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Autore: SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate    06/08/2012    20 recensioni
Era quello che volevo, no? L’occasione giusta per mandare tutto all’aria e concedermi del tempo per me.
Avevo immaginato di mandare al diavolo il mio lavoro e la mia coinquilina tante di quelle volte che nemmeno ricordavo quando la mia insofferenza nei loro confronti fosse iniziata. Quello che non avevo immaginato, però, era di non intraprendere quel viaggio da sola; e che ad accompagnarmi sarebbe stata una delle persone da cui cercavo disperatamente di fuggire in quel momento: Edward Cullen.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Route 66

So I sit here divided, just talking to myself:
Was it something that I did? Was there somebody else?
When a voice from behind me, that was fighting back tears
Sat right down beside me, and whispered right in my ear:
Tonight I’m dying to tell you

That trying not to love you, only went so far,
Trying not to need you, was tearing me apart.
Now I see the silver lining, from what we’re fighting for,
And if we just keep on trying, we could be much more.
‘Cause trying not to love you,
Oh, yeah, trying not to love you
Only makes me love you more,
Only makes me love you more.

Nickelback - Trying Not To Love You

22. Epilogue: Life is a Journey

La casa di Edward era immersa nel silenzio totale. Era quella una delle cose che più amavo di quel posto. Essendo isolata, situata nella zona unicamente residenziale di Chicago, lungo il lago Michigan, nel verde, i rumori della strada erano limitati all’essenziale. Non era come stare nel mio vecchio appartamento, in pieno centro città, dove giorno e notte si sentivano le auto e le moto passare a tutta velocità e le sirene dell’ambulanza e della polizia suonare a tutte le ore. Lì era come stare in paradiso.

Avevo lasciato il mio appartamento in fretta e furia appena giunti a Chicago, per non permettermi altri ripensamenti. Avevo riempito decine di scatoloni e borsoni con le mie cose, caricandole su un furgone a noleggio, e nel giro di due giorni avevo detto addio a Jessica, Mike e quel posto, diretta verso la mia nuova vita. Jessica aveva preso male il mio trasferimento, proprio come Edward aveva previsto. Cercò di convincermi a restare, ma niente e nessuno mi avrebbe fatto cambiare idea.

Edward mi aveva aiutato con piacere, chiudendo la porta della mia vecchia casa alle mie spalle e aprendomi quella della sua villetta, che da quel momento sarebbe diventata anche mia.

Il giorno dopo ero subito andata alla redazione del Chicago Tribune per fare il colloquio, e avevo ottenuto una scrivania ed uno spazio fisso sul giornale. I miei orari erano estenuanti, ma sapevo che era solo questione di tempo e impegno prima che le cose migliorassero.

Edward era tornato all’ospedale, aveva parlato con il dottor Denali - il primario - e aveva riottenuto il posto, anche se nei primi tempi aveva dovuto essere accompagnato da un altro chirurgo durante le operazioni. Dopo una mese di prova, poté finalmente tornare ad operare individualmente, senza più supporti. Ci stavamo rimettendo in carreggiata, e questa volta nessuno di noi aveva intenzione di fare errori.

Io tornavo a casa per l’ora di cena, e preparavo da mangiare. Edward rientrava quando mettevo i piatti in tavola. Avevamo acquisito una nostra routine, e avevamo trovato il modo di far coincidere i nostri giorni liberi. Nessuno di noi lavorava più di quanto fosse richiesto e necessario, evitando così di togliere il tempo dedicato a noi. Tutto procedeva come avremmo dovuto fare anche gli anni precedenti. Perché avevamo perso tutto quel tempo? Avevamo davvero bisogno di passare attraverso tutta quella sofferenza per capire dove stavamo sbagliando?

A causa dei lavori in casa avevo preferito lasciare la maggior parte delle mie cose chiuse negli scatoloni nello sgabuzzino, in attesa che tutto tornasse tranquillo e avessi un po’ di tempo per poterli aprire e sistemare le mie ultime cose negli armadi e sugli scaffali.

Avevamo rimodernato la casa, cambiando i colori delle pareti e la sistemazione dei mobili nelle varie stanze. L’unica cosa rimasta così com’era fu il giardino, regolarmente sottoposto alle cure amorevoli di Esme, che passava di lì per sistemarlo nel caso in cui Edward o io non ce ne prendessimo cura a dovere. Era un po’ il suo piccolo regalo al figlio, e le piaceva tenerlo in ordine. Appesa ai due alberi c’era ancora l’amaca, con il tavolino e le sedie in ferro battuto, e oltre la siepe di cespugli si vedeva il lago Michigan. Adoravo quel posto, ed ero contenta che rimanesse uguale a come l’avevo sempre trovato.

