“Ma com’è potuto succedere?”
“Vuoi il disegno, la dimostrazione pratica o la
spiegazione vocale? Hai l’imbarazzo della scelta”
“Ma è impossibile, è
innaturale!”
“Disse il demone.
Tuo padre l’ha fatto, no? Tu sei diverso per quale
ragione?” silenzio. Lei
sospirò.
“Quindi? Che facciamo?”
“…”
Un’ora
prima.
“Laura?
Svegliati! Sono le otto, devo andare a scuola” la scosse dolcemente Mephisto.
“Mmmh… voglio dormire!” si lamentò lei, girando la
testa dall’altra parte.
“Non puoi fare così ogni mattina!
Conosci i tuoi compiti: come mia esorcista personale devi
stare con me in studio” le
ricordò.
Si alzò
per cercare i vestiti.
“Questa cosa dell’esorcismo sta iniziando a darmi sui
nervi!” commentò la ragazza. L’uomo rise.
Prese i
suoi classici indumenti e li indossò: camicia rossa, giacca bianca come i
pantaloni a palloncino, foulard rosa a pois, calze a righe bordeaux e fucsia,
mantello color crema e cappello abbinato con le rifiniture intrecciate.
Laura
sorrise pensando che, nonostante fossero già passati quattro anni da quando
erano andati a vivere insieme, le sue abitudini non erano cambiate di una
virgola.
“Ti aspetto in ufficio, va bene?” le
domandò.
“Sì, ti raggiungo tra poco”
promise.
“Brava. Mi chiedo come tu faccia a stare così tanto a letto
la mattina”
“Se qualcuno non mi facesse passare metà nottata sveglia
forse sarei più pimpante” rispose la ragazza, alzandosi. Lo sentì ridere
forte mentre oltrepassava la porta aperta con la chiave magica e si dirigeva a
scuola.
Laura
si stirò e sbadigliò forte.
“Caffè!” esclamò dirigendosi in cucina. Preparò la
moka e l’accese, poi si recò davanti all’armadio. Fissò soddisfatta per qualche
secondo la sua uniforme ufficiale da esorcista: canottiera bianca, gonna grigia
simile a quella della divisa scolastica, stivali lunghi fino al ginocchio neri
con le rifiniture chiare e impermeabile scuro chiuso fino in vita e poi aperto
fino ai piedi.
“Esorcista” pronunciò, scandendo la parola. Che
orgoglio!
Sentì
il caffè uscire in lontananza e si vestì velocemente.
“Caffeina!” disse ad alta voce, precipitandosi a
spegnere la moka.
Mentre
di solito il profumo della bevanda la faceva svegliare, però, quella mattina le
fece venire la nausea.
“Ma è avariato?” si chiese, annusando l’aria. Si
mise una mano davanti la bocca per non vomitare in cucina, e corse in
bagno.
“Che schifo” esclamò.
Inspirò
ed espirò un paio di volte per calmare i conati e provò ad
alzarsi.
La
testa le girava in maniera assurda, le sembrava di stare su una giostra coi
cavalli.
Riuscì
a tirarsi su e a lavarsi i denti, ma un attimo dopo era di nuovo inginocchiata
davanti alla tazza del water.
“Laura?
Ma ti sei addormentata di nuovo?” le chiese Mephisto,
entrando in camera.
“Ehi?
Ci sei?” la chiamò, vedendo
che non era più a letto.
“In bagno” rispose lei, con voce
roca.
“Oh cielo!
Stai bene?” s’informò l’uomo,
vedendola in quelle condizioni.
“Fammi una domanda un po’ più intelligente, se non ti
dispiace” lo implorò.
“Era per essere gentile.
Vieni, ti aiuto a metterti sdraiata” le disse. La
fece alzare e la portò a letto.
Le
sfiorò la fronte con la mano per sentire la temperatura.
“Non mi sembra che tu sia calda, ma ti porto comunque un
termometro.
Ti serve altro?” le chiese premuroso.
“No, figurati” Mephisto
si alzò e cercò l’oggetto nell’armadio con tutti gli strumenti
medici.
“Ecco, tieni” le disse, porgendoglielo. Lei se lo
mise sotto il braccio e attese
paziente.
Cinque
minuti dopo ebbero il responso.
