stamattina non lo vedremo tanto presto. Ma io terrei questa informazione per te, caso mai ti servisse in futuro.»

«Grazie, zia.»

Il sorriso di Naell fu così ghignante e malizioso, che Eikhe rischiò di scoppiare nuovamente a ridere.

Battendo le mani per far tornare un po’ d’ordine tra le truppe, Mesera esclamò: «Molto bene! Ora che ci siamo fatte quattro risate, riprendiamo il lavoro.»

Poi, rivoltasi a Naell, aggiunse: «Ti affiderò a Kalia e Nyssa. Loro ti spiegheranno i lavori che svolgono le ragazzine della tua età. Ora, ho bisogno di tua zia per una giumenta in travaglio. Se avrete necessità di parlarci, ci troverete in fondo al capannone, va bene?»

«Mi rimetto ai vostri consigli, Mesera» annuì compita Naell, prima di notare il sorrisone divertito della donna.

«Meno formalità, bimba. Non siamo a palazzo, e qui non c’è bisogno di tanti fronzoli, nel parlare» le spiegò Mesera, dandole una pacca sulla spalla.

«Messaggio ricevuto» annuì allora Naell prima di voltarsi in direzione delle ragazze-lupo e deglutire vagamente imbarazzata.

Kalia e Nyssa, due ragazze di circa quindici anni, alte e sottili come giunchi e abbigliate con le classiche tuniche di pelle di daino delle donne-lupo, si fecero avanti tutte sorridenti.

Allungata la mano nella loro direzione, mormorò: «Naell, tanto piacere.»

In un attimo, la principessa fu letteralmente circondata dalle ragazzine che, tra risatine imbarazzate e sorrisi sinceri, si presentarono a loro volta prima di essere scansate dalle due insegnanti di turno di Naell.

«Via, via, abbiamo del lavoro da sbrigare. Parlerete con la principessa più tardi!»

«Kalia, non fare la presuntuosa solo perché sei la più grande!» brontolò Frisa, fissandola malamente.

Naell si affrettò a intervenire, dicendo diplomaticamente: «Kalia ha ragione. Non vorrei mai essere la causa di un ritardo nei lavori. Mi concederò alle vostre domande non appena avrò capito come si fa a tenere in mano una pala.»

Le ragazzine a quel punto risero e Nyssa, ammiccandole complice, le sussurrò all’orecchio: «Ottima mossa, principessa.»

«Naell» le rammentò la bambina, sorridendole. «Ci tengo davvero.»

«Niente titoli, allora» sentenziò Nyssa, afferrando una pala da una rastrelliera vicina per porgergliela. «Cominciamo dalle cose basilari. La pulizia.»

«Va bene» annuì Naell, afferrando a due mani il manico di legno prima di seguire fiduciosa le sue due insegnanti.

Entrate che furono in un box, mentre alle loro spalle il capannello di ragazze-lupo andava scemando, Kalia esordì con tono pacato.

«Saprai sicuramente che i cavalli non sono solo belli, ma lasciano anche un discreto olezzo, quando fanno i loro bisognini.»

Naell ridacchiò, annuendo.

«Ho visto spesse volte gli stallieri mentre pulivano i box, quindi so cosa intendi. Purtroppo, mi era vietato dar loro una mano. Se la balia mi avesse sorpresa a fare un lavoro del genere, probabilmente mi avrebbe rinchiusa nello sgabuzzino.»

Kalia e Nyssa ghignarono assieme a lei mentre Naell, osservando con il naso arricciato ciò che avrebbe dovuto spostare con la pala, mugugnò: «Perché ho l’impressione che questo lavoro mi lascerà dei dolori ovunque?»

Nyssa sentenziò bonariamente: «Perché, evidentemente, sei una ragazza accorta e intuitiva.»

«Non so perché, ma questo complimento non mi esalta, ora come ora.»

Schiaritasi poi la gola, aggiunse: «Bene. Come la aggredisco, quella montagna di roba maleodorante?»

Kalia le sorrise comprensiva e, dopo averle spiegato come tenere la vanga, le ricordò di non caricarsi di pesi eccessivi, così da non stancarsi subito e farsi venire dei dolori lancinanti alla schiena.

Di buona lena, Naell iniziò il suo primo lavoro veramente  impegnativo e, dopo meno di dieci minuti di quel carica-e-scarica, si volse col viso accaldato e l’aria stremata in direzione delle sue insegnanti, esalando: «E voi lo fate tutti i giorni?»

