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Autore: Sigyn    14/10/2012    2 recensioni
Ci sono molte cose che nessuno sa riguardo a Millicent Bullstrode, ma ancora di più sono quelle che nessuno si è mai nemmeno preoccupato di chiedere.
Genere: Comico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Het, Slash | Personaggi: Daphne Greengrass, Millicent Bullstrode, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Slytherin

 



Nessuno aveva mai capito perché Millicent Bulstrode fosse stata Smistata in Slytherin. Nessuno tranne Millicent Bulstrode, ovviamente, ma erano ben poche le persone sinceramente interessate alla sua opinione su qualsiasi argomento.


Tra queste, inaspettatamente, c’era Tracy Davis: non che Millicent le piacesse, anzi – Millicent era goffa e sgraziata e manesca e al loro Secondo Anno aveva ricambiato una sua battuta particolarmente divertente con una risposta a tono e una fattura che l’aveva costretta in Infermeria per un giorno e una notte interi. Ma il perché della sua presenza nella sua stessa Casa era un mistero, e a Tracy Davis i misteri erano sempre piaciuti. Non aveva mai chiesto niente a Millicent solo perché ricordava ancora piuttosto bene il bruciore e il puzzo delle bolle bluastre che erano comparse sulla sua faccia quella volta.

Anche Daphne Greengrass aveva un certo interesse in quella questione. Non che non sapesse che Millicent era molto più intelligente di quanto tutti si ostinassero a pensare, molto più furba, per quanto l’associare questo aggettivo a una come lei, tutta risposte a monosillabi e sguardi torvi e muscoli sempre pronti ad una rissa, fosse evidentemente difficile per gli altri studenti della loro Casa.

No, ciò che veramente mancava in Millicent era la seconda caratteristica fondamentale di uno Slytherin: l’ambizione. Fin dal loro Primo Anno, Draco aveva voluto disperatamente entrare nella squadra di Quidditch della loro Casa, Tracey aveva deciso di studiare Magisprudenza una volta uscita da Hogwarts, lei aveva cercato di ottenere voti eccellenti in tutte le materie e Pansy ... beh, Pansy dava un nuovo scopo alla sua vita quasi ogni giorno, dal convincerla a lasciarle copiare il tema di Incantesimi a rendere insopportabile la mera esistenza di Hermione Granger. Ma Millicent, per quanto ne sapeva lei, non aspirava ad obiettivi più elevati che passare l’ennesimo test della McGonagall, né si era mai davvero impegnata per raggiungere un qualsiasi traguardo.

Nonostante questo, immaginare il Dormitorio di Slytherin senza Millicent era deprimente, sbagliato. Il solo pensiero la faceva sentire fredda e vuota, con lo stesso desiderio insensato di voltarsi e fuggire che invadeva ogni fibra del suo corpo durante le cene con le amiche di sua madre.  Ogni volta che si sorprendeva a fare riflessioni di questo tipo le abbandonava in un angolo piccolo e oscuro della sua mente, e tornava a preoccuparsi per la cotta di Astoria per Draco, per il tema di Storia della Magia che non aveva ancora finito, per ciò che suo padre avrebbe detto e per lo sguardo calmo e gelido che le avrebbe riservato se avesse saputo del suo ennesimo brutto voto in Pozioni. C’era sempre così tanto per cui essere ansiosi, in fondo.

Pansy Parkinson, in teoria, avrebbe avuto tutto il tempo per interrogarsi sulle sue amiche, perché lei non aveva fratelli e non andava né particolarmente bene né particolarmente male in nessuna materia. Solo, Millicent non era poi un argomento di discussione così interessante. Non che non le piacesse: Millicent era piuttosto simpatica, a suo modo, e se anche non lo fosse stata al loro Secondo Anno aveva tentato di strozzare Hermione Granger e per questo era senza dubbio meritevole di ammirazione. Quindi, Pansy non rifletteva mai troppo intensamente su certe cose e tornava subito a concentrarsi sugli occhi grigi e i sorrisi sarcastici e piacevolmente arroganti di Draco Malfoy.

