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Autore: Doralice    02/05/2012    9 recensioni
Piccola, azzurra aleggia
una farfalla, il vento la agita,
un brivido di madreperla
scintilla, tremola, trapassa.
Così nello sfavillio d'un momento,
così nel fugace alitare,
vidi la felicità farmi un cenno
scintillare, tremolare, trapassare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Mpreg, Tematiche delicate
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Nove

~

Di segnali stradali assenti


Non quiete del sonno, ma della breve morte:

quando il dolore è eccessivo,

bisogna morire un po' per andare avanti.

Susanna Tamaro –



Adesso.

Così abbozzolato nel lenzuolo bianco, sembrava un pallido, triste bruco, con due gocce livide a decorare il muso e una calotta di irti aculei neri attorno al capo.

Il bruco restava immobile sotto i suoi occhi e John restava immobile sulla poltroncina. Nessuno aveva avuto il coraggio di fargli notare l'ovvio. Che vegliarlo ininterrottamente per ore, ignorando le proprie elementari funzioni vitali, non avrebbe influito in alcun modo sulla situazione attuale.

John era un medico, certe cose le sapeva. Ma sopratutto, sapeva di non sapere certe cose. Ed una cosa che in quel momento era assolutamente certo di non sapere, era il perché stargli vicino fosse indispensabile. Tutto quel che sapeva, era di doverlo fare e basta.

John percepiva, in un anfratto molto lontano e confuso, che glielo lo doveva. Lo doveva a lui, a sé stesso. Lo doveva a loro, dove quel “loro” era inteso come qualcosa di ancora indefinito e difficilmente quantificabile.

Deboli scuse ritardatarie per compensare una colpa solo intenzionale che lo stava divorando – che l'avrebbe divorato ancora, per sempre. Le intenzioni posso essere più micidiali delle azioni compiute.


Dodici ore prima.

Non c'era tempo. Non c'era più tempo.

Era a malapena in grado di formulare questo pensiero mentre sentiva la vita scivolargli di dosso a ondate, lasciandolo ogni attimo più vuoto. Emorragia interna. La sentenza era arrivata da chi? Sapeva che aveva importanza, ma non riusciva a mettere a fuoco l'identità. Non riusciva a mettere a fuoco niente.

Mani. Quelle di John, sostituite poi da altre, estranee. Odori. Acqua di colonia, cuoio, carta da parati, inchiostro, azalee. Casa di Mycroft.

L'accordo. Dovevano aver fatto un accordo, lui e John. La telefonata, prima, in auto. Le parole secche di John contro il microfono del cellulare. Erano d'accordo e lui ne era all'oscuro. L'avevano scavalcato. Sorpresa, delusione, rabbia. Poteva dedurlo, ma non l'aveva fatto. Perché? Gli ormoni, la fiducia incondizionata, le emozioni. Le emozioni.

Fottute emozioni.

Era in piedi o era steso? La percezione dell'equilibrio era sfalsata.

Sherlock mosse il braccio che gli avevano afferrato – o almeno credette di farlo. La presa non si allentò. L'ago penetrò la pelle senza che lui ne avvertisse il dolore. Tutti i recettori erano sovraccarichi. L'ultimo sprazzo di dolore arrivò direttamente dal ventre e si diluì nel percorso da lì al cervello. Perduto, annichilito. L'orrore di stare perdendo anche il dolore.

Davanti agli occhi ciechi, si stagliava con la chiarezza di una proiezione cosa stavano per fargli. L'aveva chiaro e, per quanto disperatamente cercasse di mantenersi vigile, sapeva che il sedativo avrebbe fatto effetto in minuti, secondi.

Ora. Stava facendo effetto ora. E lui non avrebbe potuto impedirlo. Lo stavano esautorando dalla sua stessa vita, impedendogli di prendere la decisione.

Non potevano farlo.

No.

No.

John, no.

Diglielo, digli di no.

Digli di no, John.

John.

Glielo dirai, vero?

John?

Ti prego.


Adesso.

