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Autore: Mary P_Stark    16/07/2012    5 recensioni
Un incubo. O una premonizione. La giovane Brianna, studentessa modello di Glasgow, si sveglia di soprassalto, nel sangue un obbligo insopprimibile. E, nel modo più impensabile, si scontra con una realtà che non avrebbe mai pensato di scoprire. Né di vivere sulla propria pelle. Per Duncan, fiero licantropo e Alfa del suo branco, avviene la stessa cosa e, dal loro incontro, si scateneranno forze che neppure loro immaginano. Il mito di Fenrir, di ancestrale memoria, tornerà per avvolgere nelle sue spire Brianna, facendole comprendere che neppure lei, contrariamente a quanto pensa, è una comune umana. PRIMA PARTE DELLA TRILOGIA DELLA LUNA.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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 Va bene. A quanto pareva, non ero soltanto una ragazza in piena crisi post-diploma, o una teen-ager alle prese con un attacco di ormoni impazziti.

  No, ero anche una wicca.

C’era qualcos’altro che doveva capitarmi? Non so, finire in un crepaccio e lasciarci le penne? Essere investita da un treno impazzito? Ditemelo.

Non potevo, non volevo crederci, eppure ogni fibra del mio corpo tremante mi diceva che, quello che Duncan aveva appena detto corrispondeva alla verità.

Il punto era accettarlo.

Mi sembrava di avere una vera e propria crisi di rigetto, come se il mio fisico rifiutasse un organo estraneo.

O forse, semplicemente, rifiutavo me stessa per paura.

Singhiozzai, le braccia strette attorno al petto, il cuore che martellava come a volermi sfondare la cassa toracica, mentre gli occhi tristi di Duncan mi fissavano spiacenti.

Le sue mani, sollevate nel vuoto e pronte a colmare la distanza che ci separava, erano restie a compiere l’ultimo passo per raggiungere il mio corpo colmo di terrore.

Al momento, mi sembravano artigli protesi per afferrarmi e farmi del male.

Istintivamente, mi ritrassi.

Duncan prese male quel gesto spontaneo, perché reclinò il capo calando le braccia,  sussurrando poi con voce incrinata: “Scusami, Brianna. Sono stato davvero brutale a dirti una cosa del genere in questo modo. Non volevo spaventarti. Vorrei che credessi almeno a questo.”

Oh, potevo anche credergli, non avevo problemi; il fatto però rimaneva.

Ero nel panico più totale.

Duncan ritentò, più lentamente stavolta e, come cercando di chetare un uccellino spaventato, cominciò a parlarmi lentamente, con voce appena sussurrata.

“Non voglio farti alcun male, Brianna, e mi sento responsabile per il dolore che stai patendo adesso. Desidero solo aiutarti e alleviare il peso che senti premerti sulle spalle. Permettimi di darti una mano, Brianna” sussurrò, allungando piano le mani verso di me.

Non seppi dire con certezza quanto tempo passò accanto a me senza toccarmi ma, alla fine, mi ritrovai seduta in braccio a lui.

Il viso era premuto contro il suo torace, mentre calde lacrime stavano scivolando sul mio viso senza ritegno alcuno.

Le sue braccia forti e protettive mi avvolgevano come una coperta.

Per la prima volta, quella sensazione di calore dilagante che mi penetrava nel corpo non mi diede fastidio, né mi fece paura.

Quelle dolci carezze di velluto mi aiutarono a calmare i tremori che mi scuotevano, finché il mio piangere non si ridusse a una serie di singhiozzi labili, inframmezzati da lunghi sospiri tremuli.

Il suo potere – ora sapevo cos’era – continuò a cullarmi finché non fui del tutto calma.

Lasciando che il battito quieto del suo cuore desse un ritmo al mio, più frenetico e irregolare, mi trovai a rilassarmi tra le sue braccia come se lo avessi conosciuto da sempre, e non da poche ore.

Quando finalmente trovai il coraggio di scostare la guancia dalla morbidezza della sua pelle, ricoperta da fine peluria scura, riuscii anche a non apparire imbarazzata.

Se tutto ciò fosse successo con un’altra persona, sarei diventata rossa come un peperone maturo.

