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Autore: lotus_core    06/01/2013    1 recensioni
Erano stati costretti a fuggire. Ivel e la sua prole si erano dati alla clandestinità dopo la scomparsa di Carl, l’uomo di famiglia, morto in circostanze misteriose -molto probabilmente ucciso da Mangiamorte che cercavano scuse per mettere all'angolo sua moglie, NataBabbana-. Il sostegno del marito, impiegato del Ministero, era l'unica cosa che le garantiva la salvezza, seppur precaria. Ritrovatasi da sola, non le rimase altro da fare che scappare, per sfuggire alla ripulita messa in atto dal nuovo regime. Si era decisa a mettere da parte lo sconforto per la perdita di Carl e a levare le tende il prima possibile. Tutto pur di salvare la vita di Sam, Craig ed Ulfila, i suoi tre figli: il primo aveva 18 anni, abile nelle arti magiche e appena uscito da Hogwarts; il secondo 13, da poco avviato all'apprendimento della magia; la terza, invece, aveva solo un anno e mezzo.
Il destino della famiglia Stabbon, dunque, era nelle mani della fortuna, rinchiuso in una tenda da campeggio.
Genere: Avventura, Guerra, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Gli occhi di Ivel, un tempo grandi e sorridenti, si erano abituati al rossore che le lacrime lasciavano dietro di loro. Non passavano giorni in cui non piangesse, avvolta nella sua coperta, nel silenzio dell’alba e di nascosto dai suoi figli. Era raro che dormisse per più di quattro ore, e al mattino presto si ritrovava sempre a sopportare il peso di quella lunga gita non voluta sul suo petto. Doleva proprio all'altezza del cuore, come un masso pesante. 
L'eco del dolore della perdita di Carl risuonava forte nel vuoto che aveva lasciato dentro di lei, minando la sua calma mentale, perennemente tormentata dalle immagini dei suoi tre figli che erano costretti a vivere vagabondando. Lo facevano per la loro salvezza, vero, ma era un destino che non meritavano affatto. Così giovani, eppure così responsabilizzati. 
Un giorno di metà ottobre, mentre il primo sole del mattino rischiarava l’interno della tenda attraverso il materiale chiaro di cui era fatta, la povera donna se ne stava rannicchiata nel suo angolo all'entrata, vicino al fuoco, ad osservare le sue dolci creature dormienti.
Gli occhi indugiavano sulla figura più vicina, quella di Sam, così bello e giovane, pieno di talento e vita, eppure costretto in quella piccola tenda che gli stava senza dubbio stretta. Poteva solo immaginare quanto gli sarebbe piaciuto viaggiare per il mondo e acchiappare i suoi sogni a mani nude. Ricordava i suoi anni successivi ai M.A.G.O., così belli e pieni di esperienze, fatti di viaggi in compagnia di Carl che l’avrebbero immessa definitivamente nel mondo della magia e allontanata da quello Babbano. Molto probabilmente, suo figlio non avrebbe mai avuto l’occasione di riavere questa fantastica possibilità di vita indietro. 
Lo sguardo rosso e colmo di sofferenza si spostò dal capo biondiccio del primogenito su Craig e Ulfila, che la sera precedente si erano addormentati insieme. Osservò i lineamenti dolci e ancora infantili del primo, il suo corpo teso, come se fosse cosciente anche mentre dormiva di avere la sorella accanto e di dover fare attenzione a lei. Era ancora un ragazzino, desideroso di passare la sua adolescenza ad Hogwarts. Ricordava  le sue moine eccitate al ritorno dell’ultimo anno trascorso al castello. Non vedeva l’ora di tornarci e imparare cose nuove sulla magia; privilegi che gli venivano negati senza possibilità di controbattere. Gli si leggeva in faccia, il malessere, nascosto dietro le palpebre serrate.
Quindi contemplò per un attimo la figura minuta di Ulfila e il cuore si strinse ancora di più. Era abituata a guardarla sentendo la gioia scoppiare nel suo animo, scorrendo con la fantasia il suo futuro da piccola strega, tuttavia ora non vedeva altro che vuoto e paura. Il futuro le era stato tolto prima ancora che si rendesse conto di averne uno -forse, questa era la sua salvezza-. I piccoli riccioli biondi ricadevano sfatti e sciupati sulle sue piccole orecchie. La sua bellezza era un altro motivo per cui rattristarsi. 
Le lacrime di Ivel piangevano la loro sorte, cercavano di espellere tutti quei sentimenti neri come la pece che l’avevano tempestata negli ultimi tempi, ma niente poteva alleviare il suo dolore, che marciva dentro di sé e contagiava ogni aspetto del suo vivere. Nemmeno il fuoco che ardeva accanto a lei riusciva a riscaldarle l’animo congelato e a sciogliere le schegge di ghiaccio che minacciavano di trafiggere il suo cuore. Si sentiva fredda e senza speranze, tanto che avrebbe potuto essere morta senza accorgersene. L’amore per i suoi figli era l’unico caldo baluginio che le dava una ragione per vivere. 
 
Quando il sole si levò più alto nel cielo, finalmente anche Craig si alzò. Era rimasto solo a dormire, mentre Sam era fuori ad allenarsi -era deciso nel tenersi in forma e in esercizio, per essere pronto in caso di eventuali attacchi- e Ulfila piangeva affamata accanto alla mamma, la quale le stava preparando del latte. Grazie al cielo, prima di partire avevano avuto il tempo di organizzarsi per bene e avevano portato tutto l’occorrente per sopravvivere, compreso il cibo. Prima o poi le scorte sarebbero certamente finite, ma per ora potevano dormire tranquilli almeno su questa sicurezza.
Il secondogenito si preparò per la giornata, liberandosi del pigiama, lavandosi nel piccolo bagno di cui la mini abitazione era provvista e indossando vestiti da giorno. Un’altra grande fortuna che avevano avuto era disporre di un piccolo gioiellino come tenda, un modello abbastanza recente  dotato di diversi comfort. L’unica parte essenziale di cui era priva era la cucina, ma si arrangiavano con un fuoco accesso al momento, una griglia e una bacchetta. 
«Buongiorno, mamma!» esordì Craig uscendo all'aperto.
«Buongiorno, tesoro» rispose la donna, rivolgendogli un sorriso di sbieco. 
«Quando si mangia?» chiese il ragazzo, avvicinandosi famelico al fuoco.
«Ma come? Ti sei appena svegliato!» 
«Ma ho fame!» si lamentò.
«Allora prendi del bacon, ché ti preparo la colazione» affermò accondiscendente la donna, mentre gli faceva segno di badare ad Ulfila per darle modo di accontentarlo.
 
Le giornate venivano inghiottite dalla solita monotonia, che poteva essere persino scambiata per tranquillità. Quella situazione, paradossalmente, era lungi dal poter essere definita tranquilla: le forze di Voldemort continuavano a muoversi e a seminare il panico in tutta la nazione, e prima o poi avrebbero potuto sconvolgere anche la vita degli Stabbon. 
 
 
 
 
 
 
 
Nota personale: 
ecco il secondo capitolo della mia long. :)
Non è altro che l'esposizione del dissidio interiore di Ivel (la prima parte) e un modo per mostrare alcuni aspetti fondamentali della vita da clandestini di questa famiglia (seconda parte).
Spero piaccia!
 
Lotus.
  
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