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Autore: Midori_    15/05/2012    2 recensioni
Percy e Audrey sono due rette parallele.
Viaggiano su due binari identici, ma con storie e passati differenti.
Da una parte il dolore della perdita di un fratello e i sensi di colpa.
Dall'altra, un velo di tristezza che sembra permanente nei suoi occhi.
Diversi ma allo stesso tempo identici.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Audrey, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Frammenti di vita'
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#Duty
 
 
Freddo.
Il freddo era entrato dentro lei e aveva cominciato a ghiacciare ogni suo organo, ogni barlume di vita.
Tenebre.
Le tenebre, ombre scure e lampi di luce spettrale, erano tutto quello che vedeva, mentre la vista si annebbiava, scompariva e poi ritornava prepotente.
Acqua.
Aveva sete, una terribile sete. Era l’unica cosa che la sua mente persa nel dolore riusciva a pensare.
 
 
Conosceva fin troppo bene quei corridoi bianchi e verdi del San Mungo, li aveva percorsi per giorni interi dopo la Battaglia di Hogwarts, per stare vicino al corpo freddo di suo fratello, per stare vicino al futuro Ministro gravemente ferito, per fare qualcosa.
Le luci tremolavano al suo passaggio mentre superava la porta che divideva l’ospedale Magico da quello Babbano, le torce magiche che si confondevano, sempre più, con le lampadine al neon.
Quando aprì la porta, fu colpito dall’odore pesante del disinfettante, dal candore e dal silenzio che regnava sovrano in quella parte di ospedale.
SI fermò di fronte alla terza finestra di vetro e fissò la paziente numero centoventidue dormire apparentemente serena.
Audrey Rivers se ne stava lì, col volto parzialmente coperto da bende bianche, fili di ogni tipo e di ogni colore la ricoprivano e la collegavano a macchine Babbane.
Eccola lì, quella normale ragazza che sapeva trasformarsi in un feroce boia, quella ragazza che aveva spalancato le braccia e li aveva protetti fino alla fine.
Che lo aveva protetto fino alla fine.
Quel pensiero, prima timido e ora feroce, lo tormentava, confondendosi con gli antichi sensi di colpa.
Ed erano quei sentimenti intricati fra loro che lo portavano ogni sera a passeggiare per quei tetri corridoi, ad ignorare le mute domande dei suoi familiari che chiedevano il perché di tanto silenzio e segretezza, a fissare quel vetro nella speranza di vedere un movimento, un occhio aperto, una mano che si muova.
Come al solito, le sue preghiere silenziose ed intime non erano ascoltate.
Ancora una volta, Percy Weasley non poteva fare niente per riparare ai suoi errori.
Avrebbe dovuto ignorare quel ferito.
Avrebbe dovuto seguirla fin da subito, sbrigarsi e nessuno li avrebbe trovati in quell’angolo maledetto.
E la signora Delacour sarebbe ancora viva.
E quell’Auror, quella sua coetanea, avrebbe continuato la sua normale vita.

E…
 
Fu la guaritrice Lucy Derwent a svegliarlo da quel torpore mentale che gli aveva impedito di accorgersi della sua silenziosa presenza. Percy la fissò per un lungo momento, quasi volesse leggere quella mente, anticipare ogni parola, senza usare la bacchetta.
La guaritrice si sistemò un boccolo castano dietro l’orecchio e gli sorrise appena.
-L’operazione Babbana è andata bene, hanno estratto tutti i resti del proiettile scheggiato e per ora siamo certi che si sveglierà.-
-E quando?- domandò con urgenza Percy, tormentandosi il lembo finale della sua cravatta ormai sfatta.
-E’ quello l’unico problema, non siamo in grado di dirle se si sveglierà oggi o fra tre giorni. I parametri vitali sono buoni e ogni giorno che passa acquista forza. Quando il suo corpo sarà pronto a risvegliarsi, sono certa che la signorina Rivers riaprirà gli occhi.- disse ottimista la donna.
Entrambi rimasero a lungo in silenzio, contemplando il scenario deprimenti di quella stanza spoglia in cui Audrey riposava.
Nessun fiore, nessuna famiglia a circondarla e a piangerla un po’, a pregare per il suo risveglio.
Nessuno.
Ed era quello che lo tormentava, l’idea che Audrey, una ragazza normale e sua coetanea non avesse nessuno.
-E’ venuto qualcuno oggi?- si azzardò a domandare Percy.
La guaritrice scosse la testa lentamente. –No, nessuno è passato. Ho chiesto a mia sorella al Ministero se poteva contattare qualcuno dell’ufficio Auror.-
-E che hanno detto?-
-Nulla che non avessi capito prima.- sospirò Lucy Derwent prima di parlare nuovamente. –Pare che non abbia mai indicato nessun indirizzo di un familiare da avvertire. –
Percy s’infilò le mani nelle tasche e fissò con ancora più angoscia il vetro.
“Non ha nessuno”.
 
