4
Va
bene. A quanto pareva, non ero soltanto una ragazza in piena crisi
post-diploma, o una teen-ager alle prese con un attacco di ormoni impazziti.
No,
ero anche una wicca.
C’era qualcos’altro che
doveva capitarmi? Non so, finire in un crepaccio e lasciarci le penne? Essere
investita da un treno impazzito? Ditemelo.
Non potevo, non volevo crederci, eppure ogni fibra del
mio corpo tremante mi diceva che, quello che Duncan aveva appena detto
corrispondeva alla verità.
Il punto era
accettarlo.
Mi sembrava di avere
una vera e propria crisi di rigetto, come se il mio fisico rifiutasse un organo
estraneo.
O forse, semplicemente,
rifiutavo me stessa per paura.
Singhiozzai, le braccia
strette attorno al petto, il cuore che martellava come a volermi sfondare la
cassa toracica, mentre gli occhi tristi di Duncan mi fissavano spiacenti.
Le sue mani, sollevate
nel vuoto e pronte a colmare la distanza che ci separava, erano restie a
compiere l’ultimo passo per raggiungere il mio corpo colmo di terrore.
Al momento, mi
sembravano artigli protesi per afferrarmi e farmi del male.
Istintivamente, mi
ritrassi.
Duncan prese male quel
gesto spontaneo, perché reclinò il capo calando le braccia, sussurrando poi con voce incrinata: “Scusami,
Brianna. Sono stato davvero brutale a dirti una cosa del genere in questo modo.
Non volevo spaventarti. Vorrei che credessi almeno a questo.”
Oh, potevo anche
credergli, non avevo problemi; il fatto però rimaneva.
Ero nel panico più totale.
Duncan ritentò, più
lentamente stavolta e, come cercando di chetare un uccellino spaventato,
cominciò a parlarmi lentamente, con voce appena sussurrata.
“Non voglio farti alcun
male, Brianna, e mi sento responsabile per il dolore che stai patendo adesso. Desidero
solo aiutarti e alleviare il peso che senti premerti sulle spalle. Permettimi
di darti una mano, Brianna” sussurrò, allungando piano le mani verso di me.
Non seppi dire con
certezza quanto tempo passò accanto a me senza toccarmi ma, alla fine, mi
ritrovai seduta in braccio a lui.
Il viso era premuto
contro il suo torace, mentre calde lacrime stavano scivolando sul mio viso
senza ritegno alcuno.
Le sue braccia forti e protettive
mi avvolgevano come una coperta.
Per la prima volta,
quella sensazione di calore dilagante che mi penetrava nel corpo non mi diede
fastidio, né mi fece paura.
Quelle dolci carezze di
velluto mi aiutarono a calmare i tremori che mi scuotevano, finché il mio
piangere non si ridusse a una serie di singhiozzi labili, inframmezzati da
lunghi sospiri tremuli.
Il suo potere – ora
sapevo cos’era – continuò a cullarmi finché non fui del tutto calma.
Lasciando che il
battito quieto del suo cuore desse un ritmo al mio, più frenetico e irregolare,
mi trovai a rilassarmi tra le sue braccia come se lo avessi conosciuto da
sempre, e non da poche ore.
Quando finalmente
trovai il coraggio di scostare la guancia dalla morbidezza della sua pelle,
ricoperta da fine peluria scura, riuscii anche a non apparire imbarazzata.
Se tutto ciò fosse successo
con un’altra persona, sarei diventata rossa come un peperone maturo.
Nei suoi occhi, però,
non trovai altro se non il desiderio di alleviare le mie pene, e questo mi rese
possibile tranquillizzarmi del tutto.
Tornai a sedermi di
fronte a lui, il respiro più quieto e il cuore finalmente pacificato e, con un
sorrisino di scuse, dissi: “Perdonami lo sfogo. Credo di essere arrivata al
limite.”
“Perdonami tu. Ti sei
gettata a capofitto in una situazione che avrebbe spaventato chiunque e,
oltretutto, scopri che la tua vita è diversa da come l’avevi immaginata. Non fa
specie che tu sia un tantino nervosa. E, credo, giustamente confusa” replicò
Duncan, scrollando le spalle.
