Terzo capitolo! Sono
‘solo’ cinque pagine, per non
appesantire troppo la lettura!
Grazie a tutti per le recensioni! Risponderò a ognuna,
giurin giurello!
Pistole, inseguimenti e
tassisti psicopatici a parte.
Sherlock non era una
persona facile, tutt’altro, con la sua totale avversione per
i sentimenti e per
il normale rapportarsi con le altre persone, ma John sentiva
di essere diverso, per lui.
Non si era mai reputato
speciale, non nel senso vero e proprio del termine, prima che Sherlock
piombasse nella sua esistenza a farlo sentire tale.
Certo, a volte, o meglio quasi sempre, il detective era
intrattabile, pungente, assolutamente sgradevole,
ma John era una sorta di panacea per tutti i suoi mali. Tutto era
diverso,
quando lui era con Sherlock.
Se era arrabbiato, una
parola di John poteva rasserenarlo quasi immediatamente, se era
annoiato, cosa
tristemente frequente, Sherlock abbandonava di buon grado il martirio
dei muri
se l’alternativa era la compagnia del suo coinquilino.
Il detective non aveva mai
detto espressamente a John quanto fosse importante
per lui, men che meno gliel’aveva dimostrato con un
gesto fisico come un abbraccio, un
bacio o
anche solo una pacca sulla spalla, ma sapeva farsi intendere anche
rimanendo in
silenzio. Sapeva che John avrebbe capito.
E John capiva sempre, ogni volta.
Un giorno però,
scendendo
le scale dalla sua camera alla cucina, appena sveglio, John si
ritrovò davanti alla
scena più inverosimile, impossibile e impensabile che avesse
mai visto in tutta
la sua vita. Lasciò cadere l’asciugamano che aveva
tra le mani sull’ultimo
gradino, quasi scivolandoci sopra, e continuò ad osservare
con occhi spalancati
il quadretto idilliaco davanti a sé come se non riuscisse
più a distogliere lo
sguardo.
Sua sorella teneva
Sherlock avvinghiato a sé in un abbraccio talmente stretto
da spingere John a
pensare che il povero detective faticasse seriamente a respirare. Il
suo
colorito, che stava variando da un rosa pallido ad un rosso acceso,
sembrò
confermare la sua teoria.
Era qualcosa di agghiacciante
nella sua assurdità.
“Sto ancora
dormendo”
disse a voce alta, così che i due potessero sentirlo.
“E questa è una qualche
stramba proiezione del mio subconscio malato”.
Harry lasciò la
presa su
Sherlock, che si massaggiò il collo, ansimante, sporgendosi
da dietro la spalla
dell’uomo con un sorriso radioso. Quel giorno era molto
carina, con i capelli
biondi raccolti da un cerchietto rosso e un vestitino dello stesso
colore che
le svolazzava intorno come una nuvoletta, e sembrava decisamente di
buon umore.
“Ciao John! Ho
pensato di
fare un’improvvisata!” squillò con voce
allegra, correndo verso suo fratello ad
abbracciare anche lui. John vide Sherlock fissarla con lo stesso
sguardo con
cui si guarderebbe un pazzo armato di coltello. O meglio, come un uomo qualunque guarderebbe un pazzo
armato di coltello.
“Ho
notato” disse John,
tornando a respirare, con gli occhi che vagavano da lei a Sherlock.
“E hai
pensato bene di aggredire il mio coinquilino, giusto per rendere la
conoscenza
più interessante”.
Harry non sembrò
particolarmente colpita dall’insinuazione. Fece un gesto con
la mano come a
dirgli di lasciar perdere.
“Oh, ero solo
contenta di
conoscerlo, finalmente! Se avessi aspettato che me lo presentassi
tu…” guardò
John con espressione severa.
Il dottore grugnì,
senza
molta voglia di intavolare quel discorso.
“Era per evitare
tutto
questo…amore a profusione. Mi metti in imbarazzo”
si giustificò John, guardando
altrove e sentendo le guance andare in fiamme. Harry mise le mani sui
fianchi.
“Oh quanto esageri
fratellino!” sbottò. “Sempre a
rinfacciarmi di essere troppo espansiva! E poi a
Sherlock non è dispiaciuto, vero?”.
Sherlock sussultò
sul
posto, come risvegliandosi da un sogno ad occhi aperti, sentendosi
chiamato in
causa. Stava assistendo al battibeccare dei due fratelli come se fosse
uno
spettacolo incredibilmente interessante.
“Oh affatto. Adoro i
sani
abbracci mattutini. John non lo fa mai” insinuò,
sfoggiando una delle sue migliori
espressioni di delusione, come se fosse davvero rammaricato dalla
mancanza
d’affetto del coinquilino. Il dottore lo fissò,
sbigottito, meditando se
assalirlo lì sulle scale o se aspettare che Harry andasse
via.
“Non mi sei mai
sembrato
il tipo, Sherlock” puntualizzò, acido.
