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Autore: U N Owen    05/09/2012    3 recensioni
Dieci ragazzi si riuniscono a Dreadpeak Lodge, una lussuosa baita di montagna, ma non tutto andrà come previsto.
A cena, una voce rievocherà l'oscuro passato che li accomuna, per poi recitare un'inquietante filastrocca:
"Dieci piccoli indiani andarono a mangiar,
uno fece indigestione, solo nove ne restar
[...]
Solo, il povero indiano, in un bosco se ne andò,
ad un pino s’ impiccò e nessuno ne restò"

Ispirata a "Dieci Piccoli Indiani" di Agatha Christie, questa storia è scritta a quattro mani da U N Owen e Belfagor, il cui profilo è qui consultabile: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=51754
Genere: Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3
 
Nessuno fiatava, tutti erano storditi da quanto era accaduto. Dopo alcuni secondi, Erin, pur conoscendo già la risposta, chiese con voce flebile «E’ davvero … Voglio dire, non c’è più nulla da fare, vero?»
Il silenzio di Isabel fu più eloquente di qualunque spiegazione. Ad un tratto Erin si abbassò, e, lentamente, poggiò la propria mano sul volto contratto e congestionato di Carl, i cui occhi vitrei ancora fissavano il vuoto, e li chiuse, delicatamente.
«E ora, che ce ne facciamo? Ah, no, non guardatemi così! Non possiamo mica lasciarlo qui!» Eveline era meno scossa di quel che non fosse disposta ad ammettere.
«Ma … ma come fai a pensare a cose simili?!» Kurt, invece, sembrava sul punto di una crisi di nervi.
Dimostrando ancora una volta di saper mantenere il raziocinio più degli altri, Robert intervenne nuovamente.
«Ora il problema di maggior rilevanza mi sembra un altro, sinceramente. Innanzitutto, com’è morto Carl …» al che venne interrotto da Erin, che si affrettò a spiegare. «Non si tratta di veleno, o cose simili. Vedete? Il suo viso si è gonfiato. E’ morto per shock anafilattico. Si tratta di una reazione allergica, anche piuttosto violenta. Tutti sapevano che Carl era gravemente allergico all'aspirina. Evidentemente ce n’era traccia del principio attivo nel brandy.»
«Sì, grazie Erin, ma non era una doma…» fece per rispondere Robert, che detestava essere interrotto. Proprio ciò che fece nuovamente Desmond.
«Ed è altrettanto evidente che lo sapeva anche Onym.»
«Appunto.» Intervenne nuovamente Robert, con voce indispettita. Stava per perdere la pazienza, davvero.
«Esatto, evidentemente lo sapeva anche Onym.» sottolineò poi con un sorriso bieco.
«E il fatto che lui sia morto qui, proprio davanti ai nostri occhi, non può significare che una cosa sola.» Pausa ad effetto. Sembrava la scena di un film poliziesco, e lui era il brillante detective.
«Ovviamente. E’ inutile negare.» Alexis, dal canto suo, sembrava non nutrire dubbi.
«No, un momento, cosa significa tutto ciò?! Parlate chiramente!» Ed ecco il John Watson della situazione, signori, Dover. Ma questa volta a spiegare fu proprio Alexis, mentre i più si scambiavano occhiate cariche di tensione, e cupe quanto le nubi, che, fuori dalle ampie finestre, avevano ormai scatenato una violenta tempesta di neve.
«Significa, semplicemente, che Onym è già qui, e si sta nascondendo da qualche parte, a nostra insaputa. O peggio» concluse la ragazza con tono grave.
«Dobbiamo trovarlo. E ucciderlo!» esclamò con forza Isabel.
«No! Ucciderlo no» intervenne James. «Se lo facessimo ricadrebbe su di noi anche la morte di Carl, e un’inchiesta è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno, lo sai perfettamente. Trovarlo, questo sì. Dobbiamo trovarlo e capire quali sono le sue intenzioni, perché sta facendo tutto questo.» Era pallido, e si reggeva con la mano ad una mensola, ma la sua voce era ferma.
Ci fu un momento di silenzio, tutti sembrarono rimuginare su quanto accaduto, immobili, come pietrificati.
