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Autore: Adrienne Sunshine    23/10/2012    6 recensioni
Due vite sospese tra sogno e realtà.
Nuove verità, del tutto sconcertanti.
Barbara e Dario, nemici da cinque anni. Nemici inseparabili, sia chiaro.
Lei, ragazza dal cuore puro. Testarda e orgogliosa come poche. E lui, alle prese con problemi troppo grandi per un ragazzo della sua età.
Il destino li sta preparando a qualcosa di più potente? Forse.
Gli amici scommettono su Cupido, mentre loro si dichiarano odio a cuore aperto.
Chi avrà ragione? Lo scopriranno presto.
Anche se si sa, la vita non sceglie sempre il percorso più semplice.
E la loro storia ne è l'esempio più eclatante.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 6. Feelings

 

A Greta e Leandra,
perché se oggi questo capitolo è qui lo devo anche a loro.
E alle altre ragazze, che sabato mi hanno regalato una giornata stupenda.
 

‹‹Cosa vuoi da me, Dario?›› sbottai esasperata da quella situazione, che si ripeteva ormai da troppo tempo. ‹‹Perché non ti godi la beatitudine e mi lasci ricominciare a respirare?››
Non avrei retto quella situazione un minuto di più.
Da quanto mi aveva raccontato mia madre, avevo trascorso gli ultimi cinque mesi in uno stato di apatia tanto anomalo in me da spingere anche lei a preoccuparsi. E io non accettavo che Maltese, dopo avermi rovinato l’esistenza mentre era ancora in vita, mi inseguisse con quegli stupidi giochetti da illusionista adesso che tutto sembrava finito.
Non era da me neppure pensarla in quel modo. Non lo credevo possibile fino a pochi istanti prima, quando l’ennesima apparizione di quel ragazzino impertinente non mi aveva condotto al punto critico di ogni mio equilibrio psico-fisico.
Insomma, svegliarmi un giorno e scoprire quanto successo qualche mese addietro era un prezzo sufficientemente alto da pagare per scontare una pena di cui non mi era dato di conoscere l’origine.
Avevo litigato con lui così tante volte da averne perso il conto. Gli avevo rivolto i peggiori insulti mai usciti dalle mie labbra; avevo cercato di provocargli del dolore fisico, dal momento che ogni mia parola, se rivolta a quel ragazzo dall’orgoglio spropositato, sembrava non sortire alcun effetto. Ma non avevo mai fatto tanto da credere di dover meritare una punizione tanto grande, come il perdere la certezza che lui - sebbene quasi sempre nel “male” - ci sarebbe sempre stato.
Invece, dal giorno di quel dannato sparo, i pensieri mi avevano inghiottita impedendomi così di continuare a vivere. E la sua costante presenza non mi aiutava di certo.
 
‹‹E impedirmi di vederti sbuffare come un caminetto, nel mese di Dicembre? Non ci penso neanche!›› Ed eccola, l’ennesima testimonianza di quanto quello stupido un cervello non ce lo avesse. Era nato per infestarmi l’esistenza con le sue marachelle, i capricci di un bambino che pesta i piedi per ottenere sempre ciò che vuole.
Il peggio è che tutto questo mi mancava, forse troppo.
Avrei dato qualsiasi cosa per tornare a fronteggiare quello sguardo dispettoso, quel ghigno malefico che mi accoglieva ogni giorno a scuola e ogni volta che lo incrociavo accidentalmente per strada o nel luogo di ritrovo per i più giovani. Avevo bisogno di sapere che, qualunque cosa fosse successa, uscendo avrei ritrovato quella certezza di saperlo lì, pronto a farmi pensare a tutt’altro.
Era questo che, probabilmente, invece Maltese non capiva.
Per lui si trattava di un gioco, una partita solo un po’ più intrigante di una semplice sfuriata faccia a faccia, come spesso accadeva tra noi. Adesso lui poteva barare, in modo tanto sleale quanto doloroso, perché faceva male. Un male pazzesco, di cui lui non si accorgeva.
 
