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Autore: theGan    04/05/2012    3 recensioni
Ordinanza 94.3
 
I mutanti non sono esseri umani e non godono dei diritti di questi
Tutti i mutanti devono essere registrati e marchiati e rispondere alle direttive di Zero Tolerance
Tutti i mutanti considerati utili per la società avranno l’idoneità alla riproduzione  in forma controllata, gli altri saranno sterilizzati
Tutti i mutanti che si arrenderanno senza opporre resistenza verranno giudicati dalla Corte Suprema di Zero Tolerance: chi resisterà sarà terminato
 
INOLTRE
 
Il trattamento di un mutante viene lasciato alla discrezione del proprietario umano
I proprietari di mutanti dovranno  sempre agire nei confronti di questi facendo riferimento alla loro natura e senza elevarli allo stato di esseri umani
 
Ai ribelli sarà applicata tolleranza zero
 
                                               ALL HAIL BASTION
Genere: Avventura, Dark, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Logan/Wolverine, Remy LeBeau/Gambit, X-men
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Per un attimo nessuno si mosse. Poi gli occhi di un centinaio di Sentinelle Mark2 si illuminarono in un sibilo rosso di sinapsi meccaniche.
- Tutti giù!
L’urlo di Amara si perse nella polvere metallica sollevata dalla prima salva. I proiettili come grossi confetti lucenti gridarono nell’aria conficcandosi sui muri, sulle macchine e nella spalla destra di Wolfsbane.
- RAHNE!
La voce di Shan ruppe le righe e raggiunse la compagna ferita. La giovane licantropa si accasciò a terra con il rumore sordo dei sacchi che cadono. Il tempo di un battito e Domino e Logan avevano aperto il fuoco di copertura.
Niente poteri. Merda. Cosa diavolo stava combinando Lebeau?
- Neena! – la mercenaria sollevò la testa incontrando gli occhi azzurri di Logan tra l’urlo di una Sentinella e la ricarica della sua glock. – Prendi Wiccan e la tua squadra e vattene da qui!
Domino parve sul punto di dire qualcosa (probabilmente d’altamente imbarazzante, chissà), poi annuì rigidamente e si affrettò a eseguire l’ordine. Avevano bisogno di maggiore copertura, dannazione.
- AMARA! Coprigli la ritirata!
La brasiliana dalla precaria protezione fornita da un tavolo ribaltato aveva già cominciato a creare un varco per la fuga prima che l’ordine fosse impartito. Brava ragazza.
Niente fattore di guarigione. Niente poteri ed un magazzino pieno di Sentinelle Mark2 incazzate. Billy doveva decisamente lavorare sui suoi incantesimi di trasporto. Doppia merda. Dovevano portare al più presto Wiccan fuori da lì. Incontrò lo sguardo di Rachel in un’intesa silenziosa.
- Excalibur con me!
La presenza della rossa era al contempo un balsamo ed una maledizione. Non si trattava solo del suo aspetto, ma tutto del suo carattere gli ricordava dolorosamente Jean e Scott. Molti vedendola urlare, bestemmiare e comportarsi generalmente come un buon padre di famiglia si auguri sua figlia non faccia mai, non sarebbero stati in grado di riconciliarla con l’immagine pragmatica e severa offerta da Summers e consorte. Logan la sapeva più lunga. Molti non avevano visto Fenice Nera devastare galassie o Scott imbrogliare a biliardo con la serenità di un baro professionista. Quella rossa tutto pepe era davvero la loro degna figlia e Logan guardandola non poteva fare a meno di ricordare cosa aveva perduto. La morte di Jean era una piaga sanguinante nel suo cuore, incapace di rimarginarsi con la medicina del tempo. Scott era vivo e lì da qualche parte. Niente più errori.
Rachel e Wisdom calarono sul fianco destro del nemico con la furia di una coppia di leoni ferita. Logan si trovò a ringraziare, non per la prima volta, che fossero dalla loro parte.
Il fuoco incrociato si protrasse a lungo. Impossibile dire per quanto. Secondi? Minuti?
Le sirene d’allarme urlavano nelle loro orecchie confondendosi nel rumore pneumatico del caos di proiettili, laser e scariche neurolettriche che colorava l’aria di scintille e spruzzi rossi. La reputazione delle loro divise in kevlar fu messa a rischio, ma riuscirono comunque ad aprirsi un varco.
- Logan?!
La voce di Rachel risuonò come una richiesta. Wolverine grugnì e fece saltare il braccio destro di una Sentinella. I lineamenti stravolti da cavi e placche metalliche una volta erano stati femminili. Forse era una madre, forse una giornalista, forse l’aveva persino conosciuta. Il sangue verde, miscuglio denso e grumoso di petrolio e benzene, schizzò sui muri e sul pavimento creando una polla scivolosa di liquido infiammabile. La Sentinella urlò in ricordo di un dolore tutto umano e corse al moncherino ferito. Logan le fece saltare la testa. Lo scoppio si perse nel rumore. Non era il momento per le esitazioni.
- Prendi i tuoi e lo stregone e muoviti, cocca!
Rachel e Domino dovevano andare. Dovevano proteggere Wiccan e trovare Summers. Non potevano rimanere a combattere al loro fianco. Dovevano lasciarli soli.
Rachel urlò qualcosa. Logan non capì cosa stesse dicendo. Un secondo dopo vide Shan correre nell’intervallo tra una ricarica e l’altra verso Rahne e passarle un braccio attorno alla vita. Sarah le raggiunse rotolando e facendosi strada attraverso cadaveri metallici aggrovigliati come ragni di acciaio. Una delle altre telepati inciampò su un braccio mozzato, quando gli artigli del moncherino si richiusero in uno spasmo attorno alla sua caviglia. Amara lo tranciò con uno dei suoi eleganti machete, approfittando della polvere sollevata dal caos per allontanare la ragazzina e spedirla dritta tra le braccia di Rachel. Quello che rimaneva delle Naiadi di Stepford era un problema di Excalibur non suo. La rossa aveva ordinato la ritirata. Teddy spaccò in due la testa metallica della Sentinella più vicina. Lo stigma rosso di un puntatore laser svanì come il ricordo di un incubo dalla fronte di Wiccan. Bravo ragazzo. Ottima mira. Avrebbe dovuto ricordarsi di offrirgli una birra se ne fossero usciti vivi.
Sarah e Shan si tuffarono nel varco appena aperto trascinando con loro l’infortunata Rahne. Domino coprì la loro ritirata con una salva rumorosa che si abbatté con uno schianto sollevando polvere verde e ferrosa dai martoriati incubi metallici.
Avevano bisogno di maggiore copertura e spazio di manovra. Un cenno di intesa dopo e Logan ed Amara uscivano dalle loro barricate improvvisate attirando decine di freddi occhi rossi su di loro.
- Logan!!!
Era la voce di Billy. Dannazione non aveva tempo per questo. Quando si sarebbe deciso quel ragazzo a crescere ed a capire che non erano eroi, ma soldati. Non tutte le vita sono uguali, alcune sono più importanti di altre. Deve essere difficile vedere i tuoi compagni sacrificarsi per te. Un proiettile fischiò vicino al suo orecchio destro, un altro lasciò sulla sua guancia una scia rossa e pungente. Di più. Doveva guadagnare tempo per Rachel e Billy.
Si appallottolò su se stesso e con uno slancio si abbatté sulla testa della prima Sentinella disponibile. Uno snikt dopo e sei artigli tranciarono il braccio alzato di quella al suo fianco. Logan si morse le labbra fino a cavare sangue. Dolore. Un dolore indescrivibile. Facevano male già di solito, senza fattore di guarigione attivo era ancora peggio. Sentiva l’adamantio mischiarsi al sangue e lentamente avvelenargli cuore e polmoni. Non poteva permettersi di fermarsi ora.
Con un grido precipitò addosso alle cavallette meccaniche. Quelle sfrigolarono di orrore e sorpresa quando una tonnellata di adamantio lanciato a tutta velocità si frappose tra loro ed il pavimento.
Giusto il tempo per osservare con la coda dell’occhio il cappotto di Rachel sparire attraverso il varco aperto dalle loro esplosioni ed un proiettile trovò la strada per il suo ginocchio sinistro.
Logan cadde con un rumore sordo. Sollevò due occhi enormi e stanchi ed incontrò quelli rossi, vivi e brillanti di una Sentinella. Questa era stata un uomo. Un vecchio, probabilmente: la barba era colorata di grigio, le striatura bianche una volta dovevano essere state candide su quel volto da Babbo Natale. Logan chiuse gli occhi. La Sentinella sollevò il braccio. Il contraccolpo della detonazione esplose nelle sue orecchie lasciandolo cieco e sordo.
#
- Dobbiamo tornare indietro!
Francamente nemmeno Rachel aveva tempo per questo.
- Dacci un taglio ragazzo, sono andati.
E Pete con loro. Li avevano lasciati indietro. Soppresse un singhiozzo. No, no, no. Non poteva permetterselo. Doveva rimanere concentrata anche per loro.
- Ma stavano arrivando i rinforzi… non ce la faranno mai senza poteri!
- LO SO, Billy!
Qualcosa di fiero ed ardente scivolò fuori dal corpo dello stregone lasciandolo curvo, il capo chino, le spalle abbassate ed infinitamente più vuoto. Sconfitto. Il senso di colpa era il peggiore. Erano finiti nel magazzino sbagliato. L’ala est del secondo piano avrebbe dovuto essere praticamente sgombra: solo vecchi depositi per macchinari e pezzi di scarto. Non ci sarebbero dovute essere Sentinelle ad aspettarli. Dov’erano finiti?
- Dove diavolo siamo…Neena!
Domino sollevò la testa, interrompendo a metà la sua fasciatura improvvisata sulla spalla di Wolfsbane. Shan prese il suo posto come infermiera con un sorriso incoraggiante. Neena si posizionò al suo fianco e studiò i dintorni con aria pensosa. Domino non era certo Sage e si erano allontanati di parecchio dal punto del loro tragico sbarco, per quanto la mercenaria fosse abile era comunque solo umana. Due sopracciglia nere si corrugarono sopra due occhi azzurri che saettarono lungo il vicino corridoio e sulle pareti dello stanzino in cui si erano fermati per riprendere fiato e ricucire i loro feriti.
- Secondo piano, sezione di storaggio dei macchinari e recupero scarti.- Domino incrociò il suo sguardo. – Ala est.
Gli occhi di Rachel si allargarono di orrore. Billy non aveva sbagliato, era la loro planimetria ad esserlo. Questo era decisamente peggio.
Un rumore stridulo come di un coro di gessetti spezzati. Rachel si voltò di scatto. Esme Cuckoo stava trafficando con le trasmittenti. La giovane telepate di Stepford incontrò il suo sguardo con un’espressione un po’ spaventata ed un po’ sbruffona.
- Contatto radio stabilito, signora.
Finalmente una buona notizia.
#
Qualcosa di bagnato e di drammaticamente puzzolente precipitò sul suo viso come una secchiata di acqua gelida. Logan aprì gli occhi. Il corpo della Sentinella Mark2 era in piedi e di fronte a lui, il puntatore laser di quel braccio metallico era, allo stesso tempo, freddo e caldo sulla sua fronte. La testa della Sentinella non c’era più. Una fontana di liquido verde rovesciava al suo posto una pioggia fatta di spruzzi verdi e densi. Il tempo di un secondo ed il corpo metallico si piegò su se stesso precipitando al suolo con il crack secco dei giocattoli rotti. Logan incontrò il volto di Teddy Altman sorridergli preoccupato da una distanza di dieci metri. Il fucile del ragazzo fumava ancora. Logan contro ogni ragione, si trovò a ridere.