Fu un odore. Venne trascinato fuori da quella distorta dimensione onirica e catapultato nella realtà materiale del mondo da un odore. Dal sistema limbico ripescò la memoria a lungo termine associata a quell'odore e per un momento si trovò a chiedersi se non si fosse addormentato nuovamente davanti alla tv con la testa posata sulle gambe di John.

Non era così, ovviamente.

Il sistema limbico registrava adesso altri odori, meno familiari. Meno piacevoli. Quello asettico delle lenzuola sterilizzate. Quello pungente dei detersivi per pavimenti. Quello basico del disinfettante.

Fu allora che il sistema limbico lasciò il posto al telencefalo. Ricordò gli eventi della notte prima e mise a fuoco dove si trovava. E Sherlock sperimentò una variegata gamma di emozioni cui non ebbe la forza di sottrarsi. Alla sua destra un bip-bip la cui frequenza aumentava esponenzialmente, alla sua sinistra un respiro strozzato e un rumore di stoffa sfregata. La pressione di una mano calda sulla spalla, la preoccupazione di John che superava la barriera dei sedativi investendolo di tutta la sua emotività.

Sherlock deglutì un sapore metallico e sospirò. Di sottrarsi a questo, non solo non aveva la forza. Non voleva. Era l'unica cosa che lo faceva sentire almeno un po' vivo in mezzo ai quei tubi e agli elettrodi e all'assenza chimica del dolore.

Fece volentieri a meno dell'ultimo dei sensi. Fingere un'opportuna cecità lo aiutava a superare il trauma che gli causava quella momentanea menomazione. Era semplicemente agghiacciante non possedere il completo controllo delle facoltà mentali e fisiche. Non poter constatare empiricamente cosa gli avevano fatto. Cosa gli aveva permesso di fare.


Dodici ore prima.

Valutazione, decisione, azione.

John era fuori allenamento, ma certe cose ti s'incidono nel cervello, nel cuore, in ogni singola cellula. Una di queste cose, incisa profondamente in John, era il tempo. Quando devi schivare una pioggia di proiettili, quando devi arrestare un'emorragia, impari l'importanza dei secondi. La vita è un buon metro di misura per il tempo. E di situazioni in cui cronometrare il lasso tra vita e morte, John poteva affermare di averne collezionate un buon numero.

Ma un paio di volte era successo di peggio. Un paio di volte, si era trovato costretto a cronometrare il lasso tra due vite e la morte certa di una delle due. A decidere con una valutazione breve, insufficiente e passabile di errori, quale dei due soldati avesse più probabilità di essere salvato. A decidere quale dei due uomini fosse una superflua perdita di tempo da curare.

Aveva fatto anche questo, John. Sono cose che capitano in guerra e lui non si era tirato indietro. Aveva scelto. Aveva scelto e non si era pentito, perché sapeva che in una tale situazione, con mezzi e tempi così precari, non avrebbe potuto fare di meglio. Aveva scelto ed era confortante potersi dare tutte quelle belle scusanti. Non sarebbe stato suo il compito di spedire a casa la medaglietta accompagnata da una lettera.

Così John scelse rapidamente e con insospettabile sangue freddo. Era, se possibile, anche più facile del previsto. Non c'era da stare a valutare granché. Le possibilità erano alquanto limitate e lui conosceva le sue priorità. Le opzioni si erano ridotte ad una sola, non trattabile.

Disse loro cosa fare. Lo disse con la consapevolezza esatta di quello che avrebbe implicato. Lo disse e ritrovò nelle espressioni intorno a lui pieno appoggio. Non avrebbe potuto essere altrimenti.

Afferrò il braccio di Sherlock e lo tese, esponendo la pelle diafana alle dita inguantate di lattice del paramedico. L'ago entrò nella vena con un movimento fluido. Era bravo e veloce. Non avrebbe sofferto.

Era il momento di lasciare il suo braccio. Stava stringendo anche troppo. Era il momento di lasciarlo andare.

