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Autore: Erik Lenoir    08/10/2012    0 recensioni
Il giovane Erik, secondogenito di una nobile casata, viene svegliato ogni notte da un sogno ricorrente riguardo un processo per stregoneria. Non conoscendo l'esatto significato di quel sogno ricorsivo decide di interrogare indovini di ogni tipo ma nessuno sa dirgli quello che di lì a poco scoprirà: il suo destino lo sta chiamando!
Messosi alla ricerca di una sacra armatura, Erik si ritroverà in mezzo a eventi che sconvolgono l'equilibrio stesso tra dei e uomini, laddove i primi cercano di tiranneggiare sui secondi. Quando un uomo si pone a difesa dell'umanità contro coloro che essa venera, dove sta il male e dove sta il bene?
Genere: Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'affermazione di lord Black fece trasalire tutti i presenti. Soltanto un uomo con un grande e forte senso della giustizia avrebbe accettato che uno dei suoi figli venisse ucciso come campione della causa sbagliata. Benché tutti ignorassero le abilità  nel combattimento di Erik, il coraggio  di Alfonse nei vari tornei organizzati da suo padre era ben noto. Il primogenito della nobile stirpe dei Black si era dimostrato molte volte un valoroso spadaccino, non il più forte ma sicuramente temibile. Del secondogenito invece si conosceva solo la fama dell'accademia in cui era stato, cosa che fece propendere tutti per darlo già  per spacciato. Questo a meno che lord Black non avesse fermato un duello sacro, cosa che nessuno aveva mai avuto il coraggio di fare. Una sentenza per morte di uno dei due combattenti, il più sacro dei giudizi perchè, come affermavano i sacerdoti, gli dei proteggevano solamente colui che si dimostrava essere dalla parte della giustizia. -Ora vogliate scusarmi, devo conferire con i miei figli- Disse Edward Black mentre si alzava per la prima volta dal suo posto. Aveva mantenuto un contegno impeccabile per tutto il processo eppure, in quel momento, chiunque avrebbe potuto vedere un velo di preoccupazione nei suoi occhi. La ragazza venne riportata nelle segrete del castello mentre il padre portava nelle proprie stanze i figli. Per Erik quel piccolo percorso durò un'eternità  e per ogni respiro del padre saliva un pensiero di rimpianto. Quale pazzia lo aveva mai colto? Era stato lo sguardo della ragazza o altro? Forse era stato stregato e la magia nera lo aveva portato a commettere quella follia. Uccidere suo fratello, il sangue del suo sangue, come avrebbe fatto? Con che coraggio avrebbe spinto la lama nella carne della sua carne? Questo sempre ammesso che Alfonse non fosse micidiale come dicevano le storie sui suoi tornei. Una bestia in attesa di gustarsi il passo, così veniva definito il primogenito della famiglia Black. Dicerie, tutte dicerie, continuavano a ripetersi Erik e Alji mentre si allenavano da soli nelle loro stanze. Nessuno all'infuori dell'accademia era bravo quanto loro. Avevano superato l'inferno eppure erano riusciti a padroneggiare tutte le armi che erano state loro proposte. Quando la porta si chiuse dietro di lui, Erik si ritrovò solo con Alfonse e suo padre nella stessa stanza. Nessuno aveva osato dare fiato alla bocca durante il tragitto eppure, mentre erano lì, a guardarsi l'un con l'altro, si aspettavano che qualcuno dicesse qualcosa. A lungo Edward Black guardò i figli negli occhi, ispezionando le loro anime per cercare traccia di qualcosa. Vide quello che aveva visto da un paio d'anni a quella parte. Alfonse aveva il tipico sguardo dell'arroganza tipico di chi si sentiva fiero di sè e sapeva di non aver nulla di cui rammaricarsi. Un giorno quello sguardo lo avrebbe portato ad una fine tragica e questo, purtroppo per Edward, non si poteva cambiare. La superbia era uno dei peggiori crimini in cui l'uomo poteva incorrere, se poi era legata anche alla pura vanità , l'effetto era devastante per l'anima e l'integrità  di un uomo. Volgendo lo sguardo verso Erik invece Edward vide di più, molto di più. Oltre quella coltre di aristocratica fierezza che il figlio cercava di mostrare per essere degno del suo rango, lord Black vide incertezza, preoccupazione e tante altre piccole emozioni. Tutto questo fino a quando Erik non distolse lo sguardo, imbarazzato da ciò che poteva vedere suo padre.