- Devo decisamente offrirti da bere, cocco.
Amara e tre dei suoi avevano intanto creato una barricata servendosi dei cadaveri smembrati degli androidi. Logan e Teddy vi riparano dietro tuffandosi tra due file di laser.
- Dove sono Wisdom e gli altri?
Un’esplosione particolarmente assordante fece tremare la barricata sul lato sinistro sollevando una nube di polvere e rispondendo alla sua domanda.
Magma strinse i denti e si sistemò una benda improvvisata sull’avambraccio sinistro.
- Ho visto Wildchild e Skids andargli dietro. Credo siano ancora tutti vivi. Logan…- Amara incrociò il suo sguardo. – Logan, non possiamo restare qui. Siamo troppo scoperti.
Il canadese non disse niente e contemplò il suo ginocchio ferito. Il proiettile per fortuna era uscito senza fare troppi danni. Col suo fattore di guarigione sarebbe stato una robetta da niente. Solo che non ce l’aveva il suo fattore di guarigione adesso, dannazione! Amara aveva ragione: non potevano restare lì. Non senza poteri, non senza un riparo decente e sicuramente non con i rinforzi di quelle lattine in rotta di avvicinamento. Erano appena una ventina di uomini. Teddy era impegnato a svuotare il suo terzo caricatore sul primo pugno di Sentinelle disponibile. Logan grugnì. Bambini, soldati sì, ma bambini. E le loro pallottole non erano infinite.
Un rumore gracchiante di disturbo televisivo e la trasmittente in mano a Neal Sharra prese vita.
- Logan? Magma? Ci siete? Rispondete.
Rachel. Mai stato più felice in vita sua di sentire la voce della progenie di Summers.
- Qui Wolverine. Diavolo, cocca. State tutti bene?
Poteva sentire il sollievo nella voce di Rachel confondersi alle scariche statiche.
- Sì. Tutto bene. Wolfsbane è un po’ ammaccata, ma se la caverà.
Un qualche genere di granata gli rintronò l’orecchio sinistro. Non avevano il tempo per quelle chiacchiere da salotto.
- Dove ci ha spediti lo stregone, cocca?!
La voce di Rachel doveva stargli arrivando disturbata, altrimenti Logan avrebbe giurato che la rossa stesse esitando.
- E’ questo il problema, Logan. Siamo esattamente dove dovremmo essere.
Le sopracciglia del canadese si sollevarono impercettibilmente per poi riabbassarsi come due saracinesche su due occhi confusi. Al diavolo.
- Ricevuto, cocca. Wolverine chiude.
La voce stridente dell’apparecchio elettronico morì confondendosi nel sibilo dei proiettili e nel fragore delle detonazioni. Logan si sistemò uno degli auricolari di Jeffries all’orecchio ed afferrò per il polso Neal Sharra.
- Mettici online, ragazzo e vedi di contattarmi Lebeau.
Sottolineò ogni parola con una vigorosa stretta. Se Amara l’avesse visto si sarebbe arrabbiata parecchio: nessuno poteva permettersi di maltrattare il suo giocattolino. Il giovane indiano annuì. Un secondo dopo il piccolo microfono nero alloggiato nel suo padiglione sinistro venne alla vita con un bip acuto. Un lato delle labbra di Logan si piegò leggermente all’insù. Un’altra esplosione mandò in pezzi l’indebolito lato sinistro della loro barricata. Le schegge volanti di metallo fuso trovarono la loro strada per la schiena di Arclight. L’ex Marauder urlò e si accasciò a terra. Lo spettro di un sorriso morì sulle sue labbra, ora Logan era semplicemente arrabbiato.
Un cenno di Sharra gli confermò che la trasmissione era finalmente stabilita. Logan agguantò il proprio microfono e vi urlò dentro con tutte le sue forze.
- LEBEAU! DOVE CAZZO SEI?!
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- LEBEAU! DOVE CAZZO SEI?!
Remy Lebeau in quel momento si trovava attorcigliato nei condotti di ventilazione (non chiedete perché, aveva le sue ragioni) in una precaria posizione a cavallo tra la grata metallica ed il vuoto aperto sotto di lui.
La voce del canadese gli esplose nel cervello, facendo milk-shake dei suoi neuroni. Porca puttana Logan.
- Cher, credo che tu non abbia afferrato come funzionano questi cosi…
La prossima volta lo spegneva il comunicatore. Sicuro. I toni soavi di Logan gli avevano fatto scivolare il piede destro lasciandolo amichevolmente a sgambettare ad un centimetro e mezzo dalla griglia d’allarme. Dannazione. Niente distrazioni sul lavoro. Era un professionista serio lui.
- Lebeau! I fottuti inibitori sono ancora attivi! Cosa cazzo stai facendo?!
Remy atterrò tra due linee di laser con un rumore impercettibile che non sollevò neppure un granello di polvere. Cosa stava facendo? Studiò con uno sguardo scettico la fitta rete di sottili raggi rossi che si srotolava lungo il corridoio come una grossa ragnatela. Meno male che aveva lasciato il suo trench a casa. Ci era affezionato a quel vecchio spolverino e qui sarebbe diventato un bel groviera. Per non dire che avrebbe fatto partire tutta una serie di allarmi portandogli tutte le Sentinelle addosso. Però ora non aveva abbastanza spazio per accendino e sigarette. La vita è profondamente ingiusta.
- Lebeau?!
Remy trattenne un sospiro.
- Il ladro solitario che vi salva le chiappe, non? Cristo cher, devi dare ad un’artista il tempo perché operi la sua magia.
Una detonazione esplose nel suo orecchio attraverso le cariche statiche insieme ad una mezza bestemmia. Ma che…
- Logan, cosa state facendo? Non dovevate aspettare ad attaccare al mio segnale?!
Altre esplosioni e l’inconfondibile sibilare dei raggi termici delle Sentinelle infrangersi sull’acciaio come sul burro fuso. Logan grugnì nel ricevitore.
- Dillo allo stregone, cocco, o a quel bel tipo del tuo amico della planimetria… “gli affiderei la mia vita”, eh?!
Accidenti. Lapin aveva toppato. Di nuovo. Stava diventando un’abitudine, era già la seconda che gli combinava dopo la faccenda dell’ospedale a New Orleans. Doppio accidenti. Per un attimo aveva sperato che solo il suo team avesse avuto problemi tecnici con la planimetria. Fantastico, stava diventando peggio di un gioco della settimana enigmistica: trova le differenze. Solo che su quelle differenze loro si stavano giocando la vita. Avrebbe dovuto saperlo: le cose non sono mai semplici, quando sono già complicate, poi... A volte gli veniva proprio da chiedersi cosa diavolo gli fosse saltato in mente per indossare i proverbiali cappa e mantello. Era un ladro, non un eroe dannazione! Chuck e Tempestina dovevano avergli fatto il lavaggio del cervello.
Aveva lasciato Jean-Paul e David in compagnia della loro nuova cervellotica (no, non sei affatto divertente Lebeau) amica da qualche parte al piano superiore. Più che di Nimrod e MasterMold, Bastion sembrava il figlio illegittimo di una talpa: se questo affare scendeva ancora un po’ avrebbe fatto ciao, ciao a Lucifero in persona. Pensò a Sofia, alle celle, alle Sentinelle ed anche un po’ a se stesso. Sorrise. Le Diable Blanc. Forse stava solo tornando a casa.
- Touché, cher. Ora vedi di calmarti, da bravo, che se no ti scoppia una vena.
Remy studiò le luci intermittenti della ragnatela laser spostarsi ad intervalli regolari in una nuova posizione. Una parte della griglia era composta da semplici allarmi, un’altra da autentici laser capaci di friggerti le chiappe in un secondo. Meglio evitare. Chissà quanto Bastion spendeva ogni mese di bolletta. Forse era questo il motivo per cui le Sentinelle cercavano di dominare il mondo: elettricità gratis. Hooray!
Una voce femminile gli giunse attraverso i disturbi statici delle esplosioni, comprendo la poco educata replica di Logan. Amara. Un altro urlo, poi più niente. Doveva sbrigarsi.
- Dammi un quarto d’ora.
Il ladro alzò le braccia al cielo e dietro la testa fino a sentirne protestare i muscoli.
- Un quarto d’ora cocco?! Qui si muore!
Remy chiuse gli occhi. No, non era il momento per quello. Era un professionista. Era serio, concentrato e soprattutto freddo.
- Allora cercate di sopravvivere, cher. Gambit chiude.
- Bastard….
La replica di Logan morì con un click. Remy si risistemò il comunicatore nell’orecchio sinistro e fece qualcosa di cui si sarebbe più tardi pentito: spense le comunicazioni.
Respirò profondamente e si sgranchì i muscoli del collo, aveva bisogno di tornare in contatto col suo centro. Un secondo dopo ed era già nel vuoto.
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Jean-Paul Beaubier non era soddisfatto. Qualcuno avrebbe potuto giustamente replicare: quando mai Jean-Paul Beaubier lo era mai stato, ma questa sarebbe stata una domanda troppo privata ed a meno che non si desiderasse un viaggio di sola andata verso la terapia intensiva, quel qualcuno avrebbe fatto meglio a tacere.
Al canadese la situazione non piaceva. Non tanto perché Lebeau se n’era andato una ventina di minuti prima, lasciandolo a fare da balia ad un suo ex studente ed ad una telepate con gravi disturbi della personalità (No-Girl come nome in codice. Era uno scherzo?), no: Jean-Paul aveva un brutto presentimento. Una sensazione come di viscido che percorreva la sua spina dorsale, vertebra per vertebra, lasciando al suo passaggio uno spettro freddo ed una mente vuota. Una sensazione ormai famigliare, ma che non era mai stata così forte. Bhè. Tranne che per quella volta. Ricordava ancora l’arrivo degli X-Men (o meglio… di quello che ne restava) nel “fortino segreto” di Mac. Heather e Puck avevano fatto talmente tante feste a Logan da farla sembrare una riunione di famiglia. Quasi. Aurora era stata tra le prime a salutare quell’arrivo, forse ci aveva persino provato con Lebeau, o forse no ed era lui quello a partire sempre prevenuto. Dopotutto chi non sarebbe iperprotettivo nei confronti della propria sorellina miracolosamente ritrovata dopo una vita intera a credere di essere soli? Le tendenze apertamente ninfomani di Aurora non aiutavano di certo.
