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Autore: RecklessElf    05/01/2013    2 recensioni
Il tempo scorre lentissimo, e Dublino mi manca da morire, ma non è certo una novità,questa.
(...)
«Capisco. Ce l’hai una band ?»
Una band? Stava scherzando? Certo che no! L’avevo avuta, tempo prima, quando le cose erano ancora completamente diverse.
(...)
«L’avevo intuito, ti spaventi solo a parlarne, di suonare! Non capisco..» esclamò Eric, alzando un po’ la voce. Il professore ci guardò entrambi malissimo, richiamandoci. Dopo qualche minuto riprese.
«Tu dovresti farti un giro a qualche concerto. La musica buona la ascolti, ma dannazione..la tua energia dov’è? Non ti verrebbe voglia di suonare un po’..»
«Guarda che la voglia di suonare ce l’ho, tu stai parlando senza nemmeno conoscermi! Credi che io non suoni mai? Se non vado in giro a urlarlo ai quattro venti e non ne parlo così volentieri ho i miei motivi, credimi. »
Sebastian ed Eric, Eric e Sebastian. Due personalità opposte con un passato difficile da dimenticare, che si incontreranno quasi casualmente. La musica come filo conduttore della storia.
Genere: Introspettivo, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo V- High Hopes

C'era una banda logora che seguiva i nostri passi
correndo prima che il tempo portasse via i nostri sogni
lasciando la miriade di piccole creature a cercare di incatenarci a terra
ad una vita consumata da lento decadimento.

L'erba era più verde,
la luce era più brillante,
circondati di amici
le notti di meraviglie
.


 



E’ inutile, ci penso spesso, troppo spesso. Continuamente.
E non va affatto bene. La macchina del tempo non l’hanno ancora inventata, giusto?
Quindi ormai non posso più cancellare ciò che è successo, è inutile che io provi a immaginare come sarebbero andate le cose se io
non mi fossi trasferito, se Richard fosse rimasto con noi.
Penso tantissimo a Marjane, e mi sento ancora più in colpa. Se io sto male, allora lei cosa dovrebbe dire?
Ce ne siamo andati entrambi, non ha più nulla.
 
Cerco di pensare alla giornata che sto vivendo ora, in questo momento.
Scuola, giusto. Devo andare a scuola. Guardo l’orologio. 8.05.  Fantastico, sembra che io stia già inaugurando la nuova collezione di ritardi,
speriamo non finisca come lo scorso anno. Una decina di ritardi ingiustificati, un conseguente abbassamento della condotta, e, soprattutto,
una predica interminabile da parte di mia madre. Mio padre non ha detto nulla, chiaro. Non mi ha mai messo troppa pressione riguardo faccende scolastiche
e compagnia bella. Ma in questo caso è diverso. E’ diventato quasi invisibile, per me, negli ultimi tempi. Quando l’avrò visto, l’ultima volta?
Tre mesi fa? Un saluto di quindici minuti? Beh, non è stato sufficiente.
 
Scendo dall’autobus in tutta fretta, e inizio a correre in direzione della scuola, sempre più svelto, con i capelli spettinati da un vento gelido, che me li sbatte
prepotentemente sul viso, come dei piccoli colpi di frusta.
Ma non appena rallento leggermente il passo, a causa della stanchezza, noto un paio di compagni seduti su una panchina nei pressi della scuola,
con l’aria più tranquilla del mondo. Come mai non sono ancora in classe? Se avessero saltato scuola non starebbero certo così vicini all’edificio.
«Ehi, Seb! Manca la Bess. La prima ora è buca, non abbiamo nemmeno un supplente. Noi entriamo dopo, ma la scuola è aperta.» mi urla uno, con
un’espressione piuttosto annoiata.
«Oh, ok! Grazie!» gli rispondo, sorridendo rassicurato, e dirigendomi con più calma verso l’edificio scolastico.
 
C’è un silenzio quasi innaturale nell’aria. Giusto il fruscio delle foglie degli alberi scossi dal vento, e il rumore leggero dei miei passi.
E poi, improvvisamente, una voce. Una voce che sembra fondersi perfettamente con i suoni della natura, ma che allo stesso tempo ti costringe a
tendere le orecchie per ascoltarla. E’ una di quelle voci che riconosci immediatamente. Profonda, leggermente roca, intrisa di sentimento, di malinconia.
Il brano che sta cantando lo riconosco immediatamente. E’ “High Hopes”; dei Pink Floyd. Soltanto una piccola parte, ma che roba! Cerco la fonte di quel suono.
E la individuo subito, dando conferma alle mie supposizioni.
 