-Che follia è mai questa Erik?- Suo padre non amava girare intorno alle cose. Negli anni era sempre stato famoso per spiazzare le persone andando direttamente al sodo del discorso. Inoltre aveva visto che il suo secondogenito era quello più ricco di dubbio e quindi sperava di far breccia nel cuore del ragazzo. -Dovrò dunque vedere uno dei miei figli morire? Per cosa?- Si andò a versare una coppa di buon vino, in una situazione del genere qualunque padre nè avrebbe avuto bisogno -Una donna? Una prigioniera? Una strega?- Ad ogni domanda Erik sentiva una martellata sulla propria anima. Si sentiva come una spada appena uscita dalle fiamme, pronta per essere colpita dal maglio del fabbro. -Chiedo perdono padre, non so cosa mi sia preso ma so ciò in cui credo. Quella donna è innocente- Alfonse non riuscì a trattenere una risata di disprezzo -Innocente? Si usava questa parola per descrivere gli infanticidi nella vostra accademia? Non è il termine che userei io fratello-. Alfonse, al pari di suo padre, non amava i giri di parole e rivelava subito tutti i suoi punti deboli con poche frasi. Andò a versarsi del vino, imitando suo padre in un gesto che forse sperava gli avrebbe dato autorevolezza ma che risultò solo una pallida replica. -Cosa ti succede fratello? La strega ti ha mangiato la lingua? O forse ti ha direttamente stregato il cervello. E' chiaro che hai perso il senno se intendi sfidarmi così apertamente- Bevve un avido sorso, forse per darsi coraggio nel dire quello che seguiva -O forse semplicemente hai deciso di liberarti di me e questa ragazza ti è capitata al momento opportuno. Sbaglio?- Erik incassò anche questo colpo e abbassò lo sguardo. Alfonse era suo fratello maggiore e gli doveva più rispetto che poteva. Un giorno sarebbe stato anche il suo signore e quel giorno sarebbe stata la sua fine. L'odio che il fratello provava per lui era tangibile ed eclatante per tutti. Fu lord Black a far tacere Alfonse con un gesto che Erik non aveva mai visto ma che, vista la reazione del fratello, non doveva capitare così di rado. Un semplice schiaffo, portato senza troppa forza, ricco di significato -Non voglio sentire mai più una sola parola su questo argomento Alfonse. Tuo fratello Erik è vissuto lontano da noi e da quando è tornato non avete mai fatto un solo gesto che vi abbia identificati come fratelli. E ora questo! Tu un giorno sarai lord di queste terre ma fino ad allora farai bene ad imparare un po' di umiltà . Vedo nei tuoi occhi in cosa ti ho trasformato, forse avrei dovuto mandare te nel sud e non tuo fratello- Forse suo padre esagerò nel suo discorso perchè, per qualche secondo, Erik provò pietà  per il fratello. Alfonse dopo lo schiaffo aveva trattenuto una lacrima con tutte le sue forze ma, quando Edward terminò di parlare, si portò una mano ricca di contegno sulla faccia e uscì dalla stanza. Un bambino, suo padre era in grado di trasformare un uomo fatto e finito in un piccolo fanciullo. Alfonse non era così forte come dava a vedere ma in tutto questo tempo era la prima volta che Erik lo vedeva tanto fragile. La voce di suo padre tornò alla sua solita calma glaciale mentre sedeva. Ben presto, Erik lo sapeva, sarebbero arrivate anche per lui parole di biasimo. -Erik- Fu costretto ad alzare gli occhi su suo padre, -Dimmi che non ti interessa il potere- questa volta non ci fu agitazione né incertezza nelle parole di Erik mentre pronunciava -Credo che quella donna sia innocente e nulla più padre, rispetto il ruolo di mio fratello come tuo erede