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Autore: Payton_    23/07/2012    2 recensioni
Invece di rinunciare Teddy si ficcò una mano in tasca, estraendo un piccolo orsetto gommoso alla fragola. James non adorava nulla come quelle caramelle Babbane, erano state la sua unica gioia in anni di obbligate visite ai cugini Dursley. «Non mi comprerai così facilmente. Non ho più otto anni» fu la sdegnata risposta che fece sogghignare Teddy, pronto ad estrarre altri orsetti dalla tasca dei jeans. «Tanto sono già miei, li hai presi dal mio vaso» precisò James, incrociando le braccia come volevano da copione quei maledetti geni Weasley. Teddy inarcò un sopracciglio con aria supponente: «Potrei sempre mangiali io» lo sfidò, chiudendo il palmo e ritraendo la mano per evitare che James li rubasse. «Non lo faresti mai» James Sirius/Teddy suddivisa in tre parti.
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Sirius Potter, Teddy Lupin | Coppie: James Sirius/ Teddy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Tutta colpa di Oliver Baston

-Parte II-

 

«No!» Ginny Weasley era irremovibile. «No, no, no!» nessuno le avrebbe portato via il suo bambino. Nemmeno lui stesso.

«Mamma, non te lo sto chiedendo» precisò James, facendola infuriare ancor più.

«Harry, dì qualcosa. Fa qualcosa» ringhiò, stringendo con forza l’estremità del proprio grembiule. Il pranzo stava bruciando sui fornelli, ma nessuno sembrava averci fatto caso a parte Lily, che s’era alzata mescolando in silenzio, meccanicamente. Harry, dal canto suo, non sapeva davvero cosa dire o fare.

«Ginny, non rientra nelle mie competenze» farfugliò, grattandosi nervosamente la nuca. Un tic che aveva assorbito da Ron durante anni di lavoro fianco a fianco.

«Sei il Capo del Dipartimento Auror, deve essere di tua competenza» scandì Ginny, arrabbiata come era stata vista poche volte.

«Jamie è una recluta, non un Auror» cercò di scusarsi, togliendo gli occhiali per massaggiarsi gli occhi.

«Mamma, tranquilla, ho controllato bene: papà non può fare niente per fermarmi» disse James, compiaciuto e deciso a non arrendersi. Non era più un ragazzino, quello che voleva fare era solo affar suo.

«Io ti appoggio, Jamie» si intromise Al, facendo emettere alla madre un gemito strozzato. Lily lo fulminò con lo sguardo, ma lui si limitò a scrollare le spalle.

«Mamma, stai esagerando» continuò James, impassibile. «E poi è deciso.»

«Sono due anni, James» protestò Ginny. «Due anni se supererai l’esame»

«Appunto, solo due anni. Supererò senza problemi l’esame» esclamò James, oramai stanco di quelle inutili proteste.

Aveva fatto richiesta di continuare l’addestramento per diventare Auror in Germania. Con i suoi voti, poteva benissimo farlo.

Avrebbe imparato tecniche straniere e sarebbe certamente diventato una recluta preparatissima. E poi sarebbe stato lontano da Teddy. Per due anni. Era la soluzione perfetta, solo che sua madre non voleva proprio capirlo. O non aveva le basi per farlo.

«Partirò tra dieci giorni» li informò, alzandosi dalla sedia.

«No, che non partirai!» strillò Ginny. Ora comprendeva perfettamente come doveva essersi sentita Molly il giorno in cui Charlie li aveva informati della sua partenza per la Romania.

«Mamma, mi spiace, ma è deciso» aggiunse James, prima di uscire in silenzio dalla cucina, lasciano madre e padre a discutere e Lily a salvare il pranzo.

Era arrivato a metà scala quando Albus lo raggiunse, chiedendogli di fermarsi.

«È.. per quella cosa, vero? Per via di Teddy» chiese, con un po’ di rammarico nella voce. James si bloccò, voltandosi in direzione del fratello. «Credo sia più per me, Al» rispose mostrando un sorriso amaro. Era la verità, in fondo. Partiva per cercare di ritrovare un equilibro lontano dagli squilibri; per accettarsi e poter tornare ad essere felice.