Ad un certo punto, tenendo lo sguardo fisso nel vuoto, Desmond ruppe il silenzio.
«Ora non c’è nulla che possiamo fare. Piuttosto, dovremmo riposare.» mormorò.
«Ma che stupidaggini dici?» ribatté Eveline, completamente fuori di sè «Come puoi pensare ad andare a dormire con un pazzo che si potrebbe nascondere ovunque! Dobbiamo cercarlo, adesso!»
«Non credo» intervenne James «Per una volta Desmond ha detto una cosa intelligente. Guarda fuori dalla finestra, siamo nel mezzo di una tempesta di neve, che non finirà neanche tanto presto. Ovunque sia quel bastardo, non può certo fuggire. Inoltre siamo tutti troppo stanchi e scossi. Dovremmo, invece, andare a letto tutti quanti. Cercheremo Onym domani, con più calma.»
«E Carl lo lasciamo qui a marcire?» fece Isabel, con il solito tatto che la contraddistingueva.
«Lo porteremo su io e Desmond, nella sua stanza. Voi ricordatevi di chiudere a chiave le porte. E di non aprire a nessuno, per nessun motivo!» Aveva decisamente ripreso il controllo, pensò soddisfatto James.
«Allora, siamo tutti d’accordo?»
«Sì, mamma!» borbottò qualcuno, ma il ragazzo ottenne comunque l’assenso di tutti.
«Se però stanotte muore qualcuno, non stupitevi troppo. Saprete che avevo ragione» aggiunse dopo Eveline, con fare teatrale.
«Oh, non temere cara, a meno che il nostro “amico” non sappia attraversare le pareti, o cos’altro, non morirà proprio nessuno. Mi dispiace così tanto deluderti, ma ci sono tante possibilità che qualcuno muoia stanotte quante tu di essere veramente nobile» Alexis aveva sputato veleno con una notevole ferocia, ma non sembrava aver sortito l’effetto desiderato.
Eveline si mostrava imperturbabile. «Sì, blatera pure, sciocca, tanto la tua è solo invidia, ma a questo punto, riguardo a quell’essere, Onym, vedremo domani chi è che aveva ragione!»
«Ma vi sembra il caso di battibeccare in un modo simile, in una situazione come questa? Riprendetevi!» James si stava alterando. Ma quanti anni avevano?
«Ma quale battibeccare, ti pare che io mi possa abbassare a battibeccare con una volgare ragazzina come lei? Beh, in tal caso ti sbagli, e di grosso. Mesdames et messieurs, adieux!»
Qualcuno, fortunatamente, trattenne Alexis dal prenderla a pugni, e gli animi si raffreddarono. Un incontro di boxe sarebbe stato poco opportuno.
Poco alla volta i ragazzi cominciarono a muoversi in direzione dei piani superiori. Nel mentre, Kurt rimase a fissare con sguardo assente le dieci statuette. Dieci indiani. Dieci, esattamente come loro. Come erano loro. Senza dire una parola prese una delle statuette e la guardò con intensità.
«Forse è esattamente ciò che ci meritiamo» disse enigmaticamente, più rivolto a se stesso che ad altri. Dopodichè, forzando le dita del morto, che cominciavano ad irrigidirsi, mise la statuetta in mano a Carl. Quel gesto aveva un che di inquietante, ma nessuno si oppose.
Gradualmente le luci si spensero e i convitati si ritirano nelle rispettive stanze, compagni unicamente di se stessi, dei propri pensieri. E di quella maledetta filastrocca.
 
Nella solitudine, i pensieri fluivano nelle menti ancora scosse dai recenti sviluppi. Inutile osservare come prendere sonno fu per i più un impresa ardua, il pensiero di Onym che, come un tarlo, scavava nei pensieri di ognuno, generando incubi, sospetto, paura, ossessione. Chi era l’”Anonimo”? Dov’era? Perché stava facendo tutto ciò? Vendetta? Crudele soddisfazione personale? Senso di giustizia? Oppure era veramente solo un folle? Chi era veramente?