Nei suoi occhi, però, non trovai altro se non il desiderio di alleviare le mie pene, e questo mi rese possibile tranquillizzarmi del tutto.

Tornai a sedermi di fronte a lui, il respiro più quieto e il cuore finalmente pacificato e, con un sorrisino di scuse, dissi: “Perdonami lo sfogo. Credo di essere arrivata al limite.”

“Perdonami tu. Ti sei gettata a capofitto in una situazione che avrebbe spaventato chiunque e, oltretutto, scopri che la tua vita è diversa da come l’avevi immaginata. Non fa specie che tu sia un tantino nervosa. E, credo, giustamente confusa” replicò Duncan, scrollando le spalle.

Ridacchiai annuendo, prima di mugugnare: “Ti sarò sembrata una bambina.”

“Affatto. Tenersi dentro tutto è un’arma a doppio taglio. Sapere come sfogarsi è sempre di aiuto” replicò, accennando un sorriso.

Ripensai un attimo all’abbraccio che ci aveva uniti e, soprattutto, rimuginai sul fatto che eravamo due perfetti estranei.

Cercai anche di sentirmi offesa, o anche soltanto irritata dalla sua intraprendenza, ma trovai solo gratitudine nella mia mente vagamente tramortita da quelle novità.

Forse, proprio grazie alle doti di cui Duncan mi aveva appena accennato, capivo che in lui non v’era alcuna traccia di falsità, e che non aveva cercato di approfittare della situazione per i suoi scopi personali.

Aveva solo tentato di darmi una mano.

Curiosa, perciò, gli chiesi: “Visto quello che… beh, che sembro poter essere… dici che mi è possibile… capire se dici il vero?”

Lui mi sorrise comprensivo, e annuì.

“Le wiccan percepiscono le bugie dei licantropi, per questo avere una wicca all’interno del branco non solo era, ed è, considerato un onore, ma anche un vantaggio.”

“Un onore. Non capisco in che senso” ammisi, giocherellando con uno dei lacci dello zaino e lanciando sguardi incerti al suo viso.

Ora che mi ero calmata, o quasi, mi era praticamente impossibile restare ferma, come se un’assurda frenesia si fosse impossessata di me.

Persino tenere bloccato lo sguardo su qualcosa in particolare, mi risultava difficile.

Che fossi in lieve stato di shock? Difficile dirlo, ma era probabile.

Apparentemente non notando la mia iperattività, Duncan rimuginò un po’ sulla domanda che gli avevo fatto prima di ammettere: “Non sono la persona più adatta per parlarti delle wiccan, visto che non ho mai avuto a che fare con loro direttamente. E di Kate so poco; l’ho incontrata solo in un paio di occasioni, e non abbiamo scambiato che poche parole.”

“C’è qualcosa che mi nascondi, vero?”

Ipotizzai che, il leggero pizzicore che avevo appena avvertito alla base del naso, potesse voler dire che lui stava mentendo.

Duncan ridacchiò imbarazzato, e annuì.

“Dovrò abituarmi alla svelta, se non voglio cacciarmi nei guai con te. In effetti, ci sono alcune cose di cui non vorrei parlarti adesso, perché ho l’impressione che potrebbero turbarti.”

“Cose… negative?” mi preoccupai subito.

“Oh, no. Ma riguardano ciò che può fare una wicca, e credo tu non sia ancora pronta per sentirne parlare. Quando saremo arrivati in seno al mio clan, potrai affrontare questo argomento con la nostra Lupa Madre. E’ una donna saggia e potente, e lei conosce l’argomento meglio di me” mi spiegò Duncan, fiducioso.

Quella frase mi fece tornare in mente un particolare: quando mi ero imbarcata in quella folle impresa, non mi ero informata circa la nostra destinazione.

“Ehm, non per sembrarti un’impicciona ma, esattamente, dove siamo diretti?” chiesi, sollevando un sopracciglio con ironia.

Duncan spalancò gli occhi, forse sorpreso dalla domanda o, molto più probabilmente, resosi conto a sua volta di non aver mai accennato alla cosa.

Scoppiando a ridere, mi disse: “Sì, hai ragione. Non ne ho proprio parlato. Siamo diretti a Matlock, nel Derbyshire.”