Ridacchiai annuendo,
prima di mugugnare: “Ti sarò sembrata una bambina.”
“Affatto. Tenersi
dentro tutto è un’arma a doppio taglio. Sapere come sfogarsi è sempre di aiuto” replicò, accennando un
sorriso.
Ripensai un attimo all’abbraccio
che ci aveva uniti e, soprattutto, rimuginai sul fatto che eravamo due perfetti
estranei.
Cercai anche di sentirmi
offesa, o anche soltanto irritata dalla sua intraprendenza, ma trovai solo
gratitudine nella mia mente vagamente tramortita da quelle novità.
Forse, proprio grazie
alle doti di cui Duncan mi aveva appena accennato, capivo che in lui non v’era alcuna traccia di falsità, e che non
aveva cercato di approfittare della situazione per i suoi scopi personali.
Aveva solo tentato di
darmi una mano.
Curiosa, perciò, gli
chiesi: “Visto quello che… beh, che sembro poter essere… dici che mi è
possibile… capire se dici il vero?”
Lui mi sorrise
comprensivo, e annuì.
“Le wiccan percepiscono le bugie dei
licantropi, per questo avere una wicca
all’interno del branco non solo era, ed è, considerato un onore, ma anche un
vantaggio.”
“Un onore. Non capisco
in che senso” ammisi, giocherellando con uno dei lacci dello zaino e lanciando
sguardi incerti al suo viso.
Ora che mi ero calmata,
o quasi, mi era praticamente impossibile restare ferma, come se un’assurda
frenesia si fosse impossessata di me.
Persino tenere bloccato
lo sguardo su qualcosa in particolare, mi risultava difficile.
Che fossi in lieve
stato di shock? Difficile dirlo, ma era probabile.
Apparentemente non
notando la mia iperattività, Duncan rimuginò un po’ sulla domanda che gli avevo
fatto prima di ammettere: “Non sono la persona più adatta per parlarti delle wiccan, visto che non ho mai avuto a che
fare con loro direttamente. E di Kate so poco; l’ho incontrata solo in un paio
di occasioni, e non abbiamo scambiato che poche parole.”
“C’è qualcosa che mi nascondi,
vero?”
Ipotizzai che, il
leggero pizzicore che avevo appena avvertito alla base del naso, potesse voler
dire che lui stava mentendo.
Duncan ridacchiò
imbarazzato, e annuì.
“Dovrò abituarmi alla
svelta, se non voglio cacciarmi nei guai con te. In effetti, ci sono alcune
cose di cui non vorrei parlarti adesso, perché ho l’impressione che potrebbero
turbarti.”
“Cose… negative?” mi
preoccupai subito.
“Oh, no. Ma riguardano
ciò che può fare una wicca, e credo
tu non sia ancora pronta per sentirne parlare. Quando saremo arrivati in seno
al mio clan, potrai affrontare questo argomento con la nostra Lupa Madre. E’
una donna saggia e potente, e lei conosce l’argomento meglio di me” mi spiegò
Duncan, fiducioso.
Quella frase mi fece
tornare in mente un particolare: quando mi ero imbarcata in quella folle
impresa, non mi ero informata circa la nostra destinazione.
“Ehm, non per sembrarti
un’impicciona ma, esattamente, dove
siamo diretti?” chiesi, sollevando un sopracciglio con ironia.
Duncan spalancò gli
occhi, forse sorpreso dalla domanda o, molto più probabilmente, resosi conto a
sua volta di non aver mai accennato alla cosa.
Scoppiando a ridere, mi
disse: “Sì, hai ragione. Non ne ho proprio parlato. Siamo diretti a Matlock,
nel Derbyshire.”
Impiegai davvero poco,
vista soprattutto la mia mente ancora immersa nel caos più totale, per digerire
questa informazione e sgranare gli occhi in stile pesce palla.
La mia bocca disegnò
una enorme O sul mio viso sconvolto prima che la mia voce, resa roca dalla
sorpresa, riuscisse a uscire dalla mia gola per gorgogliare un confuso: “Dici…
sul serio?”
“Temo di sì” ammise contrito.
