QUARTO CAPITOLO: Nightmares
Erano passati tre giorni da
quando,
chissà per quale miracolo, erano riusciti a mettere diverse
miglia
di distanza dal loro carceriere. Nonostante la sua sguaiata risata,
come avevano potuto constatare i prigionieri che da più
tempo erano
obbligati alla permanenza in quel luogo infernale, risuonasse ancora
chiara e agghiacciante nelle ore più buie della notte, il
pallido
calore lunare finalmente privo di sbarre che ne limitavano la vista,
riusciva ad infondere quel poco di speranza necessaria a sopravvivere
agli stenti della latitanza. Senza nemmeno rendersene conto, la
ciurma di cappello di paglia (con estrema felicità di Usop)
si era
trovata a capo di un vero e proprio campo profughi che, dopo una
corsa di ore, si era sistemato alle pendici di un versante ombroso di
una collina vicino alla costa. Il luogo, indicato da Kojiro (guardia
pentita che, poiché accusata di aver curato alcuni
ricercati, era
stata a sua volta incriminata e rinchiusa) era estremamente idoneo
all’occasione in quanto protetto dalle enormi rientranze che
calando a picco sulla valle lo rendevano impossibile da scorgere
dall’alto e difficile da raggiungere poiché
collegato con
l’esterno solamente da una gola stretta e facilmente
difendibile
Prima di volgersi in fuga fortunatamente avevano avuto la prontezza
di saccheggiare dei magazzini poco distanti dall’arena,
procurandosi così lo stretto indispensabile per sopravvivere
settimane. La vita quindi era ripresa con insospettabile
rapidità;
fin dal primo giorno erano stati eretti tendoni di pronto soccorso,
nei quali, oltre a Robin e Nami, riposavano tutti i feriti
più o
meno gravi, trai i quali Chopper si aggirava, sempre con la sua
solita fretta preoccupata, seguito da altri tre o quattro altri
medici. Qualcuno si era anche offerto di sfamare l’appetito
insaziabile del loro capitano il quale però sentiva la
mancanza del
cibo che gli preparava il cuoco di bordo, ma per ora doveva solo
pensare a recuperare le forze e a farle recuperare anche ai suoi
compagni. Fu proprio per questo motivo che entrò con gran
fracasso
nel tendone dei malati con in mano una montagna di carne.
-Guarda
Chopper! Ho preso del cibo e sono venuto a darlo a Nami e Robin,
così
si riprenderanno più in fretta!-
-Ma se non possono muoversi vuol
dire che non possono neanche mangiare! Devono prima essere
curate!-
-Infatti la carne è un’ottima medicina.-
La piccola
renna guardò sconsolato il capitano convinto delle sue idee,
magari
doveva assecondarlo; si sarebbe sentito meglio e se ne sarebbe stato
tranquillo. Forse.
-Va bene Rufy, appoggia tutto lì appena potrò
proverò a fare come dici tu.-
-Sapevo che avresti capito!-
Il
dottore si allontanò velocemente verso altri pazienti
lasciando il
ragazzo solo a vagare tra il letti, cercava con lo sguardo la sua
navigatrice e la sua archeologa; passeggiava tranquillo quando le
vide con la coda dell’occhio sdraiate su due letti vicini. Si
avvicinò. Passava lo sguardo dall’una
all’altra controllando le
loro ferite, quel tizio, quel coso piumato, non l’avrebbe
passata
liscia. Si sedette sul letto della rossa continuando a osservarla,
era stata una dei primi componenti della sua ciurma, aveva combattuto
per lei, l’aveva vista crescere. Anche se a volte era davvero
spaventosa le voleva moltissimo bene, odiava
vederla in quello
stato. Le passò una mano sulla guancia.
-Guarirai presto te lo
prometto, e così potremo finalmente andare a prendere a
calci
quell’uomo pennuto- disse così continuando ad
accarezzarla.
-Ehi!
Chi ha messo qui tutta questa carne?-
Quella voce arrivò da
dietro a interromper quel piccolo momento, era meglio filarsela; si
alzò baciò sulla fronte la ragazza e se ne
andò di corsa .