“Niente febbre” disse Laura, restituendo il
termometro.
“Non importa, oggi puoi stare a
casa. Io devo rimanere in ufficio a riempire un sacco di scartoffie e a finire
di visionare i test di fine anno della settimana prossima, quindi non c’è molto
da fare in giro. Tutti gli studenti sono a studiare per gli esami, per cui riposati tranquilla” la rassicurò dandole un bacio
sulla fronte.
La
ragazza ci mise un po’ per riuscire a capire cosa c’era in quel discorso che non
le tornava.
“Test di fine anno?
S-siamo già
a fine marzo?” chiese,
isterica.
“Sì, perché?”
“Oh, no!” esclamò. Si alzò come un fulmine dal
letto e andò al calendario.
“Quindici febbraio… oh cielo! Quindici
febbraio!” disse con voce un decimo più alta del
solito.
“Ma qual è il problema?” s’informò lui, stupito da
tanto panico.
“Mephisto, io dovevo avere il ciclo un mese e mezzo
fa!”
“Eh?”
“Sono in ritardo di cinque settimane!” esclamò. Al
preside ci volle un secondo per interiorizzare
l’informazione.
“C-cioè…”
“Sono incinta!”
Il
mattino dopo.
“Quindi siamo sicuri?”
“Signor Pheles, glielo ripeto
per la terza volta: nonostante lei mi abbia ripete il test per ben tre volte, il
risultato è sempre lo stesso.
La ragazza è incinta di sei settimane” disse il medico, paziente.
“Ma non potremmo fare nuovamente
l’esame?
Per sicurezza?” implorò
l’uomo.
“No, basta così.
Non c’è possibilità di errore, i risultati sono chiari” spiegò irritato. Erano
lì da due ore. Mephisto aveva trascinato Laura dal
ginecologo non appena gli era stato possibile allontanarsi dalla True Cross e le aveva fatto fare gli accertamenti. Sospirò,
arrendendosi.
“Va bene, d’accordo.
Grazie per la sua pazienza, adesso dobbiamo andare” lo salutò.
La
ragazza scese dal lettino. Era stata in silenzio durante tutta la
visita.
“Fermi, aspettate.
Data la natura un po’… particolare, del piccolo, mi
piacerebbe se veniste ogni settimana a controllare i progressi. Non vorrei che ci fossero complicazioni o problemi” spiegò il dottore.
Il
preside lo guardò con lo sguardo vuoto.
“Certamente. Martedì va bene?”
“Perfetto. Buona giornata”
Salirono
sulla limousine rosa shocking e si misero a sedere in silenzio.
Laura
osservò Mephisto: stava intirizzito sul sedile senza
fischiettare come al solito e senza muovere a ritmo la gamba. Non era un buon
segno.
“Quindi, ehm… cosa vogliamo fare?” s’informò. Lui
rimase zitto.
“Ehi?” lo chiamò, agitandogli una mano davanti agli
occhi. Niente.
“MEPHISTO!” gridò. Lui sussultò, preso alla
sprovvista.
“Eh?”
“Ti ho fatto una domanda e tu non mi stavi
ascoltando” s’impermalì. Strinse le braccia al
petto.
“Scusa, stavo pensando ad
altro”
“Ho notato” si misero di nuovo zitti
entrambi.
Quando
arrivarono alla True Cross, il preside si chiuse nello
studio, lasciandole la chiave per l’appartamento. Come sarebbe tornato a casa
era ignoto.
Laura
si mise a passeggiare in cortile, sentendo all’improvviso la mancanza di Rea.
Da
quando, quattro anni prima, si erano lasciate per seguire i propri sogni si
erano sentite poco e velocemente. Sapeva che il ristorante andava bene e che
erano sempre impegnati con l’attività. Anche Rin si
trovava in giro di rado, e sempre per brevi visite al fratello, che ormai era
esorcista affermato e famoso al pari di Shura.
“Ma certo!” esclamò la ragazza. C’era qualcuno con
cui parlare!
“Per cui, se vi trovate davanti Amaimon, il modo migliore per farlo distrarre è lanciargli
un dolcetto.
Ci sono domande?” stava
dicendo la donna. Gli
studenti la guardavano con occhi sbarrati, increduli.
“Bene, allora la lezione è
finita.
Arrivederci” li salutò
allegramente, scendendo dalla cattedra.