 

*

 

Stava chiudendo la valigia, quando aveva sentito bussare alla porta. Sapeva cosa stava per accadere. Ci sarebbe stata l’ultima, pesante, processione per i saluti.

La festa alla Tana con tutti i numerosi zii e cugini Weasley, tranne la famiglia di zio Bill e Teddy che erano in vacanza in Francia, era stata solo l’assaggio. Ora c’era la parte più difficile: i Potter.

«Avanti» si costrinse a dire mentre poggiava la borsa per terra. Erano i suoi genitori.

«Hai preso tutto, James?» chiese suo padre, per rompere il ghiaccio.

«Al massimo potrete sempre spedirmi quello che ho dimenticato» rispose sforzandosi di sorridere. Sua madre non gli parlava dal giorno in cui avevano litigato, in cucina. Ma era pur sempre una madre, quindi corse ad abbracciare il proprio bambino, oramai più alto di lei di almeno venti centimetri.

«Nessuno ti giudicherà male, se vorrai tornare prima» disse stringendolo forte. Quelle semplici parole suggellarono un patto di non belligeranza tra loro, e James si ritrovò ad abbracciare la propria madre con la stessa intensità ricevuta.

«Lo terrò a mente» le disse, lasciandola per voltarsi verso suo padre.

Harry Potter non era un uomo da abbracci, così come il figlio, ma quella era un’occasione speciale. Strinse rigidamente James, dandogli qualche pacca sulla schiena.

«Rendi onore ai nomi che porti» gli disse, fissandolo intensamente.

«E anche al mio cognome. Gli farò vedere che sono il degno figlio di Harry Potter» promise James, e Harry sapeva che avrebbe tenuto fede alla promessa.

Salutati i genitori, fu il turno di Al e Lily.

«Dovete abbracciarmi per forza anche voi?» chiese James, mentre già allargava le braccia per accogliere Lily.

«Mi mancherai, Jamie»

«Anche tu mi mancherai, Pluffetta» la stuzzicò James, ricevendo un pugno leggero nei reni. Quel soprannome era stato inventato molti anni prima; James sosteneva che Lily sembrava una piccola Pluffa che schizzava per casa, con quei capelli rossi.

«Probabilmente Der starà festeggiando» disse Lily, facendo ridere tutti.

«Be’, digli che ho lasciato un erede» la informò James, poggiando una mano sulla spalla di Al.

Scherzarono qualche istante, fino a quando Albus non si fece serio, prendendo James per le spalle.

«È per te» gli disse, scrutandolo con uno sguardo identico a quello del padre.

«Per me» confermò James, annuendo con il capo.

«Andiamo?» chiese Lily, prendendo James per mano. «Al, la valigia» ordinò, trascinando il più vecchio dei propri fratelli per le scale.

«Perché dovrei prenderla io?» protestò Albus, ma senza troppa enfasi. Nessuno voleva mai discutere con Lily, la sua tecnica di presa per sfinimento sapeva essere devastante.

Mancavano solo cinque minuti all’attivazione della Passaporta, quando un trafelato Teddy Lupin piombò di corsa nella cucina di casa Potter. Merda!

James fulminò Albus con lo sguardo, e dalla reazione che ebbe quest'ultimo fu chiaro che era stato lui ad avvertirlo dell'imminente partenza.

«Perché non mi hai detto che te ne andavi?» chiese, visibilmente sconvolto.

«Eri in vacanza, Teddy» tagliò corto James, alzando le spalle come se non fosse stato un problema. «Anzi, dovresti ancora esserlo»

«E volevi andartene senza salutarmi?»

«Be’, tornerò a Natale. Sarà come ai tempi di Hogwarts» mentì James, come aveva mentito alla propria madre. Non sarebbe tornato per Natale. Non quell’anno.

L’irruenza dell’abbraccio di Teddy quasi lo fece cadere a terra. Un abbraccio che l’aveva sciolto al punto che, se Teddy glielo avesse chiesto, sarebbe rimasto a Londra. Un abbraccio che lo stava rendendo debole.