Il letto di mosse e John alzò la testa verso la sala operatoria di fortuna fatta attrezzare da Mycroft. Scorse le luci abbaglianti, il pavimento di mattonelle disinfettate, gli strumenti lucidi ben allineati sul carrello.

Il letto si arrestò sull'ingresso.

Vuole assistere? –

Voglio assistere?

Lo stomaco gli si contrasse fino a minacciare un rigetto.

No. – disse qualcuno (Mycroft? Sherlock? Lui stesso?).

Una stretta ricambiata. E la disperata debolezza di quella stretta gli fece girare la testa. Se non lo guardava adesso, non ne avrebbe avuto il coraggio. Mai più. Se lo guardava adesso, avrebbe fatto qualche puttanata. Garantito.

In seguito, John si sarebbe chiesto per molto tempo se quello che sentì fu pronunciato davvero o se fu solo uno scherzo del suo cervello inondato di adrenalina. Ma sul momento capì solo “No”. Ancora “No”.

Ce l'aveva davanti agli occhi, scritto su ogni centimetro di quella sala asettica. Ce l'aveva nelle orecchie, che rombava assieme al sangue che il suo cuore si ostinava a pompare nelle vene. Ce l'aveva sotto le dita, mutuato dalla pelle fredda di Sherlock.

John sentì quel “No” farsi strada dentro di lui, fino ad incrinare ogni sua certezza. Lo prese per quello che era e ancora una volta decise. Una scelta. Un bivio.

La scelta – illogica, assurda, controproducente – fu “No”. Più tardi avrebbe avuto tutto il tempo di pentirsene.


Adesso.

Il bruco si muoveva nella sua crisalide. Troppo debole, fragile.

John staccò l'elettrocardiogramma. Aveva le mani e gli occhi e poteva usare quelli. Poteva prendere il polso sottile di Sherlock e contarne le pulsazioni, sentirle reali sotto i polpastrelli. Sangue che scorreva. Poteva posargli una mano in fronte e avvertirne la temperatura.

Va tutto bene. –

Parole scontate contro occhi sigillati, labbra chiuse, pelle fredda. Era tutto chiuso e lontano da lui, così lontano. Si sentì afferrare da un senso di disagio e inutilità che gli ricordava il suo rapporto con Harry.

Sono qui. –

Lui deglutì. Anche John deglutì.

Hai sete? Ma certo che hai sete. –

Parole, ancora parole. John non sapeva più dire da quanto tempo fossero diventate inutili le parole tra di loro, eppure continuava ad usarle per riempire i loro silenzi. Gli servivano da rifugio di fortuna per non perdersi in quell'uragano che erano loro due.

Cercò dell'acqua e la trovò, una bottiglietta posata sul carrello di fianco al letto. Versò un bicchiere.

Ecco qua. – mormorò sostenendogli il collo e accostandogli il bicchiere alla bocca.

Sherlock bevve. E sigillò nuovamente le labbra. Anche John sigillò le labbra.

Gli scostò i capelli appiccicati di sudore e fece scivolare le dita sul collo. Un sospiro. Due. Veloci, come a voler reprimere qualcosa. John picchiò duro contro quel palese rifiuto, come se non l'avesse percepito fin dal principio. Contrasse la mascella e chinò testa. La mano restò ancora lì per un momento, uno di quei lunghissimi momenti in cui si resta incastrati nel patetico loop di come uscire da una situazione in bilico.

Ebbe infine il coraggio di abbandonare l'incavo caldo. Allora il bruco ruppe il bozzolo, ma solo un po'. Il tanto giusto perché una zampa uscisse fuori e afferrasse la mano prima che si allontanasse.

Era solo un baluginio d'azzurro, un frammento quasi impercettibile. John lo scorse tra le fessure di quella crisalide e non disse niente. Perché non c'era niente da dire. Non c'era modo di riempire quel silenzio, stavolta.

Le ali erano ancora appannate, ma già si distendevano. John restò a contemplare quel miracolo. Ogni gradazione, ogni sfumatura del ritorno alla coscienza di Sherlock. L'azzurro gli vibrò addosso, per poi nascondersi dietro le ciglia per un attimo, solo un attimo. La fronte contratta e un sospiro tremulo tra le labbra, le sue dita conficcate nella mano.