 
Quando Audrey Rivers aprì gli occhi era notte fonda.
Non riuscì subito a distinguere il mondo intorno a lei, così preferì stare a sentire il ritmico suono del suo battito amplificato dalla macchina vicino a lei.
Sapeva dove si trovava e la cosa la stava già irritando.
Di nuovo in ospedale, di nuovo ferita.
Ormai era diventata una regola da rispettare quella di farsi quasi ammazzare a fine missione, prima a Dumstrang, in Inghilterra poco prima della vittoria a Hogwarts e poi in Francia. Per un pelo in Asia non era morta cadendo da un palazzo.
Già, per un pelo.
Considerò l’idea di alzarsi e andare in bagno, rimediare qualche abito in giro e magari fuggire velocemente da quel posto, ma il dolore che sentiva, sordo e lontano, alla schiena era come un avviso di garanzia che le impediva di andarsene sul serio.
Così si addormentò lentamente, scivolando verso sogni pallidi e incubi feroci.
 
 
Molly Weasley era una donna che tendeva ad impicciarsi e a curiosare nella vita personale dei suoi adorati figli.
Lo aveva fatto con Bill e Fleur, tormentava da anni Charlie, fissava Ron e Ginny con sospetto ogni volta che uscivano fuori, ma solo due figli non si azzardava più a farlo: George e Percy.
Quasi due anni erano passati da quel giorno, eppure ogni volta che li vedeva il dolore ritornava forte e deciso a colpirla come quel maledetto giorno.
George non sorrideva più come prima, non infastidiva più nessuno, non si lanciava più in lunghe discussioni sulle sue geniali opere. Preferiva il silenzio, preferiva passeggiare con le mani in tasca per il giardino, preferiva volare con la sua scopa per la città, percorrendo miglia e miglia.
Invece, Percy, rimaneva granitico come sempre.
Silenzioso e poco disponibile a fare cose che non riguardassero dormire, mangiare appena e lavorare.
Spesso vedeva che si lasciava prendere dalla malinconia, dalla rabbia e da molti altri sentimenti, ma se gli rivolgevi una sola parole, lui negava tutto, fuggiva inventandosi impegni e doveri.

Adesso doveva affrontare la tristezza del signor Delacour, del vento di morte che soffiava dalla Francia, della spaventata Fleur e dell’impotenza di suo figlio Bill. E lo avrebbe affrontato con la solita forza che aveva, quella di sorella che ha seppellito i suoi fratelli maggiori, quella di madre che ha salutato per l’ultima volta un figlio.
Quel mattino era cominciato come tutti gli altri giorni della settimana, con una abbondante colazione, con le lettere che mandava regolarmente a Charlie e la lista della spesa.
Quando portò il cibo in tavola, aiutata da un Arthur ancora assonnato ma sempre disponibile, non si accorse del leggero sorriso che increspava le labbra di Percy.
Aveva posato il giornale che aveva appena letto, lasciandolo sulla sedia del padre e leggeva con grande attenzione una breve lettera giunta attraverso un gufo marroncino, tranquillamente appollaiato sullo schienale di una sedia.
Molly si accorse di quello sguardo solo quando si avvicinò e gli diede la solita tazza di caffè bollente.
-Tesoro, cosa è successo?- domandò incerta.
-Niente di che, mamma.- disse lui prima di alzarsi, bere velocemente la tazza e scomparire dalla sua vista.
-Tu credi che sia successo qualcosa di positivo?- chiese ad Arthur, l’altro silenzioso spettatore di quella strana scena.
-Credo di sì, cara.- disse lui sedendosi e aprendo il giornale. –Di solito non sorride.-
 
