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Autore: Ely79    16/10/2012    3 recensioni
Mala è la cartografa dell'aeronave Zenobia, ma la sua mente è ben distante dalle rotte e dalle mappe. I suoi pensieri sono rivolti all'ultimo giorno di scuola di Ester, sua figlia, ed alla sorpresa che le ha preparato. Ma il viaggio riserverà qualcosa anche a lei...
Storia prima classificata al "Miscellaneous - Un altro Diabolico Contest" indetto da Releeshahn.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I - Corporis ornatus
Storia prima classificata al "Miscellaneous - Un altro Diabolico Contest" indetto da Releeshahn.

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Elementi del pacchetto utilizzati: Canzone: the little things give you away - Linkin Park
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Titolo: Minutae res – Piccole cose
Generi: Commedia, Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale.
Rating: arancione
Avvertimenti:  -
Beta-Reader: No
NdA: la canzone fa da sottofondo alla storia, emergendo a tratti. Così ho impiegato il testo originale per creare la lingua di Armada, scrivendolo al contrario, mentre la traduzione l’ho impiegata nel modo più tradizionale all’interno del racconto.  Ambientazione steampunk.

aleena

I - Corporis ornatus1

Le aeronavi dondolavano placide lungo le passerelle dell’aviostazione, cullate da una brezza leggera. Palloni gonfi d’aria rovente e dalle forme più svariate sembravano prossimi a cozzare l’uno contro l’altro, allontanandosi repentini non appena le cime li richiamavano in posizione sopra i ponti e le gondole. Il borbottio di qualche caldaia nascosta nei ventri affusolati segnava il tempo asincrono su cui s’innestava il brusio delle attività mercantili.
Duecento piedi più in basso, i tetti di Borgo Maggiore erano una pennellata di rosso fra il verde dei campi e il grigio della parete rocciosa. L’unico altro colore l’azzurro del cielo terso che sovrastava ogni cosa.
Seduta a gambe incrociate, Farisa era intenta a ripulire una grossa valvola di bronzo che aveva rimosso dalla pompa del motore di babordo. Attorno a lei, sparsi sulle assi del ponte e su ogni possibile superficie offrisse un ripiano, c’erano attrezzi e strofinacci unti. Quel maledetto strozzo si era dimostrato più delicato del previsto e andava pulito con estrema cura ad ogni sosta, se non si voleva correre il rischio di restare in panne a centinaia di piedi da terra. Infilare le mani in quegli affari era uno dei compiti che annoverava tra le attività che detestava svolgere, ma non c’era da stupirsene: l’elenco era pressoché infinito.
«Non ho preso i gradi di Comandante per ritrovarmi ancora morchia tra le chiappe! Nikaerb era seevel eht!» grugnì, spingendo a forza lo straccio nel blocco di alloggiamento.
E dire che solo qualche anno addietro si sarebbe divertita un mondo. Era proprio vero che il potere cambiava le persone.
La stoffa faticava a raggiungere in profondità le pieghe del metallo, costringendola a contorcersi come una serpe. Sentì i residui di grasso infiltrarsi sotto le corte unghie e nei tagli che si era procurata smontando il meccanismo. Grugnì un paio d’imprecazioni, ricordando come la cuoca di bordo l’aveva apostrofata poco prima, dicendole che se non fosse stato per via dei suoi sbuffi da caldaia in pressione, l’avrebbe scambiata per un enorme macchia di sporcizia.
Si passò un braccio sul cranio rasato, lucido di sudore, e gettò da un lato lo strofinaccio.
Un gridolino strozzato le fece levare gli occhi dall’odiosa operazione, fin sulla porta che conduceva alla stiva e a quelle trappole per topi che il suo equipaggio definiva cabine. Sulla soglia, con un piede ancora sospeso a mezz’aria sopra al cencio unto, era apparsa un’altra donna. Ed era un’altra nel senso più ampio del termine perché mai, sulla Zenobia, si era vista una figura più elegante.