e non è mai stata mia intenzione intaccarlo- Edward annuì. Aveva letto negli occhi del figlio la risolutezza della verità, le sue intenzioni potevano essere ingenue certo, ma prive di qualsiasi malizia. Un padre che si potesse chiamare tale sapeva riconoscere l'animo di suo figlio. Sfortunatamente al mondo esistevano pochi padri secondo questa definizione. Questo però non rese meno facile il compito di Edward quando ricominciò il discorso -Capisco che il tuo senso di giustizia ti spinga a batterti per questa donna. Tuttavia io sono un lord e devo pensare al bene delle mie terre. Sei stato cresciuto in modo che questa vita non ti appartenesse e, nonostante i tuoi sforzi, non ti apparterrà  mai. Quando nascesti, feci un sogno riguardo il tuo futuro. Benché confuso capii che ti aspettavano grandi cose, molto più importanti che non diventare lord. Ho affidato la tua vita agli dei mandandoti all'accademia e mi hanno restituito un uomo pronto a rischiare la propria vita e quella di suo fratello per una donna. Il tuo cuore è senza dubbio nobile figlio mio ma la ragion di stato deve venire prima dei sentimenti. Se lasciassi che il duello avvenisse, perderei un figlio. Se la tua abilità  dovesse essere confermata perderei il mio erede e ti incatenerei ad un destino che non è mai stato scritto per te. Al contrario, se tuo fratello dovesse dimostrarsi superiore, infangheremmo il nome dell'accademia e priveremmo gli dei della tua vita. Capisci cosa voglio dire?-. Erik capiva eccome, suo padre gli chiedeva un atto di viltà senza pari come ritirarsi da un duello. Avrebbe gettato nelle fiamme il suo onore e avrebbe dovuto inchinarsi a suo fratello. Lui non glie l'avrebbe mai fatta passare liscia, avrebbe sfruttato ogni occasione per rammentare come il pavido Erik fosse fuggito per timore di fronteggiarlo. Suo padre non poteva chiedergli questo. Non poteva sacrificare un figlio per l'altro ma, se avesse potuto, avrebbe scelto Alfonse. Lui era il suo erede, come aveva ricordato poc'anzi, un giorno tutto quello sarebbe appartenuto a lui. Suo padre era prima di tutto un lord e, come tale, non poteva esimersi del pensare alle sue terre prima del resto. -Perchè non chiederlo ad Alfonse?- L'affermazione di Erik era carica di sfida e di sdegno. Era chiaro come il sole che avrebbe rifiutato di cedere il suo onore per quello di Alfonse, nessuno sano di mente lo avrebbe fatto. Suo padre però rispose con una risata nervosa e storse le labbra in una smorfia -Tuo fratello è affetto da un morbo comune per gli uomini. Si chiama arroganza ma molti lo chiamano anche superbia. Nella storia esso ha decimato più vite di qualunque altro e, sfortunatamente, non tutti riescono a trovarne la cura in tempo. Tuo fratello è affetto da questo morbo da troppo tempo per fare un passo indietro- Quelle parole fecero salire la rabbia in Erik -E allora sacrificherete l'onore di un figlio per un altro?- Edward Black si alzò e con fare paterno si avvicinò a lui -Non ti chiedo questo né mai te lo chiederò. Rimanderò il duello a domattina, torna da me questa sera e discuteremo di un modo in cui la ragion di stato e il sentimento possano essere entrambi soddisfatti- Quelle parole apparvero sinistre in un primo momento a Erik ma si convinse a uscire dalla vista di suo padre prima che la rabbia esplodesse. Per quanto cercasse di essere sempre un figlio modello per lui non riusciva a capirlo. Come poteva un padre preferire un figlio ad un altro solo perchè il primo un giorno avrebbe retto ciò che era suo?