Dopo gli X-Men erano arrivati i Vendicatori, poi un mucchio di altra gente che non aveva mai visto prima e di cui nessuno sapeva quasi nulla eccetto per la comune propensione ad indossare completi eccessivamente aderenti (forse usavano tutti lo stesso sarto). Erano passati già dieci anni da Toronto, dieci anni da quando Heather gli era esplosa davanti agli occhi consumata dal raggio dello stramaledetto Atlas. Dieci anni da quando Aurora era morta. La cicatrice gli faceva ancora male. Il contraccolpo dell’esplosione che era stata la morte di Heather, di Thor e di un’altra mezza dozzina di persone del tutto ininfluenti lo aveva gettato a più di duecento metri di distanza. Era atterrato sulla neve e con il sapore del sangue tra i denti. Qualcosa lo aveva colpito durante quel volo, fratturandogli gambe e braccia e tagliandoli il volto; avrebbe saputo solo più tardi che si era trattato di ciò che restava della Cosa. Brutta morte per Benjamin Grimm. Quando aveva aperto gli occhi la prima cosa che era riuscito a vedere attraverso la patina di rosso era stata il volto di Aurora. Jeanne-Marie lo aveva fissato con due occhi tristi e preoccupati, mormorando qualche cosa che non riusciva a capire bene: la botta in testa era stata troppo forte. “Je suis désolé mon frère” continuava a ripetere “Je suis désolé”. Alla fine Jean-Paul aveva capito: sua sorella non sarebbe tornata indietro quel giorno. Il sibilo delle Sentinelle Omega aveva attraversato l’aria: la furia di Atlas era cessata ed ora le formichine erano venute a pulire il campo dalle ultime briciole. Aurora si frappose tra lui e l’onda. Aveva gridato, le aveva ingiunto di scappare, di correre, di volare via, di abbandonarlo. Sua sorella non l’aveva ascoltato. Era stata dannatamente eroica con il suo costume nero che non faceva vedere il sangue. Era rimasta in piedi senza fuggire, aveva abbattuto ogni nemico le si parasse davanti e resistito fino alla fine. I rinforzi l’avevano trovata in piedi grondare rosso sulla neve candida, Cloack li aveva avvolti entrambi nel suo mantello e Jean-Paul avrebbe tanto voluto urlargli che era troppo tardi, che sua sorella era già morta, ma la sua voce se n’era andata con lei. Jeanne-Marie era morta in piedi, per un istante quegli occhi azzurri avevano incontrato i suoi ed aveva sorriso trovando nella morte quella pace che l’aveva sempre elusa nella vita.
Non credeva sarebbe riuscito a sopravviverle. Per mesi non era stato che l’ombra di se stesso incapace di muoversi e di parlare; aveva assistito al cicatrizzarsi delle sue ferite con il distacco di un uomo che non ha più niente da perdere. Ricordava Logan provare ad aiutarlo, ma lo scorbutico leader degli X-Men non aveva né la pazienza né il tempo: troppe cose dipendevano da Wolverine e lui era semplicemente troppo stanco. L’insegnamento gli aveva dato quella scintilla che pensava di aver perduto ed anche se ora metà dei suoi studenti non c’erano più ed era tornato a vestire la calzamaglia dell’agente sul campo, sarebbe stato eternamente riconoscente a Dani per averlo restituito alla vita. Quella mattina aveva giurato a se stesso che avrebbe fatto di tutto per riportarle il suo Sam. Non gliene fregava niente di Ciclope. Summers non aveva mai fatto niente per lui se non strillare ordini mentre Alpha Flight risuolava gli X-Men alla grande, ma Cannonball era stato suo amico e Jean-Paul era davvero stufo di perderne.
Ma quella sensazione… C’era qualcosa che non andava. Prima Lebeau con la sua planimetria del cavolo, poi i problemi di David ad accedere ai terminali di archiviazione. Avevano ottenuto la collaborazione del cervello, certo, peccato che scollegando Martha dal sistema avevano cancellato anche i dati che la telepate aveva in memoria. Ora dovevano fare alla vecchia maniera: virus, password, tanta pazienza ed il tempo che non avevano più. E sperare che nel frattempo Martha avesse un altro di quei suoi flash e si ricordasse di nuovo qualcosa di utile come l’ubicazione della postazione di comando centrale. Era stata per tutti (tranne che per Lebeau) una vera sorpresa scoprire che il cervello di archiviazione ed il centro di comando non coincidessero in un’unica unità.
- Che si fa con gli inibitori allora?
Aveva chiesto a Lebeau. Il ladro aveva avuto la faccia tosta di sorridergli.
- Si trova il centro di comando e li si spegne, non?
Il bastardo lo sapeva.
- E’ questa allora?! E’ questa la missione segreta che ti ha affidato Logan?!
- Oui.
La sua era stata una domanda retorica. Quelle due teste calde gli avrebbero fatto venire un’ulcera.
- E mentre tu vai in giro a farti ammazzare io dovrei restare qui a fare la guardia al ragazzo, giusto?
Lebeau sorrise di nuovo.
- Oui. Il piano è più o meno questo, sì.
- Allora lasciami dire che questo piano è una c…
- SONO DENTRO!
La voce di Prodigy lo distrasse da quelle dei suoi ricordi. Si avvicinò al ragazzo osservando la sua espressione trasformarsi da soddisfatta a frustrata.
- O forse no…- David lasciò ricadere la testa sulla tastiera.- Al diavolo!
Non stavano facendo alcun progresso, ancora un po’ ed andavano in retromarcia. Jean-Paul gli appoggiò una mano sulla spalla e strinse.
- Forza ragazzo, dipende tutto da te.
David sorrise.
- Bel modo per non mettermi sotto pressione.
Northstar sollevò un sopracciglio e gli diede un’altra pacca sulla spalla, questa volta in modo meno amichevole.
- Vedi di darti una mossa.
David annuì e lo sguardo di Jean-Paul si mise a vagare sugli schermi fluorescenti dei terminali accesi. Forse era davvero tutto inutile.
“Signor Beaubier?”
Gli occhi di Jean-Paul si allargarono ed il velocista rispose a quell’assalto portandosi istintivamente le mani alla testa.
“Signor Beaubier, non si preoccupi, sono io: Martha”
Oh. Quindi la ragazzina poteva comunicare con qualcun altro e non solo attraverso Prodigy.
“Sì, signore. Solo che tra tutti voi mi era sembrato quello più maturo con cui avere a che fare”
Delizioso. Così aveva sentito tutto quello che gli era passato per la testa. Odiava i telepati.
- E quindi che cos’è successo ora per farti abbassare a parlare con me?
David lo guardò tutto strano, ovviamente non poteva sentire Martha. Al diavolo.
“Signore, non mi sembrava il caso di disturbare David mentre sta lavorando. Ah e non c’è bisogno che mi risponda ad alta voce, si può limitare a pensare, sempre che ne sia in grado.”
Saputella per essere un cervello, la piccola.
- E se io preferissi così?
“Ho buona ragione di ritenere che finirebbe per distrarre David in modo ancora peggiore”.
Punto.
“Grazie”.
Jean-Paul chiuse gli occhi e fece gesto a David di tornare al lavoro. Si massaggiò con una mano la collina tra gli occhi, strinse con due dita la base del suo naso ed il piano astrale si srotolò attorno a lui.
“D’accordo, qual è il problema”
La ragazzina pallida, coi capelli castani ed un vestitino giallo che era Martha Johansson sorrise timidamente, la proiezione mentale vibrò come un disturbo televisivo.
“Continuo a pensare a mister Lebeau”
Ossignore! Ti prego dimmi che non era questa la cosa urgente. Martha aggrottò le sopracciglia.
“Il suo volto mi è sembrato stranamente famigliare…”
Ah, era per questo. Jean-Paul si sentì un po’ sollevato: le cotte dei teenager gli facevano venire l’eritema.
“Ha fatto da cavia per gli scienziati di Bastion qualche anno fa, è probabile che la sua faccia da sberle ti sia famigliare”
Martha abbassò gli occhi e parve perplessa. Jean-Paul la osservò mordicchiarsi pensosamente il labbro inferiore, gli dispiaceva per lei: Bastion l’aveva privata del suo corpo e loro dei suoi ricordi. Doveva essere terribile sentirsi così disconnessa, non era difficile capire perché ora cercasse di appigliarsi ad ogni cosa famigliare. Una volta al Fronte le avrebbe fissato un appuntamento con Shan e chissà: magari Jeffries sarebbe stato anche in grado di darle un corpo tutto suo.
“Strano…”
Jean-Paul osservò la proiezione astrale oscillare, confondendosi col luminoso panorama circostante.
“Strano… i suoi occhi… non ricordo dati di Bastion a riguardo, solo un nome.”
Jean-Paul venne colto da uno strano senso di vertigine, il piano astrale si stava disfacendo attorno a lui, Martha non era in grado di mantenere a lungo quell’illusione.
- Quale nome?
Lo disse ad alta voce, non gli importava di sentirsi stupido. Il volto di Martha scomparve insieme ai frammenti di quel mondo racchiuso solo nella sua testa.
“Black womb.”
#
Stava danzando. Un laser si ricalibrò a mezzo centimetro dal suo naso, Remy lasciò ricadere la schiena all’indietro, un altro scattò sulla sinistra e Remy si lanciò nel varco aperto alla sua destra. Passo doppio, la rete dei laser seguiva ogni suo movimento. Un valzer in cui uno dei due partner  cercava di pestare i piedi all’altro. Due raggi incrociati si inchinarono, il ladro si inserì tra di loro elegantemente. Un battito e scartava sulla sinistra. Un battito ed era in piedi su due dita. Un altro ancora e si avvitava nell’aria. Veloce, veloce, più veloce. Il ritmo era tutto e paurosamente incalzante, la coreografia doveva essere perfetta. Le maglie della rete si chiudevano attorno a lui, Remy si accucciò a terra, contò fino a tre di nuovo su due piedi e ruotò il bacino di sessanta gradi. Estrasse il bastone bo e lo utilizzò come sostegno per raggiungere il soffitto, l’intervallo di un secondo e rotolava a terra, schivava il laser alla sua destra e programmava la sua prossima mossa. Era solo a metà corridoio.
Un improvviso gettò di calore falcidiò l’aria dove prima si era trovato il suo orecchio. Piroettò come una mosca attraverso le maglie della ragnatela, i muscoli che urlavano e la mente beatamente vuota.
Si lanciò di nuovo in aria con un avvitamento che lo fece atterrare sul medio e l’indice della mano sinistra. Allungò i piedi in avanti tra due raggi orizzontali e si diede con le dita la spinta necessaria a portarlo al di là di quella gabbia mai ferma. Si abbassò fino ad essere parallelo al pavimento e lasciò un laser curioso sfiorargli la punta del naso. Il calore lo fece sorridere. Poteva già sentirsi in bocca il sapore del successo. Quindi iniziò a distrarsi.
Provocò i due rapidi laser in rotta di collisione con la sua faccia, con un sorriso di scherno. Aspettò l’ultimo secondo per scartare sulla destra e lanciarsi di nuovo con una capriola assolutamente non necessaria nell’aria. La sua playlist cerebrale si era messa a strimpellare a tutto volume “Cant’ touch this” e lui a canticchiarne le strofe a mezza voce. Un raggio saettò a due centimetri dal suo collo tentando e fallendo di decapitarlo. Rise e si piegò in avanti attraverso l’intervallo di due colonne perpendicolari. Appoggiò una mano al pavimento ed effettuò una verticale, prima di ripiombare a terra e poi di nuovo fendere l’aria.