Nel salotto avevamo cambiato i quadri, sostituendoli con i souvenir della Route 66. C’erano le targhe degli Stati che essa attraversava a partire dall’Illinois fino ad arrivare in California. Avevamo aggiunto anche il Nevada, a parte, per ricordare quella notte di follia a Las Vegas. Una cartina mostrava la strada in lungo e in largo, e su una parete accanto alla libreria Edward aveva fatto pitturare da Alice - che aveva una calligrafia magnifica ed era una maga con i pennelli e la tempera - una frase tratta da On the Road di Jack Kerouac:

“The only people for me are the mad ones, the ones who are mad to live, mad to talk, mad to be saved, desirous of everything at the same time, the ones who never yawn or say a commonplace thing, but burn, burn, burn, like fabulous yellow roman candles exploding like spiders across the stars.”

Non avevo capito il suo amore per quel libro fino a quando non l’avevo letto in un paio di giorni dopo che eravamo tornati a casa. Era un libro che esprimeva la metafora della vita come viaggio, ed era quello che avevamo intrapreso noi poco più di un mese prima. Forse se l’avessi letto prima avrei avuto meno dubbi sulle scelte da compiere mentre eravamo via.

 

Edward rientrò in casa quando stavo aprendo il terzultimo scatolone.

Mi voltai a salutarlo con un sorriso, e dopo un veloce bacio lo vidi ritirarsi in camera per cambiarsi. Quando uscì tornò da me, e le sue braccia mi strinsero la vita, premendo la mia schiena contro il suo petto. «Vuoi una mano?», mi chiese, guardando gli ultimi scatoloni.

Scossi il capo. «Ho quasi finito».

Ci dondolò per alcuni istanti. «Quando hai detto di avere le ferie?»

«Le prime due settimane di agosto», gli ricordai. Non avevo diritto a molti giorni di vacanza rispetto ai miei colleghi, in quanto avevo iniziato da nemmeno un mese. Avevo dovuto impegnarmi molto in quelle settimane per racimolare qualche giorno di ferie, ma era sempre meglio di passare l’intero mese di agosto chiusa in redazione a lavorare.

«Perché? Ti hanno concesso delle ferie?», gli chiesi, sorpresa. Era strano che gli avessero permesso di andare in vacanza quando aveva ripreso da poco a lavorare a tempo pieno.

«Tutti i dottori hanno diritto a delle ferie», mi rispose semplicemente.

Aggrottai le sopracciglia, piegando la testa per cercare di leggere la sua espressione, ma Edward aveva la guancia premuta contro il mio capo, così non riuscii a vederlo.

«Vado a prendere del gelato», disse poi di punto in bianco, sciogliendo l’abbraccio e facendo qualche passo indietro. Lo guardai perplessa. «Che gusti vuoi?»

«Menta», risposi, presa di sprovvista. «E vaniglia».

Lui annuì, dirigendosi verso la porta. «Torno presto», disse, quando era ormai all’ingresso. Mi salutò con un cenno della mano e sparì fuori di casa.

Guardai lo spazio vuoto che aveva lasciato, ancora perplessa, poi tornai ai miei scatoloni. Quando avrei finito avrei finalmente potuto dire di abitare lì, e ormai mancava poco.

 

Venni risvegliata dal movimento dell’amaca, che affondò da un lato facendomi quasi rotolare sull’altro fianco. Mugugnai infastidita, e scostai dal viso il libro che mi era finito addosso quando mi ero addormentata mentre leggevo. Stropicciai gli occhi, e quando li aprii trovai Edward seduto al mio fianco.

«Dove sei stato?», gli chiesi, con la voce ancora impastata dal sonno. Mi drizzai a sedere come potevo, lasciando cadere il libro nell’erba.

Edward sorrise. «Scusa, ci ho messo un po’ più del previsto».

Aggrottai le sopracciglia. Avevo finito di svuotare gli scatoloni e alla fine ero andata a stendermi sull’amaca in giardino a leggere, in attesa che tornasse a casa con il gelato, finendo per addormentarmi. Era stato via quasi due ore, se non di più. Avevo perso la cognizione del tempo.

«Tutta Chicago ha preso d’assalto la gelateria?», gli chiesi, perplessa.

«Non la gelateria. Ma sì», rispose, enigmatico. Sollevò una mano, e solo allora mi accorsi della busta bianca che teneva. Me la porse, e mi sembrò preoccupato.

«Cos’è?»

«Aprila», disse.

Lo feci, e al suo interno trovai un foglio piegato in tre. Lo aprii, e sul mio grembo scivolarono due tessere plastificate. Ne presi una, e la osservai senza sapere cosa dire.

Guardai Edward, che mi osservava preoccupato.

«Li hai fatti adesso?», gli chiesi, a bocca aperta.

