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Autore: Kiasan    17/07/2012    0 recensioni
“I girasoli sono i figli del sole, lo seguono nel suo cammino, per questo sono in grado di indebolirci o, addirittura, ucciderci. Noi siamo invece gli schiavi della luna e, per tanto, dobbiamo obbedirla, se non desideriamo una maledizione peggiore di quella che già ci invade.”
Ciao a tutti, sono Jenny Murray e questa… beh, non è propriamente la mia storia, ma non vi dispiace se sarò io a narrarla, vero?
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5. Rifugio



Una pantera. No, davvero?
<< Tutto quello che mi hai detto non ha alcun senso >> borbottai ma, anche mentre pronunciavo queste parole, sapevo che non mi stava mentendo.
<< Può non avere senso, ma è così >> rispose, cercando di capire il mio stato d’animo.
<< So che è difficile da accettare, per questo ti lascerò tempo per digerire la questione… però, ti prego, non… >> ma nemmeno lui sapeva come continuare la frase.
<< E’ a causa della maledizione che non puoi morire e le tue ferite si rimarginano in fretta? >> chiesi dopo un minuto di silenzio.
<< Diciamo che una maledizione più è crudele più deve celare un aspetto positivo, è la Regola che rende equilibrate le cose nel mondo e come tale va rispettata >> mi spiegò. << Inoltre noi non siamo eterni, anche se non moriremo mai di vecchiaia o per mezzo di un arma che ucciderebbe uno di voi. Nulla nella natura delle cose è eterno, nulla immortale. Solo un’arma è letale per noi, ma non ne so ne il nome ne la provenienza: mio fratello è morto prima di potermelo dire >>.
<< Ma… tuo padre o tua madre non potevano dirtelo? >> chiesi, cercando di ragionare.
<< Mia madre odia sia me che mio fratello e per quanto riguarda mio padre, se ne è andato anni fa lasciandomi solo con Kyle, mio fratello, quando ancora non mi ero trasformato per la prima volta in pantera. Mio fratello è stato colui che mi ha aiutato a comprendere questo nuovo mondo, ma poi… >> si fermò, senza trovare parole per concludere la frase.
Non capi perché mai sua madre dovesse odiarlo tanto, ma preferii non approfondire l’argomento: << Quindi non vi trasformate fin da quando siete bambini? >> non feci tempo a dirlo che mi resi conto della stupidità della mia domanda: un neonato-pantera?
<< No, la prima trasformazione avviene nel pieno dell’adolescenza. L’età varia da soggetto a soggetto e, prima che tu me lo chieda, questa maledizione si è protratta di generazione in generazione, quindi i miei avi abitavano nella parte sinistra della terra, quella più illuminata dalla luna >>.
<< Comincio a capire >> ammisi, più a me stessa che a lui.
Stavo parlando normalmente, come se la vera natura di Ian non mi avesse minimamente toccato, tuttavia avevo l’impressione di poter scoppiare da un momento all’altro. Insomma queste cose accadevano nei film e nei libri, non nella realtà! I Demoni non esistono, dannazione! Eppure sapevo che Ian non mentiva e che c’era veramente stata una maledizione. che aveva trasformato gli abitanti e le loro generazioni in pantere. Come mai ne ero così certa? Non lo so, lo sapevo e basta. O forse mi stavo fidando semplicemente di un mio amico.
<< Ti credo >> gli dissi dopo un lungo silenzio.
Mi sorrise, ma prima che potesse aprire bocca continuai: << Ti credo, Ian, però non so se riesco a sopportarlo. Insomma tutte quelle persone che hai ucciso… erano innocenti! >>.
<< Io cerco di non farlo, ma è inevitabile! >> interruppe la nostra passeggiata, colmo d’ira, e strinse i pugni. Si voltò verso di me, chinandosi in posizione d’attacco.
Arretrai spaventata: stava digrignando i denti come un animale.
Tuttavia più arretravo più lui si avvicinava, le mascelle contratte in un ringhio.
<< Ian >> mormorai, impaurita. Al solo suono della mia voce si fermò, prese un profondo respiro e mormorò : << Scusa >>.