Impiegai davvero poco, vista soprattutto la mia mente ancora immersa nel caos più totale, per digerire questa informazione e sgranare gli occhi in stile pesce palla.

La mia bocca disegnò una enorme O sul mio viso sconvolto prima che la mia voce, resa roca dalla sorpresa, riuscisse a uscire dalla mia gola per gorgogliare un confuso: “Dici… sul serio?”

“Temo di sì” ammise contrito. “Ma non devi preoccuparti della distanza. Nel giro di pochi giorni, avrò ripreso del tutto le forze e potrò mutare in licantropo. A quel punto mi salirai in groppa e, in pochissimo tempo, giungeremo a destinazione.”

Altro problema non indifferente.

Ormai sapevo, almeno tecnicamente, che Duncan possedeva anche questa controparte ferina, ma il punto era un altro.

Sarei riuscita a sopportare anche l’aspetto pratico, oltre quello teorico, o sarei impazzita?

Forse, avevo tralasciato di proposito di rimuginare su quel punto, vuoi per il desiderio di curare il prima possibile la sua ferita, vuoi per altri motivi.

Qualsiasi fosse la ragione, quel particolare era rimasto sepolto tra la mia spazzatura mentale, dove relegavo tutto ciò che non volevo affrontare, o che mi faceva paura.

Stabilire quale delle due opzioni rappresentasse il problema ‘Duncan lupo’ era difficile stabilirlo, ma il fatto rimaneva.

Non mi ero ancora posta il dilemma.

Avrei potuto accettare di vedere un uomo mutare in animale, senza lasciarmi andare al panico più completo?

Sarei riuscita a guardarlo negli occhi e riconoscervi anche l’uomo, senza vedere solo l’animale, e quindi provarne un istintivo terrore?

Non era facile stabilirlo e, pur amando la natura e tutte le sue creature, non ero del tutto sicura di poter affrontare anche quella prova.

Ma, più di tutto, mi resi conto di non voler offendere Duncan con un mio eventuale rifiuto della sua parte animale.

Sarebbe stato come schiaffeggiarlo, umiliarlo, di questo ne ero convinta.

Per cui, ero così certa di volere che si trasformasse?

Dalla sua espressione meditabonda, compresi che i miei pensieri dovevano essere venuti a galla fino a raggiungere il mio viso.

Per l’ennesima volta, le mie espressioni mi avevano tradita, spifferandogli ciò di cui avevo paura.

Avrei dovuto comprarmi una maschera, trasparente com’ero.

Sospirai e ammisi: “Posso sapere come apparite? Sì, insomma, in forma animale.”

“Siamo lupi nel vero senso della parola, anche se siamo grandi come pony, o poco più” mi spiegò Duncan in totale onestà, alzandosi in piedi e passando distrattamente una mano sul tronco nodoso di un giovane noce.

D’accordo, un pony. Forse potevo sopportarlo. Forse.

“Niente a che fare, quindi, con i licantropi di Underworld?” buttai lì, sperando di non fare una gaffe tremenda.

Lui arricciò leggermente il naso, concentrandosi, prima di scuotere il capo e asserire: “Non credo… non ricordo bene il genere, ma penso di no.”

La sua risposta mi sorprese, facendomi perdere per un momento interesse sull’argomento per spingermi su altro.

“Non vai al cinema?” gli chiesi spudoratamente, senza neanche tentare di non apparire stupita. O divertita.

La domanda parve incuriosirlo, e questo lo fece tranquillizzare.

I muscoli delle sue spalle, da rigidi che erano, si decontrassero quasi subito, vibrando leggermente prima di rilassarsi, quasi qualcuno li avesse lisciati con un’abile mano.

La cicatrice sulla schiena, notai, era già quasi del tutto scomparsa. Davvero impressionante.

“Diciamo che non sono un amante del genere. Preferisco i film in bianco e nero e d’essay” ammise, prima di ridacchiare e aggungere: “Scusa, so che suona molto out.”

“Ah, questo però lo sai!” ridacchiai, rilassandomi a mia volta prima di rendermi conto di un particolare.

In maniera molto sottile, quasi come se si fosse trattato di un impulso a bassa frequenza, Duncan mi aveva inviato leggere correnti di potere, morbide come il raso più fine.