“Ma non devi preoccuparti della distanza. Nel giro di pochi giorni, avrò
ripreso del tutto le forze e potrò mutare in licantropo. A quel punto mi salirai
in groppa e, in pochissimo tempo, giungeremo a destinazione.”
Altro problema non
indifferente.
Ormai sapevo, almeno
tecnicamente, che Duncan possedeva anche questa controparte ferina, ma il punto
era un altro.
Sarei riuscita a
sopportare anche l’aspetto pratico, oltre quello teorico, o sarei impazzita?
Forse, avevo
tralasciato di proposito di rimuginare su quel punto, vuoi per il desiderio di
curare il prima possibile la sua ferita, vuoi per altri motivi.
Qualsiasi fosse la
ragione, quel particolare era rimasto sepolto tra la mia spazzatura mentale,
dove relegavo tutto ciò che non volevo affrontare, o che mi faceva paura.
Stabilire quale delle
due opzioni rappresentasse il problema ‘Duncan lupo’ era difficile stabilirlo,
ma il fatto rimaneva.
Non mi ero ancora posta
il dilemma.
Avrei potuto accettare
di vedere un uomo mutare in animale, senza lasciarmi andare al panico più
completo?
Sarei riuscita a
guardarlo negli occhi e riconoscervi anche l’uomo, senza vedere solo l’animale,
e quindi provarne un istintivo terrore?
Non era facile
stabilirlo e, pur amando la natura e tutte le sue creature, non ero del tutto
sicura di poter affrontare anche quella prova.
Ma, più di tutto, mi
resi conto di non voler offendere Duncan con un mio eventuale rifiuto della sua
parte animale.
Sarebbe stato come
schiaffeggiarlo, umiliarlo, di questo
ne ero convinta.
Per cui, ero così certa
di volere che si trasformasse?
Dalla sua espressione
meditabonda, compresi che i miei pensieri dovevano essere venuti a galla fino a
raggiungere il mio viso.
Per l’ennesima volta, le
mie espressioni mi avevano tradita, spifferandogli ciò di cui avevo paura.
Avrei dovuto comprarmi
una maschera, trasparente com’ero.
Sospirai e ammisi:
“Posso sapere come apparite? Sì, insomma, in forma animale.”
“Siamo lupi nel vero
senso della parola, anche se siamo grandi come pony, o poco più” mi spiegò
Duncan in totale onestà, alzandosi in piedi e passando distrattamente una mano
sul tronco nodoso di un giovane noce.
D’accordo, un pony.
Forse potevo sopportarlo. Forse.
“Niente a che fare,
quindi, con i licantropi di Underworld?”
buttai lì, sperando di non fare una gaffe
tremenda.
Lui arricciò
leggermente il naso, concentrandosi, prima di scuotere il capo e asserire: “Non
credo… non ricordo bene il genere, ma penso di no.”
La sua risposta mi
sorprese, facendomi perdere per un momento interesse sull’argomento per
spingermi su altro.
“Non vai al cinema?”
gli chiesi spudoratamente, senza neanche tentare di non apparire stupita. O
divertita.
La domanda parve incuriosirlo,
e questo lo fece tranquillizzare.
I muscoli delle sue
spalle, da rigidi che erano, si decontrassero quasi subito, vibrando
leggermente prima di rilassarsi, quasi qualcuno li avesse lisciati con un’abile
mano.
La cicatrice sulla
schiena, notai, era già quasi del tutto scomparsa. Davvero impressionante.
“Diciamo che non sono
un amante del genere. Preferisco i film in bianco e nero e d’essay” ammise,
prima di ridacchiare e aggungere: “Scusa, so che suona molto out.”
“Ah, questo però lo sai!”
ridacchiai, rilassandomi a mia volta prima di rendermi conto di un particolare.
In maniera molto
sottile, quasi come se si fosse trattato di un impulso a bassa frequenza,
Duncan mi aveva inviato leggere correnti di potere, morbide come il raso più
fine.
Senza neppure
accorgermene, le avevo assorbite dentro di me, servendomene spudoratamente per
chetare la mia agitazione.
Sogghignai, fissandolo
maliziosa, e mormorai: “Ma come siamo furbi.”
Mi fece un breve cenno
col capo, come per omaggiarmi, e decretò: “I miei complimenti, sei molto
sensibile. E’ indice di un potere davvero grande.”