‹‹Perché non mi hai lasciata morire, invece di fare l’eroe e sacrificarti per me? Sei così stronzo da…››
 
‹‹Ah!›› esclamò, interrompendo la mia arringa e lasciandomi infervorata ad attendere una spiegazione a quella brutale esclamazione. ‹‹Le parole, Bratz. Sei pur sempre di fronte ad un defunto, più vicino all’Onnipotente di quanto lo sia tu!››
La mia mascella per poco non si frantumò contro il pavimento di quella stanza.
Non era possibile. Quel ragazzino insolente non poteva davvero aver pronunciato quelle parole, non senza sapere che attacco d’ira avrebbe causato nel suo interlocutore.
‹‹Non sai quanto Lui sia suscettib…››

‹‹Taci, imbecille!›› lo rimbeccai, furiosa come poche volte in vita mia. ‹‹Come ti permetti, eh? Non solo mi tocca sopportare di vederti apparire e sparire come un illusionista ogni qualvolta tu ne abbia voglia. No, secondo quei due neuroni malati che fanno compagnia al milligrammo di materia grigia che hai nel cervello, ti arroghi anche il diritto di prenderti gioco di me!››
Parlare con lui era del tutto inutile. Lo sapevo prima e avrei dovuto ricordarmene anche in quel momento.
Infatti, nascosto dallo sguardo confuso che mi lanciava da quando lo avevo interrotto arrabbiata, aleggiava quel sorriso impertinente da grandissimo stronzo quale era. Forse una parola pesante da dire in riferimento ad una persona morta, ma pur sempre vera.
Lo odiavo profondamente, come mai mi era successo. Una volta glielo avevo anche detto, quando la pazienza aveva raggiunto il suo limite e la rabbia aveva preso il sopravvento.
Quelgiorno. Glielo avevo detto quel giorno.
Mai però mi era successo di sentire quel sentimento così prepotente dentro me, come se tenerlo segreto mi stesse costando anima e corpo. Anche se, forse, odio non era.
‹‹Sono stanca, frustrata e dispotica. Stai rendendo la mia vita un inferno, peggio che se questa fosse stata brutalmente stroncata alla giovane età di diciannove anni. Se la cosa ti gratifica, sono a pezzi per colpa tua e della tua stupida impulsività.››
Lo vidi rabbuiarsi, come se stesse riflettendo seriamente su ciò che gli avevo appena detto e questo lo turbasse. Forse c’era una piccola speranza anche per lui, non tutto era perduto. Forse si sarebbe finalmente convinto a comportarsi da persona matura e ad ascoltare le mie preghiere - seppur esternate sempre sottoforma di frasi acide e scontrose.
‹‹Avresti dovuto rimanere dov’eri, lasciare che quel proiettile mi colpisse. Adesso sarebbe più facile odiarti.›› E, alla fine, lo avevo ammesso.
 
‹‹Non sapevo di queste tue manie suicide, Bratz. Avresti potuto dirmelo prima, non credi?›› aveva risposto, ritrovando quella verve con cui era solito prendermi in giro.
Era incredibile come anche in situazioni delicate, per non dire drammatiche, riuscisse a fare dell’ironia spicciola. ‹‹Comunque tranquilla, non ti sei persa molto. Il Paradiso non è tutto nuvole di zucchero filato e la loro Costituzione è scritta su due tavole di pietra che non potresti portarti a scuola nemmeno con una carriola. Per non parlare della fissa per le parolacce! Impronunciabili, più di Voldemort›› aveva sbuffato, evidentemente scocciato per tutte quelle regole comportamentali da seguire. Lui, che non sapeva neppure allacciarsi una stringa senza imprecare!
Quel discorso però, del tutto sconclusionato e piuttosto buffo se pronunciato in quella circostanza, aveva sortito in me un effetto che sembrò lasciare basito persino Maltese.
‹‹Ehi, Bratz, si è sciolto il ghiaccio al Polo?›› aveva domandato con un sorriso beffardo, osservando gli angoli della mia bocca alzarsi.
 