Draco Malfoy aveva sempre accuratamente evitato di interagire troppo con Millicent Bulstrode. Nel suo personale ordine delle cose, le ragazze dovevano essere sottili e pallide e sorridenti come Daphne o sua sorella, o compensare un brutto carattere e un bizzarro naso all’insù con un’ironia tagliente e un’insospettabile capacità di concedergli attenzioni illimitate come Pansy. Millicent era ... beh, lei era solo una dei ragazzi. Quando per ragazzi si intendeva gente come Greg e Vincent e non lui o Theodore, ovvio. Era impensabile che avesse un briciolo di astuzia o un poco d’ambizione e quindi Draco non ci pensava affatto.

Blaise Zabini aveva sempre ritenuto Draco uno spaccone bravo solo a nascondersi dietro i suoi schiavetti, e se stesso un grande osservatore. E una delle cose in assoluto più interessanti da osservare era l’anonimo, l’amorfo, il sottovalutato. C’era sempre qualcosa di strano, in Millicent, qualcosa di eternamente fuori posto in qualsiasi luogo o situazione. Uno sguardo, un gesto, una parola di troppo.

Gli Slytherin erano bravi a nascondere segreti, perché conoscere ciò che gli altri non sanno ti dà automaticamente un vantaggio su di loro. E Millicent Bulstrode era una Slytherin, decisamente.

 

*

 

- Quindi è ... come una squadra di calcio? -.

Lo sguardo di Millicent vagò dall’espressione vagamente perplessa sul volto di suo padre a quella esasperata di sua madre. La scuola cominciava tra una settimana, e lei non era ancora sicura di aver capito tutto.

- No. Non è come una squadra di calcio – ribatté sua madre, tamburellando con le dita sul tavolo. Non era arrabbiata con suo padre, ovviamente: non lo era mai. Semplicemente, aveva davvero poca pazienza.

Suo padre si passò una mano grande e tozza tra i capelli neri. – Ti fa vincere e perdere punti, e si possono formare legami importanti tra i giocatori – disse, tranquillo, una luce divertita negli occhi marroni, anche se la mamma non l’aveva spiegato esattamente così: - Alla fine, è come una squadra di calcio -. Sorrise, evidentemente soddisfatto del suo ragionamento. Millicent annuì: in fondo, aveva senso.

Il calcio, poi, le piaceva molto. Era familiare, semplice – non bizzarro ed estraneo come ... beh, come tutto il resto, da un po’ di tempo.

Non che sua madre non le avesse già spiegato tutto, a grandi linee. Solo adesso, però, le sue lezioni sembravano avere senso davvero. E bisognava dire tutto anche a papà, ora, e la mamma era molto più brava di lei con certe cose.

- Una Casa è una cosa diversa ... ma sì, in un certo senso il principio è simile – dovette arrendersi infine sua madre. Rimase in silenzio per un attimo, le sopracciglia corrugate sopra gli occhi neri. - Però, in realtà l’equivalente magico del calcio sarebbe il Quidditch – concluse, compiaciuta, sbattendo un pugno sul tavolo.

I suoi genitori sapevano essere anche più testardi di lei, a volte. Millicent scosse leggermente la testa. - Quidditch? – chiese, incuriosita. Sua madre non gliene aveva mai parlato, ma suonava come qualcosa di più interessante di una lezione di Artimanzia o Storia della Magia.

La mamma riportò rapidamente la sua attenzione su di lei, come se si fosse ricordata solo in quell’istante della sua presenza. Si accigliò, e per un attimo il suo sguardo si fece lontano, freddo. – È peggio del calcio. Molto peggio. Troppe scope, troppo in alto -. Proprio quando Millicent stava per chiedere più dettagli, però, il viso di sua madre si illuminò di nuovo, come quando aveva cominciato quella conversazione.