La fine del corridoio era vicina. Remy si lanciò verso il varco apertosi sulla sua sinistra, senza notare il laser che rapidamente dal suo angolo cieco chiudeva su di lui. Era quasi fuori, quasi al sicuro, quando il dolore trovò la strada dalla caviglia destra al centro del suo cervello, esplodendo con la forza del tuono in uno stagno. Schizzi rossi spruzzarono il pavimento e incoronarono la ferita già cauterizzata. Essere feriti da raggi laser ad alta temperatura offriva i suoi vantaggi. Pochi, ma bisognava sempre guardare il lato positivo, non?!
Remy si raccolse su se stesso in posizione fetale, mordendosi le labbra e studiando la nuova cicatrice della sua raccolta personale. La ferita aveva scavato un solco profondo un centimetro. Non sembrava aver intaccato ossa o tagliato qualche tendine importante. Appoggiando una mano contro la parete di metallo provò a tirarsi su. Dieci secondi ed una mezza bestemmia in francese dopo ed era di nuovo in piedi. La caviglia faceva un male boia, ma sembrava intenzionata a fare il suo lavoro ed a reggerlo ancora per un po’. Solo che ora zoppicava come il dottor House, dannazione. Allungò il bastone bo e decise di servirsene (con una punta di imbarazzo) come appoggio per il resto del suo cammino fino al centro di comando. Meno male che secondo Martha il peggio doveva essere passato: niente più condotti d’areazione che cercano di mangiarti le chiappe o griglie laser abbastanza intelligenti per giocare a scacchi. Dannazione. Per fortuna i laser calibrati per sforacchiare ed uccidere, non erano collegati come i loro più miti colleghi al sistema d’allarme (a quanto pareva le due funzioni contemporaneamente tendevano a mandare in tilt il sistema) altrimenti ora sarebbe davvero stato nella cacca. Oh bhè. Che dire… stava invecchiando. Una decina di anni prima non si sarebbe fatto prendere così alla sprovvista. “Largo ai giovani”, come diceva sempre Cannonball. Un vero peccato che fosse morto. Sam gli era sempre stato simpatico, una volta lo aveva persino lasciato vincere a poker.
Qualcosa di freddo scivolò lungo il suo collo, cogliendolo alla sprovvista. Due labbra gonfie e viscide accarezzarono il suo orecchio sinistro sussurrando di cose che aveva perduto. Remy si voltò di scatto, il bastone bo calò sull’apparizione e fendette l’aria. Il corridoio era vuoto. Si portò una mano all’orecchio, il respiro affannato e gli occhi larghi come piattini da tè. Nulla. L’adrenalina doveva essergli andata al cervello. Si picchiò la fronte col palmo della mano nel tentativo di rimettere in quadro i suoi troppo fantasiosi neuroni. Concentrazione Lebeau, non lasciare che l’atmosfera di questo posto ti dia alla testa.
Parole. Remy si trovò controvoglia a fissare la parete grigia del lungo corridoio. C’era qualcosa lì, sotto quello strato di acciaio e calcestruzzo. Qualcosa di sconosciuto e tremendamente famigliare. Allungò una mano e ne percorse la superficie, questa sembrò prendere vita e pulsare dovunque il suo tocco esitasse più a lungo. Una scintilla partì dalle sue dita disegnando segni incomprensibili nell’aria rarefatta. Ma che…
Un battito di ciglia e due mani sottili, quasi trasparenti, urlarono attraverso la parete ed artigliarono il suo viso. Remy si risvegliò da quell’incantesimo con un urlo strozzato e rovinando malamente a terra. Di sedere. Ahi. Tamburi. Tamburi nelle orecchie. Il suo cuore scandiva un tempo forsennato acuendo ogni senso e spegnendo il cervello. Remy alzò lo sguardo, mentre il fiato usciva corto ed appannava l’aria improvvisamente più fredda. La parete era di nuovo vuota.
Oookay… questo era decisamente strano. Allungò una mano e la ritirò bruscamente indietro. Meglio evitare altre esperienze stile The Ring per oggi, per tutto il resto della vita sarebbe stato meglio, ma uno può essere ottimista solo quel tanto.
Non sapeva esattamente cosa fosse successo, ma aveva la strisciante sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato, qualcosa che mancava. Un corridoio. Mancava un corridoio. Non sapeva come o perché (la planimetria non aveva previsto quel piano del tutto), ma era sicuro che lì ce ne dovesse essere un altro. Ed un salone ed un laboratorio ed un giardino e delle vasche piene di bambini addormentati. La terra si sgretolò sotto ai suoi piedi e fu come se qualcuno gli avesse infilato un coltello rovente nel cervello. Remy si portò dolorosamente una mano alla tempia, le sue dita sfiorarono il comunicatore spento. Riaprì gli occhi ritornando bruscamente alla realtà. Una parete vuota ed uguale a tutte le altre rispose al suo sguardo. Dannazione.
Si tirò faticosamente in piedi ed accarezzò il comunicatore con un gesto nervoso. Logan e gli altri erano ancora bloccati da qualche parte sopra la sua testa e lui perdeva tempo a ciondolare tra i fantasmi immaginari della sua sbornia da adrenalina. Male Gambit. Molto male. Doveva sbrigarsi: il quarto d’ora che aveva promesso a Logan era agli sgoccioli e chi lo sentiva poi se no il canadese?! Uno schiavista bello e buono ecco cos’era. Zoppicando e recriminando tra sé, Remy si incamminò lungo il corridoio descrittogli da Martha, cercando di ignorare il freddo senso di vertigine che gli si era installato nel cervello.
Gli avvenimenti di quella giornata sarebbero tornati anni più tardi a perseguitarlo.
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Ci sono diversi modi per aprire una porta, pochi di essi prevedono averne effettivamente la chiave. Rachel di solito preferiva la telecinesi, in mancanza di poteri si accontentarono prima di un calcio (con conseguenze disastrose per le gambe di Billy) e poi degli esplosivi di Domino. Il lucchetto cedette con un rumore sordo di stantuffo per una detonazione che sollevò più polvere che altro. Neena studiò i suoi compagni indaffarati a coprirsi le orecchie con due mani con un sopracciglio sollevato: i veri professionisti non fanno mai rumore. Tranne Lebeau, ma questo solo perché la maggior parte delle volte il ladro era troppo preso dal suo ruolo di diversivo comico per impegnarsi sul serio.
Rachel le sorrise e con il suo aiuto fece scivolare la pesante porta di acciaio lungo i cardini elettrificati. Un’anticamera grigia si aprì davanti a loro con un getto d’aria fredda e pressurizzata. Le camere con le celle si trovavano poco più avanti. Si voltò verso Domino e Billy: era il momento di dividersi. Il teleporta e le sue solerti guardie del corpo non potevano allontanarsi troppo da Logan e gli altri: entrambe le squadre in caso d’emergenza dovevano trovarsi nelle condizioni di raggiungere la via d’uscita; era stato solo per una tragica circostanza che Billy e gli altri si erano trovati a seguirla. Rachel chiuse gli occhi e fece un gesto con la mano come a voler scacciare una mosca od un pensiero fastidioso. Certo che se gli inibitori si ostinavano a rimanere attivi tutte le loro precauzioni sarebbero servite a ben poco, anche la sua missione a ben pensarci non avrebbe avuto senso. No. Doveva fidarsi. Questa volta doveva affidare la sua vita e la buona riuscita della missione nelle mani di qualcun altro. Lebeau era in gamba e Logan garantiva per lui. Questa era tutta l’assicurazione di cui aveva bisogno. Con un cenno di intesa a Billy e Neena, richiamò attorno a sé la sua squadra e sprofondò nel ventre grigio dell’incubo.
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Oh. Salve. Il volto grigio della Sentinella Mark1 apparve da dietro l’angolo, gli occhi rossi si illuminarono in un modo quasi comico quando si trovarono faccia a faccia con uno zoppicante ladro. Remy maledisse la sua sfortuna, fece un cenno di saluto con la mano, notò gli scopettoni e la lucidatrice collocati accanto ai piedi dell’androide e si buttò di lato appena in tempo per evitare di essere investito da una scarica di energia sparata direttamente sul suo muso. Angoli. Dov’erano gli angoli o le porte dove nascondersi quando ne avevi bisogno?!
Uno sfrigolio seguito da un’esplosione e la parete al suo fianco si accartocciò come cartapesta bagnata. Remy rotolò lontano prima che il puzzo del metallo fuso potesse raggiungere le sue narici. Fece forza sui palmi delle sue mani e si diede la spinta per saltare in piedi, mentre una salva di proiettili faceva ciao alla posizione dove un attimo prima si era trovata la sua testa. Remy era in autopilota il che quando era in condizioni ottimali era di solito un bene, ora che la sua caviglia gli bestemmiava dietro ed il suo piede destro si ostinava a mancare l’appoggio, mica tanto. Non esattamente le condizioni ideali per caricare una Sentinella a testa bassa ed a tutta velocità. Soltanto Logan non avrebbe considerato quel piano del tutto cretino, ma di solito Logan aveva un fattore di guarigione a parargli il culo. Remy no. Il ladro aveva solo la sua velocità, la sua fortuna ed una buona dose di avventatezza. Remy sorrise ed allungò il bastone bo, la Sentinella lo guardò stupidamente. Un’estremità del bastone bo calò pesantemente al suolo, trasformandosi nel perno necessario al ladro per flettersi nell’aria e raggiungere le spalle dell’androide. La testa della Sentinella ruotò di trecentosessanta gradi come un incredulo gufo metallico, Remy senza esitazioni vi scaricò sopra l’intero caricatore della sua glock. Gli occhi rossi, larghi, luminosi e terrorizzati sfrigolarono ed esplosero in una confusione di scintille e metallo gracchiante. La Sentinella si piegò su se stessa, le sue braccia ebbero un ultimo spasimo, le dita si contrassero in un pugno, poi il corpo metallico ricadde a terra con un rumore stridente. Remy appoggiò la schiena contro la parete e cambiò il caricatore. Il suo sguardo vagò sul corridoio lucidato di fresco e sul corpo martoriato dai fori di proiettile e dai vecchi innesti degli upgrade. Doveva trattarsi della stessa Sentinella Mark1 che aveva trovato con Jean-Paul e David all’andata. Stava davvero facendo le pulizie. Non sapeva esattamente come sentirsi a riguardo (divertito? sorpreso? orripilato?). Chiuse gli occhi e provò a muovere il piede. Ahi. Porca puttana porca (con tutto il rispetto per le praticanti di quella nobile ed antica professione). Ahi. Serrò la mascella e si morse le labbra. Il suo scherzetto di prima gli sarebbe costato caro. Provò a spostare il peso sulla gamba destra che protestò e cedette, costringendolo ad aggrapparsi al muro liscio e poi ad appoggiarsi al bastone bo. Meraviglioso.
Chiuse gli occhi e li riaprì. Forza e coraggio Lebeau: devi solo mettere un piede davanti all’altro. O un bastone davanti ad un piede o viceversa o cosa diavolo vuoi, basta che ti muovi. Stancamente, lentamente e faticosamente iniziò la sua risalita.
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La prima cosa che la colpì fu l’odore, o meglio la sua mancanza. L’aria del braccio carcerario non era densa e colma degli odori acri ed intensi dei prigionieri in precarie condizioni igieniche (prova a non farti una doccia per un mese e vedrai che persino i topi si defileranno al tuo passaggio), piuttosto era rarefatta, asettica. Sembrava che qualcuno avesse sterilizzato quelle sale di recente. Rachel non si fece ingannare. Dietro quell’apparenza levigata e pulita, si nascondeva la mente scientifica di un pazzo. Quel posto le faceva paura. Un terrore saldamente alloggiato nel suo stomaco si fece strada dentro di lei insieme alla memoria di giorni di un futuro passato che ora era costretta a rivivere. Temeva di non sopravvivere al secondo giro della giostra.