‹‹Ti odio, stupido ragazzino›› avevo prontamente replicato io, cercando di nascondere le risa che mi scuotevano febbrilmente tutto il corpo.
Non volevo dargli la soddisfazione di un mio sorriso, dopo che nei precedenti cinque mesi non ne avessi regalato uno sincero nemmeno alla mia famiglia. Non poteva prendersi anche quello, oltre al mio precario equilibrio emotivo e al mio rancore per avermi fatto quello.
 
‹‹Guarda che ti cresce il naso come Pinocchio, Pelm›› mi aveva ammonita, puntandomi contro l’indice con atteggiamento materno.
Nel frattempo, io mi ero fermata un attimo, perplessa.
 
‹‹Pelm?››
 
‹‹Pompelmo. Abbreviato “Pelm”.››
Lo avrei ucciso con le mie stesse mani, se solo fossi riuscita ad afferrare quel corpo evanescente a cui non mi ero più avvicinata da quel tentativo di spintonarlo che mi aveva fatto scoprire qualcosa che ancora mi rifiutavo di credere. Perché doveva essere tutto frutto della mia mente, anche se questo avrebbe significato finire in un ospedale psichiatrico. E avere la certezza che lui non ci fosse più, davvero.
‹‹Credevo che alle ragazze piacessero queste cose sdolcinate, alla “Romeo e Giulietta”. Certo, non che tu sia una ragazza…›› E il braccio si era mosso prima che me ne rendessi effettivamente conto.
Il libro che avevo visto appoggiato alla scrivania era volato senza esitazioni verso il muso di Maltese, finendo con lo schiantarsi contro il muro retrostante. Ancora una volta quel gesto mi lasciò senza fiato, quasi si trattasse di una conferma di quello che cercavo con tutte le forze di dimenticare - nonostante le battute poco cortesi di poco prima. Eppure lo sguardo esterrefatto che mi aveva rivolto quel ragazzino e l’espressione dolorante che gli si era dipinta sul volto mi avevano aiutata parecchio a fingere ancora, per quella volta.
 
‹‹Cazzo›› aveva infatti esclamato, indignato e spaventato dal mio gesto del tutto inaspettato. ‹‹Mi hai fatto male qui, proprio qui›› si era indicato il petto, all’altezza del cuore.
 
‹‹Zitto, o riferisco al tuo Superiore che usi un linguaggio scurrile in sua assenza!››
 
‹‹Stron…››
 
‹‹Ah!›› avevo sorriso trionfante, cercando di mantenere uno sguardo severo con scarsi risultati. ‹‹Bene, ora passiamo ad argomenti più seri.››
‹‹Cosa vuoi da me?›› avevo sfiatato, di nuovo, ormai rassegnata. L’ennesimo cambiamento repentino aveva confuso anche lui. ‹‹Ti diverte così tanto farmi impazzire? È questo che vuoi? ››
Si erano rotti gli argini, sapevo che prima o poi sarebbe accaduto. Ed ero consapevole anche del fatto che, il giorno in cui sarebbe successo, non sarebbe bastato il cemento armato a richiudere quella frattura.
‹‹Il tuo ego è così smisurato da godere nel vedermi in questo stato pietoso, magari mentre mi maledico per quelle lacrime traditrici che non mi danno tregua? Non ti credevo così meschino, Maltese›› avevo proseguito, imperterrita.
La rabbia era evidente, la frustrazione ancor di più. Se fossi stata realmente una ciminiera, probabilmente avrei emesso fumi di scarico così tossici da devastare l’intera foresta amazzonica, il polmone del mondo.
‹‹Oppure è per vendetta che fai tutto questo? Vuoi che crepi di infarto, in uno delle tue tante apparizioni dall’oltretomba? Come ho fatto a non pensarci prima? Che sciocca, dovevo immaginarlo che non mi avresti salvato la vita senza chiedere lo scotto››.
Alla fine ci era riuscito, aveva ottenuto la reazione tanto attesa. Forse, però, nemmeno Maltese credeva che, quando mi sarei decisa a parlare, sarei esplosa con tanta irruenta disperazione.
Ad ogni parola, sembrava che una pugnalata al cuore m’incrinasse la voce. La stanchezza aveva preso il posto della determinazione che mi aveva sempre distinta dalle oche che giravano per il corridoio del nostro liceo, la stessa che mi aveva sempre impedito di cadere ai piedi dell’indiscutibile fascino dello stronzo.
‹‹Perché…?›› E la rabbia era stata inghiottita dalle sabbie mobili dell’incertezza, del bisogno di una verità, una risposta a cui aggrapparmi per sopravvivere.
 