Prese le distanze per paura di spaventarmi ulteriormente e spiegò: << I cinque (in media) giorni successivi o precedenti alla trasformazione il demone in noi è molto più in superficie di quanto non lo sia negli altri giorni del mese e quindi siamo più… >> si fermò per cercare la parola adatta. << Irascibili >>.
<< E pericolosi >> aggiunsi.
<< Anche >>.
Cominciai a sentirmi veramente male fisicamente, in quanto la testa girava all’impazzata e per non cadere dovetti tenermi ad un albero.
<< Stai bene? >> chiese.
<< Starò bene quando me ne andrò di qui… >> era la verità, dovevo andarmene. Capivo che lui non poteva sottrarsi a questa maledizione, ma ciò non giustificava il fatto che lui era un assassino. Aveva ucciso l’amico di Jack. Avrebbe potuto uccidere mia madre, i miei fratelli, Jack e… me.
<< Ti accompagno all’uscita del parco >> la sua non era una domanda, ma risposi comunque: << No, Ian, io ho bisogno di allontanarmi da… tutto questo >>. Tuttavia il ragazzo mi prese per il braccio: << No, aspetta… >> ma io non potevo più aspettare, dovevo andarmene, subito.
<< Sono venuta, ti ho ascoltato e ti riprometto di non dire a nessuno ciò che sei, ma lasciami andare >> il mio tono era piatto, freddo. Quelle parole lo trafissero e dopo qualche minuto, finalmente, mi lasciò ed io cominciai a correre.
Corsi il più lontano possibile dal ragazzo moro, corsi ovunque, ma non da Ian. Stremata mi fermai sotto un albero e mi sedetti sul terreno ghiacciato. Avevo bisogno di Jack, era inevitabile, lui era il mio rifugio, la mia cura. Presi il cellulare e, al primo squillo, la sua voce roca rispose: << Ciao bellezza >>.
<< Jack, mi vieni a prendere al parco? >> chiesi.
<< Si, certo… cosa succede? Stai bene? >>.
<< Sto bene, ho solo bisogno di stare un po’ con te >> cercai di sembrare convincente, ma invano. << Arrivo, ci vediamo all’uscita >> disse e riattaccò.
Sospirai e, mentre mi dirigevo verso l’uscita del parco, avvisai mia mamma che mi sarei fermata con Jack a mangiare qualcosa dato che Ian ed io avevamo deciso di dedicarci solo all’inglese e non avevamo mangiato.
Era una balla bella e buona ma quella bugia era sicuramente più sensata di un: “Mamma mangio con Jack perché Ian è una pantera mannara che si trasforma quando la luna raggiunse la sua metà perfetta”.
Potrebbe sembrare egoista da parte mia chiamare Jack e, senza nemmeno chiedergli se poteva e voleva, gli dicevo di venirmi a prendere al parco, ma tra me e lui era diverso: uno chiamava e l’altra veniva e viceversa; nessun rimpianto e nessuna costrizione, punto.
Non appena giunsi all’uscita del parco, vidi Jack appoggiato al cancello di ferro battuto sorridermi. Il sole, seppur lontano e privo di calore, gli baciava il viso, facendo splendere i suoi capelli castani.
Non lo salutai, non lo ringraziai, lo abbracciai e basta. Rifugiata fra le sue braccia rischiai di dimenticare tutto quel casino con i Demoni e desiderai non muovermi più da li.
<< Che sta succedendo, Jay? >> chiese dopo un secolo. Tutto ciò che riuscii a fare fu affondare il viso nel suo petto e mormorare: << Niente >>.
<< Ok, non sei obbligata a parlarne… che vuoi fare? >>.
Avrei voluto rispondere che volevo restare fra le sue braccia fino a che non avessi dimenticato Ian, ma non era ciò che volevo, non a mente fredda perlomeno. Non volevo dimenticare Ian, ma allo stesso tempo lo desideravo.
Non volevo farlo preoccupare per qualcosa che non potevo nemmeno raccontargli, così mi costrinsi a dire: << Andiamo a bere qualcosa >> e salii sulla sua macchina perfettamente pulita e ordinata: era un maniaco in quest’ambito. Beh, solo per quanto riguarda le macchine, perché il suo appartamento era tutt’altro che ordinato. Viveva con la sorella minorenne, mantenendo entrambi.