Indra al suo fianco trattenne il fiato, Esme si arrestò sul posto, persino Shan si fermò portandosi una mano alla tempia. Rachel si voltò verso i suoi compagni, lo spettro di una domanda le scaldò la lingua prima di consumarsi nell’improvvisa esplosione delle sinapsi del suo cervello. Parole, frasi, sensazioni entrarono in lei svuotandola e rigirandola come un calzino messo ad asciugare. Un’eco martellante dentro e fuori da lei che la rovesciò sulle ginocchia e la riempì di una perversa euforia. I pensieri. Tutti i pensieri del mondo. Rachel sorrise ed asciugò col retro della mano il rivolo di sangue che le usciva dal naso. Gli inibitori erano andati. Fenice era risorta. Lebeau ce l’aveva fatta.
Rachel si voltò con un sorriso soddisfatto verso i suoi compagni, trovandoli tutti a terra in differenti stati di arrabbiatura e confusione.
- Forza ragazzi, non è mica il momento per fare un pisolino!
Esme Cuckoo aggrottò le sopracciglia e si tirò faticosamente a sedere.
- Dillo alla tua telecinesi, genio.
Oh. Ecco perché erano a terra. Doveva aver involontariamente generato un’onda d’urto. Indra era caduto di faccia, Shan di sedere, i capelli biondi di Esme svettavano sulla sua testa come le punte di un porcospino. I loro poteri erano tornati. Rachel, invece di ammonire la giovane telepate, si trovò a ridere di gusto. Ce l’avevano fatta.
La sua mano corse all’orecchio sinistro alla ricerca del comunicatore. Era davvero un buon momento per festeggiare con Logan. Il contatto radio le rispose con cariche statiche. I suoi occhi si riempirono di un improvviso senso di orrore. Un malfunzionamento, oppure… Con la periferia del suo sguardo notò i sorrisi morire dai volti dei propri compagni e le loro mani correre a seguire il suo esempio.
- No…
La voce di Indra era un sussurro appena percettibile. L’espressione di Esme si chiuse come una saracinesca.
Oppure erano già tutti morti.
- Probabilmente la tua scarica telecinetica di poco prima ha messo i comunicatori fuori uso. – la voce pragmatica di Shan si fece largo attraverso l’abisso della sua disperazione trovando un appiglio a cui aggrapparsi. Si voltò verso la vietnamita, Shan la guardò con dolcezza, ma con determinazione e le appoggiò una mano sulla spalla. – Non c’è niente di cui preoccuparsi.
Fissò Shan come se la vedesse per la prima volta. Inspirò. Contò fino a cinque. Espirò. Andava tutto bene. Doveva crederci.
- Esme con me, Shan prova ad aggiustare la radio, Indra stalle vicino e coprila.
I due giovani mutanti annuirono, Shan, dopo un’ultima strizzata ed uno sguardo d’intesa, lasciò andare la sua spalla. Rachel le sorrise di nuovo calma, di nuovo in controllo.
- Muoviamoci.
Avanzarono in formazione serrata. Le mani di Esme si aggrappavano disperatamente al calcio della sua pistola, gli occhi di Rachel vagavano su tutto e niente. Finse di ignorare i suoi compagni trattenere il fiato o il modo in cui la loro voce tremava quando, con un soffio, dalle loro labbra sfuggiva un nome. Preferì non riconoscere i volti delle celle. A lei ne interessava solo uno.
Occhi vuoti, bianchi e turgidi seguivano la loro avanzata nel vortice della follia con espressione incolore. Rachel si domandò se quando avessero trovato Scott ci sarebbe stato ancora qualcosa da salvare.
- Sono spente?
Alle sue spalle sentì Shan annuire. Esme aggrottò le sopracciglia poco convinta.
- Allora perché sembrano non perdere d’occhio ogni nostro movimento?
Shan agitò il comunicatore, un gesto più di frustrazione che d’altro. Se fosse stata una persona meno calma (Rachel per esempio) probabilmente ora quel coso avrebbe fatto un viaggio di sola andata verso la parete più vicina. Quella stupida macchinetta continuava a rispondere ai suoi sforzi con cariche statiche.
- Sono programmate per orientarsi verso ogni fonte di calore disponibile entro il raggio di cento metri.
- Come i girasoli!
Per qualche ragione Indra aveva ritenuto quello il momento buono per offrire il proprio contributo. Esme sbuffò. Rachel si trovò, suo malgrado, a trattenere una risatina, le uscì uno strano verso strangolato. Bastion era un grosso fiorellone con tanto di corolla. Indra arrossì e Shan sorrise.
- Esatto Paras. Un po’ come i girasoli col sole.
Esme tirò su col naso e si aggiustò i capelli.
- Comunque sono inquietanti.
Nessuno disse più niente per un po’. Una cella seguiva l’altra, un volto familiare seguiva a tanti altri sconosciuti. Sembrava che non volessero finire mai e li portassero giù e sempre più giù fino a toccare il fondo di quel budello fatto della stessa sostanza degli incubi.
Rachel contò almeno un centinaio di Sentinelle Mark3 perfettamente funzionanti, ma erano gli altri ospiti del complesso ad attirare maggiormente la sua attenzione. I corpi dei prigionieri erano adagiati su lucidi lettini di metallo cromato. Le teste rasate fissavano il nulla del soffitto sopra di loro con un’espressione ancora più distante dello sguardo bianco delle Sentinelle spente. Alcuni erano legati ai letti con cinghie grigie spesse tre dita, altri no. Al loro posto su caviglie e polsi portavano le stigmate rosse e parzialmente cicatrizzate di una resistenza passata. Piccole macchine simili a compressori pompavano nelle loro vene una sostanza verdastra e densa. L’aria sterilizzata copriva quasi completamente l’odore della carbonizzazione. La carne rossa si confondeva al giallastro del pus attorno alle placche metalliche più fresche. Un’altra macchina scaricava nel sangue quelli che sembravano antibiotici. Il procedimento di “conversione” non avveniva lì. L’ambiente era troppo pulito e spoglio. Quello era solo il magazzino dove parcheggiare i corpi tra un’operazione e l’altra. Le sbarre elettrificate delle celle riempivano l’aria di riverberi azzurri. Rachel ingoiò la sensazione di vomito che si era fatta strada nella sua bocca e mantenne la mente fredda. Celle. Concentrati. Se gli scienziati di Bastion sentivano l’esigenza di rinchiudere le Mark3 in delle celle allora c’erano davvero ragioni per sperare. Un centinaio di Sentinelle Mark3 ed almeno il doppio di feriti in corso di mutazione. Li avrebbero portati via tutti. Bastion la prossima volta si sarebbe trovato di fronte ad un vero esercito. Prima avrebbero distrutto le sue fabbriche, poi i campi di concentramento, avrebbero ripulito l’Europa e poi avrebbero obliterato Atlas e le chiappe di Bastion dall’esistenza.
L’aria intorno a Rachel iniziò come a bruciare, gli occhi delle Sentinelle si spostarono su di lei con espressione incolore, mentre i suoi si riempirono di una furiosa determinazione. Esme, al suo fianco, arretrò prudentemente di qualche passo. Un rumore stridulo ed una voce disturbata e gracchiante la fecero bruscamente ritornare coi piedi per terra (letteralmente: stava levitando). La piccola mosca radiofonica tra le mani di Shan stava tornando alla vita.
- Bzzz… cocc…bzzz…ricev…dov… bzz… CRIST…
Logan. In un secondo Rachel era al fianco di Shan.
- Shan, riesci a stabilizzarlo?
La vietnamita aggrottò le sopracciglia, piccole gocce di sudore imperlavano la sua fronte.
- Ci sto provando…- girò le manopole della piccola radio che portava al suo fianco, il segnale continuava ad essere pesantemente disturbato.
- Logan? Logan qui è Shan, mi ricevete?
In lontananza potevano sentire l’inconfondibile silenzio che segue un’esplosione.
- Sha… qui Log… stat…bzz…ve siet…
Il contatto andava e veniva in un continuo fischiare di bib sempre più penetranti ed acuti. Qualcosa in una cella in fondo al corridoio attirò la periferia dello sguardo di Rachel. Gli occhi della rossa si dilatarono fino a che il nero della pupilla non prese il sopravvento sul verde. Fece ad Esme cenno di seguirla e sentì la sua voce distante ordinare a Shan di continuare coi tentativi. Un brivido la percorse lungo il collo ed il fiato iniziò ad accelerarsi per l’anticipazione. Era già lontana di parecchi passi, quando finalmente Shan centrò la frequenza giusta e la voce di Logan grugnì attraverso le cariche statiche.
- Poteri? Quali poteri cocca?
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Logan abbassò la testa e sentì il fischio della granata oltrepassarlo per detonare a venti metri da lui. Il contraccolpo dell’esplosione non lo spostò di un millimetro, ma, dopotutto, sono questi i vantaggi di uno scheletro d’adamantio. Agguantò il braccio ferito di Sharra ed utilizzò il cadavere dell’indiano come scudo. Avevano abbattuto la maggior parte delle Sentinelle che gli avevano lanciato contro, ma quelle continuavano ad arrivare ed arrivare. Le bastarde sembravano non finire mai, non come i loro proiettili che diminuivano in modo inversamente proporzionale ai loro morti. Una coppia di laser incrociati ad alta intensità aveva fatto saltare una delle loro barricate, un frammento volante aveva trovato la strada per la carotide di Sharra, spaccando un po’ più a fondo il cuore di Amara. Magma aveva urlato con voce irriconoscibile, i lineamenti stravolti, e si era gettata in mezzo alle Sentinelle in avvicinamento con la furia di un demone del Limbo. La polvere fumante l’aveva inghiottita. Logan non la vedeva da allora.
Da qualche minuto stava disperatamente tentando di ristabilire il contatto radio. Lebeau non rispondeva. Se quel bastardo aveva davvero spento il comunicatore come sospettava, una volta al fronte l’avrebbe scuoiato vivo. Jean-Paul l’aveva informato che gli inibitori nei laboratori sembravano essere inattivi, questo già dal loro arrivo. Logan aveva aggrottato le sopracciglia ed un secondo dopo gli aveva spedito giù Billy e la sua squadra. Arclight sentendolo aveva iniziato ad insultarlo, costringendolo a tirarle una sberla e ringhiare qualche minaccia. Allontanare Billy significava allontanare la loro via di fuga, ma con gli inibitori attivi erano spacciati comunque. Tanto valeva che almeno loro si salvassero. Il fatto che i laboratori fossero puliti lo lasciava perplesso.
Una decina di proiettili grossi come palline da ping pong si conficcarono a mezzo metro dalla sua testa. Logan abbandonò il cadavere di Sharra e, tenendo saldamente la piccola radio stretta nel suo pugno, ripiegò dietro la barriera eretta da Wisdom ed i suoi.
- Come va vecchio?
Logan grugnì.
- Hai visto Amara inglese?