Mi hai sentito. –

A John si spezzò il fiato in gola.

Forte e chiaro. –

Le ali tornarono a vibrare.


Dodici ore prima.

Sta scherzando? –

No. Direi di no. –

Avevamo un accordo. –

E io l'ho rispettato. Adesso non c'è più posto per gli accordi. –

Sherlock non registrò altro.

La dimensione ovattata dei sedativi lo accolse nelle sue soffici spire. Ci si abbozzolò, l'anima ripiegata su sé stessa in infiniti strati. Chiuse fuori il mondo esterno in quella labile barriera. Ci si chiuse e lì rimase, nel blando, disperato tentativo di difendere loro due.

Gli viveva dentro, ancora per un poco. Una crisalide dentro la crisalide. Era troppo fragile per proteggerlo da solo e troppo disperato per lasciarlo andare. C'erano solo loro due e il resto del mondo che remava contro. Dolore, più straziante di quello fisico. L'inutilità della chimica.

Non aveva mai pregato, Sherlock. E nemmeno stavolta lo fece. Restando perfettamente in linea con la sua natura pragmatica e votata alla logica, il suo ultimo pensiero cosciente lo rivolse all'unica persona che, più di una qualche divinità astratta, aveva il potere di cambiare le cose.

Sherlock pensò a John.


Adesso.

Un gomito puntellato sul letto e la testa posata sulla mano. Gli occhi di John gli scivolavano addosso mentre i sedativi smaltivano lentamente il loro effetto. Era come la nicotina, ma in qualche modo peggio. Le sinapsi di Sherlock avevano riacquistato sufficiente lucidità da permettergli di focalizzare quel momento come non avrebbe mai potuto.

Il loro respiri irregolari. La barba malrasata di John. La sua mano sul suo polso, il pollice che tracciava distrattamente cerchi sulla pelle scoperta. Quella sfumatura nello sguardo, la voglia di sentirsela sempre addosso.

Se la stava facendo sotto, Sherlock. Quello era l'uomo che l'aveva messo incinto e lui se le stava facendo sotto. Di brutto.

La sua voce: – Lo so che non è il momento più adatto. –

Non rispose niente. Aveva di nuovo la gola secca.

E continuò a non dire niente mentre le dita di John abbandonavano il suo polso per raggiungere il volto. Le sentì sulla tempia e poi più giù, a seguire il contorno dell'orecchio, danzando tra un riccio e l'altro. Gli facevano il solletico. Sherlock socchiuse gli occhi e l'osservò attraverso le ciglia.

La stava prendendo alla larga. Era lo sport preferito di John e non si smentì nemmeno questa volta. Lasciò che indugiasse ancora, prima con lo sguardo, poi con le dita. Lasciò che le nocche tracciassero il percorso della mascella fino al mento. Che il pollice si soffermasse lì, sulla fossetta, indeciso, e che infine premesse, tirando la pelle a schiudergli le labbra. Che lo sguardo assaggiasse prima della bocca.

Iniziò cauto e attento, John, gli occhi ancora aperti e le mosse gentili. I corpi un po' più vicini e i respiri mescolati e uno sfiorare di carne quasi impercettibile.

E poi si stavano baciando.

Umido, caldo, morbido. John mosse le labbra sulle sue e Sherlock si trovò a rispondere, inseguendolo. Gli succhiò il labbro, gli fece trovare la lingua. Seguì quel movimento lento che gli stava sciogliendo i lombi di un calore bagnato. Ci provava a respirare normalmente, ma si arrese presto. Si stava facendo tutto meno soffice e più penetrante. Quando John gli infilò la lingua sotto il labbro, esplorando piano la mucosa, riuscì solo ad ansimargli addosso e aggrapparsi alle lenzuola.

Disturbo? –

Sherlock serrò gli occhi mentre John lo liberava da quella dolce morsa.

Mycroft.