Senza neppure accorgermene, le avevo assorbite dentro di me, servendomene spudoratamente per chetare la mia agitazione.

Sogghignai, fissandolo maliziosa, e mormorai: “Ma come siamo furbi.”

Mi fece un breve cenno col capo, come per omaggiarmi, e decretò: “I miei complimenti, sei molto sensibile. E’ indice di un potere davvero grande.”

“Preferirei non sapere, al momento, quanto io sia anomala” ridacchiai nervosamente.

“Non sei anomala, Brianna, ma una creatura rara e inestimabile” protestò vibratamente, afferrando un ramo del noce con aria quasi offesa.

Sembrava tenere molto alla cosa, e il fatto che io sbeffeggiassi quel dono pareva infastidirlo, perciò mi azzittii.

Non volevo offenderlo in alcun modo, visto e considerato che, in quella barca scricchiolante dove entrambi ci trovavamo, il capitano era lui.

Io non avrei saputo cosa fare, se avessi avuto il comando della spedizione e, cosa più importante, non avrei saputo come raggiungere Matlock da sola.

Mi sarei limitata a farmi beccare dalla polizia che, quasi sicuramente, Patrick e Mary Beth avevano già avvertito, e avrei finito col cacciarmi in guai enormi.

Sorridendo leggermente, mi figurai Mary B seduta nel suo studio.

Una mano avrebbe stretto frenetica il telefono, mentre l’altra sarebbe affondata tra le morbide ciocche di capelli castano ramati, grattandosi ansiosamente il cuoio capelluto.

Era un classico, per lei.

Ogni volta che si innervosiva per qualcosa, i suoi profondi occhi grigio-verdi si perdevano nel vuoto, e le sue mani si infilavano tra i capelli per torturarli.

Non rammentavo neppure più le volte in cui gliel’avevo fatto notare, e le altrettante volte in cui lei, ridacchiante, si era infilata le mani in tasca, parlando poi a vanvera per evitare di ricadere nell’errore.

Erano stati episodi di quel genere che ci avevano aiutato a legare, e ricordarlo in quel momento me ne fece sentire la mancanza.

Sperai ardentemente che non si facesse troppo male, vista quella sua abitudine autodistruttiva.

Con uno sbuffo infastidito, cercai di non pensare troppo a ciò che mi ero lasciata alle spalle – rimuginarci mi avrebbe solo fatto ricadere nello sconforto.

Duncan, notando il mio cipiglio, si venne a inginocchiare dinanzi a me, il volto nuovamente triste, dicendomi: “Oggi non faccio altro che commettere un errore dietro l’altro. Ti sto procurando solo pensieri infelici. Finirai col pensare che io sia un orso, più che un uomo.”

Il commento mi fece sorridere e, scrollando le spalle, ghignai.

“Sei anche un orso mannaro, adesso?”

“Proprio no!” esalò Duncan infastidito, prima di accennare un sorrisino e aggiungere: “Che sfacciata che sei.”

“Oh, sì! E vedrai, so fare anche di peggio” assentii con vigore, allargando il mio sorriso sfacciato.

Pensa ad altro, a tutt’altro, ma non a coloro che hai lasciato a casa!, mi dissi poi mentalmente, cercando di cacciare via la tristezza.

“Avrò il tempo di appurarlo” ammise Duncan, prendendo una mia mano tra le sue per poi dichiarare: “Non lascerò che tu affronti questi cambiamenti da sola. Mi hai salvato la vita, e sono in debito con te più di quanto tu non potrai mai immaginare.”

“Ma no, davvero, io…” cominciai col dire, prima di venire zittita da un suo dito premuto sulle mie labbra carnose.

Scosse il capo di riccioli corvini e proseguì serio il suo dire.

“Il destino ha fatto incrociare le nostre strade, e io farò di tutto per aiutarti. Hai la mia parola, e la parola data è vincolante, per un licantropo.”

“Va bene, allora. Una guida, in effetti, mi servirà, visto che non ho idea di come arrivare a Matlock” annuii a quel punto, anche se non intendevo affatto quel tipo di guida.

Duncan lo comprese, limitandosi ad annuire a sua volta dopodiché, tirandomi in piedi con sé, mi chiese: “Riprendiamo il viaggio?”