Wisdom si raccolse in posizione fetale, un attimo dopo un raggio laser fendette l’aria dove un momento prima si era trovata la sua testa.
- No, il fumo è troppo denso…Sharra?
Logan raccolse le labbra a riccio e si rimise a trafficare con la radio.
- Morto.
La replica di Wisdom fu spezzata da un rumore gracchiante. Il comunicatore di Logan riprese vita.
- Rachel, cocca, mi ricevete? Dove siete?
Un rumore violento fece tremare la terra sotto ai suoi piedi. Logan alzò gli occhi giusto in tempo per vedere il corpo mutilato di Skids volare attraverso l’aria e venire trivellato da una salva di proiettili.
- CRISTO!
Una sottile pioggia di sangue ed il cadavere smembrato precipitò a terra nello stesso modo disordinato delle bambole. Sembrava che qualcuno avesse premuto un pulsante e tolto il sonoro al mondo.
- Logan?
Wolverine sbatté le palpebre. Tutto era silenzio. Da dove veniva quella voce?
- Logan… qui…Shan…bzz… mi ricev…
Il comunicatore pulsava tra le sue mani. Il sonoro tornò insieme alle percussioni degli spari. La voce di Shan aveva spezzato l’incantesimo.
- Shan! Qui Logan. State bene? Dove siete?
Altre cariche statiche gli giunsero insieme ad una voce concitata, strappandogli quasi un sospiro di sollievo. Wisdom rumoreggiava al suo fianco. Arclight li aveva raggiunti dietro alla barricata e stava ripagando la loro ospitalità facendo sistematicamente saltare braccia e teste alle Sentinelle più vicine. Un rumore stridulo e dopo qualche secondo la voce della vietnamita lo raggiunse in un gracchiare un po’ più nitido se non meno intenso.
- Stiamo tutti bene. Com’è da voi la situazione. Sono tornati a tutti i poteri?
Una granata penetrò attraverso la barriera, esplodendo di fianco al braccio di Arclight. La donna urlò e corse al suo braccio mozzato. Wisdom lanciò ogni sorta di maledizione ed aprì un fuoco di copertura. Attraverso la confusione dei feriti ed il rintocco degli spari, Logan trovò la forza per urlare.
- Poteri? Quali poteri cocca?
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Secondo le statistiche un uomo in media fa cilecca una volta su cinque. Remy Lebeau non conosceva il significato di quel termine. Non ci credete? Chiedete in giro. Ora di fronte al complesso alveare di cavi e pulsanti luminosi del centro di comando iniziava a capire cosa significasse sentirsi impotente. Ne aveva provate di tutte, gli aveva persino tirato un calcio per la frustrazione (si era ricordato solo più tardi e con sommo dolore della sua caviglia ferita). Niente. Non riusciva ad entrare. Avrebbe tanto voluto avere una sigaretta.
Aveva lanciato almeno dieci subroutine, ma nessuna sembrava intenzionata a fare breccia nel cervello meccanico. Senza il codice d’accesso generato dalle frequenze d’onda di una Sentinella le porte del sistema rimanevano chiuse. Bastion aveva davvero dei gran bei giocattolini. Si passò una mano tra i capelli e si diede mentalmente dell’idiota. Aveva bisogno, strano a dirsi, di una Sentinella e cosa aveva fatto quasi saltare a neanche trenta metri da lì?! Sperando, ovviamente, che i proiettili della sua glock gli avessero lasciato abbastanza da poter riutilizzare e che il sistema fosse compatibile con le Mark1. Meditando sull’importanza di riciclare sempre i propri rifiuti, Remy si precipitò per il corridoio da cui era venuto dimenticandosi quasi di zoppicare. Quasi.
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- Come sarebbe a dire che siete ancora senza poteri?!
Non era possibile. Doveva aver sicuramente capito male, queste trasmissioni erano piene di interferenze.
- Dimmelo tu, cocca. Il fattore di guarigione mi tornerebbe utile adesso.
Non aveva alcun senso. Shan e Rachel avrebbero potuto aspettare, ma Amara ed i suoi potevano morire nel frattempo. Disattivare gli inibitori della loro zona e ripristinare i loro poteri avrebbe dovuto rappresentare la priorità. Possibile che Lebeau (perché c’era di certo lui dietro a tutto questo, alla faccia del cospirare di Logan alle loro spalle) avesse preso una cantonata simile? I conti non tornavano. Il dubbio si installò come un piccolo parassita affamato nel suo cervello ed iniziò a rodere le sue certezze un tassello alla volta. Pensò a Sam, a quello che aveva visto nella sua mente ed a quel dolore basso, profondo e viscerale che aveva coperto ogni altra cosa. Quelle informazioni li avevano condotti lì. Lei li aveva condotti lì. Il tarlo continuava a riempirsi la pancia. L’aria iniziò a farsi irrespirabile.
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- Accesso consentito.
Se non avesse avuto in mano la testa mozzata di una Sentinella e la responsabilità di rappresentare una seria categoria di antichi professionisti, Remy avrebbe iniziato a fare la danza della felicità di Snoopy. Tutto sommato si trattene per la testa.
Dunque dov’era rimasto. Ah già. Le informazioni iniziarono a saettare sugli schermi luminosi. Tutte cose molto interessanti, ma di cui al momento non poteva importargli di meno. Doveva trovare le griglie di controllo. Non era certo di poter disinserire gli inibitori da lì, in quel caso avrebbe dovuto disattivarli zona per zona e manualmente. Un lavoraccio, ma soprattutto una faccenda lunga e lui di tempo non ne aveva più. I suoi neuroni avrebbero fatto meglio a darsi una mossa subito. Dopo minuti interminabili passati ad annaspare nel fango del codice binario, Remy fece jackpot. Trovati. Il ladro sorrise osservando i pannelli luminosi degli inibitori attivi. Ora doveva solo capire come spegnerli.
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- Wildchild sul fianco destro, Altman sul sinistro. Vediamo di dare un po’ di copertura all’inglese.
Wisdom era nei guai. Una Sentinella aveva pensato di abbattersi con tutto il suo metallico dolce peso sulla gamba destra dell’inglese, schiacciandolo e lasciandolo inerme al suolo. Al diavolo, persino quando le uccidevano quelle lattine continuavano a creare problemi.
L’aria iniziava a scaldarsi, la fronte di Logan e le sue ascelle erano madide di sudore, le continue scintille ed esplosioni avevano acceso il sangue verde delle Sentinelle, l’intera sala stava bruciando del calore di mille fuochi. Se andavano avanti così presto la loro preoccupazione più che i proiettili sarebbe diventata il fumo. Il laser di una Sentinella bruciò l’aria, Logan si abbassò, Teddy abbatté l’androide con la sua tipica precisione da cecchino. Wildchild preferiva stabilire coi suoi bersagli un contatto più fisico, un po’ come Logan: dopotutto a cosa servono artigli e fattore di guarigione se poi ti limiti a premere un grilletto?
Un gruppo di Sentinelle iniziò a staccarsi da quello principale ed a muoversi sulla loro destra. Maledizione. Si stavano facendo furbe, li volevano accerchiare. Logan non fu il solo ad accorgersene, almeno se il ringhio basso di Wildchild era da considerare un indizio.
- Kyle rimani qui e proteggi Wisdom.
Gli occhi del biondo più animale che uomo incrociarono i suoi, Wildchild scoprì i denti acuminati ed annuì. Usare il suo nome umano aveva sempre un effetto calmante sulla sua psiche frantumata.
Logan si lanciò sulla sua destra, artigli sguainati e cuore che pompava sangue ad una velocità folle. Le spie rosse dei puntatori laser delle Sentinelle si concentrarono su di lui. Logan scartò di lato ed intercettò il gruppetto che lentamente muoveva verso la propria morte. Tre artigli si insaccarono dentro ad un torace di metallo tranciando cavi e schizzando benzina verde tutt’attorno. Un’altra Sentinella chiuse sul suo lato sinistro, Logan liberò gli artigli dal petto della sua compagna e le ficcò un proiettile tra gli occhi. Le rimanenti cinque tentarono di accerchiarlo. Logan sorrise, quelle lattine non sapevano con chi avevano a che fare. La manciata di secondi seguente fu un vortice confuso di metallo, scintille, sangue, spruzzi verdi e grida. Alla fine solo Logan rimase in piedi. Il fiato gli usciva corto, le sue mani e le sue braccia erano una distesa di rosso, gli artigli scintillavano alle luci dei fuochi. Se avesse avuto un sigaro lo avrebbe acceso. Era sempre il migliore in quello che faceva. Troppo preso dall’euforia del momento, non si accorse del bip secco alle sue spalle che accompagnò lo stanco riaccendersi degli occhi della prima Sentinella abbattuta. Un attimo dopo un laser ad alta frequenza penetrò nel vuoto tra i suoi polmoni. Logan cadde a terra gli occhi azzurri spalancati a metà di un grido, una rosa rossa al posto del cuore.
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- Andate via. Trovatevi un riparo!
Wisdom urlava, il piede ancora bloccato da una tonnellata di acciaio semifuso. I suoi occhi non riuscivano ad abbandonare il cadavere di Logan. Teddy era fermo, immobile, a fissare il punto dove il canadese era caduto. Nessuno di loro riusciva a credere fosse davvero finita. Wildchild lanciò un grido più simile ad un ululato e partì alla carica delle Sentinelle che incuranti della loro tragedia personale continuavano ad arrivare.
Pete Wisdom non era mai stato un uomo di fede. Non credeva in Dio e certamente non credeva nell’uomo. Pete Wisdom era un uomo solo ed a lui stava bene così, grazie tante. Excalibur era stata un dannato veleno. Kitty Pride con la sua testardaggine, il suo carisma, la sua forza di volontà non aveva cambiato le sue idee: l’aveva costretto a credere. Il mondo è tutto uno schifo e gli uomini sono parassiti che infettano la Terra, ma da qualche parte, nascosto sotto strati e strati di odio, terriccio e fango c’è qualcosa di buon per cui vale la pena combattere. Appena una scintilla certo, a volte ancor di meno, ma innegabilmente c’è. Kitty era sparita, Bastion gli aveva rubato la sua scintilla ed anche se ora aveva Rachel, Wisdom non aveva più niente in cui credere. Un senso di nausea, seguito da uno di euforia e da un terribile cerchio alla testa iniziarono a mettere in discussione la sua personale posizione sull’esistenza di Dio.
I volti di tre Sentinelle chiusero sul suo, un attimo dopo i corpi metallici ricaddero trafitti da pugnali di pura energia. Le dita di Wisdom fumavano e brillavano di rosso. Vide il corpo di Teddy lentamente mutare e due ali aprirsi sulla sua schiena. La furia di Wildchild squassava le file delle Sentinelle, i proiettili si conficcavano nel corpo del mutante ed uscivano da ferite già richiuse. Un’onda d’urto si abbatté su un gruppo di Mark2, mentre gli occhi di Arclight, in piedi col moncherino del suo braccio mozzato in mano, brillavano di una furia omicida. La terra stessa iniziò a spaccarsi e tremare. Magma.
Teddy sollevò il pesante corpo metallico che bloccava Wisdom al suolo, come se si fosse trattato di gommapiuma, ma l’inglese era troppo impegnato per ringraziarlo. Stava fissando un punto un poco discosto da loro e sulla destra. Wisdom vide un piccolo energumeno alto un metro ed un tappo sollevarsi dalle macerie delle Sentinelle che aveva seppellito e, per la prima volta da quando era bambino, credette.