<< A bere? >> chiese stupito. Addio all’intenzione di non preoccuparlo. << A bere >> risposi come se niente fosse, ma entrambi sapevamo che c’era qualcosa che non andava: io non bevevo mai, se non per qualcosa di estremo, come quando mio padre se n’era andato. Lui non ribatte ma sapevo che era contrario alla cosa.
<< Allora, Coca o Fanta? >> chiese, sperando di distrarmi dal mio intento.
<< Vodka >> risposi e lui, sebbene con un sospirò, ordinò due bicchieri di vodka.
Trangugiai il primo bicchiere e ne ordinai un altro.
<< Jay, basta >> disse Jack al quarto bicchiere, impedendomi di berlo.
Gli lanciai un’occhiataccia, ma non potei ribattere perché il suo cellulare squillò.
<< Ah, cazzo! E’ Dario, il fratello di Greta. Gli avevo promesso che oggi sarei stato libero per parlargli, dato che sua sorella è stata uccisa e, stando ai suoi genitori, sta entrando in depressione >>.
<< Oh… >> riuscì a dire. Il suo discorso non aveva fatto altro che invogliarmi a bere altri bicchieri di vodka, ma quando mi prese il viso fra le mani e mormorò: << Ti prego, non fare stupidaggini >> cominciai a valutare anche l’opzione che prevedeva il fare la brava.
Ma quando Jack uscì per rispondere a Dario, l’effetto della vodka cominciò ad annebbiarmi la mente e non potei fare a meno di ingollare anche il terzo e prenderne un altro.
<< Ehi, quanti anni hai? >> chiesi il barista. << Diciotto >> mentii. << Voglio vedere la carta d’identità >> ecco, ti pareva che non dovesse cominciare a piantare grane pure l’ inserviente.
<< Ce l’ha il mio amico… è Jack, devi per forza conoscerlo, ha lavorato qui un paio di anni ed ora ne ha venti >>. Tuttavia il barista non sembrava del tutto convinto della balla, così continuai: << Me lo ha permesso lui >>.
<< D’accordo, Jack è un bravo ragazzo >>.
Felice e sbronza trangugiai altri due bicchieri di vodka. Tuttavia Jack rientrò e, vedendo la mia condizione cominciò ad incazzarsi con il barista per avermi permesso di bere così tanto, ma non riuscì a capire una parola di quello che diceva.
<< Tu me la paghi, cara >> mi disse, prima di prendermi sotto braccio e portarmi fuori di li.
<< Ma sei matta? Sei bicchieri di vodka? >> era proprio nero. << Se solo scopro chi ti ha ridotto così… >> mormorò a se stesso.
<< Andiamo a casa tua >> borbottai senza nemmeno sapere se queste parole le avevo pronunciate o solo pensate.
<< Per forza! Tua madre mi uccide se ti vede così >>.
<< Grazie Jack >> ma poi non riuscì più a parlare perché la testa mi girava da matti e avevo l’impressione di dover vomitare.
Una volta giunti a casa sua, mi lasciò sdraiare sul divano e cominciò ad accarezzarmi i capelli, mentre venivo scossa da una risata isterica di prima classe.
<< Come ti senti? >> chiese.
<< Di merda >>.
Sospirò e mi coprì con la mia coperta preferita, quella che profumava di lui. Tuttavia mi dovetti alzare immediatamente e correre, sempre se quell’avanzare barcollando potesse essere definito una “corsa”, verso il bagno.
<< Mi sa che devo vomitare >> annunciai, aprendo la porta. Lui mi corse dietro, ma lo fermai: << Resta qui, non sarà bello >>.
<< Non dire cazzate >> rispose, per poi sorreggermi fino al water. Avrei voluto ribattere ma stavo troppo male, così mi appoggiai al pavimento ed aspettai. Non dovetti indugiare molto che vomitai, mentre Jack mi teneva i capelli indietro e mi accarezzava la nuca.
<< Va meglio? >> chiese, quando mi alzai dalla tavoletta.
<< No >> mugugnai. Lui sospirò e mi andò a prendere un bicchiere d’acqua.