“Tu non me lo hai
mai
chiesto, John”.
“Forse
perché mi hai
sempre dato l’impressione di preferire un proiettile in un
piede piuttosto che
un abbraccio”.
“Questo è
perché vedi ma
non osservi, John” spiegò Sherlock scuotendo la
testa. “E poi io non sono il
tipo da proiettili. Quella è la tua
area di competenza” sorrise, mellifluo.
John lo fulminò con
lo
sguardo.
Poi Sherlock si rivolse a
Harry.
“Devi scusarlo,
è un tale
musone. Ha paura di esternare i suoi sentimenti. Tu sentiti pure libera
di
dimostrare liberamente il tuo affetto” sorrise a Harry con
uno sguardo melenso
maledettamente convincente. Harry batté le mani, deliziata.
John non aveva più
parole.
Forse stava sognando davvero. Forse tutta quella situazione era solo
frutto
della sua mente instabile. Non trovava altra spiegazione.
“Sei davvero un
amore,
Sherlock!” squittì Harry, stridula.
“Avrei davvero voluto conoscerti mesi fa!”.
“Ha
ragione!” le diede corda
il detective.
John si prese la testa tra
le mani, con sguardo esasperato, fissando Sherlock con espressione
assassina.
“Se avessi saputo
che tra
voi sarebbe nato quest’amore sconfinato, vi avrei fatto
incontrare prima,
davvero, al diavolo l’imbarazzo. Perdonami,
Sherlock” esclamò, sarcastico.
Sherlock guardò il
dottore
come se non capisse perché gli stesse parlando con quel tono
acido.
“Colpa della solita
mancanza di fiducia nei miei confronti, John. Pensavi che la tua
adorabile
sorellina potesse darmi un qualche fastidio?”.
John strinse i pugni,
incrociando le braccia e scoprendo i denti come un predatore pronto
alla
caccia.
“Oh, scusami per
averlo
anche solo pensato. Credevo di conoscerti bene, e
invece…”.
“Ci conosciamo da
soli
quattro mesi, John. Non è abbastanza”.
John rise, ironico,
guardando Sherlock con gli occhi ridotti a fessure.
“Oh, ma tu sai che a
me
sembra di conoscerti da anni”
lo
stuzzicò.
Sherlock, inaspettatamente
ammiccò, senza farsi scorgere da Harry. John non
riuscì a trattenere un sorriso.
“Non posso darti
torto. E’
la stessa impressione che ho sempre anch’io”
asserì il detective, e il suo viso
sembrò illuminarsi.
Harry guardava i due con spiccatissimo interesse, come se comprendesse
la
presenza di un messaggio nascosto che lei non riusciva a cogliere.
“E dicevo proprio
poco fa
alla cara Harry di quanto mi sembra di…conoscerla
a fondo, nonostante questo sia il nostro primo
incontro”.
Harry annuì,
vigorosamente, prendendo un braccio di Sherlock e intrecciandolo al suo.
John portò una mano
alla
bocca, per mascherare la risata che stava per sfuggire dalle sue
labbra.
Sarebbe stata abbastanza inopportuna, in quella situazione.
“Ma
davvero?” domandò al
detective, pregando di riuscire a trattenersi.
“Davvero.
E’ fantastico,
non credi?”.
“Grandioso”.
“Non mi era mai
capitato”
ribadì Sherlock, senza staccare un secondo gli occhi da
quelli di John.
“Abbiamo davvero un feeling”.
“Ma non mi
dire” John
strabuzzò gli occhi, fingendo, con un certo talento,
un’enorme sorpresa.
“Tutto
vero”.
“Straordinario.
Senza che
io te ne abbia mai
parlato” lo prese
in giro John, ancora mantenendo quell’espressione.
Harry, ancora sospettosa
ma probabilmente non troppo incline ad indagare a fondo,
continuò ad annuire,
come se pendesse dalle labbra di Sherlock.
“E’
verissimo, sì. Sento un
legame, Johnny. Andremo
d’amore e
d’accordo, già lo sento”.
John sorrise, quasi
intenerito.
“Che idillio” mugolò, sarcastico.
Harry arricciò il
naso.
“Sei sempre il
solito” lo
accusò, incrociando le braccia.
“Sono fatto
così”.
“Beh, sei fatto
male” lo
prese in giro Harry, bonaria.
“Tu mi ami
così come sono”
rispose poi a tono John, ma senza alcuna cattiveria.
Harry gli si avvicinò, ancora sorridendo e lo
abbracciò nuovamente. John la
cinse con le sue braccia, gettando ogni tanto un’occhiata a
Sherlock che li
guardava curioso, ma con un certo divertimento.
“Beh, mi dispiace
davvero
ma devo scappare. E’ stato un enorme piacere,
Sherlock!” Harry si liberò dalla
presa su John e si gettò nuovamente tra le braccia di
Sherlock che non mancò di
ricambiare la stretta. John continuava a rimanere allibito da quel
comportamento.
