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Autore: Remedios la Bella    14/12/2012    3 recensioni
Julie. Occhi curiosi e un morboso attaccamento per i casi di serial killer e omicidi.
Adam. Uomo della porta accanto, mite e bizzarro.
I due si conosceranno, in una tranquilla giornata estiva.
Ma dietro l'apparenza si può celare la più cruda delle verità. Una verità che solo il sangue può nascondere agli occhi degli altri.
Enjoy.
Genere: Introspettivo, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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L’uomo teneva le dita intrecciate e i gomiti poggiati alle ginocchia, seduto sul letto e pensieroso. Quel giorno la luce filtrava dalla finestra abbondantemente, il sole sembrava preannunciare una bella giornata e lui più tardi sarebbe uscito per la sua solita passeggiata del pomeriggio.
Si alzò, e misurò per l’ennesima volta la sua stanza a passi lenti e lunghi. Uno, due, ormai aveva perso il conto delle mattonelle che era riuscito a contare nei momenti di totale noia che ormai poteva concedersi sempre.
Si avvicinò alla porta della stanza, in cui era piantata una reticella per comunicare con l’esterno.
“Novità, Philippe?” chiese a qualcuno lì fuori. L’interessato si voltò verso di lui e inarcò un sopracciglio:” Non sembra, Dahmer. Niente come sempre.” Indossava una divisa ospedaliera e picchiettava con la sua penna biro sulla cartella clinica di qualche paziente.
Adam, deluso dalla risposta del dottore, tornò verso il suo letto e vi si stese. Guardò verso il comodino, dove la scatolina di psicofarmaci rifletteva la luce del sole in un riflesso giallognolo.
Sospirò, portandosi poi le mani dietro la nuca e canticchiando un motivetto infantile senza aprire la bocca.
Nel mentre, una macchina nera e dai vetri oscurati passava davanti al viale dell’ospedale psichiatrico e parcheggiava proprio davanti all’entrata. Dal posto del guidatore ne scese un poliziotto che aprì la portiera dietro, facendo scendere una ragazza dai capelli rossi, su cui si intravedevano segni di tinta corvina, e una faccia lentigginosa illuminata da due occhi verdi-castani acquosi e pensierosi.
Julie teneva le mani dietro legate da una manetta che tintinnava a ogni suo movimento, e scoccò al guidatore un’occhiata diffidente.
“Muoviti.” Le tuonò l’uomo, afferrandola per il braccio e portandola dentro la struttura. Lei non oppose resistenza, aveva chiesto lei di andarci in fondo, ma non le piaceva il modo in cui veniva trattata.
All’ingresso, vennero accolti da un’infermiera che chiese loro chi fossero venuti a visitare. La donna non si risparmiò dal volgere a Julie un’occhiata irrequieta, come se temesse che quella ragazza le potesse saltare addosso.
“Dahmer Adam.” Fece con voce atona il poliziotto. L’infermiera scorse la lista nella sua cartella e poi sorrise:” Da questa parte, prego.”
Li guidò attraverso un corridoio asettico e bianco quasi accecante, oltrepassarono una porta a doppia anta e finirono in un corridoio costeggiato di porte e medici in divisa acqua marina, che camminavano su e giù, erano tanti quante erano le porte.
Camminarono ancora per un po’, e la ragazza potè sentire gli sguardi, forse impauriti, che la trafiggevano da parte a parte. Tentò di non mostrare interesse per quel gesto che ogni volta la metteva a disagio, ma tirò comunque un sospiro di sollievo appena furono davanti a una stanza targata “493”.
“ Visitatori.” Squittì la donna rivolta al dottore, che distese le labbra in un sorriso. Scoccò un rapido sguardo verso Julie, ma non sembrò mostrare alcun sentimento negativo in quella ragazza che fino a poco tempo prima era stata nominata in quasi tutti i giornali del paese per complicità in casi di omicidio colposo.
“Ehi, Dahmer! Hai visite!” urlò quello, rivolto all’interno della stanza.
Adam, sentendosi chiamato in causa, si alzò e andò a controllare chi fosse stato così “gentile” a venire a vederlo quel giorno. Quando vide l’interessata pensò di avere le allucinazioni.
“Oh …” si limitò a dire, quasi confuso.
Philippe aprì la porta e fece entrare dentro Julie. Il poliziotto fu in procinto di entrare anche lui, ma il medico lo bloccò:” Lasci che parlino un po’. Sono sotto controllo, non possono organizzare niente di male.”
