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Autore: SAranel    27/07/2012    5 recensioni
Il piccolo John è costretto a scappare di casa, una notte, rifugiandosi nell'unico posto in cui si è sempre sentito al sicuro. E proprio mentre le cose sembrano prendere una piega tutt'altro che rassicurante, un aiuto particolare arriva in suo soccorso, un aiuto che potrebbe cambiare tutta la sua vita. Che succederà?
"John sapeva benissimo che era sbagliato, che la mamma si sarebbe preoccupata, che non avrebbe dovuto reagire a quel modo.
Era però altrettanto certo, davvero sicuro sicuro sicuro che, se non fosse andato via in quel momento, sarebbe scoppiato a piangere davanti a tutti come un poppante, lui che aveva ormai ben dodici anni, e non avrebbe avuto più il coraggio di uscire da camera sua almeno per i successivi dieci. Aveva dovuto farlo, era stato necessario.
Peccato però che in quel momento se ne stesse pentendo amaramente, al diavolo il coraggio e altre stupidaggini simili."[...]
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Terzo capitolo! Sono ‘solo’ cinque pagine, per non appesantire troppo la lettura!
Grazie a tutti per le recensioni! Risponderò a ognuna, giurin giurello!

 

 

 
*

 
E quella convivenza si stava rivelando essere anche migliore del previsto, oltre ogni previsione di John.

Pistole, inseguimenti e tassisti psicopatici a parte.

Sherlock non era una persona facile, tutt’altro, con la sua totale avversione per i sentimenti e per il normale rapportarsi con le altre persone, ma John sentiva di essere diverso, per lui.

Non si era mai reputato speciale, non nel senso vero e proprio del termine, prima che Sherlock piombasse nella sua esistenza a farlo sentire tale.

Certo, a volte, o meglio quasi sempre, il detective era intrattabile, pungente, assolutamente sgradevole, ma John era una sorta di panacea per tutti i suoi mali. Tutto era diverso, quando lui era con Sherlock.

Se era arrabbiato, una parola di John poteva rasserenarlo quasi immediatamente, se era annoiato, cosa tristemente frequente, Sherlock abbandonava di buon grado il martirio dei muri se l’alternativa era la compagnia del suo coinquilino.

Il detective non aveva mai detto espressamente a John quanto fosse importante per lui, men che meno gliel’aveva dimostrato con un gesto fisico come un abbraccio, un bacio o anche solo una pacca sulla spalla, ma sapeva farsi intendere anche rimanendo in silenzio. Sapeva che John avrebbe capito.

E John capiva sempre, ogni volta.

 

Un giorno però, scendendo le scale dalla sua camera alla cucina, appena sveglio, John si ritrovò davanti alla scena più inverosimile, impossibile e impensabile che avesse mai visto in tutta la sua vita. Lasciò cadere l’asciugamano che aveva tra le mani sull’ultimo gradino, quasi scivolandoci sopra, e continuò ad osservare con occhi spalancati il quadretto idilliaco davanti a sé come se non riuscisse più a distogliere lo sguardo.

Sua sorella teneva Sherlock avvinghiato a sé in un abbraccio talmente stretto da spingere John a pensare che il povero detective faticasse seriamente a respirare. Il suo colorito, che stava variando da un rosa pallido ad un rosso acceso, sembrò confermare la sua teoria.

Era qualcosa di agghiacciante nella sua assurdità.

“Sto ancora dormendo” disse a voce alta, così che i due potessero sentirlo. “E questa è una qualche stramba proiezione del mio subconscio malato”.

Harry lasciò la presa su Sherlock, che si massaggiò il collo, ansimante, sporgendosi da dietro la spalla dell’uomo con un sorriso radioso. Quel giorno era molto carina, con i capelli biondi raccolti da un cerchietto rosso e un vestitino dello stesso colore che le svolazzava intorno come una nuvoletta, e sembrava decisamente di buon umore.

“Ciao John! Ho pensato di fare un’improvvisata!” squillò con voce allegra, correndo verso suo fratello ad abbracciare anche lui. John vide Sherlock fissarla con lo stesso sguardo con cui si guarderebbe un pazzo armato di coltello. O meglio, come un uomo qualunque guarderebbe un pazzo armato di coltello.

“Ho notato” disse John, tornando a respirare, con gli occhi che vagavano da lei a Sherlock. “E hai pensato bene di aggredire il mio coinquilino, giusto per rendere la conoscenza più interessante”.

Harry non sembrò particolarmente colpita dall’insinuazione. Fece un gesto con la mano come a dirgli di lasciar perdere.

“Oh, ero solo contenta di conoscerlo, finalmente! Se avessi aspettato che me lo presentassi tu…” guardò John con espressione severa.

Il dottore grugnì, senza molta voglia di intavolare quel discorso.

“Era per evitare tutto questo…amore a profusione. Mi metti in imbarazzo” si giustificò John, guardando altrove e sentendo le guance andare in fiamme. Harry mise le mani sui fianchi.