Un ciclo infinito di domande che non trovavano risposta, che minavano le coscienze dei singoli, rosi dal dubbio, bisognosi di conforto, pronti all’imprudenza. Baita Dreadpeak non dormì, quella notte. Rumori soffusi e vaghi la animarono, ma capire cosa stesse avvenendo era impossibile. Andare ad indagare era impensabile, il timore troppo forte anche solo per parlarne. Quella notte, Baita Dreadpeak era popolata di fantasmi.
 
Una luce soffusa illuminò le stanze il mattino successivo. Sembrava tutto così normale. Sembrava. Il risveglio fu più problematico di quanto ci si potesse aspettare. Avrebbero dovuto decidere un’ora di sveglia. Che stolti erano stati. Tuttavia, ad agire fu qualcuno di inaspettato.
Kurt bussò alla porta di ogni camera, invitando ognuno a raggiungerlo in sala da pranzo, per la colazione. Avrebbero discusso sul da farsi. Alexis e Dover si unirono immediatamente a lui, e scesero per cercare di mettere qualcosa sotto ai denti. Arrivati lì, tuttavia, trovarono un’inquietante sorpresa ad attenderli.
«Ma che diav…?!» Dover era rimasto a bocca aperta.
«Ci sta prendendo in giro, il bastardo!» esclamò a sua volta Alexis.
Kurt aveva un’espressione inquieta dipinta in viso. Poco dopo li raggiunsero Desmond, Robert e Isabel, seguiti a poca distanza da James ed Eveline. Quest’ultima, soffocando uno sbadiglio, chiese distrattamente «Di chi è stata la geniale idea di portare qui quel centrotavola?» con tono sarcastico.
Kurt e Dover si guardarono negli occhi.
«In realtà» accennò con fare incerto Dover.
«Beh» continuò Kurt.
«Beh cosa? Non sei mica una capra!» lo apostrofò James «Non riuscite a dare una spiegazione chiara?»
«Era già qui quando siamo scesi noi» disse allora Alexis.
«Ah» Eveline era perplessa «Beh, di certo non è venuto qua da solo»
«Onym» mormorò Robert, perso nei suoi pensieri. Poi continuò: «Avete notato nulla di strano? Mancano due statuette. Che fine avranno fatto?»
«Una l’ho presa io» ricordò Kurt, deglutendo. «E’ nella stanza di Carl.»
«Già. Ma la seconda?» chiese Alexis. La domanda che si stavano ponendo tutti aveva appena preso voce.
«Magari l’ha uccisa Onym. Mangiamo?» commentò sbadatamente Isabel, che intanto si era già seduta.
«Sì, una stupida statuetta. Certo.» borbottò acidamente Eveline, sedendosi a sua volta «Sono d’accordo, comunque, facciamo colazione, invece di perderci dietro stupide bazzecole.» Quella ragazza al mattino era decisamente intrattabile. Ma solo al mattino.
«Bazzecole. Sì, vabbè.» osservò Robert allontanandosi per andare a prendere qualcosa, seguito da James e Kurt. Ritornarono poco dopo con le braccia cariche di vivande, che cominciarono, nonostante tutto con una certa avidità, ad ingurgitare. Dopo un po’, con la bocca ancora semipiena, James chiese «Avete visto Erin? Non è ancora scesa, se non sbaglio.»
Isabel aprì la bocca per rispondere, ma si bloccò alla vista del volto di Desmond. Dopo alcuni istanti, infatti un’espressione di terrore lo pervase.
«Erin!!» esclamò il ragazzo, lasciando perdere di botto la fetta di pane tostato cui si stava dedicando fino ad un momento prima e precipitandosi su per le scale, salendo due gradini alla volta. L’intuizione di quanto potesse essere accaduto allora folgorò anche gli altri, che si lanciarono al suo inseguimento. Arrivarono poco dopo, senza fiato, davanti alla porta di Erin, dove Desmond stava già armeggiando con la maniglia.
«Non si apre, è chiusa a chiave!» esclamò disperato. Allora si mise a battere violentemente con il pugno. «Erin!» gridò, con voce rotta.
«Sfondiamola» propose allora Robert. James, a quelle parole, tentò di protestare, ma venne prontamente zittito e lasciato a borbottare da solo.
Cominciarono dunque a prendere a spallate la robusta porta, che non dava segno di voler in qualche modo cedere.