Erik si fermò. Fu in quel momento, quando formulò quel pensiero, che capì che suo padre aveva ragione. Lui non aveva l'animo, la stoffa, l'indole del lord e mai avrebbe potuto capire la ragion di stato. Lui capiva l'unica ragione che gli era stata insegnata, capiva il linguaggio delle lame e le considerava più loquaci di tanti uomini. Tornando nella sala dei banchetti cercò di evitare lo sguardo di chiunque incontrasse fino a quando non sentì il braccio di Alji cingergli le spalle. Era visibilmente preoccupato eppure, come in ogni caso, cercava di sdrammatizzare -Cerchiamo di diventare lord eh? Ottima scelta, non rinuncerei alle comodità  di questo castello per nulla al mondo!- Erik si divincolò facilmente da lui e si allontanò. In un momento come quello l'umorismo di Alji poteva solo peggiorare le cose. Era capitato altre volte che i due si separassero e in quei momenti l'amico aveva imparato a eclissarsi il tempo necessario a farlo sbollire. Loro due erano i veri fratelli. Per Alji Erik avrebbe rinfoderato la spada mille volte se fosse stato necessario ma sapeva che, proprio perchè il loro legame era intenso, lui avrebbe preferito morire che chiedergli di riporre il suo onore di guerriero. Fin dal primo giorno all'accademia esso veniva coltivato. Un combattente era quello che le sue armi dicevano, pensavano e decretavano. Chi si rifiutava di scendere in battaglia era un codardo, chi si ritirata era un codardo e chi moriva, più di chiunque altro, era un vile codardo! Appena raggiunse le sue stanze vi si chiuse dentro, appoggiandosi al muro si lasciò completamente andare. Cosa avrebbe dovuto fare? Quella giornata che era iniziata in modo peggiore stava degenerando e presto avrebbe dovuto diventare un codardo o un assassino. Tutto questo per...lei! La ragazza dei suoi sogni, soltanto lei avrebbe potuto dare una risposta a tutto quello. Lei sapeva qualcosa, glielo aveva letto negli occhi. Inoltre era stata lei a provocargli quella visione. Si ritrovò a scattare in piedi e a uscire dalle sue stanze. Nella sua permanenza al castello aveva visitato solo una volta le segrete ma da allora la loro ubicazione era indelebile. Fuori nevicava e lui stava avanzando con ben pochi indumenti in un luogo gelato. Si chiese se il freddo non lo avrebbe ucciso prima del suo arrivo eppure non si fermò neanche in quell'occasione. Avanzò nella neve mentre veniva trasportato dal pensiero della ragazza. La prima cosa che avrebbe chiesto era il nome, si era stancato di doverla chiamare "ragazza" o "donna" o "prigionier" e via dicendo. Quando attraversò finalmente il cortile trovò dall'altra parte una guardia che, riconoscendolo, si mise subito in posa come un bravo soldatino -Signore!-. Stava già  aprendo la porta quando Erik gli passò davanti senza neanche degnarlo di una parola. Poi però si fermò e, prima che chiudesse la porta, si espresse in un poco formale -Grazie-. Per quanto la confusione e la rabbia lo accecassero, lui non era suo fratello. Lui sapeva che quell'uomo avrebbe preferito stare al caldo invece doveva stare sotto la neve a congelarsi. "Non sarai un lord Erik, convincetene" si disse mentre scendeva i gradini che portavano alle celle. Attualmente erano disabitate perchè lord Edward non amava far aspettare i prigionieri, quel luogo era freddo, umido e inospitale per qualunque uomo. Non venivano pulite regolarmente e quindi l'odore era nauseabondo. Un luogo chiuso, con poco ossigeno e un olezzo che era meglio non definire. Un crepitio attirò la sua attenzione fino alla cella della prigioniera. Un fuoco? Come poteva essere in grado di produrre fiamme con solamente la fredda pietra e un'aria umida? Fece scattare la serratura della porta e la ragazza per poco non scattò in piedi dallo spavento. Erik tenne i suoi pensieri per sè ma lei intuì subito che la considerava una strega. Chi non l'avrebbe considerata tale dopo quello che aveva appena visto? Chiudendo la porta dietro