«Devo andare, Teddy. La Passaporta» gli ricordò, cercando di sciogliere quell’abbraccio maledetto.

«Mi mancherai, James. Non sai quanto» gli sussurrò Teddy, prima di lasciarlo andare.

James si aggrappò con forza alla Passaporta, cercando di costringersi a non lasciarla andare e restare accanto a Teddy.

Se ne andò così: con il volto del ragazzo che amava fisso su di lui, in modo che potesse vedere in quegli occhi la muta supplica che gli chiedeva di restare.

 

*

 

Due anni, tre mesi e sette giorni: il tempo in cui James Sirius Potter era mancato da casa.

Due anni, tre mesi e sette giorni ad allenarsi, imparare una nuova lingua e a dimenticare Teddy Lupin. Oltre Ogni Previsione, Eccellente, In fase di valutazione.

Due anni, tre mesi e sette giorni per diventare un nuovo James, più maturo e capace di accettare se stesso.

Non era uscito con molti ragazzi durante il periodo di addestramento, ma quei pochi erano riusciti a fargli accettare pienamente la propria omosessualità.

Pochi istanti e la Passaporta l’avrebbe riportato a casa. Un nuovo James gettato da uno strappo in una vecchia vita.

Era agitato, e la scuola d’addestramento gli sarebbe perfino mancata, ne era certo. Però aveva voglia di tornare a casa.

Albus e Lily gli avevano scritto molte lettere, per non parlare dei suoi genitori, ma James non ne aveva letta nemmeno una.

Ogni mese aveva scritto una lettera a casa, ma mai ne aveva aperta una. Il flusso di notizie era stato a senso unico. Aveva preferito così.

Non era mai tornato, nemmeno per Natale. Sua madre l’avrebbe ucciso, una volta arrivato a Londra, ma era stato meglio così. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Forse.

Ora, però, doveva affrontare la parte più difficile: tornare a casa.

Avrebbe rivisto Teddy e forse due anni di fatica sarebbero stati vanificati da un solo sorriso. Per quanto ne sapeva, lui e Vic potevano essersi sposati; potevano avere un figlio.

Forse Albus aveva trovato una ragazza e Lily aveva lasciato Der. La vita della sua numerosa famiglia poteva essere esattamente la stessa o poteva essere completamente diversa.

Aveva voglia di bisticciare con Rosie, ubriacarsi con Freddy e sfidare Luis a Quidditch.

Avrebbe perfino accettato di buon cuore un abbraccio dalla propria madre e da nonna Molly…

Il familiare strappo alla vita lo catapultò in una casa completamente vuota. E la Tana non era mai vuota. Probabilmente avevano organizzato uno di quegli stupidi ‘effetti sorpresa’ che nulla hanno della sorpresa; e James non vedeva l’ora di sentirli gridare tutti insieme, di fingere d’essere stupito e abbracciarli tutti.

«Sorpresa!» urlarono in coro decine di voci, una volta che fu arrivato in giardino. Appunto.

Erano tutti lì per lui. Perfino Lysander, quindi Lily non l’aveva ancora lasciato. Be’, James era felice di vedere perfino lui.

Baci, abbracci, lacrime e complimenti compressi in un fiume maggiormente rosso avvolsero James per almeno un’ora. Potter, Weasley, Weasley e ancora Weasley, ma nessun Lupin. Niente prova finale, quindi.

«Dov’è Teddy?» sussurrò infine all’orecchio di Albus, che per un attimo parve deluso da quella domanda.

«Al San Mungo, arriverà più tardi»

«Per Merlino, è successo qualcosa?» chiese subito James, preoccupato.

Invece di rispondere, Albus si volto verso Lily: «Mi devi cinque Galeoni, non le ha mai lette le lettere» urlò in direzione della sorella, che iniziò ad insultare James a distanza.

«Teddy ci lavora al San Mungo, James. Ricerca e sviluppo, te l’avevo scritto. Credo stia cercando dei nuovi rimedi più efficenti per i morsi di Lupo Mannaro.»

Forse le cose non erano cambiate in modo radicale a casa, ma era cambiato Teddy. Aveva trovato la sua strada. Come aveva fatto lui.