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- Voilà, non era poi così difficile, n’est pas?
Remy sorrise, un rivolo di sudore correva lungo la sua tempia. Si sgranchì le braccia e fece schioccare una per una le nocche di entrambe le mani. Era un fottuto genio.
Il ladro si concesse appena un momento per stiracchiarsi sulla sedia pienamente soddisfatto di se stesso. Perfetto. E con questo gli inibitori dei magazzini dell’ala est del secondo piano erano andati. Un attimo dopo era di nuovo al lavoro. Ora toccava agli altri piani. Un sorriso furbo e decisamente malvagio spaccò il suo viso da orecchia ad orecchia.
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Logan si portò una mano al petto, mentre la sua testa cercava di venire a patti con il caos. Sentì la terra tremare sotto i suoi piedi, ma non riuscì a capire se si trattasse solo della sua immaginazione. Forse finalmente era morto per davvero. Si guardò attorno, le sopracciglia sempre più aggrottate su un paio di occhi fuori fuoco. I cadaveri delle Sentinelle tutt’attorno, pozze di verde mischiate al rosso ed un odore nauseante che ti scendeva giù fin nelle ossa. Se questo era l’oltretomba, francamente faceva schifo. Bhè, tanto non aveva mai puntato molto sul paradiso. Uno scoppio lo fece rotolare a terra più per il rumore che per l’onda d’urto della detonazione. Da qualche parte qualcuno stava urlando il suo nome. La voce era confusa: le sue orecchie erano come piene d’ovatta. La sua bocca sapeva di sangue. Muscoli e nervi costruivano dighe all’interno del suo organismo e pulsavano nel tentativo di rimettere in moto il motore. Si sentiva stanco, prosciugato, ma soprattutto furioso. La nebbia nella sua testa iniziò a diradarsi e Logan si tirò su di scatto. Fu allora che la realtà della situazione precipitò su di lui come una pioggia d’acqua fresca. Il fattore di guarigione funzionava di nuovo. Oh.
Uno ad uno i tredici uomini dei venti partiti emersero dalle loro barricate e calarono sulle Sentinelle con la furia della tormenta durante l’inverno. Logan vide Amara trasfigurata nella sua forma di lava seminare ovunque morte e panico. Gli androidi si accartocciavano su se stessi, il metallo fuso riempiva l’aria di un profumo pungente e mai tanto benedetto. Logan rise, poi iniziò a tossire. Il fumo stava saturando l’aria. I fuochi prima minuti si stavano trasformando sotto la furia di Magma in un vero e proprio incendio. I polmoni di Logan erano ancora pieni di sangue ed il suo fattore di guarigione era al momento impegnato a fargli crescere un nuovo cuore per preoccuparsi anche di un suo eventuale soffocamento. Osservò Wildchild saltellare in giro beato, il calore del fuoco non lo spaventava. Non spaventava nemmeno Logan, strettamente parlando, ma era preoccupato per gli altri. Per quanto a Lebeau piacesse sostenere il contrario, si ricordava che non tutti possedevano un fattore di guarigione. Teddy Altman atterrò al suo fianco preoccupato per ragioni diverse.
- Wolverine come ti senti?
- Come ad uno a cui hanno spaccato il cuore in due, cosa ne dici cocco?!
Teddy accennò un sorriso.
- Eppure Neena non era nei paraggi.
Cosa diav… Oh. Molto astuto, davvero molto astuto. Logan ripagò Hulkling con una smorfia ed un grugnito.
- Dobbiamo contenere questi fuochi.
Teddy annuì. Un attimo dopo il sistema antincendio sparò schiuma su tutti i presenti. Logan rimase fermo, immobilizzato sul posto. Cercò negli occhi di Teddy una risposta per trovarli ancora più imbambolati dei suoi. Da quando le cose erano così facili?
- Billy…?
La voce di Teddy era un sussurro appena udibile sopra il fracasso. Logan si trovò a scuotere la testa. Non poteva trattarsi dello stregone, tanto per cominciare come faceva Wiccan a sapere del loro problema attuale? Logan aggrottò le sopracciglia, a ben pensarci perché il sistema antincendio non era partito prima visto che c’era?
Le sue domande trovarono risposta nel bip acuto che risuonò nel suo orecchio seguito dalle scariche statiche del comunicatore e da una voce decisamente arrogante.
- Salut, cher… ti sono mancato?
#
- LEBEAU! Hai spento il tuo comunicatore?!
Gli urli di Logan erano un vero sollievo: senza fattore di guarigione e con quella propensione a gettarsi alla carica senza prima pensare… Era un miracolo che fosse ancora vivo. Per quanto la rassicurazione sulle capacità polmonari del suo irsuto amico gli facesse piacere ciò non toglieva che Logan avrebbe anche potuto mostrargli un po’ più di gratitudine.
Remy decise di lasciare correre, dopotutto questa volta il canadese aveva un pochettino ragione (ma proprio un pochettino): avrebbe dovuto ricordarsi prima di riaccendere il comunicatore, ma nessuno lo costringeva ad ammetterlo.
- Non cher, al quinto piano c’è poco campo.
- Quinto? Non ce n’erano quattro?!- Remy alzò gli occhi al cielo sarebbe stato troppo sperare che Logan gliene lasciasse correre mezza – Un’altra di quelle del tuo tizio della planimetria, eh?!
- Non c’è bisogno di rivangare, cher… vivi l’attimo.
Logan grugnì qualcosa di poco educato.
- Te lo do io l’attimo... vedi di riportare le chiappe ai laboratori, Rachel finisce la sua magia e ce ne andiamo tutti con Billy.
Remy si mordicchiò le labbra. Adesso veniva la parte difficile.
- Non posso, cher.
- Che cavolo vuol dire “non posso”, fila soldato è un ordine.
Ed ecco che come al solito quando le cose non andavano come voleva lui, Logan credeva di essere di nuovo in Vietnam.
- Non posso perché l’antivirus di Bastion è in evoluzione continua e se non lo tengo d’occhio rischia di eliminare la mia subroutine.
Il silenzio gli rispose dall’apparecchio insieme alle cariche statiche. Remy sospirò. Ecco perché insisteva sempre sulla necessità di parlare chiaro.
- Significa che se me ne vado, gli inibitori tornano attivi, cher.
Logan non gli rispose subito, sapeva cosa significava. Avrebbero dovuto lasciarlo lì e tentare al massimo un salvataggio dell’ultimo minuto. Remy non aveva rimpianti. Sapeva esattamente per cosa si era offerto volontario.
- Mando Northstar a prenderti quando abbiamo finito, cocco.
Remy sorrise.
- Merci.
I due mutanti rimasero ad ascoltare il filo del loro silenzio protrarsi. Se Remy avesse saputo cosa sarebbe successo nella mezz’ora successiva, forse avrebbe detto qualche cosa. Di stupido con molta probabilità. L’unica certezza è che fu Logan il primo a parlare.
- Toglimi una curiosità, cocco. Come mai il sistema antincendio non è partito prima?
- Perché i sistemi di mantenimento si spengono quando le Sentinelle entrano in modalità offensiva quindi, oui…- Remy sorrise. – Se avessimo aspettato ancora un po’ avreste finito l’aria. C’è altro?
Logan grugnì nel ricevitore.
- Se sei così bravo, allora mi spieghi perché hai disattivato gli inibitori delle celle prima dei nostri, eh cocco?!
Remy sbatté le palpebre. Cosa stava dicendo Logan?
- Ma cher… io ho disattivato prima i vostri.
La valanga era cominciata e loro non se n’erano accorti.
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La Sentinella Mark3 fissava immobile le scariche elettriche giocare a rincorrersi lungo le sbarre della sua cella. Non pensava a niente: era spenta. Dentro, in un punto particolarmente remoto del suo cervello dove i nanniti non erano riusciti ad entrare, la Sentinella stava urlando. La doppia palpebra retrattile in quarzo rubino copriva due occhi lattiginosi e stanchi. Il suo corpo era una coperta patchwork di piastre blu di metallo cromato. Cerniere dentellate in acciaio risalivano lungo il collo composto da tubi flessibili e ricadevano come pioggia lungo il petto. Dove un tempo aveva battuto un cuore era visibile una lunga placca triangolare rossa, sopra vi erano incisi il modello ed il numero di serie: Mark3 0094. Un numero e dietro tanti volti sconosciuti che gridavano vendetta. Nonostante le giunture delle dita, delle caviglie e dei polsi presentassero ancora cavi scoperti, la Sentinella Mark3 era una perfetta macchina di morte.
Rachel avrebbe riconosciuto il volto di Scott Summers ovunque.
Fenice trattenne il fiato ed allungò una mano, le sue dita accarezzarono l’aria ad un centimetro dalle sbarre elettriche ed a quattro dal volto di suo padre.
Rachel immaginò che la Sentinella l’avesse riconosciuta e che il suo sguardo non fosse concentrato su di lei a causa del suo calore corporeo. Il cuore della ragazza scandiva un ritmo frenetico, sembrava avesse dimenticato come si faceva a respirare, i suoi occhi dilatati si fecero progressivamente più umidi. Avrebbe potuto rimanere davanti a quella cella per il resto della sua vita e non accorgersene.
- Signora? Signora…
“SIGNORA!”
La voce telepatica di Esme Cuckoo si fece strada attraverso il vertiginoso caos esploso nel suo cervello, risvegliandola dal suo stato catatonico.
- Esme…- Rachel non riconobbe la sua voce, era qualcun altro a parlare, qualcuno di molto lontano. – Sii la mia ancora.
La ragazza non rispose, ma annuì severamente, il volto sobrio e senza traccia dell’abituale malizia. Esme Cuckoo, l’ultima delle Naiadi di Stepford, era al fianco di Fenice e, questa volta, non l’avrebbe lasciata cadere da sola.
Rachel chiuse gli occhi e sentì la forza della giovane telepate scorrere attraverso di lei e nel filo di Arianna strettamente annodato al suo polso. Un secondo dopo ed era di nuovo dentro e fuori da lei, al di là del mondo e nei pensieri di tutti: il piano astrale la richiamava a casa.
Il dolore si abbatté con un colpo di mazza l’istante successivo, facendola rovinare al suolo. Dita di acciaio le artigliarono il viso, le strapparono i vestiti e dilaniarono il suo corpo. “Carne”era un ululato, un sussurro, una preghiera incalzante e frenetica che la sommergeva, schiacciandola, ma Rachel era Fenice e del vortice di dolore confuso che le si agitava intorno, interessava solo un nome. Le fiamme lentamente avvilupparono il suo corpo e si espansero come un’onda nell’aria gettando quelle schegge infelici lontano, nei recessi più bui di quella fognatura in cui tutto finiva per marcire. Chiuse gli occhi ed allungò una mano, cercando nell’aria il sentiero per il nucleo pulsante della mente dell’uomo nella macchina. Ogni rumore, ogni odore divenne più intenso, fastidioso, ingombrante, poi, lentamente, svanì come il pubblico durante i titoli di coda, lasciando posto ad una sensazione pungente e dolorosa che si espandeva attraverso il suo palmo al resto del corpo e Fenice si lasciò trasportare.