Lanciò un rapido occhiolino al suo paziente, e il poliziotto non insistette, anche se visibilmente irritato perché di sicuro mancava meno a uno dei suoi compiti principali.
La porta si chiuse alle spalle di Julie, e quella rivolse subito uno sguardo carico di sentimento all’amico, che si limitò a sedersi sul letto e a ritornare nella sua posizione pensante di prima. Sembrò non averla vista nemmeno.
“ Bè … non saluti?” fece lei, con una punta di acidità nella voce.
“ Oh scusa … ciao.” Si limitò a dire lui, senza alzare lo sguardo. Tutto ciò la ferì abbastanza.
“ Cos’è? Non vuoi vedermi?”
“ Ti avevo raccomandato di non venire.” Rispose lui, ora guardandola. Lei lesse nei suoi occhi una punta di preoccupazione.
“ Non potevo non farlo, mi dispiace.”
“ Volevo risparmiarti la vista di un povero condannato a morte, ma sei la solita testarda …” continuò a lui, alzandosi stavolta e andandole incontro.
“ E’ proprio di questo che voglio parlare.” Disse lei,cercando di poggiargli una mano sul petto:” Mi rifiuto di lasciarti andare alla sedia elettrica.”
“Julie, è una mia scelta, non l’hai ancora capito?” disse lui, intrecciando la sua mano a quella della ragazza, che trattenne il respiro al contatto tanto dolce che non si concedeva con lui da mesi ormai.
Le erano mancate quelle mani ruvide e grandi, soprattutto calde, e nei mesi di detenzioni al carcere femminile, aveva sognato ogni notte di poterlo rivedere.
Non ne aveva il permesso: lui, assolto dall’accusa per aver compiuto i fatti non nel pieno delle sue facoltà mentali, era stato spedito per la gioia del fratello a un prestigioso ospedale psichiatrico non lontano da Milwaukee, e lei era stata arrestata. Non aveva opposto resistenza, ma aveva pianto silenziosamente per l’impossibilità di poter vedere gli occhi nocciola di Adam.
Ora che era lì, tutto le sembrava surreale.
“ Non sono venuta fin qui per farmi dare un rifiuto da parte tua!” urlò, premendosi una mano sugli occhi nel tentativo di non mettersi a piangere.
“Julie … non voglio rischiare di morire rinchiuso qui.”
“ Ma impazzisci solo se non prendi quelle!” fece lei, indicando con veemenza le pillole sul comodino:” Per altro sei una delle persone più dolci che io abbia mai conosciuto!”
“ Cara, non farti accecare da sentimenti che nemmeno tu sapresti gestire, ti prego …” nel tono dell’uomo suonò la supplica.
“Ci vedo benissimo invece. Non voglio che tu muoia di tua volontà su un terribile attrezzo per la morte, mi scoppierebbe il cuore dentro.” Le parole le ruzzolarono dalle labbra come un fiume non arginabile, e una lacrima le scivolò lungo la guancia.
“ Non fare l’egoista ...” Adam stava tentando di farla ragionare, ma lei scosse energicamente la testa:” Tu non fare l’egoista maledizione! Tuo fratello gioirebbe se tu dessi fine alle tue sofferenze!”
“ Pensi che a lui importi di me davvero? E’ anche per quello che voglio dar fine a tutto!” urlò lui, facendola trasalire. Nel suo tono di voce, di solito davvero calmo, Julie scorse una nota di impazienza.
“ E a me non pensi?” aggiunse lei, scuotendolo per le spalle.
Lui la fissò per un tempo indeterminato, poi abbassò gli occhi scuotendo la testa:” Ci penso fin troppo a te.”
“ E allora perché? Perché hai voluto che acconsentissero a darti la pena di morte, addirittura volontariamente?!”
“Vuoi davvero sapere perché?” sibilò lui, poggiandole una mano sui fianchi. Lei non gliela tolse, anzi si beò di quel contatto, ma era tesa.
“ Ovvio.” Fu la sua risposta.
Lui sorrise, e la baciò sulla labbra, senza violenza, un bacio carico di quello che Julie assaporò come affetto, o amore.
Si sciolse tra le braccia dell’uomo e lo abbracciò, muovendogli le labbra contro nel tentativo di tirargli via ogni filo di anima che aveva in corpo.
Si staccò poi, a malincuore:” Non mi hai ancora detto perché lo vuoi fare.”