Nyssa le batté una mano sulla spalla, annuendo e, presa una seconda pala, iniziò a darle una mano.

«Solitamente, siamo in due. Una spala, e l’altra porta la carretta alla buca del compostaggio. I residui vengono usati per creare concimi che, in seguito, vengono portati a Marhna e venduti ai grossisti. Non si butta via praticamente niente, al villaggio.»

«Capisco» esalò Naell, guardandosi le mani arrossate prima di chiedere a Kalia: «Sarebbe increscioso se indossassi dei guanti?»

Sgranando leggermente gli occhi, Kalia arrossì profusamente prima correre fuori dal box per poi tornarne, pochi attimo dopo, con un paio di guanti di pelle.

«Scusa. Non ci avevo proprio pensato. Errore mio.»

Infilati i guanti con un moto di gratitudine, Naell riprese il lavoro di buona lena, pur sentendosi bruciare le spalle e le braccia per il dolore.

Non voleva sconti di alcun genere, pur sentendosi prossima al cedimento.

Nyssa, però, la bloccò dopo poco più di un’ora di quel duro lavoro, prendendo il suo posto.

Prevenendone qualsiasi replica, le spiegò: «Non ha senso che ti sfianchi subito. Devi provare, non ucciderti. Già Eikhe mi sgriderà perché ti ho permesso di metterti subito al lavoro, invece di farti solo vedere cosa facciamo qui.»

«Non glielo dirò» le promise immediatamente Naell.

Nyssa allora ridacchiò.

«Se ne accorgerà stasera, quando ti lamenterai per il male ai muscoli. E credimi, ti lamenterai» le predisse bonariamente la ragazza, lavorando con agilità di movimenti mentre Kalia annuiva alle parole dell’amica.

Mordendosi un labbro, un’espressione imbronciata dipinta sul viso acqua e sapone, Naell brontolò: «Dirò che ho insistito io.»

«Nobile da parte tua, Naell, ma non occorre che mi copri» replicò Nyssa, facendo poi un cenno a Kalia perché uscisse con la carriola. «Segui Kalia, così vedrai dove finisce questa roba. Dopo, andremo a strigliare i cavalli.»

«Quello lo so fare!» esclamò più tranquilla Naell, ritrovando il sorriso.

«Ottimo.»

Poi, dandole una pacca sulla spalla, Nyssa le confidò: «Non è mai facile per nessuno, il primo giorno. Solo, noi iniziamo da piccole, a lavorare nella stalla. Ti abituerai come hanno fatto tutte. Inoltre, non lavoriamo soltanto.»

«E cioè?» volle sapere Naell, curiosa.

Kalia le strizzò un occhio e la invitò a seguirla fuori dalla stalla.

All’esterno, l’aria frizzante e il profumo dei fiori proveniente dal bosco vicino la rallegrarono non poco, dopo il puzzo non proprio eccellente del box dove aveva lavorato.

Seguendo come un cucciolo fiducioso la sua insegnante, le sentì dire: «Seguiamo lezioni di cucito, di canto e di ballo, oltre a studiare matematica, lingue e storia. Tuo zio Aken è uno degli insegnanti.»

«Davvero?» esalò Naell, più che sorpresa.

Annuendo, Kalia aggiunse: «Lui si occupa di tutto ciò che riguarda la matematica e il commercio, oltre a impartirci lezioni di scherma. Sai, dobbiamo stare attente a non farci mettere nel sacco dai commercianti, quando vendiamo le nostre mercanzie e, all’occorrenza, dobbiamo saper snudare le daghe con efficienza.»

Naell rise, annuendo, prima di spiegarle: «Si occupava di commercio anche quando viveva a palazzo. Nessuno meglio di lui potrebbe insegnarvi come evitare i tiri mancini dei mercanti. Per quel che riguarda la spada, poi, non potreste avere insegnante migliore.»

Inerpicandosi su per uno stretto viottolo che conduceva poco fuori il villaggio, Kalia aprì un cancelletto di tronchi d’albero prima di entrare in un recinto.

Nello scrutare curiosa Naell, le chiese: «Quanto è diversa, la vita di palazzo, da questa nel villaggio?»

«Credo come il giorno dalla notte» iniziò col dire Naell, aiutandola a sollevare un grosso tappo di legno, sotto cui si trovava il compost in fermentazione.