La strada che si aprì sotto ai suoi piedi era una mulattiera fangosa compressa da palazzi di plastica e metallo i cui frammenti arrugginiti piovevano sibilando al suolo. Rachel alzò una barriera, lasciando che vi rimbalzassero addosso e lontano. I suoi piedi cominciarono a sprofondare. Il panorama mutò: non era più in una città, ma in una gigantesca palude d’acciaio, immersa fino alle ginocchia nella melma delle sabbie mobili. La terra la ingoiava con golosità, seppellendola un centimetro alla volta nel freddo abbraccio del metallo fuso. Rachel poteva vedere la strada che la separava dalla sua meta srotolarsi davanti a lei: un esile serpente luminoso carico di tentazioni e promesse. Il fango grigio e verde le era già arrivato alla cintola, quando Rachel si sollevò in volo. Un istante dopo il cielo si riempì di sibilanti rumori meccanici. Rachel salutò lo sciame di cavallette d’acciaio diretto contro di lei con un globo di fuoco che dalle sue dita si allargò a comprendere tutto il mondo in uno spettacolo terribile ed accecante. Le cavallette urlarono, accartocciandosi orribilmente su se stesse e ricaddero nel buio da cui erano state generate. C’era quasi. Le difese iniziarono a farsi meno scontate.
Il vuoto attorno si riempì di luci esili ed intermittenti sparpagliate come lentiggini. Per un attimo Rachel fu travolta da tanta bellezza, sentì il fiato mancarle e si accorse di essere nello spazio. Il tempo necessario per creare una bolla telecinetica attorno al suo corpo e le stelle smisero di esserle simpatiche. Le luci si trasformarono in scariche energetiche dirette a tutta velocità contro di lei, la sua barriera resse, ma quelle continuarono ad attaccare ed attaccare, finché con un rumore di risucchio si aprì la prima crepa. Rachel passò alla controffensiva, le stelle però erano molto più veloci delle sue fiamme. Le poche che riusciva a raggiungere invece di avvizzire, assorbivano il calore del suo fuoco diventando ancora più grandi e terribili. La sua bolla non poteva resistere a lungo e lei non poteva permettersi di fallire. Non ora, non quando la sua meta era così vicina da poterla toccare. Rachel sorrise, mentre i frammenti della sua barriera lentamente si sfaldavano e precipitavano nel vuoto. Il piano astrale era un mondo dominato dalla mente. Un attimo dopo era comodamente seduta sul ponte di comando di un’immaginaria Enterprise (una volta a casa Wisdom avrebbe dovuto rimangiarsi ogni commento sulla sua presunta mancanza di fantasia). Le luci rimbalzarono ed esplosero a contatto con gli schermi della nave spaziale. Dopo una serie di infruttuosi attacchi, appassirono nel buio ed un muro grigio, immenso, metallico ed impenetrabile apparve sugli schermi. La telepate sorrise malvagiamente.
- Fuoco, signor Sulu.
La parete esplose in coriandoli di luce impalpabile, l’Enterprise svanì e Rachel si trovò faccia a faccia con Scott Summers.
- Ciao, papà.
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Martha Johansson era irrequieta. L’avevano disconnessa dal sistema d’archiviazione e restituita alla vita e non si era mai sentita così in trappola. Era stata parte di un sistema, aveva galleggiato sul mondo inconsapevole di sé, degli altri, del suo ruolo di ingranaggio. Aveva conosciuto solo silenzio e pace. Poi David l’aveva strappata dal suo utero metallico, gettandola nuda e vulnerabile in una vita che poteva osservare solo da un vetro appannato. Avrebbe voluto urlare ed era terribilmente grata a David per questo. Non aveva mai voluto fare del male a nessuno ed ora l’orrore e la violenza le scorrevano davanti nei fotogrammi di una pellicola cinematografica di cui era stata involontaria comparsa. Era solo un cervello conservato in una teca di vetro ed avrebbe fatto di tutto per aiutare.
Gambit era stato incredibilmente galante e cortese con lei quando era riuscita a ricordare l’ubicazione del centro di comando. Northstar, invece, non tanto. Il canadese l’aveva messa subito in soggezione, poi Martha aveva visto oltre la barriera di fredda indifferenza ed aveva trovato un cuore battere allo stesso ritmo di quello di David. Jean-Paul le piaceva, quindi aveva iniziato a prenderlo in giro. Ora, assistendo al progressivo corrucciarsi della sua fronte colorata dalla preoccupazione e dall’ansia, Martha decise di rendersi utile.
David era al quindicesimo tentativo di fare breccia nel sistema d’archivio, sfortunatamente per lui la sicurezza dei dati per Bastion era molto più importante di quella dell’edificio. Dopotutto a fare la guardia della base c’erano già le Sentinelle Mark2, quale cane da guardia migliore? David lanciò una nuova maledizione e Martha concentrò ogni singola cellula cerebrale su quell’informazione sfuggente a cui stava puntando.
“David?”
Il ragazzo, preso alla sprovvista, quasi cadde dalla sedia.
“David ce l’ho fatta, me ne sono ricordata! Il codice d’accesso d’emergenza è…”
Il ragazzo sorrise, i suoi occhi brillarono dietro le spesse lenti dei suoi occhiali. Martha non aveva bisogno di dire altro, le conoscenze della telepate scorrevano attraverso di lui. Un attimo dopo e martellava sui tasti.
#
A Remy non piaceva essere preso alla sprovvista. Aveva sempre un asso nascosto nella manica, ma questa volta aveva lasciato il trench a casa e le informazioni sullo schermo del terminale lo coglievano impreparato.
- Logan, c’è stato un accesso al sistema di sicurezza alle 11 e 40- Remy trattenne il fiato. – Esattamente un minuto dopo l’arrivo mio e di Jean-Paul.
La voce del canadese era un sussurro appena udibile coperto dal rumore delle esplosioni e dal sospetto.
- Quando è stato l’ultimo accesso?
Le dita di Remy volarono sui tasti. I suoi occhi fissavano i numeri, mentre gli ingranaggi del suo cervello collegavano le informazioni e facevano muovere la sua lingua.
- L’ultimo accesso è di un quarto d’ora fa- la Sentinella Mark1 usciva dalla stanza… perché uno spazzino doveva avere il codice d’accesso dei sistemi di controllo? –Hanno disattivato loro gli inibitori delle celle.
Perché avevano fatto una cosa del genere? A meno che…
Gli occhi di Remy vagarono sulla superficie lucida, le sue mani battevano sulla tastiera un ritmo di terrore crescente. Quello che più temeva apparì e rispose al suo sguardo dallo schermo del terminale. Le sinapsi di Remy si incendiarono ed il suo volto si svuotò da ogni colore.
- Logan, dì a Rachel e Shan di allontanarsi da lì.
Il sistema di contenimento del braccio carcerario era stato compromesso.
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David osservò il fiume di dati aprirsi al suo passaggio. Il suo sguardo indugiò su cartelline dai nomi tremendamente famigliari. Lesse “Noriko Ashida” e decise di non proseguire oltre; non erano i fantasmi quello per cui era venuto. Inserì la pen drive e salvò tutto comunque. Abbandonate le proprie esitazioni non gli occorsero che pochi minuti per trovare i file per cui lui e Jean-Paul stavano rischiando la pelle. I dati sul processo di “conversione” delle Mark3 scintillarono sullo schermo e vennero ingoiati dal suo dispositivo. Un paragrafo insignificante immerso tra tanti altri attirò la sua attenzione, David lo lesse avidamente, poi ne lesse un altro ed un altro, aprì un’altra cartellina a cui ne seguirono decine. Il suo cervello connetteva a velocità folle quelle informazioni sparpagliate assemblandole in un quadro terribile.
- Signor Beaubier.
Il suo caposquadra abbandonò un’accesa discussione mentale con Martha e prese posto al suo fianco. Gli occhi di Northstar presero nota dei dati sconnessi e dell’espressione di puro orrore sul volto di David.
- Signor Beaubier, le Sentinelle Mark3 non sono dei prototipi: sono state completate più di tre mesi fa.
Completate? Un momento questo significa…
- Il processo di conversione è irreversibile.
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Tutto era iniziato con una semplice missione di recupero, una cosa secondaria, una telepate in squadra e nella confusione della battaglia una Sentinella Mark3 col volto del loro leader scomparso. Cannonbal, un amico, con tutte le informazioni necessarie a spingerli ad un attacco disperato. Due tra i maggiori leader della Resistenza presenti. Fenice, la figlia di Scott Summers. Gli inibitori soppressi nella zona delle celle. Le Sentinelle Mark3 create da corpi di mutanti. Le Mark3 sono state completate.
Il tempo si fermò, l’aria si cristallizzò attorno a loro, gli occhi di Jean-Paul si dilatarono, un soffio uscì dalle sue labbra socchiuse.
- E’ tutta una maledetta trappola.
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- Ciao, papà.
Scott Summers era esile, quasi impalpabile, i suoi occhi, coperti dal visore anche nella proiezione della sua mente, fissavano tutto e niente. Papà… Le salì in gola un che di duro ed amaro, mentre una strana euforia colpevole iniziava a bruciarle dentro. Non se n’era accorta, ma il retrogusto salato sulle sue labbra non era altro che il sapore delle sue lacrime. Papà…
Non vedeva il leader, il simbolo, il modello, la bandiera, vedeva solo suo padre. Ferito, schiacciato, annientato, distrutto, ma vivo.
Rachel si avvicinò con passo incerto, così anomalo per lei, all’apparizione, gli occhi fissi in quelli dell’altro fino a che le punte dei loro nasi non si sfiorarono. Stava piangendo, come piangono i bambini. Stava piangendo come quella volta, una vita prima, in cui si era svegliata dopo un incubo ed era corsa ad infilarsi nel lettone tra mamma e papà. Allungò una mano tremante e sfiorò quel volto mutilato.
- Papà…
La sua voce era un sussurro, una preghiera. Il ghiaccio lentamente si sciolse attorno agli occhi di Scott Summers.
- R…. Rachel?
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Il comunicatore di Shan impazzì nel suo orecchio quando due chiamate si sovrapposero l’una all’altra. Attraverso le urla sconnesse e concitate, Shan decifrò il messaggio che in cuor suo già sapeva. Gridò un ordine, Indra corse al suo fianco, Esme si voltò, Rachel era già troppo lontana.
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- R…Rachel?
Rachel sorrise mentre gli occhi le bruciavano e la mano sul volto di suo padre si bagnava di lacrime non sue. La voce di Scott era uno sforzo doloroso e terrorizzato.
- R…Rachel…sc…scappa.
Rachel lo guardò senza capire.
Poi vide solo rosso.
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Fuori dal piano astrale, nel freddo abbraccio delle carceri tra le urla di Esme e Shan il corpo decapitato di Rachel si inginocchiò e cadde.
La testa bruciata rotolò al suolo.
Le sbarre elettrificate delle celle scomparvero nell’aria sterilizzata. Gli occhi delle Sentinelle Mark3 si accesero di rosso.
Un centinaio di puntatori laser si fissarono su di loro.

 
 
 

 
 
 

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Scusate.
Alla faccia di mantenere i capitoli lunghi uguali, ma per fare una citazione famosa "I do what I want!"
Un ringraziamento alla simpaticissima DawnArgento21.

 

  
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