«Devo fare una cosa» esclamò James, lasciando Albus abbastanza perplesso.

Trovare la 1/8 Veela più fastidiosa della storia non fu difficile. Era bionda in modo imbarazzante, facile da distinguere nei confini rossi della Tana.

«Ehi, Vic» la salutò James, afferrando un boccale di Burrobirra. Se Victoire su sorpresa da quel saluto cordiale, non lo diede a vedere.

«Bentornato» disse invece, facendo tintinnare il suo bicchiere di vino Elfico contro il boccale.

Dopo alcuni minuti di imbarazzante silenzio, James riuscì a sputare quello che doveva dire.

«Sentì Vic» esordì, schiarendosi la voce, «mi dispiace, sono stato spesso uno stronzo con te» ammise, sentendosi quasi meglio. «Ero geloso del tempo che passavi con Ted, ma non avevo il dir…»

«Lascia stare, Jamie. Non mi va di parlare di Teddy» lo interruppe Victoire. Un’ombra scura parve passare nei suoi occhi azzurri.

«Non… Non capisco» farfugliò James, colto completamente alla sprovvista. Nella sua mente le cose avrebbero dovuto andare in modo diverso. Si sarebbe scusato, lei lo avrebbe perdonato e avrebbero vissuto tutti felici e contenti. O quasi.

«Tu non… Oh, be’, noi ci siamo lasciati. O meglio, lui mi ha lasciata. Mi ha spezzato il cuore.»

Improvvisamente, James non fu più in grado di odiare Vic. Non perché lei e Teddy s’erano lasciati, ma perché sapeva esattamente cosa volesse dire avere il cuore infranto. Il suo l’aveva ricostruito in Germania. D’istinto, abbracciò Vic, cercando di trasmetterle tutta la sua comprensione.

«So come ci si sente» le sussurrò all’orecchio, per poi lasciarla andare, alquanto perplessa, e sparire in direzione di Albus.

«Forse dovevo leggerle quelle lettere» disse al fratello, che avendo visto l’abbraccio tra lui e Vic capì subito a cosa James si stesse riferendo.

«Cosa farai, adesso?» chiese Al, guardandosi nervosamente intorno, in attesa dell’arrivo di Teddy.

«Niente» rispose prontamente James. «Questo non cambia niente» aggiunse, prima di lasciare Al da solo.

Forse da Vic non ha saputo tutto, decise Albus. Non poteva essere altrimenti. 

 

*

 

Sdraiato sul proprio letto, circa un'ora dopo la festa, James si ritrovò a pensare a Zac Brown. Non aveva senso avercela con lui e con Oliver Baston. Non era colpa loro se era diventato gay, non c’era colpa per questo, anche se James l’aveva capito solo con il tempo. E poi, il pompino di Brown non era stato per niente male.

Sonnecchiava con le mani intrecciate dietro il capo, quando la voce di Teddy irruppe magicamente in camera.

«Mi sono perso il grande rientro»

«Non è stato poi così grande» rispose James, senza muoversi o aprire gli occhi. Una cosa per volta.

«Complimenti, Auror Potter» si congratulò Teddy, e a quel punto James non poteva continuare a tenere gli occhi chiusi. Quando finalmente decise di voltarsi, rimase interdetto qualche istante.

«Teddy?» chiese, sfregandosi gli occhi con il dorso delle mani.

Il ragazzo che aveva di fronte non era Teddy. Il suo Teddy aveva sempre avuto i capelli colorati. Lui li aveva sempre adorati quando erano blu. Quel ragazzo, quel Teddy, aveva i capelli neri come la notte. Come quelli di Zac Brown. Banali.

«Ti piacciono?» chiese Teddy, intuendo subito lo shock di James.

«No.» James non mentiva mai a Teddy. Tranne sui propri sentimenti, è chiaro.

«È per il lavoro» tagliò corto Teddy, sedendosi sul letto. «Scegli un colore» propose, come spesso faceva quando erano piccoli. Anni d’esperienza come babysitter gli avevano fatto capire quanto i bambini adorassero guardarlo mentre cambiava il proprio aspetto.

