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Autore: AlessiaDettaAlex    19/01/2013    5 recensioni
Storia interamente revisionata (8/11/2017)
È la storia di una diciottenne. Una giovane che si scopre innamorata della sua migliore amica e non riesce ad accettarlo. Quindi se vi aspettate farfalle, rose e fiori è il racconto sbagliato. Questa che sto scrivendo è piuttosto la storia di dolore e tragedia di una ragazza che ne amava un'altra.
Trecento metri è la distanza che separa le loro case. Ma la verità è che alla fine di questo racconto Alex ne avverte molta di più.
"Lo conoscevo a memoria il profumo di Lyn. Era profumo di casa, un odore che mi faceva sciogliere il cuore. Se chiudo gli occhi e mi concentro riesco a sentirlo anche adesso, a più di un anno di distanza."
[Capitolo 5]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 o Calura estiva

Quell’estate, che adesso mi sembra così lontana, fu la più bella della mia vita. Raggiunse il suo culmine la notte di ferragosto, quando di fronte ad un’alba spettacolare sulla spiaggia abbiamo cominciato a cantare. Sì, a cantare tutti insieme. C’è chi si sbronza, chi si butta in mare; noi cantavamo.
Laura era visibilmente commossa. Noi sorridemmo. Quando succedeva qualcosa di bello era sempre la prima a finire in lacrime. Al contrario, dei suoi dolori non piangeva mai; si rinchiudeva in un silenzio criptico dal quale non accettava di essere risvegliata se non da Giorgia, l’unica in grado di sbloccarla. E da Marco, l’amico che amava.
«Bene, chi ha voglia di farsi un giro al bar per la colazione?» iniziò Daniele, i cui pensieri prima o poi finivano sempre sul cibo. E come dargli torto? Io fui la prima ad accettare l’invito.
«Io ci sto!»
«Sì, ho una fame che non ci vedo!» mi affiancò Giorgia, passandomi un braccio intorno alle spalle e sorridendo largamente. E uno dopo l’altro ci vennero tutti dietro.
Seduti sui tavolinetti tondi del bar, Marco pensò bene di rompere il silenzio creatosi per via della stanchezza con una domanda intelligente:
«Voi come siete messi con i compiti delle vacanze?»
Calò un silenzio di tomba. Giorgia sbadigliò rumorosamente.
Forse è il caso che vi faccia una piccola digressione sulle nostre età. Io dovevo cominciare il quinto anno del liceo e lo stesso Giorgia e Marco. Daniele avrebbe dovuto iniziare l’università e al momento era l’unico patentato del gruppo. Lyn e Laura invece erano un anno dietro di me. Come rendimento io e Giorgia eravamo in una fascia medio-alta, Marco era un disastro e Laura una secchiona. Lyn si impegnava sempre tanto, ma spesso non riusciva ad ottenere buoni risultati. La scuola era uno dei suoi punti deboli. Daniele invece era uscito con un voto davvero eccellente alla maturità.
«Io mi tiro fuori dalla conversazione» fece infatti quest’ultimo.
«Non sai quanto ti invidio, Dan» sospirò Marco giocherellando con la schiuma del cappuccino col cucchiaino. Lyn intervenne.
«Io con i compiti sono ancora in alto mare…»
«E non sei l’unica, Elena…» bisbigliò Laura, come per paura di farsi sentire.
«Cosa? Tu?!» la incalzai io. Lei arrossì e abbassò lo sguardo sul suo tè al limone.
«Non sono riuscita a finire tutto per via della stagione in gelateria… ma conto di concludere entro questa settimana» Giorgia ridacchiò.
«Ecco, mi pareva! Alex, carissima, ignoriamo questi poveracci che si fanno un mazzo con lo studio estivo e andiamo a farci una passeggiata, da brave scansafatiche!» fece alzandosi in piedi. Io la imitai e dandomi un’aria oltremodo saccente incrociai le braccia al petto.
«Andiamo, Gio, facciamoci largo!»
La presi sottobraccio e marciammo fiere di fronte agli altri che ci guardavano divertiti, finché non mi sentii afferrata per la maglia e trattenuta.
«Dove credi di andare, Alex?»
Mi voltai: Lyn aveva parlato. E quando dico che “Lyn aveva parlato” intendo che la sua parola per me è l’inizio dei guai.
«Elena, vieni anche tu con noi?» strillò Giorgia tutta plateale.
«No, non direi. E anzi, Alex resterà con me a studiare. Per tutto il resto del mese. Se vuoi sei invitata anche tu!»
«No, no, io ci rinuncio!» si affrettò a rispondere buttandosi a sedere tra Marco e Daniele, che nel frattempo se la ridevano tranquillamente. Lyn smise di lanciarle occhiatacce e si rivolse a me.
«Alex…?» mi incitò tenendosi stretta al bordo della mia maglia. Io sospirai – mi accorsi che gli altri ci stavano fissando in silenzio, quasi stessero guardando il dialogo comico di un telefilm – e poi mi arresi.
«Sì, ci metteremo a studiare, promesso. Ma non oggi! Oggi è festa, cavolo!»
«Ovvio che no, scema»
Mi tirò con uno strattone sulla sedia e ricominciammo a ridere e scherzare insieme.