Aspettò
che tutti se ne fossero andati e fece apparire una birra dalla pancia. Questa
cosa dei tatuaggi era proprio comoda delle volte. Sentì bussare alla
porta.
“Mi dispiace, ma i corsi sono finiti per oggi!”
gridò.
“Anche per me?” chiese Laura, facendo capolino
sorridente.
“Ehi, guarda chi scende ai piani
bassi!
Come stai?” la
accolse. La
ragazza entrò, un po’ titubante.
“Diciamo bene. Il lavoro mi occupa metà
giornata…”
“E l’altra metà la passi con il nostro beneamato preside,
lo so.
In effetti, perché sei nell’ala di esorcismo?” s’informò la donna.
“Beh, ecco… ieri è successa… una cosa che… non sapevo con
chi parlarne… Mephisto è sotto shock…” iniziò a
balbettare frasi sconnesse e senza un senso logico che confusero Shura.
“Ehi, ehi, ehi, piano!
Rallenta e parti dall’inizio. Cos’è successo ieri?” le chiese, indagando.
Quando si trattava del preside era sempre ghiotta di
notizie.
“Ehm… mi sono sentita male perché i.... io… ok, lascia perdere. Ciao!” disse velocemente cercando di arrivare alla
porta. La professoressa fu più veloce e le chiuse
l’uscita.
“Eh, no!
Hai iniziato, ora finisci!” le
ordinò minacciosa.
“Ma perché sono venuta qui?” si chiese Laura,
disperata. Sospirò.
“Sono incinta!” annunciò.
Shura rimase
zitta per un minuto buono. Perché tutti quelli a cui dava quella notizia
rimaneva in silenzio? La cosa le dava fastidio.
“Ehm… sei ancora qui?”la chiamò, agitandole una
mano davanti agli occhi.
“Incinta?
Ma… di… di un bambino?” chiese
la donna, allibita.
“No, di un procione!
Ma è logico che sono incinta di un bambino, che domande
deficienti mi fai?” si
stupì la ragazza.
“Ma… come è successo?”
“Senti, ma ultimamente hai parlato con Mephisto?
Mi state facendo le stesse domande!” esplose.
“Scusa, ma è strano, e mi fa anche un po’
senso.
Un figlio di quel demone? Che schifo!” esclamò.
“A me non faceva molto schifo quando è successo, comunque
ormai il danno è fatto e il bambino rimane”
“Ah, perché lo vuoi tenere?”
“No, lo vendo su e-bay.
È la giornata delle domande deficienti?” disse esasperata. Aveva
fatto un errore ad andare lì.
“Senti, io devo andare via. Se Mephisto rientrasse sarebbe una cosa buona e giusta. Ci vediamo in giro!” la
salutò.
Non
sopportava l’idea che qualcuno fosse schifato dal suo
bambino.
Laura
rimase in casa per una settimana prima di decidersi ad andare nello studio del
preside. Era arrivata al limite della sopportazione umana.
Spalancò
la porta ed entrò a passio di carica.
“Va bene, basta così.
Qual è il tuo problema?” lo
attaccò.
L’uomo la fissò imperscrutabile.
“Problema?”
“Sì, problema! Non ti si vede da sette giorni. Non
uno, non due ma sette! Sei impazzito
o cosa?”
“Avevo del lavoro da sbrigare e mi sono trattenuto
in…”
“Non mi dire le cazzate!
Sono già abbastanza isterica da sola!” lo avvertì. Mephisto sospirò.
“E va bene, affrontiamo la questione” decise.
Laura
si sedette sulla sua poltrona a braccia incrociate.
“Parla” lo spronò.
“Io non devo dirti niente”
“Sei scappato. Forse qualcosa devi
dirmi”
“Non sono scappato, avevo bisogno di tempo per pensare. Non
ero pronto a sapere che nel giro di pochi mesi…”
“Sette”
“Quello che è, devo diventare… ehm…
papà”
“Pensi che per me sia tanto più
semplice?”
“No, però tu hai venticinque anni, sei giovane e bella e
crescere un figlio non è un problema”
“Tu, invece, sei un plurisecolare che deve mettere la
testa a posto.
Direi che abbiamo fatto pari”
disse Laura.
