Orion Black lo guardava, seduto sulla poltrona dietro la scrivania del suo
studio, con le sopracciglia folte e scure perfettamente arcuate come sempre ed
il solito bagliore un poco sinistro che v’alloggiava. Davanti a lui,
posizionate ordinatamente sulla superficie scura della scrivania, stavano
scartoffie di vario genere, e ciò che vi era scritto, a Regulus, non interessava
più di tanto.
“Allora,” intavolò la conversazione suo padre, poggiando i gomiti sulla
scrivania e congiungendo le mani. “Sai perché siamo qui, no?”
“Sì, padre,” rispose Regulus, annuendo appena e con educazione.
Orion parve soddisfatto: arricciò le labbra in un sorrisino e continuò a
parlare. “Bene, così ci evitiamo inutili giri di parole, Regulus. Ho già
parlato con gli Hardgraves, sono d’accordo con il fissare il matrimonio l’anno
prossimo, verso settembre od ottobre. Vogliono aspettare che Lavinia finisca
gli studi, cosa comprensibile, dopotutto.”
“D’accordo.” Risposte semplici e dritte: erano queste quelle che piacevano più
a suo padre, specialmente se concordavano – praticamente sempre, quindi, perché
bisognava essere d’accordo con Orion
Black – a quel che stava dicendo lui. E non importava che tu fossi contrario,
perché dovevi essere d’accordo e basta: non importava se a lui, di sposare
Lavinia Hardgraves, non andava proprio. Ma alla fine lo sapeva, lo sapeva che
la sua era una vita già scritta, e lui non poteva che attenersi al copione e
andare avanti. E Marlene – perché, per quanto lui si sforzasse di non pensarci
mai, lei c’era stata – era stato solo un errore commesso quando si era
dimenticato quelle fottute battute.
“Perfetto, direi,” sorrise Orion, sistemando meglio i fogli fittamente scritti
in una pila. “Puoi andare, Regulus.”
Il giovane si alzò dalla sedia e si avviò verso la propria camera, senza
riuscire – per l’ennesima volta – però a non lanciare prima uno sguardo alla
porta di quella di Sirius. Forse, se fosse stato smistato a Serpeverde anche
lui, in quel momento sarebbe stato lì, l’avrebbe ascoltato.
O forse, se lui, Regulus, fosse stato
smistato a Grifondoro, non sarebbe stato lì, a Grimmauld Place, ma con Sirius.
E con Marlene.
Settembre 1978
“Oh, giovane Black,” disse Lord Voldemort, un sorriso sgradevole sul volto
pallido, rigirandosi la bacchetta di tasso tra le mani, seduto a capotavola di
Villa Lestrange. “Sei arrivato, finalmente.”
“Scusi il ritardo, Signore,” rispose a voce ben chiara, esibendosi in un
piccolo inchino non appena entrò nella vasta sala da pranzo. Alcuni dei maghi
seduti al tavolo assieme al Signore Oscuro – sebbene a debita distanza – lo
guardarono, chi con disprezzo chi con ironia, e lui resse i loro sguardi uno ad
uno, quasi sfidandoli a dire qualcosa.
“Problemi d’amore?” sputò Riddle,
ovviamente sarcastico, scoppiando poi in una risata bassa e ancor più
sgradevole di quel suo sorriso. “Quell’amore che Silente va tanto millantando…
Non ha ancora capito nulla… Ma tu, giovane Black, tu scommetto che hai capito.
O no?” lo chiese, e Regulus tentennò un attimo, prima che l’altro scoppiasse a
ridere facendogli così capire che la sua era una domanda retorica. “Ma bando
alle ciance!” Voldemort allargò le braccia. “Ora che sei arrivato, sappi che
stasera tocca a te.”
“D’accordo, mio Signore.”
“Vai, giovane Black. Ti aspettano fuori.”
