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Autore: Dernier Orage    10/07/2012    2 recensioni
Seguito di No Human Can Drown.
Michelle richiedeva le coccole del padre quanto Louise tendeva ad esasperarlo. Forse era genetico oppure una questione di abitudini; Annik Alunir, la nonna delle bambine, trovava come spiegazione la massima “non si sa quale forma possa prendere un desiderio, può manifestarsi in un figlio concepito pensando involontariamente ad un’altra persona” – Stéphane era certo che la madre se la fosse inventata. Quando andava a prendere a scuola la figlia minore tendeva ad accontentare ogni sua richiesta di soste lungo i giardini, tazze di cioccolata calda alla ricerca di un café che le accompagnasse con un piattino di caldi churros.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'No Human Can Drown '
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Your Smile and the Other Lies







Have you ever heard a big breath?
Hurricanes of skin
Torrents of frailness
Can't you feel the wound?
An Indian fury
An Indian riot
I feel the wound, that's all
Noir Désir - The Wound






Parigi, Marzo 2003

Touria le porse una salvietta per asciugarsi il volto e levare gli ultimi aloni della matita e del mascara. Louise la ringraziò con un sorriso, si sistemò la frangetta scomposta, abbassò la gonna plissettata di un paio di centimetri fino a lambire le ginocchia; non voleva che la scoprissero mentre giocava a fare la grande, incerta sull’età effettiva, sulle fasi della preadolescenza e quali fossero i tempi giusti per le minigonne ed il trucco. A scuola le sue compagne di classe si dividevano in tre gruppi: le già grandi, le ancora bambine e le indifferenti. Le indifferenti erano le studiose, non infantili come le ancora bambine e non superficiali come le già grandi.
- Sei solo arrossata, non c’è più traccia di trucco.- Touria la rassicurò volteggiando nel bagno, uno stanzino stretto e confusionario dalle piastrelle color ocra e le luci calde del mobiletto; a malapena riuscivano a specchiarsi entrambe.
- A ricreazione ho esagerato un po’.- Mormorò Louise sorridendo debolmente.- Volevo soltanto essere carina.-
Quando suonò il citofono Touria corse a rispondere. Louise sfregò ancora un po’ con la salvietta nelle pieghe degli occhi, si passò un’ultima volta le dita tra i capelli ghignando al suo riflesso e spense la luce del bagno.
- Il tuo bàba.- Annunciò Touria aiutandola a sistemare i quaderni di scuola dentro la cartella. Scosse i capelli dello stesso colore del mogano e rise illuminata dagli strass della camicia di jeans.- In Marocco il bàba è il papà.-
- Non posso dirglielo perché bàba nei paesi slavi vuol dire nonna. Touria! Smettila di ridere; gli sono venuti i capelli bianchi troppo presto... - Esclamò Louise; sbuffò contrariata e, stando attenta a non inciampare nei tappeti, girò attorno al divano per raggiungere la porta di casa.- A domani!-
- A domani!- La ragazza sentì la voce di Touria affievolirsi oltre l’acciaio della porta blindata. Saltò giù dalla prima serie di scalini tenendo la cartella su una spalla sola e sentendola sbattere contro la parete in legno nei cambi di direzione. Le suole delle scarpe contro i gradini stridevano e la mancanza di cera aumentava l’attrito. Louise respirò per qualche secondo l’aria polverosa dell’androne; appena uscita vide Ismaël spegnere la sigaretta contro lo stipite del portone e lo sentì ringraziare e salutare contro la grata del citofono.
- Ciao! Ti sei divertita?- La salutò lui battendo la punta dell’ombrello contro gli interstizi del pavé.
- Abbiamo fatto i compiti; con chi parlavi?- Louise si alzò sulle punte per dargli un bacio sulla guancia.
- Con l’interno tre.- Sospirò Ismaël accennando qualche passo verso casa.
- La casa di Touria è al cinque.- Constatò Louise rimanendo interdetta, sghemba su un ginocchio, la cartella color lilla nella spalla opposta. I capelli disordinati, lisci sulla nuca e mossi alle punte. Qualche biglia di vetro e due euro per un gelato nelle tasche del cappotto giallo.
- Lo so, una volta abitava qui una persona che conoscevo.- Le spiegò l’uomo dai capelli grigi, il montgomery blu ed una sciarpa bordeaux. La aspettò appoggiato all’ombrello di tela cerata.
- Chi?- Domandò la bambina affrettandosi ad attraversare la strada.
- Un ragazzo bordolese.- Mormorò Ismaël sorridendo brevemente; il cielo striato d’arancio e di rosa, oscurato in parte dalle nuvole grigie che fino a mezzora prima avevano riversato la pioggia sulle strade, le persone nei negozi e negli androni dei palazzi.- Siamo stati insieme quattro anni.-
- Mi racconti?- Chiese speranzosa Louise affiancandolo. Si augurò che non ricominciasse a piovere, un solo ombrello e suo padre era troppo alto, obbligarlo a camminare chinato pur di non bagnarsi e, la sera, sentire le sue lamentele per il mal di schiena, era il suo ultimo desiderio.
- E’ una storia lunga ma la strada fino a casa dovrebbe bastare.- Accennò morbido Ismaël. Dal 13 di rue de l’Abbé Grégoire al 9 di rue Deparcieux la piccola Louise, di undici anni e mezzo, si lasciò cullare dalla sua voce.