Con un ghigno, poi, la principessa aggiunse: «A palazzo, sono perennemente controllata a vista dalla balia, dall’istitutrice, dai maestri di canto e dizione, dall’insegnante di ballo… insomma, è uno strazio. Devo sempre moderare i toni, mostrarmi carina e affabile, sorridere in ogni situazione, ricordarmi che sono la principessa almeno ottanta volte al giorno, camminare ritta ed elegante, portare con proprietà le pietanze alla bocca…»

Interrompendola con un risolino, Kalia scosse il capo ed esalò: «E’ uno strazio!»

«Eccome! E considera che i miei genitori sono dei progressisti, e alcune cose le hanno cambiate, rispetto al passato» mormorò Naell, reclinando il capo e guardandosi le mani ancora coperte dai guanti. «Ho solo dodici anni, ma comincio a capire perché lo zio stesse lentamente spegnendosi, a Rajana. Non c’era aria sufficiente, per lui. Era soffocato da tutta l’opulenza del palazzo, dalle sue leggi assurde e vetuste, dal suo protocollo inflessibile.»

«Esistono regole anche qui» ci tenne a dire Kalia, riprendendo la via del ritorno.

«Oh, lo so» asserì Naell. «E imparate a seguirle fin da piccoli, come noi. Ma… non so, è come se qui fosse più semplice, seguirle. Come se fossero meno soffocanti.»

Kalia rifletté un attimo sulle parole della principessa, prima di assentire.

«Credo che il duro lavoro non ci pesi, perché sappiamo che tutti lo devono portare avanti, senza distinzione di sesso o altro. Persino Istrea, che è la Signora del Villaggio, fa i suoi turni in stalla esattamente come gli altri. Ma non credo dipenda solo da questo. Penso che anche da te ci siano persone che amano il proprio lavoro, esattamente come qui.»

«Sì. Mio padre è bravo nel suo mestiere, e non gli spiace farlo, anche se a volte vorrebbe strangolare qualche ministro, o prendere a pugni alcuni delegati troppo esuberanti» ammise Naell.

Kalia sorrise a quel commentò e annuì, replicando: «Il problema credo stia nel fatto che, per quanti lussi o agi uno possa avere, se quello non è il tuo posto, non ti troverai mai bene. E viceversa. Qui al villaggio ci sono state ragazze che hanno lasciato perdere questa vita, si sono sposate con uomini di Marhna e hanno abbandonato la vita nei boschi. Obbligare qualcuno a seguire un’inclinazione che non è la propria, porta solo dolore.»

Naell reclinò il capo per un momento, scrutando nuovamente le sue mani inguantate prima di risollevare lo sguardo e osservare meditabonda il contorno dei tetti del villaggio.

Le sarebbe piaciuto vivere lì per sempre? O la sua era una fase di ribellione?

Era sempre stata la più irrequieta, tra i figli del re, ma questo poteva voler dire di avere la stessa avversione che lo zio aveva avuto per la vita a palazzo?

Non sapeva dirlo, e la cosa la spaventò un poco.

Mordendosi un labbro, si volse a guardare Kalia, che la attendeva paziente sul sentiero, e le domandò incerta: «E se la vita di palazzo non facesse per me?»

«Allora, hai un grande problema, Naell, figlia di Ruak e Renke» sospirò Kalia. «Scendiamo. Nyssa si starà chiedendo dove siamo sparite.»

«Sì, andiamo» annuì la principessa, riprendendo il cammino.

Sarebbe stata ancora la principessa Naell, alla fine di quel periodo di vacanza?

O avrebbe rimesso piede a palazzo come una persona nuova, a cui il mondo opulento della regalità sarebbe stato inviso come una tempesta di neve tra i monti?

Davvero non ne aveva idea, ma il solo pensiero la portò a rabbrividire.

Amava la sua famiglia, ma anche lo zio li amava, eppure si era trasferito lì in pianta stabile.

Certo, lui aveva voluto raggiungere l’amore della sua vita, il figlio mai conosciuto, perciò la faccenda era completamente diversa. Eppure…

Sarebbe riuscita a separarsi dalla madre, dal padre, dai fratelli, pur di vivere lontana dalle regole restrittive imposte a una principessa?

E, soprattutto, era quello che desiderava veramente?

  
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