 
Lucy Derwent aveva almeno trent’anni di esperienza nel campo medico, aveva affinato sempre di più le sue tecniche magiche, integrandole con le piccole rivoluzioni della medicina Babbana, compiendo scelte alcune volte discutibili.
Ma quel giorno era irremovibile, la signorina Rivers non si sarebbe alzata da quel letto per almeno altri cinque giorni.
-Ma io sto bene!- gridava Audrey contro la guaritrice.
-Non mi pare che le analisi dicano questo, signorina.- rispose piccata la signora Derwent. –Quindi finiamo qua, questa sterile conversazione.-
C’erano diversi tipi di pazienti.
Quelli che la ringraziavano commossi ogni volta, quelli che invece sembravano indifferenti alle sue parole, quelli che gridavano ordini e chiedevano di essere lasciati andare.
E quella ragazza bionda faceva parte del terzo gruppo, il più difficile da tenera a bada e da curare.
Quando uscì dalla stanza, molto più stanca di quando era entrata, ritrovò fuori il signor Weasley.
-Oh, è arrivato subito, io l’aspettavo per sera.- disse sorpresa.
-Ho appena dieci minuti, volevo solo salutarla e ringraziarla per … Per quello che ha fatto.- balbettò Percy confuso. Era veramente quello il motivo per cui era venuto?
A quella domanda non sapeva nemmeno lui rispondere.
-Tecnicamente l’orario visite è fra due ore, ma se è solo per dieci minuti … Può entrare.- terminò infine, lasciandolo passare.
Percy camminò con sempre meno sicurezza finché non incontrò lo sguardo irritato di Audrey mentre tentava di sedersi ma qualcosa glielo impediva.
Nessuno dei due parlò a lungo.
Una sorpresa.
L’altro perplesso.
 
 
 -Weasley, che ci fai qui?- disse infine Audrey distogliendo gli occhi dai suoi e fissando le coperte linde.
-Io …Io volevo solo ringraziarti.- disse incerto. –Anche a nome del signor Delacour, ovviamente.- aggiunse precipitosamente Percy.  –Naturalmente il Ministero è felice di sapere che presto ritornerai a …-
-Risparmiami cosa dice o vuole il Ministero.- esordì Audrey interrompendolo.  –E’ per il Ministero che ora non posso nemmeno andare al bagno da sola.- disse seccata, mentre perdeva la battaglia che aveva ingaggiato con le sue gambe che non si muovevano come lei voleva.
-Comunque, ero venuto anche per sapere come stavi.- disse Percy. –Due operazioni chirurgiche difficili da sopportare, immagino.-
Audrey ripuntò gli occhi su di lui. –Sto bene. So che deve essere stato uno spettacolo orrendo, ma ci sono abituata ormai. E’ il mio lavoro. E’ il mio dovere.-
Percy aggrottò la fronte.
Non aveva mai pensato in quei termini.
Lui non voleva che altri si sacrificassero per lui, che altri spendessero buoni pensieri e parole sul suo conto.

Non dopo quello che aveva fatto.
-Direi che sei stato fin troppo gentile a trascinarti fino a qui, puoi andare, avrai sicuramente un mucchio di scartoffie da leggere.- ridacchiò Audrey allungando una mano per stringere la sua mano.
-Oh, certo, hai ragione devo andare.- strinse la sua mano, notando il leggero sudore e l’accenno di forza nella stretta. –Io sono sicuro che ci rivedremo in dipartimento, qualche volta.-
Si congedarono rivolgendosi appena un sorriso ma Percy non riuscì, una volta aperta la porta, a trattenersi.
Lui che si tratteneva sempre, lui che circoscriveva persino le emozioni, ora stava esplodendo, come era esploso due anni fa.
-Non lo hai fatto per dovere vero? Non ti sei presa quelle cose Babbane solo per dovere.-
Audrey rimase a lungo in silenzio, sperando che quel giovane funzionario se ne andasse, tuttavia lui se ne stava lì, in piedi e pronto a starsene lì altro cento anni.
-Quando fai questo tipo di lavoro, la tua vita non conta più nulla. Vivere o morire sono solo dettagli, l’importante è completare le missioni o almeno provarci. Non sarò la prima né l’ultima a morire per dovere.- parlò piano la ragazza, quasi come sussurrasse quelle parole più a sé stessa che a Percy.
E quando sentì la porta chiudersi, perse del tutto la battaglia con le sue gambe e si distese bruscamente.
Chiuse gli occhi e regolarizzò il suo respiro agitato e ripeté più volte il suo mantra.
Dovere.
Il dovere prima di ogni altra cosa.



* * * * *
 
 
 
 
[Ringrazio tutte le adorabili persone che leggo, recensiscono, passano, mettono fra le seguite/ricordate/preferite questa storia. Senza la vostra partecipazione non continuerei a scrivere con rinnovato entusiasmo ogni volta.
Spero che vi sia piaciuto il capitolo.
Un  bacio, Midori_]
   
 
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