Dopo svariati tentativi, tuttavia, venne sfondata con uno schianto, e Desmond e Dover, che aveva dato il cambio a Robert, ansimanti e doloranti, rischiarono di ruzzolare a terra.
«Erin! Erin, no!!» gridò disperato Desmond, travolto dalla vista di ciò che li attendeva. La ragazza era distesa in modo scomposto sul letto disfatto, lo sguardo fisso sul soffitto, la bocca semiaperta. Accanto a lei, sul pavimento, giaceva abbandonato un cuscino. E, sul comodino accanto al letto, la statuetta li osservava indifferente. Era chiaro, non c’era nulla che potessero fare, ormai era morta. O meglio. Era stata assassinata.
«Maledetto … maledetto mostro! E’ tutta colpa mia, solo colpa mia.» Desmond si era accasciato sulle ginocchia, come svuotato.
«HA! Ve l’avevo detto, io!» esordì allora Eveline, con sguardo trionfante.
«Ma taci! Per quanto ne sappiamo potresti anche essere stata tu!» rispose con veemenza Alexis. La ragazza voleva prendersi la rivincita dalla sera precedente.
«Come ti osi, tu! Tu, di accusare ME!» il bel viso di Eveline era distorto in una maschera di disgusto e furore. Se avesse potuto avrebbe scagliato fulmini.
«Ragazze, su, è morta Erin, non dovreste…»
«E tu non intrometterti!» sbottarono le due, in coro, rendendo il povero Dover decisamente piccolo.
In tutto ciò, nessuno pareva aver notato lo strano comportamento di Kurt, che, in un angolo della stanza, e bianco in volto, tremava leggermente.
«Oh, Wes. Ti prego, perdonami, perdonami Wes, non volevo. Perdonami. Wes, io non volevo, ti prego, potrai mai perdonarmi? Oh, Wes, mi dispiace così tanto.» mormorava, come un mantra.
Robert invece, a differenza degli altri che avevano tutti gli occhi puntati sul cadavere di Erin, passeggiava per la stanza. Quando, poco alla volta, gli ospiti cominciarono a riprendersi, Eveline osservò «Che strano, però, pare davvero che il nostro Onym abbia la capacità di passare attraverso i muri. La porta era chiusa dall’interno, c’è ancora la chiave nella toppa. Anche presupponendo che sia entrato di qui, a meno che sia ancora qui, o che si sia volatilizzato, non vedo come abbia potuto svignarsela»
«Nulla di così impossibile» rispose Robert, aprendo la finestra «Vedete?»
«Inoltre,» continuò, con un ampio ed enfatico gesto della mano «vorrei portare la vostra attenzione a quella»
«Cosa c'entrerebbe la filastrocca di mia madre, scusa?»
«Osservatela. O meglio, leggetela.» aggiunse poi, ignorando James.
«Dieci piccoli indiani se ne andarono a mangiar, uno fece indigestione, solo nove ne restar.
Nove piccoli indiani fino a notte alta vegliar, uno cadde addormentato, solo otto ne restar.
Otto piccoli indiani se ne…» recitò Dover, ma improvvisamente si bloccò. «O … mio Dio. No. No.»
«Oh sì, invece» Robert aveva di nuovo quel ghigno bieco a solcargli il volto.
«Cosa, cosa?!» Eveline non sembrava più tanto sicura di sé, sembrava, anzi, isterica.
«Non è evidente, ormai? Dieci piccoli indiani se ne andarono a mangiar, uno fece indigestione, e Nove piccoli indiani fino a notte alta vegliar, uno cadde addormentato.» ripetè Robert «Carl è morto di shock anafilattico, mentre Erin è morta soffocata. Nel sonno.»
«Starai scherzando, spero» Alexis aveva sbarrato gli occhi, sconvolta.
«Affatto. E’ abbastanza chiaro, a questo punto. Onym sta seguendo questa filastrocca, nei suoi omicidi. C’è un indiano per ognuno di noi. E solo otto ne restar. Dunque preparatevi, perché otto piccoli indiani se ne vanno a passeggiar, uno, ahimè, è rimasto indietro, solo sette ne restar
  
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