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Autore: Mrs C    27/08/2012    8 recensioni
Lo sapevo John, dice Greg, lui non era... così. Aveva te. Io lo sapevo. Perdonami, perdonami, John.
John vorrebbe dirgli che non ha nulla di cui chiedere perdono ma non riesce a parlare, perché c'è qualcosa che gli fa male, cos'è?, non lo sa che cos'è, ma si stringe a Greg un po' più forte. Ma lui non c'è, Greg. Lo dice piano, John, affondando il viso fra il collo e la spalla dell'amico. Lui non c'è e io sono ancora qui. Greg lo stringe così tanto che John ha paura di soffocare. Solo che non puoi farlo, se hai smesso di respirare. E John non respira più da un po'. Lui non c'è.
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Genere: Angst, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, John Watson , Lestrade , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la nostra casa, e sarà la nostra tomba.




E' tempo di credere alla vita, in tempo di morte.
Commodiano






Scotland Yard è silenziosa, in un pomeriggio qualsiasi di maggio. Non fa troppo caldo né troppo freddo e il sole è di un tiepido color camomilla che a John non dispiace. Sta bene, e a John piace stare bene. All'interno della centrale, qualcuno compila scartoffie chino sulla propria scrivania, altri corrono qua e là ma sempre con una certa postura dritta, come se quella bastasse per far intuire alla gente che della polizia ci si può fidare. Un agente gli chiede se ha bisogno di qualcosa, perché è fermo da dieci minuti nell'atrio e non accenna a muoversi. John non lo sente davvero e risponde più per riflesso che per cortesia, no, non ho bisogno di niente grazie, so dove devo andare. L'agente non fa domande, forse l'ha riconosciuto o forse no. A John non interessa ma lo ringrazia mentalmente di avergli lasciato il tempo di prepararsi. Socchiude gli occhi, si sistema il giubbotto nero e inspira. Assorbe ogni briciola d'aria che i suoi polmoni riescono a incalanare, poi spinge la porta ed entra. La stanza non è gremita di gente come si aspettava, tre agenti in divisa, due in borghese, Anderson, Donovan. Le solite facce, la solita feccia. John non lo dice, ma è sicuro che il suo sguardo parli abbastanza anche da solo. Come prima, socchiude gli occhi, si aggiusta il cappotto, inspira. Ha il viso in alto, l'andatura militare e il portamento fiero a nascondere la sofferenza mentre i suoi piedi calcano quel pavimento che tante volte hanno percorso in due. John non ha niente di cui vergognarsi, non l'ha mai avuto né l'avrà mai. Donovan e Anderson possono continuare a guardarlo in quel modo per il resto della vita miserabile che conducono, se la loro coscienza glielo permette; prima o poi ci sarà un killer abbastanza coraggioso da piantare una pallottola in uno dei due, per vedere poi l'altro diventare un fantasma. Perché è così che funziona. Uno muore, l'altro sopravvive morendo ogni giorno. 
La porta dell'ufficio dell'Ispettore Lestrade si apre con uno scricchiolio sinistro. Greg ha i capelli più grigi di come li ricordava, gli occhi stanchi e il fisico asciutto. Le sue iridi chiare sferzano il viso di John come una frusta che forse non ha la forza di sopportare. Gli si avvicina veloce, stringendolo goffamente in un abbraccio bollente che John accoglie con una forza che ha smesso da tempo di avere, aggrappandosi alla sua giacca per non rovinare a terra, stanco com'è. Lo sapevo John, dice Greg, lui non era... così. Aveva te. Io lo sapevo. Perdonami, perdonami, John.
John vorrebbe dirgli che non ha nulla di cui chiedere perdono ma non riesce a parlare, perché c'è qualcosa che gli fa male, cos'è?, non lo sa che cos'è, ma si stringe a Greg un po' più forte. Ma lui non c'è, Greg. Lo dice piano, John, affondando il viso fra il collo e la spalla dell'amico. Lui non c'è e io sono ancora qui. Greg lo stringe così tanto che John ha paura di soffocare. Solo che non puoi farlo, se hai smesso di respirare. E John non respira più da un po'. Lui non c'è. 

