Fear of a fake
Memory
Era buio. Solo alcune candele
rischiaravano l’ambiente, dando una breve illusione di
penombra.
Dei passi risuonavano tiepidi per
il castello. La loro eco che si perdeva dolce nei meandri della
notte.
Stanchi, i piedi si trascinavano
pigri lungo il corridoio di marmo.
Era tardi. Un orologio, da qualche
parte, segnava la mezzanotte passata.
Non
importa.
Si stropicciò gli occhi assonnati,
distogliendo per un po’ la stanchezza.
Da qualche parte, le stelle
stavano a guardare la terra, senza troppo interesse.
Fa
niente.
Scrutò un ultimo appunto,
scarabocchiato malamente su d’una pergamena nella sua mano.
Il finto riflesso di luce delle
candele si burlava dei suoi occhi, indifferente.
Dannate
ombre.
Da qualche parte, i fiori
socchiudevano la propria corolla, attendendo di nuovo la
luce.
Magari il sole sorgerà più tardi,
domani.
Una lunga pila di libri se ne
stava accoccolata sul suo petto, opprimendole il respiro
dolorosamente.
Sbadigliò. No, non ci sarebbe
stata nessuna mano a coprire la sua bocca.
Da qualche parte, la gente sognava
nei caldi letti.
Che dormano.
Le ultime nozioni apprese ancora
vorticavano nella sua testa.
Alcuni, invece, ti scrutano
proprio ora, mentre cammini, leggi o, semplicemente, hai un gran sonno che
vorresti appagare.
Fastidio.
Un improvviso prurito le punse il
palmo della mano.
Di nuovo. Ancora una volta.
Un’altra stupida volta.
Le sue unghie graffiarono
l’epidermide arrossata, dove una piccola cicatrice spiccava insolita. Si fermò
in mezzo al corridoio, come colta da sgomento.
Fingi di non vedere. Lascia
perdere.
Il suo sguardo si rabbuiò.
Già. I ricordi sono dolorosi.
Eppure è così dolce lasciarsi cullare da essi.
Distogli lo sguardo.
Ora.
Forse, è per questo che non
smettiamo di rivivere quegli attimi?
No, non lo fare. Sai che te ne
pentirai.
Accarezzò con le labbra il piccolo
segno.
Dolcemente ne delineò la forma,
piano ne percepì il calore. Impresse la sua immagine sulla propria bocca,
lentamente.
Quasi avesse paura che scomparisse
d’un tratto.
Che sciocchezza.
Ma come poter anche solo pensare
una cosa del genere?
No. Sono segni indelebili quelli.
Racchiudono cose che pensiamo di aver già dimenticato, di aver solo immaginato.
Sperato.
Basta, ti
prego.
Per un attimo, per uno solo,
quelle piccole memorie vengono a sussurrarci ricordi
agrodolci.
Per un momento, anche se unico, la
notte non sembra poi così nera.
E’ solo un’
illusione.
Ma l’attimo s’ infrange. La
limpida superficie s’ increspa, spargendo, qua e là, venature di dolore.
Riprese a camminare. Ora la sua
mano ciondolava lungo il fianco, abbandonata dolcemente nelle braccia
dell’oblio, destinata ad essere dimenticata.
La vista divenne d’improvviso
ancora più annebbiata.
Che fai,
piangi?
Barcollò un poco. Ora, le gambe le
tremavano. Si morse un labbro per rimanere lucida.
E’
inutile.
Si costrinse a proseguire. Mise il
piede destro avanti, poi l’altro.
Frammenti di cristallo giacevano
sul pavimento scompostamente. Li calpestò.
Chissà, forse per puro
caso.
Non
credo.
Si fermò, di nuovo. Tentò di
dissuadere le lacrime a fuoriuscire, invano.
Stringeva convulsamente i libri,
cercando in essi un appiglio. Le nocche le si fecero bianche per lo
sforzo.
Era troppo poco.
Perché
insisti?
La stanchezza vinse, un’altra
volta.
I libri scivolarono via dalle sue
mani, con una cadenza esasperante.
Non fecero quasi rumore. Forse,
non caddero neanche.
E’ così facile perdere
l’equilibrio.
Si lasciò cadere a terra. Le mani
rivolte in avanti per arrestare la caduta.
Il marmo sembrava di plastica. Non
pareva reale. Forse, non lo era per davvero.
Povera Mezzosangue.
Dilatò le pupille.
Questo non era reale. Questa era
la cosa più falsa tra tutte.
Sì, tu. Mudblood.
«Zitto.». Un sussurro scaturì dalle sue
labbra secche.
Le dita chiuse nei pugni umidi di
lacrime ripresero colore.
Stupida.
Mezzosangue.
La voce, quella voce, sembrò
scemare.
Sorrise appena.
«Tu menti.». La sua parola assunse una
sfumatura di sicurezza. «Ora siamo uguali.»
Scrutò il palmo della sua mano.
C’era un taglio fresco sopra. La cicatrice era svanita.
T-ti
sbagli.
Tentennò. Il tono era
flebile.
«Che
fai, balbetti?», domandò beffarda. Si rialzò, anche se a
fatica.
…
Si voltò. Una figura pallida e
frammentata, ora, si trovava di fronte a lei.
La debole luce giocava con quella
pallida proiezione: la sua paura.
«Tu
non esisti.», affermò convinta.
Come
fai ad esserne così sicura?
Il tono era appena udibile.
Scosse la testa. «Lui
non mi avrebbe mai chiamata così. Non più almeno.»
La
falsa immagine di Draco si affievolì ancor di più. La sua consistenza divenne
aria.
Ti
stai illudendo.
Riuscì
a dire la voce, mentre le parole si confondevano confuse.
I
suoi occhi si ridussero a due fessure.
«Vattene!».
Hermione gridò con tutta la voce che aveva in corpo.
Ne
uscì davvero qualche suono? Così sembra.
Nooo….
Un
ultimo grido soffocato e la figura si dissolse. Silenzio.
Il
cuore le palpitava rapido, ma non riusciva a sentirlo.
Tutto
intorno a lei si oscurò. Buio. Freddo.
Una
risata beffarda giunse come eco della sua debole
coscienza.
E
se quello che aveva detto fosse vero? Si stava soltanto
illudendo?
Cercò
conforto nella piccola cicatrice bianca, invano.
“No,
no…”. Nulla. Le tenebre erano indissolubili.
Riprese
a singhiozzare. Lacrime senza consistenza le rigarono il
volto.
Persa.
Persa dentro di sé, dentro la sua sciocca realtà sfocata.
Stava
per abbandonarvicisi. Sarebbe stato straordinariamente dolce e
semplice.
Svegliati.
Un
suono così dissonante dal resto che la circondava le riempì la
testa.
Era
calmo e melodioso. Sembrava così reale…
Svegliati.
Un
tocco le sfiorò le labbra. Era umido ed incredibilmente
caldo.
Sobbalzò.
Una
luce incominciò ad avvolgere le ombre intorno a sé.
Hermione,
è tardi.
«Draco…»,
disse piano, «sei tu…?». Ora la sua voce non era più
afona.
Sì.
No,
non si era sbagliata. Quella risposta l’aveva udita
veramente.
Ormai
c’era un chiarore assoluto, quasi insopportabile.
Sorrise.
«Grazie.».
Tutto
intorno a lei scomparve e la realtà ebbe il sopravvento.
Per
fortuna.
Note
dell’autrice:
Sì,
alla fine ho ceduto. Ecco un altro esperimento.
Spero
vi piaccia. Fatemi sapere. ^^
Anle