Restò con me tutto il pomeriggio, durante il quale fu più quello che vomitai di ciò che avevo mangiato in diciassette anni. Jack, quando vide che la questione sarebbe durata ancora a lungo, decise di chiamare mia madre per dirle che mi sarei fermata di più da lui poiché, a causa di una gastroenterite, non riuscivo a staccarmi dal wc.
La testa mi girava, sentivo le formiche su tutto il corpo e il mio stomaco si stava ribellando da matti, ma ero felice, in parte. Ero felice perché sapevo, in quel giorno più che in ogni altro, che Jack sarebbe stato con me, che non mi avrebbe mai lasciata.
Quando finalmente tutto finì, verso le sei di sera, Jack mi passò una salvietta con cui mi pulii la bocca.
<< Jack… ti voglio bene >> ammisi.
<< E io in questo momento ti strozzerei >> disse ridendo.
<< Fallo >> lo provocai con voce fievole.
<< Sei troppo debole, non mi divertirei abbastanza >>.
<< Giusto >> e mi lasciai cullare dalle sue braccia fino a che non dovetti tornare a casa.
Quando entrammo mia madre non fece domande: si fidava di me e, ancora di più, del mio migliore amico.
<< Te la porto in camera, dubito che possa camminare da sola, e poi tolgo il disturbo >> disse Jack a mia madre, mentre salutava anche i miei fratelli.
<< Certo >> rispose ridendo mia madre: era così buffo per lei che mi fossi ammalata?
Una volta giunti in camera mi pose sul letto e si inginocchiò accanto a me: << Devi mangiare qualcosa >> non era un consiglio, ne una domanda: era un ordine.
<< Naa, non mi va niente >> mi lamentai.
<< Ti prendo un pacco di Cracker >> disse, ignorandomi. Poco dopo fu nuovamente accanto a me, con i Cracker e un bicchiere d’acqua zuccherata.
<< Grazie >> gli feci un sorrisone.
<< Oh, Dio, quanto ti odio Jenny Murray >>.
<< Dammi un bacio e vattene >> gli dissi, desiderando solo di dormire. Ovviamente io intendevo un bacio sulla guancia o sulla fronte, come faceva sempre lui, ma forse non aveva capito ciò che intendevo o forse non aveva semplicemente voluto capire. Fatto sta che mi baciò.
Posò delicatamente le labbra morbide sulle mie e, di primo impatto, non seppi come comportarmi.
Insomma non avevo mai baciato nessuno prima d’allora e l’ultima persone che mi sognavo di baciare era proprio Jack! Allo stupore seguì lo sconcerto: c’erano mia madre e tutti i miei fratelli in casa, non era quello il luogo per un bacio. Tuttavia mi accorsi immediatamente che la porta era chiusa. E allora, solo allora, capii che desideravo anch’io, quanto lui, quel bacio. Spinta da questo pensiero socchiusi le labbra, ma poi m’invase un ulteriore sentimento: la paura mista a indecisione: Ian. In quel momento pensai a Ian. Perché mai se stavo contraccambiando il bacio? Perché mai il viso di Ian mi aveva attraversato la mente se volevo baciare Jack?
Tutto ciò frullava nella mia mente, mentre Jack mi stringeva a se. Improvvisamente capii che era sbagliato: lui era il mio migliore amico e nulla di più. Così mi staccai violentemente da lui, assai confusa.
<< Jay… >> mormorò Jack, stupito dalla mia reazione.
<< Io… non volevo, scusa Jack >> risposi. Non volevo cosa? Contraccambiare il bacio? Era vero? Non ne avevo la più schifosa idea.
<< No, non ti scusare. Non so perché l’ho fatto, io pensavo che tu… >> ma si bloccò e sospirò, alzandosi.
<< Sarà meglio che vada >> aggiunse e, congedandosi con un cenno della mano, aprì la porta e se ne andò.
Cavolo. Non mi piaceva per niente come si era conclusa la giornata. Ad essere sincera, mi aveva fatto schifo l’intera giornata.



SPAZIO AUTRICE: eccomi qui con il quinto capitolo, non è lunghissimo, ma spero vi piaccia ^^
  
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