Vide John ruotare appena il capo, impacciato da un imbarazzo che non sapeva affatto di vergogna.

Si schiarì la voce e alzò la testa: – Sì. –

Fuori dai piedi, Mycroft. – aggiunse per lui.

C'era un bel silenzio, adesso. Era tutto nuovo e Sherlock si scoprì a gustarlo.

Dicevamo? –

John lo stava guardando. L'imbarazzo era ancora palpabile tra di loro e la persistente assenza di vergogna gli dava un brivido che era superfluo – superfluo, santo cielo – definire.

Si umettò le labbra, virando subitaneamente la sua attenzione.

Che non sarebbe il momento più adatto. –

Gli sorrise, John. Due fossette ad increspargli le guance e quelle rughe sottili attorno agli occhi capaci di mutarlo in gioia pura ed essenziale. Sherlock contrasse le dita sulla sua mano e lui gliele aprì, una alla volta, delicatamente, infilandovi le sue in mezzo.

Calore, presenza. Presenza. Presenza.

Quando mai c'è stato un momento adatto? –

John chinò la fronte sulla sua spalla e sospirò. La fatica di alzare il braccio fu ricompensata dalla consistenza dei capelli sotto il suo palmo e dal brontolio sordo di John che apprezzava il gesto. Aveva le dita bloccate nelle sue e una spalla immobilizzata dal peso della sua testa.

Mi hai incastrato. – constatò.

Non aspettarti che ti sposi. –

È già difficile soffocare una risata da soli, figuriamoci in due.


Dodici ore prima.

Qualcuno gli chiese qualcosa, che John non afferrò. Non rispose. L'emicrania pulsava violenta dietro gli occhi. Si premette le mani sulle tempie, in silenzio. Poi un rumore metallico attirò la sua attenzione. C'era un bicchiere sul tavolino davanti, con tante bollicine che partivano dalla pastiglia sul fondo e andavano a morire sulla superficie dell'acqua.

Acido acetilsalicilico. Era quasi certo che ci fosse qualcosa di più forte nella farmacia domestica di Mycroft, ma evitò diplomaticamente di commentare.

Bevve d'un fiato, con le bollicine che gli raschiavano la gola. Posò il bicchiere e si stropicciò gli occhi.

Grazie. –

Mycroft sedette nella poltrona di fianco, allentandosi il nodo della cravatta. Del gessato con cui l'aveva accolto ore prima, erano sopravvissuti solo i pantaloni, la camicia aveva le maniche arrotolate sugli avambracci, un ciuffo di capelli era sfuggito dall'impeccabile ordine cui era costretto.

Erano le cinque del mattino e fuori iniziava ad albeggiare. Le luci erano fredde e tenui.

Vorrei poterle dire qualcosa d'incoraggiante. –

Vorrei poter dire che me ne fregherebbe qualcosa. –

John intrecciò le dita sotto il mento e lo guardò stancamente. Mycroft ricambiò lo sguardo, l'espressione di curiosa concentrazione e il capo lievemente inclinato in quella posa così da Holmes.

Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, dottor Watson. –

Avevo nove in fisica, ma grazie per il ripasso. – ribatté, sforzandosi di esprimere un sarcasmo del quale non sentiva realmente l'esigenza.

Li hai salvati, John. Entrambi. –

In qualche modo l'aveva saputo. Fin dal momento in cui era entrato nella stanza, l'aveva saputo. Ma quella puntualizzazione, accompagnata dal “tu”, ebbe il bizzarro effetto di spaventarlo.

Tu me l'hai lasciato fare. – rispose, studiando la sua reazione.

Mycroft piegò un angolo della bocca e distolse lo sguardo.

Avevo scelta? –

Avevo scelta?

La scelta se l'erano negata quattro mesi prima, ma John se n'era accorto solo adesso. Avevano superato un bivio senza rendersi conto che era un punto di non ritorno: non c'era nessuna segnalazione. John si era incastrato ed era una gabbia stretta quella in cui si era cacciato. Scoprì che non avrebbe voluto essere da nessun'altra parte.

   
 
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