Il lungo abito color rosso veneziano seguiva i dettami della moda più recente: la gonna, che scendeva piatta sul davanti, aveva mantenuto balze e decorazioni di merletto finissimo, evitando però i goffi rigonfiamenti della crinolina; sotto la giacca bordata di volant s’intravedeva appena una camicetta chiara dall’alto colletto rigido, ornato da un piccolo cammeo di sardonica, raffigurante una Nike. Sul braccio, una borsetta a secchiello trapunta di perline, un paio di guanti intonati al vestito ed un parasole in merletto Chantilly.
I capelli scuri erano la sola cosa che potesse identificarla come una navigatrice: a differenza delle donne “di terra”, erano raccolti in una miriade di elaborate trecce di differenti spessori, da cui pendevano svariati ornamenti, dalle sferette traforate tipiche del Marocco alle minuscole piastrine smaltate del Mar Baltico.
Farisa avrebbe voluto dire qualcosa per celebrare l’apparizione, una frase ad effetto adatta alla situazione, ma le venne solo d’arricciare le labbra mostrando l’espressione più sbalordita che le riuscì.
L’altra avanzò fino a raggiungere i tubi della condensa che dal pallone scendevano fin nel ventre del mezzo e lì si fermò, aggrappata ai condotti come se si trattasse di un paracadute. Non sembrava particolarmente a suo agio sul ponte che percorreva abitualmente ogni giorno almeno un migliaio di volte, il tutto a causa dell’elegante paio di stivaletti di vernice che faceva capolino da sotto la balza della gonna.
«Syaced epoh. Non so più che fare con te. Non c’è speranza» sospirò paonazza, cercando di tenersi dritta con evidenti difficoltà.
Si era rassegnata ai tiri dell’amica; la speranza che non le procurasse qualche impiccio era precipitata giù dalle murate più di un decennio addietro, nella vana illusione di abituarcisi.
«Tu hai detto stringi» sbuffò facendo spallucce in maniera tutt’altro che innocente.
«Sì, ma non fino a soffocarmi, dannazione!» strepitò, inspirando a fatica. «Mi hai fatto perdere non so quanto tempo per aggiustare quest’affare e ancora non respiro come si deve» si lagnò, dando strattoni alla rigida stoffa del corpetto.
La donna camminava rigida sul ponte dell’aeronave, tentando di mantenere il precario equilibrio sugli alti tacchi. Procedeva lenta, bilanciandosi con le braccia tese ai lati del corpo e trovando appiglio in ogni oggetto sporgente o penzolante.
Il Capitano ridacchiava, mostrando denti di un candore impressionante contro la pelle nerissima.
«Finiscila, non è divertente» la ammonì, cominciando a ritrovare un passo sicuro e regolare.
«Dici? A me sembri uno spasso. Se ti vedessero camminare conciata così ad Armada2, finiresti su tutti i rapporti ed i giornali della città. Vedo già i titoli: “Mala-femmina. Nuovo esemplare di cartografa da esibizione avvistato ai nostri ponti d’imbarco”» ghignò, fingendo d’ignorare l’occhiata truce che ricevette.
Sapeva perfettamente che il genere di appellativi che conteneva il suo nome le faceva perdere le staffe.
«Non darle retta, Mala. Stai benissimo» s’intromise una voce dalla finestrella che si apriva sotto il castelletto di comando, sul lato opposto dell’aeronave. «Ti metterei in cima a una torta, se fossi sicura che non ruzzoleresti giù al primo alito di vento» soggiunse ridendo a crepapelle.
«Molto carino da parte tua, Delizia».
«Prego» replicò, tornando a spignattare.
«Non capisco proprio perché hai voluto metterti addosso quella roba. Non è la prima volta che vai a prenderla» sbottò Farisa stiracchiandosi.
Mala scrollò le spalle. Avevano fatto quel discorso un migliaio di volte in quei giorni, ma il suo Capitano insisteva a farle sempre domande la cui risposta, ai suoi occhi, avrebbe dovuto essere palese.