- Ora, tornando alle Case. Finirai in Slytherin, ovviamente. Nella mia famiglia siamo stati Smistati lì per generazioni – disse sicura, qualcosa di orgoglioso e nostalgico allo stesso tempo nella piega appena accennata delle labbra. – I migliori finiscono in Slytherin ... i più astuti, i più determinati, i più ambiziosi ... Molto meglio degli Hufflepuff, e ... -.

Mentre sua madre si perdeva nei suoi ricordi di gioventù, Millicent lanciò un breve sguardo a suo padre. Lui scrollò le spalle e alzò un sopracciglio. Nel linguaggio privo di parole che usava talvolta, voleva probabilmente dire come una squadra di calcio, vedi?

Millicent alzò le spalle di rimando. La mamma non le aveva mai parlato molto approfonditamente delle altre Case. Sapeva solo che doveva evitare i Gryffindor il più possibile.

Slytherin poteva andar bene, pensò. E non voleva deludere sua madre – e per lei da un po’ di tempo sembrava tutto così importante.

 

Richiuse la porta dello scompartimento alle sue spalle con forza, senza curarsi del rumore. Si lasciò cadere su uno dei sedili, e sospirò.

Troppa gente. Troppo rumore. Troppi ragazzini esagitati dentro il treno, troppi genitori in lacrime alla stazione.

Sua madre non aveva pianto: le aveva augurato buona fortuna con una silenziosa, forte pacca sulla spalla, e dopo le aveva regalato un sorriso così abbagliante da farle credere per un attimo di essere davanti ad un’altra donna. Suo padre si era asciugato una lacrima quando pensava che non potesse vederlo, ma poi le aveva augurato buona fortuna e le aveva scompigliato i capelli – Millicent protestava sempre quando lo faceva, e lui sorrideva in silenzio. Quella volta, però, si era dovuta trattenere dall’abbracciarlo. Non sono una bambina, si era detta. Sto andando via solo per qualche mese, non vuol dire mica che non li rivedrò mai più. Torno quest’estate.

Era la prima volta che viaggiava da sola. Era la prima volta che si allontanava tanto e per tanto tempo dalla sua famiglia.

Si sistemò più comodamente sul sedile, e guardò fuori dal finestrino. Beh, almeno era riuscita a trovare uno scompartimento libero – non sembrava un’impresa molto facile, ed era abbastanza orgogliosa di esserci riuscita.

Appena ebbe finito di formulare quel pensiero, sentì un lieve toc toc e la porta si aprì con uno scricchiolio incerto. Ah, ecco.

Non si voltò quando sentì il rumore dei passi leggeri e svelti del nuovo arrivato. Però, lo fece quando sentì quel ciao, c’è posto qui? gentile ma deciso.

Si prese qualche istante per osservare la ragazza. Era piccola e minuta, più bassa di lei, con i lunghi capelli biondi raccolti in una treccia ordinata e un sorriso amichevole sulle labbra sottili e rosee. Era carina, pensò Millicent, prima di risponderle: - Ciao. Ci sono solo io, entra pure -.

Il sorriso dell’altra si allargò ancora di più, mentre prendeva posto di fronte a lei. – Piacere. Daphne Greengrass – le disse, una nota di gratitudine nella voce.

- Millicent Bulstrode – rispose lei, secca, prima di tornare a guardare fuori dal finestrino.

 

- Non ci credo – ribatté Millicent, stringendosi addosso il lungo e pesante mantello che sua madre le aveva comprato solo qualche giorno prima. Rabbrividì nell’aria fredda della sera, il vento che le scompigliava i capelli – avrebbe voluto tagliarli, prima o poi. Davanti a lei, l’acqua scura e profonda del Lago Nero scorreva placida attorno alla barca del custode.

- Ma è vero – piagnucolò al suo fianco Daphne, alzando gli occhi al cielo. Non usava spesso quel tono petulante ma, da quanto Millicent aveva potuto vedere durante il resto del viaggio, era sempre accompagnato da uno sguardo penetrante e un broncio che la faceva sembrare più giovane dei suoi undici anni. Dovette trattenere una risata, ma non riuscì ad evitare di lasciarsi sfuggire un piccolo sorriso.