«Blu» rispose subito James, come sempre, portandosi a sedere a sua volta. Ancora non riusciva a comprendere cosa il suo cuore stesse suggerendo. Amicizia? Odio? Amore? Tutto era terribilmente confuso.

«Sono vent’anni che rispondi sempre blu» osservò Teddy, mentre cambiava il colore dei propri capelli.

«Non sei tu con un altro colore»

«Sono sempre io, solo con un altro colore» lo corresse, alzando un sopracciglio.

«Ma non sei il mio Teddy» si lasciò sfuggire James, pentendosene subito. Dopo aver pronunciato quelle parole, capì che due anni passati lontano non erano serviti proprio a nulla. Un solo sorriso e la Germania era svanita in un istante.

Il tuo Teddy? E quando mi avresti comprato?- scherzò il Metamorfo, alleggerendo per un attimo la tensione.

«Anni fa, tua nonna voleva liberarsi di te» gli diede corda James, sentendosi meglio. Forse.

«Allora, come è la Germania?» chiese Teddy, la fame di sapere avida come sempre.

James soppesò per qualche istante la risposta che avrebbe dato.

«Lontana» disse, aggiungendo altre parole nella propria mente. Lontana da te, pensò. Da noi.

«Davvero? Pensavo fosse a pochi passi da Diagon Alley!» lo derise Teddy, dandogli una pacca sulla spalla.

«Si mangia male» aggiunse James, come se avesse avuto un’illuminazione. D’altro canto, cosa avrebbe potuto dire?

Oh Teddy, in Germania c’è un’ottima birra, nessun Metamorfo che potesse ricordarmi te ed i ragazzi che mi hanno aiutato a dimenticarti. O meglio, a provare a dimenticarti.

Ci sono il dolore e la rabbia che ho provato verso di te; verso Vic. C’è la vergogna d’essere gay seppellita da qualche parte, non so dove per paura di ritrovarla. C’è tutto un mondo che ha visto il mio cambiamento, che mi ha accettato come non so se questo farà.

C’è la tomba di un vecchio James che non esiste più e la culla di quello nuovo, che comunque ti ama.

C’è un mondo che non ti ha mai visto, eppure è pieno di te.

Avrebbe potuto, ma non era pronto. La Germania era stata abbastanza inutile per il fattore Teddy, a conti fatti.

«Facciamo così: della Germania parliamo un’altra volta, okay?» propose Teddy, improvvisamente serio.

«Come vuoi» convenne James, che non capiva il cambiamento improvviso dell’amico. Teddy sospirò profondamente, prima di parlare.

«Senti James» sputò fuori torcendosi le mani. «Sono cambiate un po’ di cose, in questi due anni. Io sono cambiato e volev…»

«Oh, so tutto, Teddy» lo interruppe James. «Me l’ha detto Vic»

«Vic» ripeté Teddy, perplesso. «Ma Vic, Vic?»

«Quante altre ne conosci?»

«Nessuna ma… Oh, be’, lasciamo stare. Tu che ne pensi, James?» chiese Teddy, sempre intento a torcersi le mani e con i capelli di un bizzarro color cipria.

Fu il turno di James d’essere perplesso, dopo quella domanda e... quel colore.

«In che senso?» chiese appunto, grattandosi la nuca.

«Ma di tutta la situazione, no?» esclamò Teddy, nervoso. «Di… Di me. Del nostro rapporto. Credi che mi vedrai in modo diverso?»

«Non dire cazzate, Ted!» lo stroncò subito James. «Perché mai dovrei?» chiese, sorridendo rassicurante. E ignaro. Idiota!

Teddy guardò James come se non l’avesse mai visto prima. Dal suo punto di vista, s’era dimostrato maturo come non si sarebbe mai aspettato che fosse.

«Grazie» sussurrò, con il cuore pieno di gioia. Un grande peso aveva appena lasciato il suo cuore. Un peso che però James non sapeva d'aver tolto.

Aveva preso molte delle qualità del proprio padre, ma purtroppo era anche ugualmente frettoloso nell'inquadrare le situazioni.

   
 
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