‹‹Mi dispiace, Bratz›› rispose Dario, stranamente sincero.
 
‹‹L’hai già detto››. Ricordavo perfettamente il giorno in cui avevo scoperto la verità su quanto fosse successo, il giorno dello stravolgimento di ogni equilibrio costruito fino ad allora. Quel giorno avevo capito che l’equilibrio su cui tanto avevo fatto affidamento se l’era portato via lui, trascinando con sé una parte di me non indifferente.
 
‹‹Vorrei spiegarti perché sono qui, ma non posso›› aveva continuato lui, nel tentativo di consolarmi probabilmente.
Quelle due parole mi avevano costretta ad abbassare ulteriormente il capo, ormai coperto da quelle gocce di rabbia e confusione che avevano inondato il mio viso. Oramai era mia abitudine lasciarmi andare a emozioni contrastanti, in particolar modo da quando sapevo che Maltese non avrebbe più potuto deridere quelle esternazioni sincere. Non avevo più alcun motivo per trattenermi dal mostrare la mia debolezza, il mio tallone d’Achille, e questo non sapevo se potesse essere positivo o meno. In fondo, a cosa avevo dovuto rinunciare per ottenere un po’ di libertà? Alla sua fastidiosa, impertinente, esasperante presenza. Avevo avuto ciò che da tempo desideravo, rinunciando a lui.
 
‹‹Non potresti semplicemente andartene? ›› avevo ripreso un po’ del coraggio perduto, facendo quella richiesta bugiarda e borbottata, mentre invano tentavo di fermare le lacrime.
 
‹‹Credo tu sappia meglio di me che questo non è possibile›› mi aveva risposto, con quella smorfia presuntuosa che era solito sfoggiare per darsi importanza.
E, in effetti, lo sapevo. Inspiegabilmente, dentro me sentivo che dietro a questo suo strano atteggiamento ci fosse dell’altro, qualcosa che ancora non mi fosse dato di scoprire. A dir la verità, non ero sicura di voler sapere cosa si celasse dietro alle sue improvvise apparizioni, perché avevo paura che la confusione, già regnante nella mia testa, aumentasse.
Ero sempre stata una ragazza a cui la parola “certezza” piaceva tanto, forse era il termine più ben costruito che avessi mai conosciuto. Da quando Dario passeggiava tra il mio passato e il mio presente però, la tranquillità di quelle sillabe mi era divenuta sconosciuta.
Forse era colpa mia, della mia capacità di lasciarmi condizionare da eventi e sensazioni, soprattutto quando avrei dovuto solo indossare una di quelle mascherine per dormire e proseguire per dove l’istinto mi avrebbe condotta. Eppure non ne ero capace, non quando si trattava di perdere qualcosa di più solido di una semplice abitudine, come lo poteva essere la completa inattitudine alle lacrime per me, prima.
 
‹‹Tua madre››. L’ormai familiare voce maschile, che da qualche tempo mi perseguitava nei miei incubi più segreti, interruppe la solita catena di pensieri che invadeva la mia mente in sua presenza, o quando il pensiero di lui mi sfiorava. ‹‹Sai, è più simpatica ed educata di te, Bratz. Possibile che tu non sia stata capace nemmeno di apprendere le regole più semplici della buona convivenza da una donna esemplare come lei? Male, Bratz, molto male…›› sogghignò il bastardo, nel vano tentativo di farmi infuriare.
 