“Lo stesso per me,
Harry”
asserì Sherlock, ricevendo come risposta un altro sorriso
raggiante.
“Sei davvero un
ragazzo
così carino”
John sentì dire a sua
sorella, come se stesse parlando con un bambino di tre anni che muove i
primi
traballanti passi sui suoi piedini.
“Carinissimo”
rincarò
John, in una grottesca imitazione della voce di sua sorella.
Harry gli fece la
linguaccia.
“Tornerò
presto. Dobbiamo
raccontarci un sacco di cose, noi tre!” disse allegra, ma a
John sembrò più una
minaccia che una piacevole prospettiva. Si sforzò di
dimostrare un minimo di
entusiasmo.
“Non vediamo
l’ora” si
costrinse a dire, e Sherlock, senza farsi vedere, scoppiò a
ridere.
Harry rise, sinceramente
deliziata, e dopo un ultimo abbraccio corse verso la porta, chiudendola
dietro
di sé e sparendo in uno svolazzo di stoffa rossa.
John crollò sul
divano,
respirando profondamente come se si stesse riprendendo da un incontro
di boxe
particolarmente violento.
Sherlock si sedette
accanto a lui, senza parlare. Quando John si riprese completamente,
decise che
era il caso di chiarire la faccenda con il coinquilino.
“Si può
sapere che ti è
preso? Abbracci mattutini?”
ripeté,
come fosse qualcosa di inconcepibile.
Sherlock sospirò.
“Beh, è vero. Non me ne dai mai.”
puntualizzò il detective, stringendo a sé un
cuscino, come a dargli dimostrazione di un forte bisogno di affetto.
John rise.
“Forse
perché so che se solo
ci provassi potrei trovarmi…non so, accoltellato?”
suggerì.
Sherlock mugolò, scuotendo la testa, pensoso.
“No, sangue crea
confusione e sai quanto questo urti la Signora Hudson. Forse dovresti
preoccuparti del tè a colazione”
ribatté.
John fece un versetto
d’assenso.
“Molto
più pulito”.
“Decisamente”.
Silenzio.
“Che ti è
preso,
Sherlock?” domando poi, finalmente. “Seriamente,
perché?”.
Il detective si
voltò
lentamente verso di lui e gli rivolse un altro dei suoi sguardi di
delusione,
uno di quelli che John aveva catalogato sotto la voce ‘guardi
ma non capisci’.
“Pensavo fosse
chiaro”.
John sbuffò.
“Ecco che ci risiamo”.
Sherlock si
puntellò sulla
seduta soffice del sofà e incrociò le braccia.
“John, dovresti
applicarti
di più”.
“Prometto che lo
farò. Ora
parla”.
“John,
davvero…”.
“Parla,
Sherlock!” lo
esortò, con un tono più simile a
un’intimidazione che a un incoraggiamento. Il
detective sembrò non essere in vena di contraddirlo
ulteriormente.
Sospirò e
unì le punte
delle dita, sfiorandosi il mento.
“Non mi andava
di…trattarla
come tutti gli altri” ammise, con un certo sforzo,
distogliendo momentaneamente
lo sguardo da John.
Il dottore lo
guardò,
senza capire. Da quando lo conosceva, non aveva mai visto Sherlock
riservare un
trattamento di favore a chicchessia.
“E cosa ha fatto per
meritarsi un tale onore?” domandò John con fare
pomposo.
L’altro
tornò a rivolgere
gli occhi verso di lui, con espressione concentrata, come se quello che
stava
per dire richiedesse una costante concentrazione.
“Perché
sono in debito con
lei” ammise, e John lo vide arrossire, anche se Sherlock non
lo avrebbe mai
ammesso.
Il dottore lo
fissò,
stranito.
“In
debito?”.
Sherlock annuì e
sorrise,
come se fosse divertito dalla sua incapacità di inquadrare
la situazione.
“Lei ti ha costretto
a
scappare, quella notte” disse poi, a fugare ogni dubbio di
John. “E grazie a
lei che ti ho incontrato”.
John non rispose,
rimanendo semplicemente lì accanto a lui, con la bocca semi
aperta e
un’espressione che doveva sembrare tutt’altro che
furba o intelligente.
Sherlock non disse nient’altro e si alzò dal
divano, tornando in cucina a
dedicarsi all’esperimento che Harry lo aveva costretto ad
abbandonare al suo
arrivo.
John sorrise, ancora senza
parlare, senza una vera necessità di dire qualcosa, in
fondo. Sherlock lo
guardò di sfuggita, da sopra il suo microscopio, e il
dottore lo vide
mascherare uno sguardo compiaciuto, felice. John annuì e il
suo coinquilino
distolse lo sguardo, soddisfatto.
A Sherlock non servivano
parole, e in fondo, a John andava bene anche così.
Continua…