“Sei eccitato, Black?” gli domandò Mulciber, mentre uscivano con attenzione da
Villa Lestrange, che si stagliava, nera ed austera, nel mezzo di una radura
verdeggiante che la nascondeva bene. “La tua prima vera missione… Ricordo
ancora la mia, l’anno scorso…” concluse, con un baluginio strano.
A Regulus, Mulciber non era mai piaciuto. Era di un anno più grande di lui, e
da quel che si vociferava aveva attaccato Mary MacDonald, una volta, al quarto
anno. Senza pensarci, Regulus si chiese se per caso la MacDonald e suo fratello
stessero ancora insieme, se avessero una loro vita e capì che avrebbe voluto
farne parte.
Ma io sono il buio, vero, Sirius?
Yaxley, accanto a lui, lanciò un’occhiataccia a Mulciber, sibilando: “Sta’
zitto, Mulciber, una buona volta. Vuoi farmi scoprire?” – Mulciber sbuffò e
roteò gli occhi – “Ora muoviamoci, abbiamo poco tempo. Ci smaterializzeremo subito
fuori il cancello.”
Regulus strinse la bacchetta senza accorgersene e si strinse nel lungo mantello
scuro. Non si sentiva pronto a compiere quel che stava per fare. Ad esser
sinceri, pensava che non si sarebbe mai sentito pronto per fare ciò.
Paura, Regulus?
Non ho paura.
Perché un Black non può avere paura, ad un Black non è permesso. Perciò alzò il
capo al cielo, e prima di smaterializzarsi sperò con tutto se stesso di non
dover uccidere nessuno, di non dover condurre nessuno nel buio.
Ti ricordi di quando, da piccoli, ti
dicevo che il buio mi faceva paura? Te lo ricordi, Sirius? Perché mi fa ancora
paura.
Ottobre 1979
Marlene era davvero l’ultima persona che si sarebbe mai aspettato di incontrare
alla Testa di Porco, eppure quel piovoso lunedì sera la trovò lì, seduta ad uno
dei tavoli più nascosti della sala. Fu lui a vederla per primo, e fu lei ad
affievolire il proprio sorriso prima di guardarsi attorno con aria circospetta.
“Sono da solo,” l’avvisò, avvicinandosi a lei con il capo chino per non farsi
riconoscere – anche se, tra quegli ubriaconi, dubitava ci fosse qualcuno di sua
conoscenza – ed un bicchiere di whisky in mano.
Marlene sembrò tranquillizzarsi, poiché gli sorrise – dopo tanto tempo, e fu
doloroso, perché in quel momento Regulus capì quanto Marlene fosse più forte di
lui, quanto riuscisse a reggere tutto meglio di lui.
“Sono riuscita a traviarti all’alcol, vedo,” buttò lì la ragazza, appoggiando
la schiena alla sedia e sorseggiando il proprio bicchiere di whisky.
“Sarebbe successo comunque,” disse lui, inarcando un sopracciglio e sedendosi
davanti a lei, la schiena rivolta verso la porta: non era bene farsi vedere con
una Sanguesporco, lo sapeva, e si chiedeva perché lei, al contrario suo,
sembrasse così tranquilla.
“Probabile,” acconsentì lei, inclinando appena la testa. “Però l’ho fatto io.”
“Sarebbe suc—”
“Sarebbe successo comunque,” gli fece il verso lei, roteando gli occhi. “Non me
ne frega niente. Sono stata comunque io a traviarti, quindi sssh.”
“Mi hai appena fatto sssh?” chiese,
allibito.
“Proprio così, Blacky,” sorrise ancora, raggiante, e Regulus per qualche
assurdo motivo sentì il bisogno di dirlo:
“Tra un anno mi sposo.”
Marlene aggrottò la fronte e bevve ciò che rimaneva del
suo whisky, continuando a guardarlo dritto negli occhi, prima di stringersi
nelle spalle, ghignare e dire: “Be’, almeno la tua futura moglie avrà del buon
sesso garantito.”
“Eh?” domandò, guardandola accendersi una sigaretta sotto lo sguardo truce di
Aberforth – Regulus sapeva, però, che non avrebbe detto niente, visti tutti i
traffici illeciti che si tenevano all’interno del locale.