- Non crederò alla storia del soffitto magico finché non lo vedrò – si impuntò Millicent, sia per il gusto di infastidirla sia perché – beh, un soffitto magico. Che rifletteva il cielo all’esterno, per di più.

- È un soffitto incantato, sai. C’è una differenza. Ed è tutto scritto in Storia di Hogwarts – puntualizzò l’altra ragazza, con l’aria di qualcuno che non si arrendeva facilmente.

Daphne sapeva provocare in lei un bizzaro miscuglio di simpatia e fastidio, e il viaggio in treno con lei era stato molto più piacevole di quanto si fosse aspettata all’inizio. Per un po’ erano semplicemente rimaste in silenzio, prima di iniziare a conoscersi meglio – e questo, per lei, era decisamente un punto a suo favore.


Era un po’ una so-tutto-io, certo, ma era anche simpatica e, doveva ammetterlo, non era tanto irritante vederla infervorarsi riguardo a cose che le stavano a cuore, o la incuriosivano soltanto. In casa Bulstrode, la testardaggine era qualcosa di cui andare fieri. E poi, lei aveva l’aria di sapere già tutto ciò che voleva ottenere dalla vita, e questo la affascinava, in un certo senso.

Spero che ci sarai anche tu, tra gli Slytherin, le aveva detto con quel suo sorriso timido ma non freddo, come se fosse già stata Smistata. Tutta la mia famiglia è stata in Slytherin. Non voglio assolutamente essere in Hufflepuff. Non vedo l’ora di cominciare con le lezioni ... lo so che è strano, ma mi interessa molto Storia della Magia.

Millicent sperava di finire in Slytherin, ma non poteva saperlo – e non era nemmeno così certa di volerlo davvero. Millicent si chiedeva perché Storia della Magia apparentemente non godesse di una buona reputazione, e perché nessuno voleva stare in Hufflepuff, e cosa avrebbe davvero studiato in quella scuola fuori dal mondo – dal suo mondo, da tutto ciò che aveva conosciuto e vissuto fino a quel momento.

Millicent aveva tante domande e nessuna risposta, e non era davvero il tipo da grandi riflessioni. Sapeva solo che si sentiva insicura – e lei odiava sentirsi così.

Guardò di nuovo davanti a sé, dove la sagoma nera del castello si stagliava contro il blu cupo del cielo, sempre più vicina. Si perse nei suoi pensieri, e galleggiò per qualche attimo in una quieta sensazione di impotenza.


Una mano si posò sulla sua spalla, leggera come il tocco di una farfalla, fredda.

Millicent si voltò di scatto verso l’altra, sorpresa. Daphne incrociò il suo sguardo per qualche secondo, e poi fissò l’acqua intorno a loro. La mano se ne andò veloce com’era arrivata.

Millicent fece un piccolo sorriso, e le si avvicinò appena un po’ di più.

Era un pensiero stupido e infantile e si rendeva conto di essere troppo grande per certe cose – però, il suo primo obiettivo ad Hogwarts era stare con Daphne Greengrass.

 

- Ci sono determinazione e astuzia, sì ... ma anche costanza, e un grande senso di lealtà ... Hufflepuff, forse? -.

Sotto le larghe falde del Cappello Parlante, Millicent sgranò gli occhi, provando un improvviso moto d’indignazione. Non Hufflepuff, non Hufflepuff, pensò disperatamente, senza nemmeno capire veramente perché. Il Cappello rise.

Millicent sbuffò, e lasciò vagare il suo sguardo per la Sala Grande. Tra la folla dei ragazzi che aspettavano ancora di essere Smistati spuntava la testa bionda di Daphne.

Sopra di loro, una nuvola si mosse pigramente sul soffitto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note finali:

Non ho abbandonato questa storia e non ho intenzione di farlo – anche se potrei darne l’impressione, me ne rendo conto. Sono solo una povera fangirl con troppe idee e altrettanti blocchi dello scrittore.

... Sì, è un modo contorto per scusarmi per il ritardo, nel caso qualcuno si ricordi ancora di me.

 

  
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