E’ la voce di Eric Weymouth. O Percy. Identica alle tracce che aveva messo su youtube, se non decisamente migliore.
Mi è impossibile non ascoltare il suo canto, e mi volto lentamente, cercando la sua figura.
Eric è lontano di un bel po’ di metri da me, ma la sua voce la sento vicinissima.
 «Beyond the horizon of the place we lived when we were young, in a world of magnets and miracles.» 
“Oltre l’orizzonte del luogo in cui abbiamo vissuto da giovani,in un mondo di magneti e miracoli”, canta Eric.
E la sua figura sembra confondersi con quella degli alberi, le acque placide del fiume seguire il ritmo della sua voce.
Mi ritrovo a fermarmi a guardarlo, con le labbra leggermente dischiuse per lo stupore, e uno strano brivido che mi percorre da capo a piedi.
Come quando senti suonare un gruppo per la prima volta, e ti colpisce inevitabilmente.
«Our thoughts strayed constantly and without boundary. The ringing of the division bell had begun.»
“I nostri pensieri vagavano costantemente e senza confini, il suono della campana della discordia era iniziato”
La sua figura è sempre più vicina alla mia, e i suoi occhi verdi, limpidi e cristallini, incrociano il mio sguardo.
 
Smette improvvisamente di cantare. Mi raggiunge, zoppicando leggermente, proprio come ieri, e io lo saluto con un gesto rapido della mano.
Eric ricambia il saluto, e poi mi rivolge un sorriso enorme, mettendo in mostra una fila di denti bianchissimi.
Sorride come se fosse felicissimo di vedermi, e i suoi occhi sembrano addirittura risplendere per un istante.
 
 Da quanto tempo non mi sorridevano in questo modo, con questa sincerità?
Anzi, da quanto tempo non mi sorridevano, e basta? Non mi sorride mai nessuno. Non mi guardano neppure in faccia.
E poi arriva questo qui, un giorno fa, e mi tempesta di domande, si interessa a me. Mi verrebbe quasi da sospettare di lui, ma non lo faccio.
Gli leggo la sincerità, negli occhi e nei gesti. Voglio fidarmi di lui, credere che la sua intenzione sia davvero fare amicizia.
Ricambio il sorriso con naturalezza, abbassando leggermente lo sguardo.
«Scusa, non volevo interromperti. Continua pure a cantare!»
Tutto qui, Sebastian? E’ tutto ciò che riesco a dirgli? E’ stato meraviglioso. Pochi secondi in cui ho sentito una voce fenomenale, e non riesco
nemmeno a spiccicare delle parole più gentili? Mi sento un imbranato. Come vorrei sapere esprimere meglio ciò che provo, anche quando parlo.
Per fortuna che ho la mia chitarra, il mio basso per parlare delle mie emozioni.
Eric si stringe nelle spalle, scuotendo leggermente il capo.
«Ma figurati. Non preoccuparti, stavo canticchiando a casaccio! »
«Oh, beh, allora chissà quando canti seriamente!» ridacchio divertito, ed Eric sembra stupito dal mio complimento.
Sgrana gli occhi e fa un ampio sorriso, quasi non riuscisse a credere che qualcuno gli avesse detto che cantava bene.
Strano, possibile che non si accorga di avere una voce tanto bella?
Forse è un po’ complessato, ma, al contrario di me, non lo da a vedere.
Nel mio caso si vede subito. Sembro sempre nervoso, a disagio.
 Lui invece sembra sempre trovarsi a suo agio in ogni situazione, sembra non dar peso a cosa pensano gli altri di lui.
Eppure, quando gli si fa un complimento, sembra così stupito. Quasi non ritenesse di poter essere capace a far qualcosa.
 