“Eh?” ridacchiò lei, aspirando un po’ di fumo e rilasciandolo dopo,
continuando: “Ricordo abbastanza da poter affermare con certezza quasi assoluta
che quella rientra tra le migliori tre scopate della mia vita.”
Regulus inarcò, ancora le sopracciglia, cercando di dissimulare l’imbarazzo e
il lieve compiacimento che l’avevano colto solo a sentire le parole di Marlene.
E nonostante avesse dissimulato spesso – sempre
–, quella volta gli sembrò più difficile, forse per quegli occhi azzurri che
non la smettevano di guardarlo o forse per il ricordo delle coperte rosse e il
corpo di Marlene a contatto con il proprio.
“Grazie?” tentò, mostrandosi il più distaccato possibile. Lei si strinse nelle
spalle e tirò un’altra boccata di fumo dalla sigaretta. Regulus non riuscì a
trattenersi dall’osservare la scena con aria critica e dire: “Ti uccideranno,
quelle cose, lo sai, vero?”
Il sorriso sul volto di Marlene parve allargarsi maggiormente, a quelle parole,
e lei ribatté: “Sempre che li battano sul tempo, no?”
Regulus si irrigidì sulla sedia ed il suo sguardo corse rapidamente e senza
volerlo all’avambraccio sinistro. Era agghiacciato, davvero. Il sorriso di
Marlene, poi, non lo aiutava: sembrava dire io
lo so, ma lei non poteva sapere. O sì?
“Certi dettagli non te li dimentichi, anche se dopo una bevuta particolarmente
abbondante,” gli disse, quasi fosse in grado di leggerli nel pensiero. “Non
l’ho detto a nessuno, comunque. Però qualcuno lo sospetta già.”
Sotto lo sguardo apparentemente calmo di Marlene, Regulus iniziò a sentirsi
strano ed agitato. Lei non era al sicuro, ma ora non era al sicuro nemmeno lui.
Come faceva a sapere che Marlene non l’avrebbe detto a nessuno? Si guardò
attorno, la stessa espressione di un cane in gabbia.
“Vuoi calmarti?” domandò allora lei. “Vuoi dare spettacolo, per caso?” –
Regulus scosse appena la testa, e Marlene allora posò sul tavolo i soldi del
suo whisky e si alzò dal tavolo, facendogli segno di seguirla – “Ti aspetto
fuori, raggiungimi tra cinque minuti.”
Per un attimo fu tentato di dirle di no, solo per il gusto di farlo – e lei
avrebbe arricciato le labbra in una smorfia irrisoria come faceva anche ad
Hogwarts –, poi però, quando la ragazza si chiuse la porta del locale alle
spalle, sentì il desiderio di seguirla subito. Scostò la manica della giacca
dal quadrante dell’orologio e aspettò che i minuti passassero, gli occhi grigi
che guardavano la lancetta dei secondi muoversi lentamente dietro al vetro.
Non appena furono passati quei maledetti cinque minuti, Regulus si strinse nel
cappotto ed uscì dal locale senza far rumore e senza attirare l’attenzione di
qualcuno su di sé – o sarebbero stati guai.
Marlene era appoggiata al muro della casa di fronte alla Testa di Porco: i
capelli biondi e mossi erano mossi dal leggero vento di ottobre e ai suoi piedi
giaceva la sigaretta che aveva fumato dentro, ormai spenta. Al vedere quel
sorrisino ancora sulle sue labbra, Regulus sentì la rabbia e la paura salire
ancora; le si avvicinò con passo veloce, e quando le fu di fronte parlò a bassa
voce:
“Non lo devi dire a nessuno, capito? A nessuno.”
“Cosa, Blacky?” domandò lei, con aria fintamente innocente. “Non capisco.”