«Lo so benissimo. Il fatto è che per la prima volta uscirà da scuola come tutti gli altri, non dovrà aspettarmi per colpa di qualche intoppo burocratico o meteorologico. Non voglio si senta a disagio perché le altre madri saranno l’emblema della rispettabilità ed io quello della pirateria… i suoi compagni la tartassavano a sufficienza in passato, non voglio far peggiorare di nuovo le cose ora che si sono sistemate» disse, riflettendo su come il termine “pirata” fosse passato nel giro di pochi anni da un’accezione negativa a una estremamente positiva.
Potenza della mente infantile e delle suggestioni che produceva.
E poi, loro non erano affatto pirati, bensì commercianti, trasportatori, esperti di logistica che avevano abbandonato le rotte “basse” per sfruttare quelle più impervie e meno trafficate dei cieli. La cosa più illegale che avevano fatto era stata prelevare un paio di bottiglie di vino spagnolo da un carico, per festeggiare il mancato inabissamento della Zenobia durante una tempesta a largo di Fuerteventura.
Tuttavia, il loro modo di abbigliarsi, l’immagine bizzarra con cui si presentavano, faceva sì che una buona fetta dell’onesta e bigotta società civile li guardasse con disprezzo.
«E non pretendo che tu capisca, quindi risparmiami le tue solite rampogne» soggiunse, intuendo che dietro alla maschera indolente di Farisa stesse prendendo forma qualche perfida osservazione.
«Noi siamo così, se a quelli dà fastidio, beh, che vadano a buttarsi di sotto. Qui è un bel voletto, per togliersi certe idee dalla testa. E dal resto del corpo» fece l’altra, sputando nel baratro al di sotto dell’aeronave.
Ben sapendo che avrebbe solo perso tempo, impelagandosi in un’ennesima discussione a sfondo sociologico con uno degli esseri meno socievoli del mondo – a qualunque quota lo si frequentasse -, Mala decise di raggiungere lo stretto ponte sospeso che spuntava dal fianco destro della Zenobia.
«È meglio che vada. Non voglio far tardi».
Rispose appena ai saluti delle due compagne, concentrata a mantenere i piedi su un appoggio sicuro, per quanto instabile. La passerella non le era mai parsa tanto lunga e tremebonda. Percorrerla fu un doppio supplizio, abituata com’era nel procedere a lunghe falcate: la linea dell’abito le impediva di allungare il passo quanto avrebbe voluto.
Non appena fu all’altro capo, si diede una rapida controllata, per accertarsi che ogni cosa fosse in ordine e fosse sopravvissuta allo strapazzo di quei primi minuti.
Costatata l’assenza di strappi, macchie e buchi, attraversò svelta il pontile di pietra proiettato sul vuoto, raggiungendo la terrazza semicircolare di fronte agli uffici. Dalla murata dell’Andanacirri3 le gettarono un paio di fiori sottratti al carico. Qualcuno si azzardò persino a fischiarla, alcuni diedero fiato alle sirene di manovra, riempiendo l’aria di dense nuvole di vapore. Sentiva addosso gli occhi di tutti gli equipaggi attraccati e se da un lato la infastidivano, dall’altro, doveva ammetterlo, la lusingavano. Non era abituata a indossare abiti tanto eleganti e femminili, tuttavia l’occasione lo richiedeva e non avrebbe mai e poi mai messo in imbarazzo Ester presentandosi in tenuta da lavoro.
Rimase ferma qualche istante per riprendere fiato e assicurarsi di riuscire a restare in piedi sulla terraferma bene quanto sull’aeronave. Poteva sembrare assurdo per chi non viaggiava giornalmente su quei mezzi, ma quando si era abituati a contrastare rollii, folate improvvise e fremiti, camminare su una superficie immobile poteva diventare una tortura.
Controllò l’ora sul grosso orologio posto sopra il cancello di ferro battuto.
Fece per riprendere la strada, ma sentì la gonna tirare, rischiando di farla cadere a faccia in giù. Ci fu qualche risatina priva di volto dai velivoli.
«Passi piccoli, passi piccoli» ribadì seccata a sé stessa. «Non hai addosso dei pantaloni, accidenti a te. Vedi di ricordartelo!»