“ Sei troppo lontana per poter provvedere tu alla riuscita di tutto.” Rispose Adam, accarezzandole i capelli vicino alla tempia.
Una piccola ruga le apparve sulla fronte:” Cos …” ma non finì la frase, perché aveva già capito.
Si staccò lentamente da lui, indietreggiando verso la porta:” Non puoi chiedermi di farlo.”
“ Hai promesso.” Disse lui deciso.
“ Non so se riesco a mantenerla.”
“Una promessa non si distrugge, ricordalo.”
“ Ma … mi stai davvero chiedendo …”
“ Si, esatto. Mantieni la promessa che ci facemmo mesi fa. Ti prego.” Rispose lui con veemenza, avvicinandosi cauto alla ragazza.
Lei aveva gli occhi sbarrati dalla paura. Non poteva dire sul serio: se avesse accettato, lui sarebbe morto. Se no, lui sarebbe morto lo stesso. Era davanti a un maledetto vicolo cieco.
Singhiozzò, coprendosi la faccia con le mani per non far chiaramente intravedere che stava iniziando a piangere davvero.
Adam le aveva appena chiesto di ucciderlo, secondo il patto che avevano stipulato quella volta in cui Julie aveva scoperto il cadavere nello scantinato della casa di campagna dell’uomo, quello secondo cui, se lui avesse ucciso davanti agli occhi della ragazza, lei avrebbe dovuto sopprimerlo.
Purtroppo, lui aveva davvero assassinato qualcuno davanti allo sguardo attonito di lei, ma le circostanze successive non avevano permesso di attuare la promessa.
Nel corso di quei mesi, comunque, a Julie non era minimamente saltato in testa di adempiere al suo compito. Ci teneva troppo a lui.
E ora che se lo trovava davanti,glielo stava chiedendo, e lei non sapeva per niente come agire.
“Non puoi chiedermelo, ormai.” Mugolò lei, tentando di reprimere l’ondata di lacrime che ormai le offuscava la vista.
“Julie, te lo chiedo per favore.”
“ Ti ho detto di no.”
“ Sarà rapido e indolore.”
“ Non mi interessa! Non voglio finire come Romeo e Giulietta!” tirò quella scusa dal niente, confusa. Non sapeva nemmeno lei più cosa dire.
“ Non finiremo come loro. Io avrò pace e tu vivrai ….”
“ Ma se tu muori …”
“ … e sconterai le tue colpe vivendo. Davvero Julie, non cercare di farmi cambiare idea. Sono stanco di quello che devo sopportare.” Nel dire questo, andò verso il letto e vi si lasciò andare, stanco.
“ Ma …” doveva tentare di fermarlo in qualche modo:” Io … come faccio a passare il resto della mia vita sapendo che tu … tu non sei più su questa terra?”
“Non fare la sentimentale, ti dico tutto questo perché non voglio davvero che tutte le mie frustrazioni ti ricadano contro.”
“Ma le tue frustrazioni io le ho vissute dannazione!” sbraitò lei, tanto che la voce le uscì quasi raschiata e le fece male la gola:” Come pretendi che io possa vivere tranquillamente sapendoti morto? Lontano? Scordatelo, non voglio che tu muoia! Se sarà necessario, morirò per impedirtelo.”
“Non dire sciocchezze, non meriti la morte quanto me.” Tuonò lui, avvicinandosi a lei di nuovo a afferrandole i polsi, senza che lei avesse modo di scansarlo. Lei evitò accuratamente di guardarlo negli occhi, ma quello le sollevò il viso poggiandole pollice e indice sotto il mento:” Guardami.”
Lei voltò lo sguardo verso la sua sinistra, incerta, ma lui fece in modo che incrociasse il suo sguardo. Julie lesse in quegli occhi nocciola sfumati un tale senso di determinazione che si sentì stringere le viscere dall’ansia.
“ Te lo chiedo per l’ultima volta. Lo farai o no?” le fece, una punta di minaccia nella sua voce.
Lei deglutì forte, calcolando la risposta. Ma non calcolò un bel niente in verità, perché si limitò a scuotere la testa e spingerlo via come rassegnata:” Non posso farci niente.”
Lui sospirò, rassegnato quanto lei. Le prese la mano e la avvicinò al letto. Vi si sedette e la pregò di mettersi cavalcioni su di lui.
Il volto di Julie si imporporò all’istante, ma obbedì, trovandosi a diretto contatto fisico con Adam.