Michelle richiedeva le coccole del padre quanto Louise tendeva ad esasperarlo. Forse era genetico oppure una questione di abitudini; Annik Alunir, la nonna delle bambine, trovava come spiegazione la massima “non si sa quale forma possa prendere un desiderio, può manifestarsi in un figlio concepito pensando involontariamente ad un’altra persona” – Stéphane era certo che la madre se la fosse inventata. Quando andava a prendere a scuola la figlia minore tendeva ad accontentare ogni sua richiesta di soste lungo i giardini, tazze di cioccolata calda alla ricerca di un café che le accompagnasse con un piattino di caldi churros.
Quel giovedì pomeriggio di fine Marzo la accompagnò per comprare un paio di jeans, sostituti di quelli distrutti dalla ghiaia del cortile della scuola; Michelle era tranquilla e affettuosa, captava i discorsi altrui sulla metropolitana e si voltava a guardarlo stupefatta o divertita. Ogni volta che batteva i piedi al ritmo della musica o improvvisava balletti di gioia, Stéphane si sentiva terribilmente in colpa per averle fatto smettere di frequentare le lezioni di danza classica, convinto dalle numerose volte in cui era stato chiamato dalla maestra perché la bambina si era addormentata sul banco di scuola. Aveva cercato a lungo di farsi perdonare portandola a teatro, avevano amato entrambi La Sylphide e lui aveva sperato che un balletto in tre atti basato su Anna Karenina di Tolstoj non fosse eccessivamente gravoso per una bambina di nove anni. Dopotutto Anna Karenina era stata favolosa e il passo successivo fu il cercare di convincere la bambina a rimandarne la lettura di almeno tre, quattro anni.
Michelle saltellava e volteggiava nel cappottino bianco e nelle scarpe di tela, curiosava nelle vetrine buie dei negozi di rue Froidevaux, spostava da una spalla all’altra la cinghia della custodia della clavietta. Stéphane la lasciava fare, danzare sul marciapiede e parlare interrottamente, il suo metodo infallibile per non vedere le figlie distruggere la casa in preda alla noia e all’iperattività. Svoltarono a sinistra, rue Deparcieux, pochi metri fino al portone blu di casa. Poche immagini, punti su cui cadeva sempre lo sguardo. Un’abitudine acquisita; la cassetta della posta, le biciclette incastrate sotto la prima rampa delle scale, la porticina della cantina e dei contatori della luce chiusa col lucchetto, una riproduzione incorniciata de La tentación de San Antonio di Salvador Dalì, appesa anni prima dalla vicina.
Si incontrarono lungo le scale, al ritorno dal giorno e il cielo dalla finestra di una tonalità più scura.
- Maël…- Mormorò Stéphane prendendolo per il polso e facendolo voltare con un movimento lento, alla ricerca del suo saluto. La derivazione di sentimento da sentire, il sentire come percepire le emozioni, l’appartenenza, l’amore a fior di labbra, sfiorato ed incandescente, trepido o tranquillo. L’incontro fugace delle sue iridi, uno studio istantaneo delle mutazioni di colore e dell’incidenza della luce fioca delle scale e quella proveniente dalla finestra.
Dopo un periodo di rifiuti, di cambiamenti repentini di volontà, un periodo in cui Stéphane puniva Ismaël, negava baci e tentava di negare anche l’importanza che aveva assunto nella sua vita, spesso contraddicendosi e trovando via via più frustrante il dare un’importanza estrema a qualcosa di doloroso ma sbiadito. L’affievolirsi dei significati aveva riportato alla fiducia assoluta e il disagio per aver dimostrato un’ostinazione infantile.
- Oh, riprendono a fare la coppietta.- Sbuffò divertita Louise cercando le chiavi di casa nella cartella.- Due della quatrième sono stati sospesi perché si baciavano in corridoio. Vado di sopra. Shell, gara?-
- Il divano è occupato!- Esclamò Stéphane pregustando il controllo dello stereo, del volume della musica e la pronuncia sgangherata e l’intonazione italiana di Inch'Allah, ça va.
- Cuffie obbligatorie per la postazione-divano. Oppure puoi cucinare.- Lo avvertì Ismaël, sospirò annoiato ed aggiunse:- Io dovrò portare i panni alla lavanderia automatica.-
- Dopo cena, andiamo con l’auto.- Consigliò Stéphane, fece qualche passo e si sporse dalla balaustra.- Noodles con piselli, radicchio e salsa di soia? Ragazze, vi va bene?-
Un urlo affermativo giunse da due interpiani sopra.