“Lo sai, McKinnon,” sibilò lui, sbiancando appena quando sentì la propria voce
tremare notevolmente. Anche Marlene dovette accorgersene, perché scoppiò a
ridere forte, mentre il vento si rubava quel suono così come se ne sarebbe
beato Regulus in un altro momento.
“Seriamente, Reggy-Reg, perché dovrei dirlo a qualcuno? Cosa ci guadagnerei?”
“Merlino, ma cosa ci facevi a Grifondoro?” Regulus era basito, completamente
basito: quello non era un comportamento da Grifondoro, un Grifondoro non
avrebbe mai detto nulla del genere. Marlene parve offesa, offesa davvero, e
qualcosa in lei sembrò spegnersi: le spalle s’incurvarono appena, il sorriso
crollò per un istante.
Si riprese subito, fulminea, però, e scrollò le spalle con
indifferenza. “Tu non sai niente di me, Blacky.”
“Sì,” rispose, dopo essersi reso conto che Marlene aveva ragione, che lui la
conosceva a malapena, che di lei, a parte il nome e la Casa e lo stato di
sangue, non sapeva niente. Si rese anche conto che sapere qualcosa in più non
gli sarebbe dispiaciuto, ma lo tenne per sé, come tenne per sé anche molte
altre cose.
“Ti va un giro?” gli chiese lei, quindi, dopo poco, disinvolta.
“McKinnon,” iniziò lui, “Tu sai cosa sono. Perché vuoi rischiare così tanto?”
“Rischio lo stesso, alla fine.”
“Ma io no.”
“Ne sei così sicuro? In una guerra rischiano tutti.”
“Non ho paura,” stabilì lui, cercando di porre fine a quel discorso insensato.
“Davvero?” chiese lei, sarcastica. “Allora facciamo così: tra una settimana
qui. Arriva alle sette e mezza, stanza numero sette. Vediamo chi non ha paura,”
concluse, prima di sorridere ancora e smaterializzarsi.
Ottobre 1979
Ormai, Regulus Black era diventato quasi una sfida. Sempre così statico, fermo,
immobile, farlo crollare sarebbe sicuramente entrato tra i migliori risultati
mai ottenuti. Lui le sembrava sempre troppo pacato e freddo, come ghiacciato in
quella sua aura di algida superiorità; era riuscita a scheggiarlo – se ne
intendeva, lei, di ragazzi, e l’aveva visto, nonostante lui avesse cercato di
nasconderlo –, e ora doveva solo scagliare il colpo finale.
Eppure, per la prima volta, non si sentiva pronta. Sarà stato il pericolo ogni
giorno sempre più opprimente e presente, sarà stata la paura, sarà stato
qualcos’altro: lei non lo sapeva, ma non si sentiva pronta. Forse, però, lo
sarebbe stata se lui si fosse davvero presentato, quel giorno.
Lanciò un’occhiata all’orologio appeso alla parete del salone, e quando vide le
lancette indicare le sette meno un quarto si alzò dalla scrivania, lasciando i
propri libri a loro stessi, e prese borsa e cappotto. Uscendo, si fermò prima
davanti allo specchio, sistemandosi con una mano i capelli mentre con l’altra
afferrava le chiavi.
Una volta che fu sufficientemente lontana dalla propria casa, roteò su se
stessa e si smaterializzò.
Il sorriso di Marlene fu la prima cosa che vide, quando la ragazza aprì la
porta. Dietro di lei, la camera numero dodici della Testa di Porco era forse
anche meglio di come se l’era immaginata – perlomeno era pulita.
“Ehilà,” lo salutò Marlene, spostandosi per farlo entrare. Regulus si richiuse
subito la porta dietro le spalle, mentre Marlene domandava ironicamente: “Che
c’è, paura che ti vedano con una come me?”
Regulus la guardò in silenzio, prima di rispondere lentamente. “Per ora, ho
paura che vedano te con me. Io rischio di meno.”
“Casomai, rischi di più,” ribatté lei, sedendosi sul bordo del letto. Regulus
si appoggiò al muro, accanto alla finestra chiusa e coperta da delle tende e
davanti alla ragazza. “Ma che ne dici di cambiare discorso?”