di sè Erik stette in piedi davanti a lei, osservandola. Era accovacciata vicino al fuoco per scaldarsi e anche lui doveva ammettere che il calore emanato era tremendamente piacevole in un luogo come quello. Nessuno dei due parlò. Quella giornata sembrava un lungo silenzio con solo alcune brevi pause di parole. Se ci fosse stato anche Alji lui avrebbe saputo come rompere il ghiaccio. Riusciva sempre ad essere affascinante e simpatico con le ragazze, oppure si convinceva di esserlo a tal punto da vantarsene. Lentamente si ritrovò sempre più vicino al fuoco, più per sfuggire al freddo che per cercare la vicinanza con lei. Quando se né accorse indietreggiò tornando contro la fredda parete, dipingendo un sorriso divertito sul volto della ragazza. -Se non ti avvicini congelerai e non potrai difendermi al processo- Le parole arrivarono inaspettate e sciolsero in un attimo la tensione. Erik si vide costretto a sedersi anche lui vicino al fuoco per non apparire stupido o timido. Tuttavia si sentiva imbarazzato. Solitamente quando cercava una donna era per sfogarsi, quella era la prima volta che si trovasse a dover fare conversazione. Aveva la testa così piena di domande che non sapeva con cosa iniziare. Ancora una volta, fu la voce di lei a far scaldare il silenzio -Aliria- la fiamma crepitò più forte e si ingrandì appena, riscaldandoli di più. -Un utile incantesimo qui nel nord. Molti pagherebbero per conoscere questa parola- il nuovo calore lo fece sentire più a suo agio mentre il sorriso sul di lei volto si ampliava -Molti arriverebbero a uccidere per il segreto di questa fiamma, ma non per Aliria- Disse mentre alzava lo sguardo incontrando il suo -Aliria è il mio nome-. Un rossore d'imbarazzo tinse lievemente il viso di Erik che distolse lo sguardo. Aveva fatto una figuraccia da ignorante che non avrebbe riparato presto. -Forse molti non sarebbero disposti a uccidere per Aliria, ma è questo che mi stai chiedendo i fare- Le parole di Erik sorpresero anche lui. In cuor suo la spontaneità  di un bambino non era mai morta e, ogni tanto, zampillava fuori come una sorgente di acqua limpida. Aliria si fece vagamente indignata -Non sono stata io a chiederti di prendere la spada, se non erro ti sei offerto volontario. Inoltre come potrei domandare un simile atto ad un campione del quale non conosco nemmeno il nome?-. Due a zero per lei, se avesse continuato così Erik avrebbe dovuto scappare con la coda tra le gambe per tutte le figuracce che stava facendo. -Perdona la mia scortesia, Erik Black- Aliria sorrise divertita mentre notava con quanto impaccio lui pronunciava il nome della sua famiglia. -Non sei più Black di quanto tuo fratello sia arguto- Lei, al contrario di lui, non aveva paura di esprimere ciò che pensava. Chissà  da dove veniva, non conosceva molte donne in facoltà  di parlare così. Ripensandoci, non conosceva molte donne affatto. -Cosa intendi dire?- Le parole di lui furono più una sfida che una vera domanda. Era pur sempre un Black e non si sarebbe lasciato mettere i piedi in testa da una prigioniera, seppur così bella e affascinante come solo una fiamma poteva essere. -Intendo dire che tu ti senti un pesce fuor d'acqua nei panni del nobile e tuo fratello è un completo idiota- Erik fu sbalordito dalla sfrontatezza di Aliria. Le ricordava la franchezza che c'era all'accademia ma quella era una prerogativa maschile. Se prima aveva cercato di inquadrare quella donna, ora gli riusciva praticamente impossibile. -Dovrei farti tagliare la lingua...- -Ma non lo farai- lo interruppe subito lei ridacchiando. Stava passando ogni limite e si stava prendendo gioco di lui eppure lui non riusciva a farsi valere, altra conferma che non sarebbe mai stato mai un vero lord. -Vedo che sei molto loquace- Incalzò lei mentre tornava a fissare il proprio sguardo nel fuoco. -Non sono abituato a parlare con le donne- anche questa volta la risposta non tardò ad arrivare -Non avrai conosciuto molte vere donne allora-. Sfoggiava orgoglio femminile da tutti i pori e questo costrinse Erik ad ammettere che aveva ragione. -Da dove vieni?