“Oh quanto esageri fratellino!” sbottò. “Sempre a rinfacciarmi di essere troppo espansiva! E poi a Sherlock non è dispiaciuto, vero?”.

Sherlock sussultò sul posto, come risvegliandosi da un sogno ad occhi aperti, sentendosi chiamato in causa. Stava assistendo al battibeccare dei due fratelli come se fosse uno spettacolo incredibilmente interessante.

“Oh affatto. Adoro i sani abbracci mattutini. John non lo fa mai” insinuò, sfoggiando una delle sue migliori espressioni di delusione, come se fosse davvero rammaricato dalla mancanza d’affetto del coinquilino. Il dottore lo fissò, sbigottito, meditando se assalirlo lì sulle scale o se aspettare che Harry andasse via.

“Non mi sei mai sembrato il tipo, Sherlock” puntualizzò, acido.

“Tu non me lo hai mai chiesto, John”.

“Forse perché mi hai sempre dato l’impressione di preferire un proiettile in un piede piuttosto che un abbraccio”.

“Questo è perché vedi ma non osservi, John” spiegò Sherlock scuotendo la testa. “E poi io non sono il tipo da proiettili. Quella è la tua area di competenza” sorrise, mellifluo.

John lo fulminò con lo sguardo.

Poi Sherlock si rivolse a Harry.

“Devi scusarlo, è un tale musone. Ha paura di esternare i suoi sentimenti. Tu sentiti pure libera di dimostrare liberamente il tuo affetto” sorrise a Harry con uno sguardo melenso maledettamente convincente. Harry batté le mani, deliziata.

John non aveva più parole. Forse stava sognando davvero. Forse tutta quella situazione era solo frutto della sua mente instabile. Non trovava altra spiegazione.

“Sei davvero un amore, Sherlock!” squittì Harry, stridula. “Avrei davvero voluto conoscerti mesi fa!”.

“Ha ragione!” le diede corda il detective.

John si prese la testa tra le mani, con sguardo esasperato, fissando Sherlock con espressione assassina.

“Se avessi saputo che tra voi sarebbe nato quest’amore sconfinato, vi avrei fatto incontrare prima, davvero, al diavolo l’imbarazzo. Perdonami, Sherlock” esclamò, sarcastico.

Sherlock guardò il dottore come se non capisse perché gli stesse parlando con quel tono acido.

“Colpa della solita mancanza di fiducia nei miei confronti, John. Pensavi che la tua adorabile sorellina potesse darmi un qualche fastidio?”.

John strinse i pugni, incrociando le braccia e scoprendo i denti come un predatore pronto alla caccia.

“Oh, scusami per averlo anche solo pensato. Credevo di conoscerti bene, e invece…”.

“Ci conosciamo da soli quattro mesi, John. Non è abbastanza”.

John rise, ironico, guardando Sherlock con gli occhi ridotti a fessure.

“Oh, ma tu sai che a me sembra di conoscerti da anni” lo stuzzicò.

Sherlock, inaspettatamente ammiccò, senza farsi scorgere da Harry. John non riuscì a trattenere un sorriso.

“Non posso darti torto. E’ la stessa impressione che ho sempre anch’io” asserì il detective, e il suo viso sembrò illuminarsi.
Harry guardava i due con spiccatissimo interesse, come se comprendesse la presenza di un messaggio nascosto che lei non riusciva a cogliere.

“E dicevo proprio poco fa alla cara Harry di quanto mi sembra di…conoscerla a fondo, nonostante questo sia il nostro primo incontro”.

Harry annuì, vigorosamente, prendendo un braccio di Sherlock e intrecciandolo al suo.

John portò una mano alla bocca, per mascherare la risata che stava per sfuggire dalle sue labbra. Sarebbe stata abbastanza inopportuna, in quella situazione.

“Ma davvero?” domandò al detective, pregando di riuscire a trattenersi.

“Davvero. E’ fantastico, non credi?”.

“Grandioso”.

“Non mi era mai capitato” ribadì Sherlock, senza staccare un secondo gli occhi da quelli di John. “Abbiamo davvero un feeling”.

“Ma non mi dire” John strabuzzò gli occhi, fingendo, con un certo talento, un’enorme sorpresa.

“Tutto vero”.

“Straordinario. Senza che io te ne abbia mai parlato” lo prese in giro John, ancora mantenendo quell’espressione.

Harry, ancora sospettosa ma probabilmente non troppo incline ad indagare a fondo, continuò ad annuire, come se pendesse dalle labbra di Sherlock.

“E’ verissimo, sì. Sento un legame, Johnny. Andremo d’amore e d’accordo, già lo sento”.

John sorrise, quasi intenerito.
“Che idillio” mugolò, sarcastico.

Harry arricciò il naso.

“Sei sempre il solito” lo accusò, incrociando le braccia.

“Sono fatto così”.

“Beh, sei fatto male” lo prese in giro Harry, bonaria.