La signora Santagata dell’intero 2, primo piano, era bendisposta a tenere per qualche ora le bambine dopo l’intera vita in solitaria. Preparava un caffè superbo e riempiva le tasche di Louise e Michelle di caramelle, monete da due euro e foglietti con liste della spesa. Stéphane di solito non aveva bisogno di un aiuto e raramente aveva la necessità di lasciare le bambine a qualcuno, preferendo portarle alle presentazioni o alle cene sociali del Pelloutier e magari badare meno agli oratori. Stéphane uscì di casa assicurando che ci avrebbero messo meno di un’ora.
L’odore di nuovo dell’abitacolo veniva combattuto con i finestrini aperti e le giacche abbottonate, la Golf metallic green procedeva lentamente a causa del cantiere aperto in rue Daguerre, proprio all’incrocio con rue Boulard, fino a rue Campagne Première, alla ricerca di un posto dove parcheggiare vicino alla lavanderia automatica; tra la pioggia che cadeva quasi incessantemente da quattro giorni e il fatto che fosse un lunedì sera, Stéphane non riusciva a prevedere se potessero esserci altri clienti.
- Hai portato da leggere?- Domandò Stéphane caricando l’asciugatrice. I caratteri rossi dipinti sulla vetrina creavano delle ombre sulle pareti arancioni e il linoleum grigio quando venivano colpiti dai fari delle auto. Ismaël si era accomodato su una sedia di plastica bianca e aveva tirato fuori dal cappotto un rotolo di fogli.
- Sono gli incartamenti del notaio di mia madre e le richieste dell’agenzia immobiliare.- Sospirò l’uomo, li spiegò sulle ginocchia e catturò tra le dita le pieghe che segnalavano le pagine con dati salienti.
- Volete proprio disfarvene di quella casa?- Chiese in modo retorico Stéphane. L’eredità di madame Marguerite Odette Blanchard de la Roche per i due figli consisteva in una casa rurale nei pressi di Saumur e nel vecchio appartamento a Brest, più una cifra finita direttamente sul conto in banca senza neanche esser stata pronunciata. Troppo perché Ismaël riuscisse a far prevalere l’orgoglio e rinunciasse all’eredità, non con due figlie.
- Il prima possibile e Neven vorrebbe vendere subito anche quella a Brest, mobili compresi.- Mormorò Ismaël.
- E se la settimana prossima tu cambiassi idea?- Tentò Stéphane, accennando alla gita fuori porta per vedere le condizioni della chaumière, per adoperarsi nel caso ci fossero state le tegole di ardesia da sostituire, infissi distrutti o il bisogno di una ristrutturazione generica. Lo vide dubbioso e silenzioso, alla ricerca di una soluzione che evitasse nostalgie o immobiliaristi, gli occhi bellissimi e la pelle diafana e opalina sotto le luci artificiali. Accompagnò il suo volto al viso posando una mano dietro il suo collo, per baciarlo e per respirarlo.- Sarà una forma di nostomania ma io ho il desiderio fortissimo di tornare a fare l’amore sul vecchio letto a baldacchino… è fattibile?-
Un bacio per l’aggrottamento delle sopracciglia, un’increspatura leggera sotto la cute. Dieci per i voli pindarici condivisi, le rotte cambiate all’improvviso, le vele spiegate dei discorsi. Cento nell’abitacolo dell’auto al ritorno a casa, percorrendo rue Emile Richard, tra i muraglioni delle due sezioni del cimitero di Montparnasse, il clacson di un taxi e il volto verderame della luna.










   
 
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