‹‹Sii positivo, Maltese. Se non avessi appreso proprio nulla, al cimitero ci saresti finito molto tempo fa››. Voleva giocare? Bene, non mi sarei tirata indietro solo perché adesso…
Beh, forse non sarebbe stato proprio così facile. Solo quella battuta maligna, sfuggita dalle labbra, mi aveva provocato un senso di vertigini che non avevo mai provato in vita mia.
Lo sguardo di Dario si era spento per un attimo, colpito dalla sfrontatezza di quella risposta, di cui probabilmente ancora non mi credeva capace.
Abbozzai un sorriso di scuse, ma ne uscì una smorfia di nero dolore, che non gli sfuggì. Infatti sfoderò il suo solito ghigno, replicando con un “touchè”, prima di volatilizzarsi nel nulla.
 
 
‹‹Barbie? Dove sei?›› udii la voce di mia madre farsi sempre più vicina; così decisi di sgattaiolare fuori dalla stanza proibita e di andarle incontro, prima che si accorgesse del tempo trascorso lì dentro.
 
‹‹Shhh! Giada sta dormendo, non vorrai svegliarla proprio ora che sono riuscita a farla addormentare!››
 
‹‹Quella bambina è un vulcano in continua eruzione, non si stanca mai›› disse lei, sovrappensiero, riducendo il volume della voce di qualche ottava. ‹‹Chissà quanto deve essere difficile continuare a vivere la sua infanzia senza fratello.››
La malinconia di quel pensiero mi pervase in una frazione di secondo, costringendomi ad abbassare lo sguardo ancora una volta e a fuggire lontano con la mente dalla preoccupazione di mia madre.
Non volevo che si sentisse costretta a non toccare l’argomento, ero abbastanza grande da poter gestire quegli strani vuoti al petto quando si trattava di lui. Solo che ancora non ero pronta ad affrontarli serenamente di fronte ad “estranei” che non fossero Dario, Bratz ed io.
Chissà perché, poi…
 
‹‹Non solo per lei›› mi limitai a sussurrare, consapevole di attirare tutta l’attenzione di mia madre su di me.
Forse parlarne con lei, confidarle il mio malessere interiore, mi avrebbe aiutato a elaborare il lutto. ‹‹Sì, insomma, non credo sia facile per nessuno di quelli che in qualche modo abbiano avuto a che fare con lui. Sai, conoscere una persona che poi…”
Vuoto. Non sapevo proprio come continuare e il nodo in gola andava intensificandosi, portandomi sull’orlo delle lacrime.
 
‹‹Manchi anche a lui, ne sono certa tesoro››.
E, con quella strana speranza nel cuore, abbandonai la conversazione con un assenso poco convinto.
          
 
Le giornate trascorrevano frenetiche, tra un pensiero e l’altro, tra un dubbio e le poche certezze rimaste.
Mia madre mi aveva messa di fronte ad una realtà da cui non sarei potuta fuggire ancora per molto, essendo ormai Agosto ed essendo la scadenza tanto vicina. Le iscrizioni alle diverse facoltà non sarebbero rimaste aperte in eterno, e io ancora non sapevo cosa fare del mio futuro.
Se me lo avessero chiesto solo qualche mese prima, avrei saputo rispondere con certezza che sarei diventata un avvocato e che avrei quindi intrapreso la carriera universitaria del corso di giurisprudenza. Ma, ad oggi e dopo tutto ciò che era accaduto, non sapevo che decisione prendere. Il mio futuro era precario, così come l’equilibrio interiore che avevo cercato di ricostruire con qualche abbraccio e del nastro biadesivo con scarsi risultati.
 
