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Autore: Kiasan    30/04/2012    1 recensioni
“I girasoli sono i figli del sole, lo seguono nel suo cammino, per questo sono in grado di indebolirci o, addirittura, ucciderci. Noi siamo invece gli schiavi della luna e, per tanto, dobbiamo obbedirla, se non desideriamo una maledizione peggiore di quella che già ci invade.”
Ciao a tutti, sono Jenny Murray e questa… beh, non è propriamente la mia storia, ma non vi dispiace se sarò io a narrarla, vero?
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Poco lunatici insomma!


<> Ian era appoggiato con la schiena contro il muro della nostra classe e aveva in mano il mio giubbotto. << Ieri sono tornato a prenderlo >>, spiegò.
<< Oh, grazie >> gli sorrisi.
<< Perché hai due cappotti? >> Katrin comparse, come sempre, dal nulla.
<< Lascia perdere >> dissi ridendo.
<< E perché lui aveva il tuo? E tu quello di non so chi? >> insistette la mia amica.
<< L’avevo lasciato in centro ieri, e anche questo >> dissi indicando il cappotto che indossavo. << E’ mio >>.
<< Sarà >> Katrin sorrise maliziosamente a Ian e mi trascinò nel mio banco.
<< Racconta >> incalzò, una volta sedutasi vicino a me.
Fortunatamente la campanella suonò e riuscì a ridere astutamente al suo: << Salvata dalla campana! >>.

<< Jenny! >> mi chiamò Ian all’uscita. << Il professore di lettere si è dimenticato di darmi l’orario scolastico, ho assolutamente bisogno di averlo >> disse, affannato.
<< E’ incredibile quanto una persona possa essere strana >> dissi acida: ma perché mai? Questo me lo chiedo tutt’ora. << Un giorno vuole suicidarsi e l’altro, di punto in bianco, decide di voler diventare il primo della classe >>.
<< Senti >> cominciò rattristato dal mio commento sarcastico. << Non mi importa tanto se mi odi, ma se voglio migliorare la mia vita e farla divenire come quella di un normale ragazzo, ho bisogno di essere ammesso a questa scuola e, per farlo, non devo solo superare gli esami di ammissione, ma anche avere un buon rendimento scolastico al di fuori di questi >>.
Sospirai: << Ok, ok prendi >> e gli porsi il diario con gli orari settimanali.
<< Grazie >> la sua risposta non lasciava trasparire alcuna emozione. Fu allora che, come qualche giorno prima, mi sentii in colpa per averlo giudicato senza sapere realmente il perché delle sue estreme azioni.
<< Anche tu vai a piedi? >> chiesi, dopo un attimo di imbarazzante silenzio, quando mi ebbe riconsegnato il foglio con gli orari.
<< Già >>.
<< Mmm, senti so di essere un po’… ok, un bel po’, lunatica, quindi per farmi perdonare proporrei di fare un pezzo di strada assieme >> non seppi bene il perché di quella proposta, ma ero sicura che quel ragazzo aveva seri problemi ed io non mi volevo annettere a questi. Diedi un’occhiata a Katrin, la quale mi elogiò con uno sguardo sospettoso; che avesse cambiato idea riguardo a Ian?
<< Il tragitto è lo stesso, mi pare >> fu il suo atono commento.
<> chiesi, cercando di rompere il ghiaccio, dato che era già un minuto buono che nessuno dei due proferiva parola.
<< Non male, a parte inglese >> sorrise, sembrava meno freddo di poco prima.
<< A me invece piace molto >> lo informai. << Però non mi aiuta, in inverno, a trovare lavoro >>.
<< Come? >> chiese.
<< Si >> comincia, senza capire bene il perché di tanto stupore. << Hai presente i lavori al bar o al mare? Li hanno moltissimo bisogno di personale in gamba con le lingue, ma d’inverno, purtroppo, l’inglese non mi può aiutare >>.
<< Fin li c’ero arrivato >> mi interruppe con una risata: si, decisamente si era fatto scivolare via la mia acidità. << Ma non capivo –e non capisco– perchè hai tanta urgenza di trovare lavoro a diciassette anni >>.
Feci una smorfia: << Mio padre ha deciso di non voler più vivere con noi e, di conseguenza, non siamo più finanziati dal suo stipendio, in più mia madre deve mantenere quattro bambini e la sottoscritta con mille euro al mese e… >> immediatamente mi bloccai, ma che mi era preso? Non era da me raccontare i fatti a miei a uno (più o meno) sconosciuto.
Ian sbarrò gli occhi: << Cavolo! Mi dispiace… >> ma subito dopo il suo volto si illuminò. << Che c’è? >> chiesi curiosa, sciogliendomi un poco.
<< Uh… avrei un’idea >> cominciò con un sorriso raggiante sul volto. << Potresti darmi ripetizioni, così io evito di essere bocciato in inglese e ti pagherò, così potrai aiutare tua madre >>.
Era geniale e, anche se ciò che avrei guadagnato non sarebbe stato poi così tanto, non avrebbe fatto sicuramente male.
<< Bhe… di solito non mi faccio pagare dagli amici >> dissi incerta, ricorrendo alle buone maniere.
<< Se la metti su questo piano, dato che la scorsa volta mi hai dato del pazzo, possiamo pure fare finta di non essere amici >> fece spallucce, ricordandosi del mio malfatto comportamento.
<< No! Non intendevo questo >> sospirai. << Ma non puoi negare che, quella notte, tu sei sopravvissuto a qualcosa di atroce, e lo stesso è successo al parco >> cercai di farlo ragionare, questa volta parlando con calma.
<< Senti, probabilmente eri solo nervosa e ciò ti ha indotto a credere di aver visto cose che, in realtà, non sono mai accadute >> ecco che tornava freddo.
<< Cosa mi stai nascondendo? >> chiesi, guardandolo dritto negli occhi e provando in tutti i modi a infondergli fiducia.
Sospirò: << Nulla! Comunque io qui devo girare >> disse, indicando col capo il bivio davanti a noi. << Allora, sei d’accordo per le ripetizioni, o non vuoi perché pensi di darle a un’immortale? >> aggiunse, quando non mi vide proferir parola.
Il suo sarcasmo mi irritò assai: << Certo che sono d’accordo >> mormorai, ma nella mia voce, invece d’ira, vi era puro dispiacere: io stessa fui colpita dal mio tono, tuttavia non gli avrei permesso di notare il nuovo stato d’animo che mi aveva invaso. Che mi succedeva? Perché mi dispiacevo per una frase sarcastica di un pazzo?
<< Va bene, allora domani a scuola discutiamo i giorni d’incontro >> dettò ciò si congedò.