Dagli uffici commerciali uscì un impiegato. Aveva poco più di vent’anni, tuttavia la carnagione pallida, gli spessi occhiali e i capelli scarmigliati già indicavano quale sarebbe stato il suo aspetto di lì ad un paio di lustri. Camminava a capo chino, rileggendo a mezza voce gli appunti e le note di carico sui documenti.
Senza volerlo le andò incontro. Vedendo l’ombra a terra si discostò un poco, pensando si trattasse di una segretaria o dell’occasionale avventura di uno dei naviganti quando, alzando lo sguardo, si rese conto di aver di fronte una persona ben nota.
Rimase a fissarla a bocca aperta, le lenti che scivolavano a scatti verso la punta del naso.
«M-Mala?» esclamò incredulo, mordendosi la lingua un attimo dopo.
In genere manteneva un tono molto distaccato e formale, esattamente come gli era stato insegnato alla scuola di commercio. Chiamare per nome i membri degli equipaggi non solo era poco professionale e poteva dare adito a dicerie su presunti favoritismi, ma in quel caso particolare era molto imbarazzante.
Un paio d’anni prima, Alfonso aveva accettato l’invito di un drappello di Avieri della Repubblica. Approfittando della giovane età, i militari avevano deciso di divertirsi alle sue spalle usando la scusa della cena per farlo ubriacare. Uscito dalla taverna praticamente sulle ginocchia, il ragazzo aveva barcollato per mezza città fino a raggiungere i pontili, da cui si era apertamente dichiarato alla navigatrice della Zenobia. Peccato avesse urlato i propri sentimenti all’aeronave sbagliata (un piccolo cargo prussiano maneggiato da ex-galeotti) mentre l’interessata scuoteva il capo quattro stalli più indietro. Non c’era un solo mercante tra quelli che facevano tappa a San Marino che non fosse a conoscenza del fattaccio.
«Che vi prende, Alfonso? Mai vista una donna in ghingheri?» lo stuzzicò, aprendo il parasole con tanta foga da rischiare di spezzarlo in due.
Immediatamente il giovane si riscosse, riposizionando gli occhiali sul naso senza però riuscire a nascondere l’espressione ebete.
«S-sì, ma… n-non… l-lei…» balbettò, fingendo di scribacchiare qualcosa sulla cartelletta che teneva in mano.
La sua goffaggine era esilarante e parecchio tenera.
«E?» insisté Mala.
«E… e…»
«Si spicci, ho fretta» lo incalzò, senza cattiveria.
«E… e c’è che… che le dona» ammise infine, la faccia che virava a un intenso cielo di ponente.
La donna aggiustò il cappellino e fece una smorfia civettuola mentre usciva dall’aviostazione.
Poteva immaginare il giovane che sospirava appoggiato al parapetto nel tentativo di calmarsi mentre teneva lo sguardo puntato sulla balza di pizzo che ondeggiava alla base della sua schiena.
Si divertiva a stuzzicarlo, ma solo perché sperava che se ne facesse una ragione e cercasse altrove l’altra metà del suo cuore. Dopo tutto, anche senza un anello al dito, lei era comunque una donna impegnata.
E poi, Alfonso era un bravo ragazzo, meritava di amare una donna con una vita più tranquilla di quella riservata a una commerciante dei cieli: dubitava che il suo cuore avrebbe retto alle lunghe attese prive di notizie.
Imboccò la discesa che passava accanto alla Cava dei Balestrieri, pregando di non infilare i tacchi nelle commessure del selciato. Voleva arrivare indenne al Convento.

1 Corporis ornatus: abbigliamento
2 Armada: è una citazione da “La città delle navi” di China Miéville.
3 Andanacirri: il nome -ovviamente inventato- deriva da due parole. L’andanatore è un attrezzo agricolo che viene usato per la raccolta del foraggio o di alcuni tipi di ortaggi (es. pomodori); i cirri sono nubi che si formano negli strati più alti dell’atmosfera.
   
 
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