Giusto un secondo dopo che Rufy ebbe lasciato definitivamente la stanza, ecco far capolino un ciuffo azzurro.
-È permesso?- chiese una voce squillante ma malferma che non ottenendo risposta, prese un lungo respiro e entrò.
I lineamenti delicati dell'archeologa riposavano distesi e sereni nella precaria tranquillità imposta dal sonno farmacologico. Controllando i tonfi dei suoi passi Franky si avvicinò al suo giaciglio improvvisato e si piazzò davanti al suo volto sfiorandolo rudemente con le sue dita metalliche. Adorava vederla dormire, semplicemente lo calmava nel profondo. Si sarebbe svegliata il giorno dopo secondo le previsioni di Chopper, una sola notte e il suo sorriso sarebbe tornato a far compagnia a quei suoi occhi gelidi. Ma dovevano sbrigarsi a rimettersi le sue compagne, dovevano tornare e recuperare il cuoco e lo spadaccino. Sempre che fossero ancora vivi.
Allontanò quei pensieri dalla mente e la mano dal viso beatamente assopito della donna e si avviò verso l'uscita.
Avevano bisogno di un piano, di un buon piano.
Immaginatevi un'imponente fortezza al centro di un'isola sconosciuta, percorrete mentalmente ogni ripido e scosceso gradino, arrivati al buio fondo della scala immaginate di perdervi nel vasto labirinto di ombre e ragnatele. Tra quell'oscurità trovereste una delle tante celle in disuso, in un angolo buio, un corpo logorato da sangue e sporcizia giace inerme. Vedendolo non potreste che scambiarlo per uno dei tanti cadaveri, unici abitanti di quel fetido squallore. Eppure se avreste la voglia, o meglio il coraggio di guardare con maggiore attenzione, se cercaste di mettere a fuoco i suoi lineamenti, il suo volto, notereste un quasi impercettibile soffio di vita in quell'aria gonfia di polvere e terra; forse allora vi avvicinereste e, accostando appena l'orecchio, sentireste un folle ma ritmico battito lottare per risuonare in quelle strette mura. Solo allora capireste realmente la sua sofferenza e la sua fatica in una lotta verso il baratro che molti avrebbero detto persa in partenza.
Eppure il cuore di quel ragazzo da qualche batteva ed era tutto ciò a cui Zoro riusciva a pensare: sarebbe dovuto essere con lui e invece eccolo lì, nuovamente prigioniero ma questa volta completamente solo. Sapeva che era solo questione di tempo e li avrebbero fatti fuori o peggio. Doveva trovare un modo per scappare ma era così stanco. I muscoli lo avevano ormai abbandonato da ore ma adesso anche gli occhi gli giocavano brutti scherzi chiudendosi lentamente, pastosi e pesanti. E proprio mentre ormai le forze lo abbandonavano del tutto lasciandolo scivolare nel vortice nero del sonno, gli parve, in lontananza, di sentire una porta cigolare e dei passi accostarsi a lui.
Sognò Do Flamingo, la sua risata, la voce avvelenata dall'ira. Sognò di siringhe e tante iniezioni. Ma soprattutto sognò una frase, un ordine terribile ripetuto all'infinito che man mano acquistava importanza, ingigantiva a dismisura: “torturalo e uccidilo poi uccidi te stesso.”
Note dell'autrice:
Salve a tutti, dopo due anni di completo silenzio mi rifaccio viva con la continuazione di una fan fiction trovata nei meandri del mio pc..
In realtà mi ero decisa a lasciarla incompleta in quanto rischiava di assomigliare troppo a una doujinshi (Spit Out Your Soul) letta assolutamente dopo l'ideazione di questa fic ma che consiglio caldamente a tutti i fan della coppia ZoroxSanji.
Comunque mi dispiaceva lasciare questa parte a prendere muffa quindi eccola qua.. potrebbe anche darsi che la continui se ancora interessa a qualcuno :)
Chiedo a tutti scusa per la mia incostanza, so quanto può dar fastidio e grazie a tutti per le bellissime recensioni!
XoXo
Ely