Quella sera, poggiata con i gomiti sul davanzale della mia finestra, osservai il cielo in tutta la sua bellezza: era nero come la pece e irto di nuvole, ma le stelle facevano di tanto in tanto capolino dietro di esse e la luna si ergeva alta formando una metà perfetta.
Per tutto il pomeriggio ero stata assai irritabile, per nessun motivo agli occhi altrui, ma io conoscevo benissimo il perché di quel mio malvisto comportamento.
Sospirai, ripensando alla insolente battuta di Ian, ma poi mi riscossi: dovevo smetterla di preoccuparmi per un pazzo sarcastico; avevo altri problemi più importanti di cui occuparmi.
Dicembre si avvicinava, per esempio, e noi non avremmo più avuto denaro a sufficienza, poiché mia nonna avrebbe smesso di sostenerci.
Mi scervellai fino a tardi, ma non riuscii in nessun modo a venire a capo a quell’ insistente problema; così, sfinita, mi buttai nel letto sperando in una notte consigliera.

La mattina seguente la casa era immersa nel silenzio più totale, eccezion fatta per il lieve volume della televisione, che mi faceva compagnia durante la colazione, dato che quella mattina anche mia madre dormiva. Addentai una fetta di pane e marmellata mentre il telegiornale introduceva le notizie, perlopiù sgradevoli.
<< Questa mattina è stato ritrovato il corpo squarciato di un ragazzo, la famiglia è accorsa poco fa sul luogo del delitto: il campo di grano a est di Welley >> annunciava la triste voce.
Sospirai, un poco spaventata per quello che il mondo stava diventando: i serial killer non si limitavano più ad uccidere, ma facevano anche scempio dei corpi delle vittime.
Poco dopo, mentre mi mettevo le scarpe, la notizia poco prima accennata– riguardante l’omicidio del ragazzo– fu illustrata ampiamente: << Il malvivente non ha lasciato indizi, se non il corpo squarciato della vittima, Matthew Rover. Nulla ci rimane se non controllare le impronte digitali lasciate… >> la voce del reporter era oramai diventata per me nient’altro che un sussurro: ero rimasta paralizzata alla vista della foto del ragazzo.
Jack lo conosceva, non si sentivano spesso, ma era comunque un suo amico. Era un ragazzo, come lui. Come me. Avremmo potuto esserci noi al suo posto.
Il corpo era veramente stato squartato, quasi fosse un animale l’artefice di quella ferocia. Spensi con impeto la televisione, mi infilai nel cappotto e corsi fuori di casa, prendendo al volo lo zaino. Quella mattina Ian non era a scuola, con mia grande afflizione, così non seppi nulla sulle ripetizioni; perlomeno fino alla terza ora, quando Katrin si degnò di aggiornarmi su ciò che sapeva riguardo il ragazzo.
“ Mi ha chiesto il tuo numero”, mi scrisse sul banco.
La guardai perplessa. << Ha detto che era importante, così glielo ho dato >> si giustificò poi a voce, facendomi l’occhiolino.
<< E come faceva lui a sapere il tuo numero? >>.
<< Il mio numero lo sa tutta la scuola >> si vantò in un sussurrò. Sospirai, scuotendo divertita la testa, in attesa del messaggio di Ian, che a quanto pareva, dovevo comunicarmi qualcosa di importante. Così fu infatti: alla quarta ora nascosi il cellulare, illuminatosi in quel momento, dentro la borsa, che posai indifferente sul banco.
“ Jenny, sono Ian. Scusa se oggi non sono venuto a scuola, ma questa notte non sono stato bene. Se vogliamo metterci d’accordo per le ripetizioni puoi passare a casa mia (affianco a quella della signora Patt) anche dopo la scuola”, diceva il messaggio.
<< Ripetizioni? Davvero? >> chiese Katrin, allungandosi per vedere meglio il messaggio. << E’ per aiutare mia mamma >> risposi, senza troppe specifiche.
Lei mi guardò male, così le sorrisi malinconica: << Si, lo so che il guadagno sarà ben poco, ma è meglio di niente, giusto? >>.
Non ebbe tempo di rispondermi perché il professor Cooper, di letteratura, pose i palmi sui nostri banchi e cominciò a studiarci. Sospirai: mi aspettava un lungo e noioso discorso sul rispetto e la responsabilità che, per la vostra sopravvivenza, vi risparmio.