‹‹Barbie, devi prendere una decisione. Non puoi vivere continuamente tra passato e presente, è giusto che tu vada avanti e devi cominciare a farlo adesso›› erano le parole che mia mamma mi rivolgeva quasi ogni giorno, nel tentativo di convincermi a prendere in mano l’opuscolo con le diverse università per sceglierne una che facesse al caso mio. Inutile dire quanto vani si rivelassero i suoi sforzi, che si scontravano inevitabilmente con la mia proverbiale testardaggine.
Da quando poi avevo perso quella piccola parte di me, sepolta metri e metri sotto terra insieme ad ogni mia certezza, si era spenta anche la determinazione che mi spingeva ad essere sempre meglio. Non avevo più nessuno a cui dimostrare che valevo qualcosa, anche se mi rendevo conto di quanto quel pensiero fosse assurdo e sbagliato, soprattutto nei confronti di chi, come la mia famiglia, mi avesse sempre sostenuto in ogni scelta.
Nel frattempo, la presenza di Maltese si era fatta meno costante e, ogni volta che veniva a farmi visita, sembrava sempre assente e pensieroso.
Ma la cosa maggiormente preoccupante era la totale mancanza di spiegazioni a questo suo comportamento evasivo. Quando gli domandavo - perché ormai era chiaro che io non potessi più fingere che lui non ci fosse - a che cosa stesse pensando, lui si limitava a guardarmi per un attimo e a scuotere poi la testa senza darmi risposta alcuna.
Era come se combattesse con se stesso per l’eventualità di riferirmi ciò che lo tormentava, ma che quella possibilità lo spaventasse e questo lo spingesse ad ignorare le mie continue proteste spazientite. Vivere con quel cruccio, non poter sapere cosa passasse per la testa a quel ragazzino testardo mi faceva impazzire.
Nell’ultimo periodo poi aveva preso poi una strana abitudine, che mi mandava su tutte le furie e che serviva solo a destabilizzarmi più di quanto già non lo fossi per gli avvenimenti di qualche mese prima.
Ogni qualvolta provassi a chiedergli spiegazioni sul suo comportamento, Dario si limitava a rivolgermi uno sguardo frustrato, quasi preoccupato, prima di sparire nel nulla così come era apparso.
Quell’atteggiamento non era da lui, sempre ironico e malizioso, dispettoso e capriccioso, tanto che avevo cominciato a evitare qualsiasi domanda che potesse farlo scappare senza un motivo a me comprensibile. Non volevo che si allontanasse da me, anche se fino a poco tempo prima avevo bramato per quegli attimi di pace in cui lui non mi imponeva la sua presenza.
Era come se il non vederlo attorno a me, ai miei gesti, mi rendesse ansiosa. Inconsciamente, avevo paura di saperlo solo chissà dove, come se potesse davvero accadergli qualcosa di peggio di ciò che già gli era successo. Cosa poteva esserci più della morte?
Questa condizione di continua apprensione, unita al dolore che ancora non ero riuscita a metabolizzare, mi impediva di prendere in mano il mio destino e di farne qualcosa di concreto che potesse giovare a me e al mio futuro.
L’unica certezza a cui mi aggrappavo era la tranquillità che mi infondeva la sua vicinanza. Un assioma del tutto nuovo e stravolgente per me.
 
 
Un giorno, dopo che per l’ennesima volta Maltese era fuggito in terre a me sconosciute, vinta dallo sconforto per quella paradossale situazione, decisi di prendere il telefono e composi un numero che ancora ricordavo bene.
 
‹‹Pronto?›› sentii rispondere la voce dall’altra parte della cornetta.
 
‹‹Ehi, Greta, sono Barbara.››
Non ero certa che si ricordasse ancora di me, visto il tempo trascorso dall’ultima volta che ci eravamo sentite. A dire il vero, non ero nemmeno certa che volesse ricordare chi fossi, dal momento che non mi ero comportata da amica sparendo all’improvviso senza una spiegazione.
 
‹‹Barbie, tesoro! Come stai?›› esclamò invece lei, facendomi capire che per lei non era cambiato niente. Forse qualcuno le aveva spiegato, e lei aveva rispettato i miei tempi. Aveva capito, come sempre.
 
‹‹Eh,›› sospirai, ‹‹potrebbe andare meglio. Tu invece, che mi racconti?››
 
‹‹Le solite cose. Continuo a frequentare l’università, torno a casa non appena ne ho la possibilità e tra qualche giorno dovrei essere in zona, vado da Lea.››
 
‹‹Davvero? Magari possiamo pranzare insieme, un giorno di questi!›› strillai, forse un po’ troppo esaltata all’idea di rivedere quelle due ragazze che incontravo poche volte all’anno ma a cui ero molto legata.
 