“ Ci restano cinque minuti di visita. Facciamo i piccioncini?” chiese lui, una nota di divertimento nella voce. Lei inarcò le sopracciglia ma poi sorrise, non tanto convinta:” Se proprio ci tieni …”
Lo baciò di nuovo, stavolta con più ardore. Quello, probabilmente, sarebbe stato l’ultimo scambio di labbra che si sarebbero dati in vita loro.
Accadde qualcosa poi che le tolse ogni dubbio. Sentì il palmo della mano aprirsi e qualcosa di freddo posizionarsi lì. Stringendo la presa, notò con allarme che era … un’arma.
Aprì gli occhi di scatto, e incontrò le iridi castane di Adam. Teneva gli occhi socchiusi e lo sentì mormorare un “mi dispiace” contro le labbra.
Gli occhi gli si dilatarono come se avesse subito un colpo fortissimo. La mano di Julie era stata tirata contro di lui, e dopo un minuto di orrore lei si era accorta che l’arma che le aveva fatto impugnare contro la sua volontà aveva trafitto Adam all’altezza del cuore. Sangue caldo e nerastro bagnò la camicia dell’uomo, che emise un rantolo di dolore sulla bocca di Julie.
Lei smise di baciarlo e guardò con orrore ciò che lui le aveva costretto a fare. Tentò di togliere la lama o di urlare, ma lui le tappò le bocca con le sue labbra, stringendo le mani sulla presa. Tentò di divincolarsi, di chiedere aiuto, di fermare le lacrime che ormai correvano all’impazzata fuori dai suoi occhi.
Poi sentì meno la presa sulle labbra, e vide la luce della vita negli occhi di chi aveva davanti spegnersi piano, come una fiamma mossa da uno spiffero male riparato.
La presa sulle mani diminuì fino a scomparire totalmente. Il peso di Adam andò a colpire il materasso, e Harry ne vide la faccia: sulle labbra appena socchiuse per il bacio appena dato era stampato un sorriso tranquillo, quasi che lui avesse atteso quel momento da chissà quanto tempo.
Lei, invece, davanti a quella realtà tanto straziante, non potè fare altro che guardarsi le mani insanguinate e cacciare un urlo disperato, a cui Philippe accorse attonito.
 
Poteva essere mezzanotte circa, non poteva saperlo. La luna penetrava pallidamente dalla finestra sbarrata poco sopra di lei, ma per la ragazza era come se tutto fosse buio, quasi inesistente. Teneva le ginocchia contro il petto, il viso nascosto tra le gambe, e una bottiglia contenente una polverina bianca in mano che agitava di tanto in tanto.
La sua cella non le era mai sembrata tanto fredda. Tanto poco accogliente. Mai in quel momento provò un tale senso di disgusto a stare lì, senza fare niente, mentre il corpo del suo Adam veniva portato via dalla stanza in cui lo aveva visto morire per mano sua.
Stava lì, raggomitolata, e non osava fiatare. Era forse troppo scossa addirittura per pronunciare qualche parola.
Qualcosa rintonò nel corridoio del carcere e riuscì a scuoterla appena per farle riprendere la nozione del tempo.
Si alzò, bestemmiando in silenzio per il dolore alle gambe tenute in quella posizione per troppo tempo e si affacciò alle sbarre della cella. L’orologio lì vicino ticchettava costante e fastidioso, e segnava che era appena passata l’una del mattino.
L’una del mattino. A quel pensiero le labbra della ragazza si distesero in un sorriso.
Si rimise schiena contro la parete, e si decise ad aprire la bottiglietta che teneva in mano. Si guardò furtivamente intorno, alla ricerca di qualcuno che la stesse osservando, ma non intravide nessuno.
Annusò il forte odore di mandorla che proveniva dall’interno di quel contenitore e vi immerse due dita.
Poi se le avvicinò alla bocca, mormorando prima qualcosa come:” Sto per compiere una cazzata, ma ormai non so più che altro fare.”
Poi si mise le dita in bocca, succhiando la polverina.
Un sapore amaro le invase il palato, mentre ogni organo sembrò protestare per la brutta sensazione che stava provando. La vista le si offuscò rapidamente, e la mano che teneva la boccetta la lasciò cadere, e quella si frantumò fragorosamente. Il rumore sembrò svegliare qualcuno, poiché una luce si accese nel corridoio.
Lei però non la vide poiché il buio le aveva invaso gli occhi. Un glaciale sorriso le si impresse sul volto. 
   
 
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