Quando Ian aprì la porta di casa sua il mio cuore saltò due battiti: il viso stanco, il corpo debole e i capelli selvaggiamente pettinati in capo lo rendevano dolce e vulnerabile; non sembrava più lo scaltro e forte ragazzo del giorno prima. In quel momento, però, l’unico pensiero che pervadeva la mia mente era quanto, nel complesso, fosse carino.
<< Grazie per essere venuta >> mi salutò, scostandosi dall’uscio per lasciarmi entrare.
La casa era piccola, tutta su un piano: il corridoio dell’entrata si apriva in un piccolo salotto, la cucina e la sala da pranzo erano a destra, mentre a sinistra c’era la sua camera da letto e in fondo al corridoio dell’entrata una porta bianca che, probabilmente, conduceva al bagno. Nel complesso era graziosa e accogliente, l’odore di Ian aleggiava dolce in ognuna delle stanze.
Mi fece accomodare sul divano e cominciò ad elencarmi i giorni in cui ci saremmo potuti vedere per le ripetizioni.
<< Direi che la cosa migliore sia incontrarci domani, ossia venerdì, e il lunedì >> annunciai alla fine. << Perfetto >> disse sorridente, quasi si fosse dimenticato del “battibecco” del giorno prima. << Posso offrirti qualcosa? >> chiese poco dopo, del tutto a suo agio.
Gli sorrisi, adorando il suo modo di scostarsi i capelli dalla fronte (si, lo so, ero patetica), ma dovetti rifiutare l’offerta: << Grazie mille, ma devo andare a pranzare: sono appena tornata da scuola. Nel mondo dei vivi ci si va, sai? >>.
<< Spiritosa, veramente >> disse sarcastico, battendo platealmente le mani.
<< Lo so >> mi vantai, cercando di cancellare quel tono sarcastico che invadeva continuamente, perlomeno quando era con me, la sua voce. << Mmm… cosa hai avuto questa notte? >>.
<< Oh… la febbre >> sembrava l’avessi colto alla sprovvista… strano! << La febbre alta >> puntualizzò poco dopo.
Sembrava sincero, così decisi di smetterla con le mie solite paranoie mentali e dissi semplicemente: << Capito. Allora, ci si vede domani a scuola >>.
<< Si, vedrai che per domani sarò in forma smagliante >> ancora quel tono sarcastico!
<< Siamo nervosetti oggi >> constatai sull’uscio.
<< Taci! >> sbottò. Alzai un sopracciglio: che gli prendeva? << Poco lunatico >> borbottai, dandogli le spalle per andarmene. Tuttavia, com’è ovvio, la mia constatazione non fece che innervosirlo ulteriormente.
<< Se non mi sopporti perché ci tieni tanto alle ripetizioni? >> mi urlò, prima che io riuscissi a oltrepassare la soglia di casa per andarmene. Stavo per rispondergli a modo, ma poi mi ricordai dei suoi gravi problemi: doveva affrontare il decesso di suo fratello da solo, dato che i suo genitori erano chissà dove, e si trovava in una città completamente estranea.
Così, spinta da un moto di dolcezza (e di stupida impulsività), posai una mano sul suo braccio: << Capisco cosa vuol dire non avere nessuno con chi sfogarsi >> cominciai. << Ed io sarò felice di ascoltarti, ma se non smetti di essere così scontroso con le persone, finirai per restare solo… >>.
<< Più di quanto non lo sia già >> mormorò cupo, concludendo la mia frase che, sebbene in maniera meno diretta, avrebbe avuto un significato analogo alla sua.
Nacque così un sorriso sulle sue labbra e capii che le mie parole gli avevano infuso fiducia, ma allo stesso tempo lo indussero ad aggrapparsi a qualcosa che, in futuro, lo avrebbe indotto a gesti estremi. Ma io questo ancora non lo sapevo.
SPAZIO AUTRICE: Heila!! Ecco il terzo capitolo, spero sia di vostro gradimento, quindi vi lascio alla lettura e, per chi volesse, critiche e/o consigli sono sempre ben accetti!! :)
  
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