«Dai, Seb. C’è gente molto più brava di me. Davvero!»
«Però hai una voce particolarissima, dico davvero. Vedo che ti piacciono molto i Floyd! »
«Certo! Ne vado pazzo, sono uno dei primi gruppi che ho iniziato ad ascoltare seriamente, e..» Eric si interrompe di colpo, posando un attimo
una mano sulla mia spalla e fissandomi con gli occhi sgranati.
«La scuola! Merda, merda, merda, me ne stavo dimenticando! Seb, siamo in un ritardo pazzesco, su!!» mi prende sottobraccio,
e fa per correre verso l’edificio. Io scoppio a ridere, opponendo resistenza, per quanto il mio fisico sia più minuto di quello di Eric, e,di conseguenza, mi risulti un po’ difficile.
«Ehi, signor Weymouth! La prof. è assente! Altrimenti, secondo te, me ne stavo qui bello tranquillo a gironzolare davanti a scuola?»
Eric si unisce alla mia risata, fermandosi di colpo e annuendo vigorosamente.
«Oh, giusto. Sono così dannatamente impulsivo, vedi, Seb? Beh, che ne dici, allora, facciamo un giro? Stiamo qui, o andiamo da qualche parte?»
Mi prende sottobraccio, con una confidenza quasi esagerata, ma che non mi da fastidio.
La spontaneità di Eric inizio a trovarla interessante.
Ho sempre odiato le persone false, le persone che sparlano dietro agli altri, per questo faccio fatica a trovarmi bene con i miei compagni di classe.
Ma Eric non è così. E’ sincero, e sì, farà anche tutto ciò che gli passa per la testa, sarà troppo invadente, ma mi sento sempre più a mio agio in sua compagnia.
 
«E dove andiamo? Meno di un’ora e dobbiamo essere in classe.»
«Allora ci sdraiamo sul prato e ascoltiamo un po’ di musica, ti va? L’iPod ce l’ho io, le cuffie pure. Come musica mi pare che ascoltiamo le stesse cose.
Tanto, guarda, finché non piove e non è tutto fradicio, si può fare! O mica mi dirai che sei uno schizzinoso di città che non mette la testa nell’erba? »
A quelle parole, non posso fare a meno di ridacchiare.
«Schizzinoso di città? Ho passato l’infanzia in mezzo alla campagna, sai, Eric? »
«Sul serio? Da dove vieni? Hai un accento stranissimo! Si sente che non sei della zona. »
«Beh, sono Irlandese. Dublinese, per la precisione. Vengo dall’altra parte del mare, insomma!»
Mi siedo sul prato, ed Eric fa lo stesso. Inizia a frugare nelle tasche del giubbotto, mordendosi il labbro con aria pensierosa.
Ne estrae poco dopo un pacchetto di sigarette, un iPod e degli auricolari.
«Aaah, sei straniero, quindi! L’avevo immaginato! Io non sono mai uscito dall’Inghilterra, e, a dire il vero, fino a quest’anno avevo visto un gran poco al di fuori di Greenwich! »
Eric alza le spalle con un piccolo sorriso, e mi porge il pacchetto di sigarette.
«Prendine pure una, vuoi?»
Ho provato a fumare, qualche volta, ma non mi è mai piaciuto particolarmente, così rifiuto gentilmente.
Nemmeno Eric si mette a fumare, come avevo previsto. Ripone il pacchetto di sigarette nella tasca, accende l’iPod e si sdraia sul prato,
con le mani incrociate dietro al capo, e socchiude gli occhi, porgendomi un auricolare.
«Eric..?» esito un attimo, prima di chiedergli ciò che vorrei. Ma il ragazzo spalanca gli occhi, sorridendo, e rimettendosi seduto.
Mi guarda con quella sua solita sfrontatezza, e si porta le mani ai fianchi, togliendosi l’auricolare dall’orecchio.
«Mi dica, signor Sebastian?»
 «La ricanteresti? High Hopes, intendo.»
Il sorriso di Eric si allarga ancora di più, e prende a giocherellare con una ciocca bionda dei miei capelli. Non mi scosto, come istintivamente avrei fatto in un’altra occasione.
«E perché, ti piaceva così tanto? »
«No, guarda, te l’ho chiesta perché ho voglia di spaccarmi i timpani. »
Eric ride, e scosta la mano dalla mia testa, passandosela tra i folti riccioli corvini.
«Sarà divertente cantare per Lei almeno quanto cantare per Rachel, e molto più divertente che cantare per Vince, signor Sebastian.»
«Amici?»
«Oh, suonano con me. E sì, amici. I miei migliori amici, anche se Vince è un po’uno stronzo.»
«Quindi, hai un gruppo?»
Non mi stupisce affatto. Mi sarebbe sembrato più strano il contrario. Volevi che uno con una voce del genere cantasse da solo?
«No, no. Voglio dire, continuiamo a fare delle Jam Sessions, ma non troviamo mai un chitarrista adatto. Quelli che troviamo sono svogliatissimi.
E per nulla particolari nel modo di suonare. »
La tentazione di dirgli che suono la chitarra, a questo punto, è fortissima. Ma ci ripenso immediatamente. Figurati, se dice che gli altri chitarristi
che ha trovato non erano adatti al suo gruppo, e di conseguenza alla sua voce, penso di riuscirci io?
Eric mi scruta pensieroso, vedendo che non sto gli sto rispondendo.
«E tu suoni qualcosa, Seb? Dato che la musica ti piace così tanto..»
Merda. Beh, in fondo, che male c’è se glielo dico? Mi sono ripromesso di suonare sempre da solo, per non tradire Rick e Marjane.
Ma Rick non c’è più. E Marjane stessa mi ha consigliato di suonare con questo Eric. Ma io ho paura di non esserne all’altezza, ora che l’ho sentito cantare dal vivo.
Chino leggermente il capo, e i capelli biondi mi ricadono morbidamente sul viso, coprendolo parzialmente.
«Io..sì, la chitarra. Un po’. E anche il basso. Ma la chitarra da più tempo.» mormoro con un filo di voce.
Eric sembra abbastanza sorpreso. Mi guarda strabuzzando gli occhi, e poco dopo sorride. E’ un sorriso furbo, compiaciuto.
«Allora oggi pomeriggio suoneremo insieme. Ci stai, vero?»
Affondo le unghie nei palmi della mano, e alzo lo sguardo su di lui. Ci sto? Non lo so nemmeno io. Ma dopotutto, una figuraccia sarebbe la conseguenza peggiore.
E io non ho intenzione di farla. Proverò a suonare nel miglior modo possibile, non voglio deluderlo.
Al massimo si mette a ridermi in faccia. Ma in fondo so che non sarà cpsì, perché Eric Weymouth è gentile.
Terribilmente schietto nel modo di fare, ma gentile. Non farebbe mai una cosa del genere. E io dovrei farmi meno complessi, forse.