“Preferirei non sapere,
al momento, quanto io sia anomala” ridacchiai nervosamente.
“Non sei anomala,
Brianna, ma una creatura rara e inestimabile” protestò vibratamente, afferrando
un ramo del noce con aria quasi offesa.
Sembrava tenere molto
alla cosa, e il fatto che io sbeffeggiassi quel dono pareva infastidirlo,
perciò mi azzittii.
Non volevo offenderlo
in alcun modo, visto e considerato che, in quella barca scricchiolante dove entrambi
ci trovavamo, il capitano era lui.
Io non avrei saputo
cosa fare, se avessi avuto il comando della spedizione e, cosa più importante,
non avrei saputo come raggiungere Matlock da sola.
Mi sarei limitata a
farmi beccare dalla polizia che, quasi sicuramente, Patrick e Mary Beth avevano
già avvertito, e avrei finito col cacciarmi in guai enormi.
Sorridendo leggermente,
mi figurai Mary B seduta nel suo studio.
Una mano avrebbe
stretto frenetica il telefono, mentre l’altra sarebbe affondata tra le morbide
ciocche di capelli castano ramati, grattandosi ansiosamente il cuoio capelluto.
Era un classico, per
lei.
Ogni volta che si
innervosiva per qualcosa, i suoi profondi occhi grigio-verdi si perdevano nel
vuoto, e le sue mani si infilavano tra i capelli per torturarli.
Non rammentavo neppure
più le volte in cui gliel’avevo fatto notare, e le altrettante volte in cui
lei, ridacchiante, si era infilata le mani in tasca, parlando poi a vanvera per
evitare di ricadere nell’errore.
Erano stati episodi di
quel genere che ci avevano aiutato a legare, e ricordarlo in quel momento me ne
fece sentire la mancanza.
Sperai ardentemente che
non si facesse troppo male, vista quella sua abitudine autodistruttiva.
Con uno sbuffo
infastidito, cercai di non pensare troppo a ciò che mi ero lasciata alle spalle
– rimuginarci mi avrebbe solo fatto ricadere nello sconforto.
Duncan, notando il mio
cipiglio, si venne a inginocchiare dinanzi a me, il volto nuovamente triste,
dicendomi: “Oggi non faccio altro che commettere un errore dietro l’altro. Ti
sto procurando solo pensieri infelici. Finirai col pensare che io sia un orso,
più che un uomo.”
Il commento mi fece sorridere
e, scrollando le spalle, ghignai.
“Sei anche un orso
mannaro, adesso?”
“Proprio no!” esalò
Duncan infastidito, prima di accennare un sorrisino e aggiungere: “Che
sfacciata che sei.”
“Oh, sì! E vedrai, so
fare anche di peggio” assentii con vigore, allargando il mio sorriso sfacciato.
Pensa
ad altro, a tutt’altro, ma non a coloro che hai lasciato a casa!,
mi dissi poi mentalmente, cercando di cacciare via la tristezza.
“Avrò il tempo di
appurarlo” ammise Duncan, prendendo una mia mano tra le sue per poi dichiarare:
“Non lascerò che tu affronti questi cambiamenti da sola. Mi hai salvato la
vita, e sono in debito con te più di quanto tu non potrai mai immaginare.”
“Ma no, davvero, io…”
cominciai col dire, prima di venire zittita da un suo dito premuto sulle mie
labbra carnose.
Scosse il capo di
riccioli corvini e proseguì serio il suo dire.
“Il destino ha fatto
incrociare le nostre strade, e io farò di tutto per aiutarti. Hai la mia
parola, e la parola data è vincolante, per un licantropo.”
“Va bene, allora. Una
guida, in effetti, mi servirà, visto che non ho idea di come arrivare a
Matlock” annuii a quel punto, anche se non intendevo affatto quel tipo di guida.
Duncan lo comprese,
limitandosi ad annuire a sua volta dopodiché, tirandomi in piedi con sé, mi chiese:
“Riprendiamo il viaggio?”
“Sì. Ne abbiamo ancora,
di strada da fare… e tu mi devi dire ancora un sacco di cose” gli ricordai,
facendo l’atto di afferrare lo zaino.