***

- Qualunque cosa tu abbia da dirmi non voglio ascoltare e visto che sei entrato da solo in casa mia saprai anche dov'è l'uscita. Fuori di qui.
Mycroft sospira piano, stringendo le dita in pugno. Non alza gli occhi su John che invece lo guarda con disgusto, rabbia e una sorta di istinto omicida serpeggiante nelle iridi verdazzurre.
- Voglio offrirle il mio aiuto, Dottore.
John ride, spettrale, e un brivido freddo colpisce la spina dorsale del Governo.
- L'unico aiuto che mi puoi dare è toglierti dai piedi, prima che lo faccia io.
- John, la prego. Sherlock-
- Non. Osare.
John sente la gola stringersi e gli occhi che pungono prepotenti. Afferra Mycroft per la camicia, sbattendolo contro il primo muro disponibile. Gli occhi di ghiaccio sbarrati e il respiro mozzato, la voce in un rantolo e... paura? Rimorso? Cos'è quella scintilla?
- Non lo nominare. Non ne hai il diritto, con le mani macchiate del suo sangue. Non dire il suo nome mai più, specialmente davanti a me, Mycroft.
John lo lascia andare con uno spintone che gli fa urtare la testa contro un quadro. Il rumore dei cocci di vetro è così simile a quello del suo cuore che il sussulto è involontario.
- Gregory mi ha chiamato questo pomeriggio. Ha detto che sei stato a Scotland Yard.
- Quello che faccio non sono di certo affari tuoi - sputa, velenoso - Mycroft, è l'ultimo avvertimento che ti do. Vattene fuori da casa mia, o sarò ben felice di finire in prigione.
Il Governo si sistema il vestito sgualcito, in mezzo un silenzio appiccicoso che penetra nella pelle di entrambi. Ha gli occhi più scuri, quando John torna a guardarlo. I suoi sono solo più freddi. Non hanno colore.
- Sto cercando di pagare il mio debito, John. Ora che tutti sanno la verità - dice, con uno strano tono basso - e lo farò, anche senza il tuo consenso.
Il pugno che colpisce Mycroft è inaspettatamente forte. Il sangue schizza sulla mano del Medico come sul mento del Governo che crolla a terra come se non avesse vita. Piange, John, senza fare rumore, pregando un dio invisibile di avere pietà di lui, lui che ha una goccia del sangue di Mycroft sulla guancia e lo sguardo allucinato di chi è pronto a fare peggio di così, perché non ha più niente da perdere.
- Tutto ciò che farai, tutto ciò che penserai di fare - mormora John, affannato - tutto ciò che continuerai a provare per ottenere il mio perdono o per riscattare la memoria di Sher-la sua memoria, non sarà mai abbastanza. Impara a convivere con la colpa di essere l'assassino di tuo fratello! - è cattivo, John, ma anche quando vede il riflesso del proprio dolore nelle iridi chiare di Mycroft non prova niente - Voglio solo... essere lasciato in pace. 
John si stringe la testa fra le mani, a occhi chiusi, seduto su una poltrona fredda e asettica che non ha niente del calore di Baker Street. Quando alza il capo è solo per vedere l'appartamento vuoto e qualche goccia di sangue che ancora macchia il pavimento. Sangue Holmes, come quello di Sherlock. John si piega in due, rigettando a terra. Vuole solo essere lasciato in pace.

***

Harry è gentile. Da quando Sherlock è morto, lei gli è sempre stata vicino e anche se non abita proprio dietro l'angolo, va a trovarlo ogni giorno. John non gliel'ha mai detto, ma il suo calore gli impedisce un po' di impazzire. Ma oggi è un giorno diverso, e John non è sicuro di riuscire a sopportare la presenza di qualcuno che non sia la propria. E' steso sul divano, con gli occhi puntati al soffitto e il cuore gonfio delle sue immagini. Ripete a se stesso che non lo sta dimenticando, si autoconvince che sa ancora di che colore sono i suoi occhi - celesti? Verdi? Azzurri? Grigi? - e quante fossette gli spuntano nelle guance quando sorride. Ma la verità è che non ha altra immagine, se non l'ultima, impressa nella testa. E il rosso è l'unico colore nitido che riesce a ricordare. Harry lo trova così, steso sul divano con una mano sugli occhi, che singhiozza come un neonato appena venuto al mondo. Le braccia di Harry sono forti, un buon appiglio a cui John si aggrappa con ogni forza del suo essere, come quella mattina ha fatto con Greg. Harry, dice, aiutami, continua, aiutami, ti prego. Non ce la faccio più. Harry piange, sulla spalla di suo fratello, stringendosi al suo maglione, tirandogli la pelle e, con essa, parte del dolore lancinante che la sta investendo. Dimmi cosa posso fare, Johnny, dimmelo. Farò ogni cosa che mi chiederai, dice. John la guarda, con i suoi occhi limpidi e le labbra contratte. Uccidimi. Uccidimi, ripete, puoi farlo? Harry non dice niente, asciugandogli piano le guance come quando era bambino. Ucciderò ogni parte di te, fratellino. Ti strapperò via questo male e me ne prenderò carico io, dice. John la stringe più forte, nascondendosi sul suo collo. Harry non è sicura che il suo fratellino abbia capito che cosa gli ha realmente promesso. Però, lei sì.






Ps. I'm a Serial Addicted

Quello che vi presento oggi è il primo capitolo di una oneshot in tre parti. Dopo la scoperta delle tre parole della prossima stagione sono caduta in uno stato di depression che con l'ascoltare Einaudi e qualche canzoncina triste non è nient'altro che aumentato. Così ho incanalato tutto così. Vi chiedo perdono perché lo stile è pesante, specialmente la prima e l'ultima parte, ma così è nata e non ho intenzione di cambiarla. Il titolo è un omaggio al mio manga preferito Fullmetal Alchemist, tratto dal primo volume in cui, un gruppo di minatori che hanno rischiato di morire per via di un incendio, ricevono il gentile consiglio di Ed: "se state così male, perché non ve ne andate e cercate un altro lavoro?" e loro rispondono "ragazzino, tu forse non riesci a capirlo ma noi siamo nati qui. Questa è la nostra casa, e sarà la nostra tomba". E vista l'aria che tira in questa oneshot, l'ho trovata più che azzeccata (vi devo specificare qual è la casa di John?). Come al solito vi ringrazio per tutte le vostre belle parole, le vostre recensioni (anche quelle negative *da bacino a Mis*) e il vostro seguito che mi rende tanto felice. Che altro dirvi? Perdono per l'angst? See you later!



Jess
   
 
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