«Sì, ci sto. Puoi venire a casa mia, se vuoi. Non ci sono molti vicini, mia madre è via e..ho un basso, e una chitarra. »
Accenno un sorriso, e Eric lo ricambia immediatamente.
« Dopo la scuola, allora. »
« Va bene, signor Weymouth. E ora mi deve una canzone, se non sbaglio.»
Eric si morde il labbro nervosamente per un istante, e subito dopo attacca a cantare, improvvisamente.
Non riparte neppure da capo, ma prosegue come se non si fosse mai interrotto.

E’ straordinario. La sua voce mi inquieta, in un certo senso. Mi costringe ad ascoltarla, non mi lascia scelta. 
Vorrei accompagnarlo. Vorrei suonare con lui, non posso fare a meno di pensarlo. Vorrei completarlo con la mia chitarra.
E’ come se tutto si risvegliasse in me, a quel suono. Il cuore, la mente, le emozioni. Provo ancora qualcosa, sotto questa maschera. 
E a suscitare tutte queste sensazioni in me è una cover. Una canzone che ho sentito moltissime volte, e che conosco praticamente a memoria.
Mi immagino subito che sia lui, a cantare le canzoni che ho composto.
A dare un senso a tutte quelle idee che continuano a ribollirmi in testa, che trovo sempre incomplete.
Quando finisce di cantare quasi non te ne accorgi. La sua voce si fa via via più flebile, naturalmente. Non è un distacco netto dalla melodia al silenzio.
Ha tenuto tutto il tempo gli occhi incollati a terra, e non si è mosso di un passo. Ma ora sposta lo sguardo su di me, e i suoi occhi diventano lucidi per un istante.
Sembra quasi essere insicuro, fragile. Come se avesse paura di sentirmi dire che è pessimo, che questa canzone l’ha cantata malissimo.
E io per una volta voglio tirare fuori quello che ho provato, almeno un po’. Voglio fargli capire che, dannazione, lui non se ne rende conto ma ha una voce pazzesca.
«Penso che potremmo fare grandi cose, insieme. La tua voce è..sei bravissimo. Vorrei suonare con te.»
Da dove mi è uscita questa roba? Ah, non lo so. Spero solo non sia suonato troppo patetico. Almeno era sincero.
Eric mi sorride, alzando le spalle e porgendomi una mano subito dopo.
 «Lo scopriremo presto, signor Sebastian. Adesso dobbiamo tornare tra i libri di scuola. Ma non preoccuparti, la musica non scappa.»
Afferro saldamente la sua mano, rialzandomi immediatamente. Eric si mette a correre con quei suoi strani passi zoppicanti, senza lasciare un attimo la mia mano.
Solitamente evito il contatto fisico, tralasciando le persone che conosco da tantissimo tempo, che sono miei amici.
Eric Weymouth lo conosco da due giorni, ma sento che non ha affatto importanza.
Quando arriviamo a scuola, lascia improvvisamente la mia mano.
Sale le scale zoppicando. Non vuole aiuto, anche se glielo chiedo.
Non capisco proprio cos’abbia, alle gambe. Forse è nato così?Ma a diciassette anni che ha, possibile che non si sia mai fatto un’operazione?
Non sembra gravissimo, certo, ma i suoi genitori non si preoccupano per lui?
Mi rendo conto di preoccuparmi troppo per lui. Cosa penso di fare, io? E’ che lo vedo solo ed indifeso, un po’ come me, anche se all’esterno
sembra così solare e pieno di vita.
Mi sento come se volessi proteggerlo da qualcosa che non conosco neppure, ma non so proteggere nemmeno me stesso.
Ci sediamo ai nostri posti, e dopo qualche minuto l’insegnante arriva in classe.
Temi, vuole che scriviamo. Mi piace scrivere, tantissimo.
 