“Sì. Ne abbiamo ancora, di strada da fare… e tu mi devi dire ancora un sacco di cose” gli ricordai, facendo l’atto di afferrare lo zaino.

Duncan mi precedette, drappeggiandoselo sulla spalla sana.

“Lascia che lo porti io per te, Brianna… e sì, ho ancora un sacco di cose da dirti.”

“Prometti che ci andrai più leggero? Niente esternazioni come oggi. I miei nervi non sono così saldi come pensavo” ridacchiai, cercando di fare dell’ironia.

“Scommetto che dipende solo dal fatto che ti sei svegliata di soprassalto, stamattina…” chiosò, ammiccando divertito. “… e che, in condizioni ottimali, reagiresti diversamente.”

Ero davvero così trasparente?

“Ammetto che i risvegli improvvisi non aiutano il mio cervello a reagire come vorrei” scrollai le spalle con una certa flemma.

Lui sorrise divertito e mormorò impressionato: “Non oso immaginare come saresti al tuo meglio; già così, sei stata prontissima.”

Non ero del tutto sicura che i suoi complimenti fossero un bene, per me.

Abituarmi alla sua gentilezza poteva essere controproducente ma, in quel momento, ne avevo bisogno.

Ero troppo abbattuta per non prendere avidamente dentro di me i suoi elogi, per trasformarli poi in serotonina allo stato puro.

Mi aprii perciò in un sorriso imbarazzato e borbottai: “Se per ‘prontissima’ intendi quasi restarci secca dalla paura, allora sì, direi che ero prontissima.”

Lui tornò serio, di fronte al mio tentativo di sminuirmi, e replicò: “Non conosco molte persone che, messe di fronte a una situazione come è capitata a te, avrebbero reagito allo stesso modo. Non è da tutti aiutare un perfetto sconosciuto in pericolo, mettendo a rischio la propria vita nel farlo e, nel contempo, salvarlo dall’avvelenamento con la prontezza di spirito che hai avuto tu. Oltre a ciò, aggiungi pure quel che ti ho detto io su chi sei in realtà, e avrai un chiaro quadro della situazione.”

“E cioè?”

“Che sei una persona altruista e coraggiosa, che ora sta affrontando una difficile situazione assieme a qualcuno che non conosce, ma di cui è costretta a fidarsi per ovvie ragioni pratiche e che, tra le altre cose, l’ha sconvolta a morte con rivelazioni che, forse, non avrebbe mai voluto sapere” mi spiegò Duncan, senza tralasciare nulla del ritratto maledettamente preciso che si era fatto su di me.

Sbattei le palpebre, confusa, esalando: “Perché non fai lo sceneggiatore?”

“Come, prego?” sbottò, decisamente sorpreso.

“Sto solo cercando di arrabattarmi con quello che ho e che so fare, Duncan. Non sono così indomita come mi dipingi” scrollai le spalle, sminuendomi un’altra volta.

“Permetti che io abbia le mie opinioni?” replicò allora lui, con un sorrisino furbo.

“Prego. Lungi da me è l’idea di farti cambiare parere, anche se ciò che pensi non rispecchia la realtà” ammiccai comicamente.

“Credimi, Brianna, solitamente non si è mai dei bravi critici nei confronti di se stessi…” e nel dirlo, avvertii una nota amara nella sua voce. “…per questo, credo di essere più obiettivo io, guardandoti.”

“Ti lascerò crogiolare nelle tue pie illusioni” sghignazzai, pur apprezzando il fatto che mi vedesse così.

“Grazie” celiò, prima di dirmi: “Pronta?”

“All’idea di farmi mezza Inghilterra a piedi, o a dorso di lupo? Ma certo! Quale ragazza non lo sarebbe?” ironizzai, allargando il mio sorriso fino allo stremo.

Duncan mi fissò con aria aggrottata per un momento, prima di chiedermi: “Lo fai perché sei nervosa, o è un tuo vizio quello di ironizzare su tutto?”

“Lo scoprirai” sentenziai, misteriosa.

“Perché la cosa non mi entusiasma?” si lagnò, cominciando a camminare e scuotere la testa al tempo stesso.

“Perché sei perspicace” ridacchiai, andandogli dietro.





 

  
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