Annuì. «Ho preso solo i biglietti d’ingresso. Mancano ancora l’hotel e i voli, ma pensavo che sarebbe stato meglio sceglierli insieme», disse. «Sempre se ci vuoi andare», aggiunse, ancora preoccupato.

«Certo che ci voglio andare», esclamai, sentendo gli occhi diventare lucidi per la commozione. Mi gettai in avanti, stringendo le braccia intorno al suo collo e rischiando di farci finire entrambi a terra quando l’amaca ondeggiò pericolosamente. Edward ci tenne in equilibrio puntando i piedi a terra.

Tenevo ancora fra le mani le tessere plastificate e il foglio di carta. La busta era finita a terra. La tessera celeste spuntava dal mio palmo e il disegno del castello spiccava sopra le parole “Disney World”. Erano gli ingressi per Orlando, in Florida, e comprendevano tutti i parchi della Disney, da Disneyland a Epcot ed Animal Kingdom. Era il parco di cui Edward ed io avevamo parlato quando stavamo pensando di andare a Disneyland a Los Angeles, il parco in cui aveva promesso che un giorno saremmo andati.

«Grazie», mormorai contro il suo collo, stringendolo.

Lui sorrise, e mi accarezzò i capelli. «Avevo paura che non avresti voluto andarci», ammise.

Mi staccai il tanto che bastava per guardarlo negli occhi. «Scherzi? È il regalo più bello che potessi farmi. Ora potremo in un certo senso finire il nostro viaggio di giugno».

«Dalla parte opposta a dove si trova la fine della Route 66?», ghignò, divertito.

«Lo sai cosa intendo», risposi, sorridendo.

Edward salì sull’amaca con le gambe e mi sistemai davanti a lui, tenendo le mani sulle sue spalle.

«Come hai fatto ad ottenere le ferie?», gli chiesi, appoggiandomi al suo petto.

«Avevo ancora tutte le ferie arretrate dagli anni precedenti. A quanto pare quelle settimane in giro per l’America non le hanno consumate tutte», rispose.

Sorrisi. «Per fortuna. Anche se ne sarebbe valsa la pena».

«Per la Route 66 questo e altro», disse Edward, con un sorriso, stringendomi.

La Route 66 avrebbe sempre significato molto per noi. Ogni volta che avremmo attraversato Jackson Drive avremmo sorriso, pensando a ciò che quella strada aveva dato inizio: non solo alla Strada Madre, la più famosa degli Stati Uniti e forse del mondo intero, ma aveva segnato la rinascita della nostra storia.

Guardando quei biglietti per Disney World sapevo che per noi stava per iniziare un nuovo viaggio, ma sapevo anche che quello più importante non si era ancora concluso. E il fatto che sapessi cosa mi attendeva ai piedi del castello delle fiabe non faceva altro che aumentare la mia emozione. No, il nostro viaggio non si sarebbe concluso con un altro viaggio, ma sarebbe durato ancora a lungo. E sapevo che quello che sarebbe successo ad Orlando avrebbe cambiato le nostre vite, e sarebbe solo stato l’inizio di un altro viaggio nel viaggio della vita.

The End

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Il Diario di Bella - blog dove potete vedere immagini dei luoghi visitati nel corso della storia.

[Traduzione della frase di Kerouac : “Le uniche persone che esistono per me sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d'artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle.” ]


'Giorno! :D

Dunque... siamo arrivati alla fine. Ho deciso di lasciare un finale un po' aperto ma di dare comunque una risposta generale alle domande che potevano esserci in sospeso. Se avete dei dubbi chiedete pure, e vi risponderò :)

La canzone di questo epilogo è la stessa del capitolo 13 (Think about it, then do it), e l'ho sempre considerata un po' la colonna sonora di questa storia, quindi ho deciso di inserirla di nuovo.

Giungere alla fine di una storia è sempre un bel traguardo (soprattutto visto che ne ho ancora due da completare... shame on me) ma di questa ne sono particolarmente soddisfatta, sia perché era un esperimento (per me più che riuscito, fortunatamente :D) e perché ho finalmente potuto condividere con qualcuno ciò che ho visto durante i miei viaggi :D

 

Grazie a MARIKA, senza la quale questa storia sarebbe ancora ferma al primo capitolo e non sarebbe mai stata pubblicata su EFP. Grazie per i mille consigli :*****


E grazie a tutti voi che avete seguito questa storia. In particolare a chi ha sempre lasciato una recensione ad ogni capitolo facendomi sapere che continuavano ad esserci, ma anche a tutti i recensori occasionali e i tanti lettori silenziosi. Grazie davvero :**


Bene, credo di aver detto tutto! Non mi resta che augurarvi buone vacanze (o buona continuazione se lo siete già) o buon lavoro (se siete già rientrati a casa)! Alla prossima! :*

   
 
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