“Non era per questo che eravamo qui?” domandò lui, un po’ spaesato. “Per
chiarire?”
“Cosa c’è da chiarire? Tu hai fatto una scelta, tutti devono scegliere,”
Marlene si strinse nelle spalle, e a Regulus parve di vedere un lampo di
malinconia attraversarle gli occhi mentre continuava: “Me lo diceva sempre
Astris: tutti, prima o poi, si ritrovano
a dover fare i conti con qualcosa di più grande di loro, e allora dovranno solo
scegliere cos’è meglio per loro.”
Regulus preferì non commentare: non era ancora del tutto sicuro che la sua
scelta fosse stata dettata da quel che desiderava. O forse sì: voleva rendere
orgogliosi i propri genitori, e in quel modo ci era riuscito. Eppure spesso gli
sembrava di aver sbagliato, come quando ascoltava quel che diceva il Signore
Oscuro o quel che facevano gli altri Mangiamorte durante le missioni.
“Astris?” chiese quindi, giusto per sviare.
Marlene annuì, prima di sorridere ancora – ed in quel sorriso traspariva
affetto e nostalgia, come se stesse ricordando qualcosa di talmente dolce che
in un momento del genere la faceva rattristare. “Era di Corvonero.”
“Era?” domandò lui, ricordando vagamente il volto pallido di una ragazza dai
capelli biondo sporco. “È… è morta?”
Marlene ridacchiò appena, sebbene il suo sguardo fosse ancora un poco perso.
“No, per carità… Ma è in viaggio con il fidanzato. Si sposerà a giugno…
Comunque, non importa,” disse poi, battendosi le mani sulle cosce. “Siamo qui,
caro Blacky, per parlare.”
“Parlare?” chiese Regulus, basito, prima di portarsi le mani ai capelli. “Tu
sei matta! Ti rendi conto che stiamo rischiando tutto per stare qui, ora? E tu
mi dici che dobbiamo parlare? Parlare di cosa, poi?”
Marlene sorrise allegra, nel vederlo in quello stato. “Su, Blacky, rischiamo la
vita ogni giorno, non dovresti preoccuparti per qualcosa del genere. E poi oggi
non avevo niente da fare, mi andava di chiacchierare.”
“Come facevi a sapere, una settimana fa, che oggi avresti voluto parlare con
me?”
“Beccata,” rise lei, alzando le mani in segno di resa. “Ma ora, visto che sei
qui, che ne dici di restare, chiacchierare un po’ e farci compagnia?” chiese, e
Regulus avvertì chiaramente un pizzico di malizia nel tono assunto da Marlene.
Maaaaacciao.
Sì,
so di essere molto simpatica a postare il nuovo capitolo praticamente
dopo un mese, ma ecco a voi la terza parte di Dietro La Pelle. Oddio,
abbiamo superato la metà! Ho piuttosto paura, visto che d'ora in poi si
va molto
sull'introspettivo - specialmente di Regulus, piccolospoiler - ed io ho
sempre paura di sbagliare alla grande. Mi fiderò di Daphne e fingerò di
sapere di aver fatto un lavoro decente (lei dice più che buono, ma lei
è troppo gentile è_è).
Ecco.
E
ci avviciniamo anche al mio compleanno *non gliene frega a nessuno*,
che è il dodici giugno *gente (se c'è) che pensa "ma a noi che ce ne
frega?"*, e quindi posterò l'ultimo capitolo proprio quel giorno *cori
di "oooh" un po' scettici*. Muahahah. Come sono originale. NO, per
niente, ma shalla.
Sì,
sto sclerando, ma ora fuggo, perché domani mi interroga scienze sicuro,
ho il compito di inglese, correggiamo i compiti di greco (e il mio è
andato una mmmerdaH ;A;), e rischio di essere interrogata pure in epica. Al peggio non c'è mai fine, porca miseria.
Perciò addio, e alla prossima settimana ù_ù
A.