‹‹Certo, ne parlo con Lea così poi ci mettiamo d’accordo›› assentì lei, facendomi sorridere sinceramente per la seconda volta in quell’ultimo periodo.
Riagganciai felice di aver preso quella decisione e della notizia appena appresa. Quando avevo deciso di telefonare a Greta, volevo sentire una voce amica che mi ascoltasse e consigliasse in quella che per me era oramai una situazione insostenibile.
Ma, una volta saputo del suo imminente arrivo, avevo dimenticato tutto ed ero stata ben contenta di poter riabbracciare presto sia lei che Lea, due persone che sentivo più vicine di molte altre che mi giravano quotidianamente attorno.
Avevo bisogno di parlare con loro, di ridere e scherzare. Dovevo distrarmi, far chiarezza in tutto quello e farmi raccontare anche qualcosa di nuovo. Qualcosa di loro.
E poi, avevo anche un tremendo bisogno di tuffarmi su di un panino ipercalorico, che avrei sicuramente trovato nel fastfood dove ci saremmo rifugiate per qualche ora.
 
Trascorsi quindi il resto della giornata a bearmi di quella rinnovata gioia, un sentimento che non provavo da troppo tempo ormai e di cui avevo persino dimenticato la consistenza. Avrei dovuto ringraziare quelle due ragazze, anche se loro non potevano sapere quanto avessero fatto per me quel giorno.
Peccato che la tranquillità non durò molto, una costante incostante a cui mi ero abituata nei mesi precedenti, seppur sempre con qualche effetto non poco rilevante.
 
‹‹Bratz›› avevo infatti sentito sussurrare al mio orecchio, mentre Morfeo già mi chiamava a sé. ‹‹Bratz›› aveva insistito la voce fastidiosa, ma familiare che m’impediva di dormire.
 
‹‹Mmm›› mi ero costretta a rispondere, nella vana speranza che quel seccatore mi lasciasse in pace.
 
‹‹Ho bisogno del tuo aiuto.››
E, dopo quella tanto desiderata ammissione, sprofondai nell’oblio con il cuore gonfio d’orgoglio.


 

Okay, so che in questi mesi avrete fatto scorta di ortaggi da lanciarmi.
Ma, vi prego, non tutti insieme!
Dunque, non ha senso stare qui a giustificarmi. Mi limito solo a dirvi che sono stata risucchiata dalla quotidianità e da mille altri impegni che mi hanno impedito di essere qui prima - complice anche la totale assenza di ispirazione.
Passando al capitolo, credo che il titolo si spieghi già da sé. “Sentimenti”, perché questo capitolo 6 ne è pieno, anche se spesso tra loro contrastanti.
Poi scopriamo qualcosa in più sui due personaggi, come la lingua lunga di Barbara quando si impegna per essere acida e la stupidità di Dario, che si diverte con battute davvero imbecilli!
So che molti potrebbero pensare che questo scambio tra i due sia impossibile e di cattivo gusto, soprattutto considerata la condizione del protagonista, ma posso assicurarvi che io non lo vedo così surreale.
Mi è capitato spesso - perché sì, questa storia ha un vaghissimo riferimento a qualcosa che mi è successo anni fa - di alzare la testa al cielo e di “insultare” il Dario in questione.
Ma questo non c’entra molto con la storia, quindi chiudo la parentesi velocemente come l’ho aperta.
Diciamo che le cose si sono un po’ sbloccate tra i due. Già qui vediamo un po’ più di azione e di dialogo, e nei prossimi capitoli capiremo di che tipo di aiuto abbia bisogno il nostro bad boy ;)
 
Spero di non tornare nuovamente tra sei mesi, ce la metterò tutta per scrivere il settimo capitolo di fretta e furia.
Un bacione, e un grazie immenso a chi è rimasto ad aspettarmi per così tanto tempo. Spero di non avervi deluso!
 
Adrienne

  
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