“Tu mi ami così come sono” rispose poi a tono John, ma senza alcuna cattiveria.
Harry gli si avvicinò, ancora sorridendo e lo abbracciò nuovamente. John la cinse con le sue braccia, gettando ogni tanto un’occhiata a Sherlock che li guardava curioso, ma con un certo divertimento.

“Beh, mi dispiace davvero ma devo scappare. E’ stato un enorme piacere, Sherlock!” Harry si liberò dalla presa su John e si gettò nuovamente tra le braccia di Sherlock che non mancò di ricambiare la stretta. John continuava a rimanere allibito da quel comportamento.

“Lo stesso per me, Harry” asserì Sherlock, ricevendo come risposta un altro sorriso raggiante.

“Sei davvero un ragazzo così carino” John sentì dire a sua sorella, come se stesse parlando con un bambino di tre anni che muove i primi traballanti passi sui suoi piedini.

“Carinissimo” rincarò John, in una grottesca imitazione della voce di sua sorella.

Harry gli fece la linguaccia.

“Tornerò presto. Dobbiamo raccontarci un sacco di cose, noi tre!” disse allegra, ma a John sembrò più una minaccia che una piacevole prospettiva. Si sforzò di dimostrare un minimo di entusiasmo.

“Non vediamo l’ora” si costrinse a dire, e Sherlock, senza farsi vedere, scoppiò a ridere.

Harry rise, sinceramente deliziata, e dopo un ultimo abbraccio corse verso la porta, chiudendola dietro di sé e sparendo in uno svolazzo di stoffa rossa.

John crollò sul divano, respirando profondamente come se si stesse riprendendo da un incontro di boxe particolarmente violento.

Sherlock si sedette accanto a lui, senza parlare. Quando John si riprese completamente, decise che era il caso di chiarire la faccenda con il coinquilino.

“Si può sapere che ti è preso? Abbracci mattutini?” ripeté, come fosse qualcosa di inconcepibile.

Sherlock sospirò.
“Beh, è vero. Non me ne dai mai.” puntualizzò il detective, stringendo a sé un cuscino, come a dargli dimostrazione di un forte bisogno di affetto.

John rise.

“Forse perché so che se solo ci provassi potrei trovarmi…non so, accoltellato?” suggerì.
Sherlock mugolò, scuotendo la testa, pensoso.

“No, sangue crea confusione e sai quanto questo urti la Signora Hudson. Forse dovresti preoccuparti del tè a colazione” ribatté.

John fece un versetto d’assenso.

“Molto più pulito”.

“Decisamente”.

Silenzio.

“Che ti è preso, Sherlock?” domando poi, finalmente. “Seriamente, perché?”.

Il detective si voltò lentamente verso di lui e gli rivolse un altro dei suoi sguardi di delusione, uno di quelli che John aveva catalogato sotto la voce ‘guardi ma non capisci’.

“Pensavo fosse chiaro”.

John sbuffò.
“Ecco che ci risiamo”.

Sherlock si puntellò sulla seduta soffice del sofà e incrociò le braccia.

“John, dovresti applicarti di più”.

“Prometto che lo farò. Ora parla”.

“John, davvero…”.

“Parla, Sherlock!” lo esortò, con un tono più simile a un’intimidazione che a un incoraggiamento. Il detective sembrò non essere in vena di contraddirlo ulteriormente.

Sospirò e unì le punte delle dita, sfiorandosi il mento.

“Non mi andava di…trattarla come tutti gli altri” ammise, con un certo sforzo, distogliendo momentaneamente lo sguardo da John.

Il dottore lo guardò, senza capire. Da quando lo conosceva, non aveva mai visto Sherlock riservare un trattamento di favore a chicchessia.

“E cosa ha fatto per meritarsi un tale onore?” domandò John con fare pomposo.

L’altro tornò a rivolgere gli occhi verso di lui, con espressione concentrata, come se quello che stava per dire richiedesse una costante concentrazione.

“Perché sono in debito con lei” ammise, e John lo vide arrossire, anche se Sherlock non lo avrebbe mai ammesso.

Il dottore lo fissò, stranito.

“In debito?”.

Sherlock annuì e sorrise, come se fosse divertito dalla sua incapacità di inquadrare la situazione.

“Lei ti ha costretto a scappare, quella notte” disse poi, a fugare ogni dubbio di John. “E grazie a lei che ti ho incontrato”.

John non rispose, rimanendo semplicemente lì accanto a lui, con la bocca semi aperta e un’espressione che doveva sembrare tutt’altro che furba o intelligente. Sherlock non disse nient’altro e si alzò dal divano, tornando in cucina a dedicarsi all’esperimento che Harry lo aveva costretto ad abbandonare al suo arrivo.

John sorrise, ancora senza parlare, senza una vera necessità di dire qualcosa, in fondo. Sherlock lo guardò di sfuggita, da sopra il suo microscopio, e il dottore lo vide mascherare uno sguardo compiaciuto, felice. John annuì e il suo coinquilino distolse lo sguardo, soddisfatto.

A Sherlock non servivano parole, e in fondo, a John andava bene anche così.

 

 

Continua…

  
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