Duncan mi precedette, drappeggiandoselo
sulla spalla sana.
“Lascia che lo porti io
per te, Brianna… e sì, ho ancora un sacco di cose da dirti.”
“Prometti che ci andrai
più leggero? Niente esternazioni come oggi. I miei nervi non sono così saldi
come pensavo” ridacchiai, cercando di fare dell’ironia.
“Scommetto che dipende
solo dal fatto che ti sei svegliata di soprassalto, stamattina…” chiosò,
ammiccando divertito. “… e che, in condizioni ottimali, reagiresti
diversamente.”
Ero davvero così
trasparente?
“Ammetto che i risvegli
improvvisi non aiutano il mio cervello a reagire come vorrei” scrollai le
spalle con una certa flemma.
Lui sorrise divertito e
mormorò impressionato: “Non oso immaginare come saresti al tuo meglio; già
così, sei stata prontissima.”
Non ero del tutto
sicura che i suoi complimenti fossero un bene, per me.
Abituarmi alla sua
gentilezza poteva essere controproducente ma, in quel momento, ne avevo
bisogno.
Ero troppo abbattuta
per non prendere avidamente dentro di me i suoi elogi, per trasformarli poi in
serotonina allo stato puro.
Mi aprii perciò in un
sorriso imbarazzato e borbottai: “Se per ‘prontissima’
intendi quasi restarci secca dalla paura, allora sì, direi che ero prontissima.”
Lui tornò serio, di
fronte al mio tentativo di sminuirmi, e replicò: “Non conosco molte persone
che, messe di fronte a una situazione come è capitata a te, avrebbero reagito
allo stesso modo. Non è da tutti aiutare un perfetto sconosciuto in pericolo,
mettendo a rischio la propria vita nel farlo e, nel contempo, salvarlo
dall’avvelenamento con la prontezza di spirito che hai avuto tu. Oltre a ciò,
aggiungi pure quel che ti ho detto io su chi sei in realtà, e avrai un chiaro
quadro della situazione.”
“E cioè?”
“Che sei una persona
altruista e coraggiosa, che ora sta affrontando una difficile situazione
assieme a qualcuno che non conosce, ma di cui è costretta a fidarsi per ovvie
ragioni pratiche e che, tra le altre cose, l’ha sconvolta a morte con rivelazioni
che, forse, non avrebbe mai voluto sapere” mi spiegò Duncan, senza tralasciare
nulla del ritratto maledettamente preciso che si era fatto su di me.
Sbattei le palpebre,
confusa, esalando: “Perché non fai lo sceneggiatore?”
“Come, prego?” sbottò,
decisamente sorpreso.
“Sto solo cercando di
arrabattarmi con quello che ho e che so fare, Duncan. Non sono così indomita
come mi dipingi” scrollai le spalle, sminuendomi un’altra volta.
“Permetti che io abbia
le mie opinioni?” replicò allora lui, con un sorrisino furbo.
“Prego. Lungi da me è
l’idea di farti cambiare parere, anche se ciò che pensi non rispecchia la
realtà” ammiccai comicamente.
“Credimi, Brianna,
solitamente non si è mai dei bravi critici nei confronti di se stessi…” e nel
dirlo, avvertii una nota amara nella sua voce. “…per questo, credo di essere
più obiettivo io, guardandoti.”
“Ti lascerò crogiolare
nelle tue pie illusioni” sghignazzai, pur apprezzando il fatto che mi vedesse
così.
“Grazie” celiò, prima
di dirmi: “Pronta?”
“All’idea di farmi mezza
Inghilterra a piedi, o a dorso di lupo? Ma certo! Quale ragazza non lo
sarebbe?” ironizzai, allargando il mio sorriso fino allo stremo.
Duncan mi fissò con
aria aggrottata per un momento, prima di chiedermi: “Lo fai perché sei nervosa,
o è un tuo vizio quello di ironizzare su tutto?”
“Lo scoprirai” sentenziai,
misteriosa.
“Perché la cosa non mi
entusiasma?” si lagnò, cominciando a camminare e scuotere la testa al tempo
stesso.
“Perché sei perspicace”
ridacchiai, andandogli dietro.