- Finalmente pose una delle tante domande che gli ronzavano in testa. -Da lontano. Il regno non è il mondo e anzi, vi dimostrate abbastanza indietro su molte cose. Una di esse è il modo in cui trattate le donne. Nell'isola da cui provengo nessuno si sognerebbe di accusare una signora di stregoneria- Detto ciò tirò fuori dal corpetto un piccolo pezzo di stoffa su cui era impresso un simbolo fatto con il sangue. Rappresentava un cerchio. Un semplicissimo cerchio. -Questo è il simbolo della mia terra natia, dove è nata la magia- notando lo sguardo confuso e giudicatore che lui le mandava decise di proseguire. -L'arte di parlare alla natura e di farsi ascoltare è stata fin da sempre tramandata di generazione in generazione. Il cerchio serve a indicare che siamo tutti parte della natura ed essa ci ascolta- Erik non conosceva quel simbolo eppure aveva visto molte genti passare per l'accademia. -Deve essere molto lontano, non ho mai visto nessuno portare quel simbolo- il vederla annuire lo fece per un attimo rilassare. Dopo i primi momenti la conversazione si stava sciogliendo, ognuno perdeva la propria rigidità. -Perchè sei qui Aliria?- La domanda sembrò sorprenderla. Arrossì e distolse lo sguardo nella fiamma mentre cercava una risposta appropriata da dargli. -La verità  è che mi ha condotto qui un sogno- Impossibile, non poteva essere vero. -Credi che i sogni valgano qualcosa?- La domanda di lui la colse sul vivo. Capirono tutti e due che la risposta a quel dilemma avrebbe potuto sciogliere molti dubbi. L'unica risposta che lei seppe dargli fu -I sogni sono messaggi di qualcuno che nessuno conosce. Spero che questi messaggi siano per il bene e non per il male se è questo che intendi- Poi alzò appena le spalle -Anche se seguirli mi ha portato in questa situazione-. Erik aveva voglia di chiederle del sogno ma cercò di trattenersi, non era il momento per mettersi a parlare di quello che succedeva la notte, non con un duello alle porte. -Credi che sarò un buon campione?- Erik si considerava ridicolo eppure non riusciva a frenarsi dall'inondarla di domande. Non che lei avesse molta scelta però, in un certo senso, sapere di avere la sua fiducia gli avrebbe fatto bene. Aveva molte volte combattuto per la sua vita ma mai per quella altrui. Sentiva una certa responsabilità  sulle spalle. -Intendi se credo che tu vincerai? Non lo so- lo sguardo di Erik si abbassò sconsolato sulla fiamma -Ma so che nulla accade per caso- le parole di Aliria tentarono inutilmente di tirarlo su. Dopo tutto non si conoscevano, come faceva lui a sperare che si fidasse ciecamente? -Ti capisco Aliria- Si limitò a dire mentre si alzava e si dirigeva verso la porta. -Aspetta- Comparve davanti alla porta prima di lui. In mano aveva lo stesso pezzo di stoffa di prima e glielo stava porgendo -Credo che il mio campione debba avere qualcosa di mio come porta fortuna. Non sono queste le usanze del duello?- Erik avrebbe voluto dirle che quello valeva solo per i tornei, quando i cavalieri combattevano per l'onore proprio e di una determinata dama. Niente di tutto quello aveva a che fare con un processo. Tuttavia accettò di buon grado il pegno e lo strinse con decisione. Mentre era distratto non si accorse che lei si era avvicinata e, delicatamente, gli stava dando un bacio sulla guancia. Trasalì al contatto con la liscia pelle delle labbra di Aliria e arrossì visibilmente. -Un bacio portafortuna dicono serva quanto un pegno e, visto il premio in palio, avremo bisogno di tutta la buona sorte possibile- Si giustificò lei. Sembrava non prendere la cosa sul serio. Possibile che fosse così speranzosa o c'era qualcosa che lui non sapeva? Erik annuì e, senza aggiungere altro, lasciò la cella di Aliria.

  
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