“E’ diverso! Sono un demone, ad
esempio”
“E io sono un’immortale. Vai avanti con le tue
supposizioni, te le smonterò una ad una con grande soddisfazione”
“Sono figlio di Satana”
“Non sono mai stata
cattolica”
“Sono un infame”
“Nessuno è perfetto”
“Non sono adatto a fare il
padre”
“E io la madre, ma mi arrangerò.
Hai finito? Questa cosa mi annoia” lo implorò. Mephisto sorrise, scuotendo la testa. Quando ci si metteva, Laura era impossibile.
“Allora?
Torni a casa con me o rimani qui a fare finta di lavorare? Sono stanca e mi gira la testa” gli
chiese.
Lui si
alzò e la baciò, sorridendo ancora.
“Vengo con te, forza. Però non ti assicuro di saper fare il
papà”
“Imparerai, fidati”
Sei
mesi dopo.
“Quest’affare è ingombrante e alquanto scomodo” si
stava lamentando Laura.
Ormai
la pancia era diventata gigante, tanto che non si vedeva i piedi da due
mesi.
“Sei comunque bellissima”
la consolò il preside.
Stavano
finendo di mangiare quando le prese una fitta terribile. Si piegò in due dal
dolore.
“Che succede?” le domandò Mephisto, preoccupato.
“Le doglie” rispose lei, in un
sussurrò.
“Che cosa?”
“Mi si sono rotte le acque!”
urlò.
“Non è possibile, manca un
mese!”
“Lo so quando mi si rompono le acque, non mi
contraddire!” lo minacciò.
L’uomo
agì subito: prese il cappello e la caricò in braccio, portandola fuori dalla
cucina. Aveva la macchina fuori dalla porta, la fece salire e si diressero in
ospedale.
“Come va?” le domandò
premuroso.
“Da fare schifo, grazie” rispose lei, in preda ai
dolori.
Sentiva
che il bambino stava per venire fuori.
“Quanto ci vuole per arrivare?” chiese, impaziente.
“Ci siamo quasi, resisti!” la incitò.
Era
assurdo vederla stare tanto male per le doglie quando non si era lamentata mezza
volta durante il suo primo esame da exwire, quando era
stata praticamente strangolata da una scimmia gigante.
“Eccoci!” esclamò Mephisto, portandola fuori. Corse fino all’interno
dell’ospedale con lei in braccio che si lamentava e cercò un
medico.
“Sta per partorire!” disse. Un’infermiera molto
gentile le fece portare una sedia a rotelle e la spinse fino al primo
piano.
“Voglio andare con lei!” ordinò lui al dottore che
stava seguendo Laura.
“Mi dispiace, ma la politica di questo posto ci impedisce
di far assistere chiunque ai parti”
“Ma è mio figlio!”
“Siete sposati?”
“No”
“E allora non posso fare niente, mi scusi” spiegò,
scomparendo dietro la porta.
Il
preside si mise a camminare su e giù per il corridoio, in preda al
panico.
Passò
un’ora e ancora non si vedeva niente. Iniziò ad agitarsi.
Alle
tre di notte, dopo quattro ore di attesa, vide arrivare una chioma rosso fuoco
dalla porta principale.
“Shura?” esclamò sorpreso.
“Ehilà, Mephisto!
Come stai il nostro bel neopapà?” gli chiese sorridente.
“Ancora non lo sono, Laura non
ha…”
“Signor Pheles, ci siamo, la
bambina è nata” annunciò un’infermiera sorridente, spuntando dalla
sala.
“Oh cielo!
Finalmente” esclamò
entrando.
Vide la
ragazza tenere in mano un fagotto rosa e aspettarlo
sorridente.
“Eccoti.
Questa è nostra figlia” gli
disse, orgogliosa.
La
piccola aveva le orecchie appuntite e i capelli viola.
“Com’è… strana” osservò
l’uomo.
“E’ figlia di un demone e di un’umana, che
pretendevi?” lo prese in giro Laura.
“Come la chiameremo?”
“Che ne dici di Ayumi?
Significa stella” propose
Mephisto. La
sua compagna sorrise.
“Mi piace.
Ayumi Pheles. Suona proprio bene”
sospirò.
Si
stese e si addormentò con la bambina in braccio. Il preside le lasciò riposare e
si mise a sedere per osservarle.