«Questo è solo un test di inizio anno, nessun voto, ragazzi. Vi do delle tracce diverse, lavorate bene, fate la scaletta con ciò che volete scrivere.»
Eric sbuffa sonoramente, e l’insegnate lo nota.
«Qualcosa non va, Weymouth?»
«Le scalette..» mormora Eric, con una smorfia che mi costringe a trattenere una risatina. Dio, quanto odio fare le scalette prima dei temi,
programmare cosa devo scrivere.
«Cos’hanno le scalette che non vanno?» l’insegnate a questo punto è visibilmente scocciata, e in parte è anche comprensibile.
Non sono certo abituati, i nostri professori, a un alunno che dice tutto ciò che gli passa per la testa, come Eric. Probabilmente lo troveranno sfacciato.
«Sono obbligatorie? Quando faccio un tema con la scaletta mi viene orribile..come faccio a sapere cosa scriverò in una storia, in un tema? E’impossibile!»
La classe ride, e la professoressa fa cenno a tutti di tacere.
«Certo che sono obbligatorie. Forse, Weymouth..dovresti PENSARE, al posto di scrivere a casaccio.» si volta improvvisamente verso di me, che sono il suo compagno di banco.
«Non trovi, Joyce? Che bisogna prima pensare a cosa scrivere, fare una scaletta ordinata, e DOPO fare il tema?»
No, non trovo.  Almeno, per me non è così. Al posto di balbettare un timido sì, come avrei fatto in occasioni normali, mi esce un’altra cosa.
«Non sono d’accordo. Certo, secondo me varia da persona a persona. Alcuni, forse, hanno bisogno di sapere già tutto sulla loro storia.
E non è sbagliato. Ma altri, invece, scrivono la storia anche per sapere come va avanti, è come se si scrivesse da sola.»

E ridono di me, i compagni. Me lo aspettavo, che non capissero. Pazienza.
Sebastian l’asociale, Sebastian lo strano. Che mi considerino pure come preferiscano.
Ma Eric non ride. Anzi, aggiunge altro.
«Ha ragione Seb. Abbiamo tutti modi di scrivere differenti, e non siamo tutti ordinati e metodici. Per me, ad esempio, il pensiero cresce naturalmente. Come crescono gli alberi, come crescono i fiori..sì, dai, ci siam capiti.»
No, non ci siam capiti affatto, sembra pensare l’insegnate. Ci squadra entrambi con disappunto,scuotendo la testa.
Ecco cosa intendo quando dico che a volte, la scuola, inibisce la creatività delle persone.
«Beh, fate come vi pare, al massimo il due ve lo beccate voi.»
La professoressa inizia a dettare le tracce. Una più noiosa dell’altra.
Cos’hai fatto durante le vacanze.
Divertente, molto divertente, sì. Sono stato a rimpiangere le estati precedenti.
Scrivi una lettera d’amore ipotetica a qualcuno che ti piace.
Racconta un episodio divertente che ti è accaduto in queste vacanze.
Parla di qualcosa che ti spaventa.
Oh, l’ultima non è male. Voglio parlare di una mia paura. Che non sia la timidezza, la paura di fidarsi della gente. No, è una paura che riguarda il passato.
Prendo la biro in mano, e inizio a scrivere di getto.
Mi fa male scrivere questo tema, ma non mi importa se lo leggerà altra gente. Probabilmente nemmeno ci crederà.
“Mi chiamo Sebastian, e ho paura del mare. Si è portato via il mio migliore amico, circa due anni e mezzo fa. E me non l’ha più restituito.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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