Quel giorno fu interamente entusiasmante: in seguito, usufruendo della mobilità di Daniele, organizzammo un pic-nic su un prato e giocammo insieme a pallavolo tutto il pomeriggio. E Lyn era raggiante. Mi accorsi che la trovavo incredibilmente bella quando si divertiva. Ora che ci penso, è stata una cosa che di lei mi colpiva anche a quattordici anni, quando ci siamo conosciute. In quel primo giorno insieme le diedi il soprannome di Lyn, che uso solo io tra le persone che lei conosce. E ci arrivai seguendo un mio personale e creativo – più o meno – percorso mentale: da Elena a Lena, poi inglesizzato in Len e infine reso più carino e femminile in Lyn. Quando glielo spiegai ricordo che si mise a ridere come una pazza. Io la guardavo interrogativa, temendo che mi prendesse per matta. Ma poi mi disse che amava il mio modo di trovare soprannomi e accettò di farsi chiamare così. Mi rese molto felice: nessuno aveva mai amato qualcosa di me; a quel tempo io ero una ragazzina sola.

In una calda mattina di fine agosto mi ritrovai alle nove con lo zaino in spalla – pieno dei volumi ingombranti di filosofia e letteratura italiana – fuori da casa mia. Due minuti a piedi e suonai il campanello di casa di Lyn. Dopo qualche secondo la porta si aprì e la biondina appoggiata sullo stipite mi squadrò.
«Io a te qui non ti ci voglio» asserì.
«Ehi!» mi lamentai io.
«Scherzo, entra e fa come ti pare»
«Come sempre, del resto» ridacchiai.
Effettivamente casa sua – linda e curata come lei – è sempre stata un po’ come la mia seconda abitazione. Ci passavo così tanto tempo che spesso dimenticavo che mamma mi avrebbe uccisa se non fossi tornata nella mia vera dimora per cena entro tre secondi. Ma lì ci stavo veramente troppo bene.
Ci stabilimmo sul tavolo della cucina, l’una di fronte all’altra.
«Che ti sei portata?»
«Le solite cose: letteratura e filosofia»
«Ma tu matematica non la fai proprio mai?»
«Non è colpa mia se non faccio il liceo scientifico come te, Lyn!» replicai dandole un calcio molto leggero sulla gamba da sotto il tavolo. No, non ero proprio in grado di farle del male. Lei lo sapeva. E ci marciava.
«Mentre viceversa» continuai io, forte della mia sapienza in materia, «tu l’aiuto per italiano lo chiedi sempre a me»
«Sai com’è, non avendo nessuno di meglio!» mi punzecchiò.
La odiavo quando faceva così. Sapevo in cuor mio che alla fine avrebbe avuto ragione lei e questo mi scocciava tremendamente. E mi divertiva allo stesso tempo.
«Se per meglio intendi un fusto ventenne universitario che dà ripetizioni di italiano alle belle ragazze liceali, giuro che alzo il fondoschiena ed esco da questa casa!»
Lei si mise a ridere. Poi si rivolse al libro e fece per ricominciare a studiare, gettandomi un’ultima occhiata soddisfatta – non so neanche per cosa – e sorridendomi. Le sorrisi a mia volta e tornai su Pascal.
Riuscimmo a studiare seriamente per giusto un’oretta, in seguito alla quale Lyn cominciò a dare segni di cedimento.
«Alex, vieni a vedere lo smalto che ho comprato ieri!» gongolò infatti.
«Ma ti pare il momento?»
Io cercavo in tutti i modi di dare l’idea della ragazza più grande e più diligente che desiderava studiare, ma la verità di fondo era che io volevo essere disturbata.
«Dai vieni!» fece infine lei drizzandosi in piedi e strattonandomi per un braccio.
Sospirai rassegnata mentre mi conduceva in camera sua. Io mi sedetti sul letto e lei, dopo aver afferrato ciò che voleva mostrarmi, si gettò sulla sedia della scrivania, trascinandola di fronte a me.
Per un quarto d’ora buono mi snocciolò – non senza dovizia di dettagli inutili – tutta la storia del primo incontro con quegli smalti, come se ne fosse innamorata e come fosse riuscita a comprarli. Io annuivo di tanto in tanto, percependo che quello non era proprio il mio mondo per quanto mi sforzassi di apprezzarlo. A un certo punto, vedendomi con la testa altrove, si interruppe.
«Questa conversazione non ti sposta di un millimetro, eh?»
«Non fraintendermi, Lyn, non è che io sia distratta perché non mi importa quel che dici, ma semplicemente perché non capisco niente di smalti»
«Cioè in pratica non mi stai ascoltando» concluse lei capendo solo quello che le interessava capire, «quindi mi ritengo offesa»
Incrociò le braccia al petto e si voltò leggermente a destra, negandomi lo sguardo. La fissai a bocca semiaperta: perché si divertiva sempre così tanto a stuzzicarmi? Saltai giù dal letto e avvicinandomi le scompigliai i capelli, cosa che suscitò il suo disappunto.
«E smettila, finta offesa!» scherzai.
Lei si rizzò in piedi, posò le mani sulle mie spalle e mi spinse in basso delicatamente fino a farmi sedere di nuovo sul letto; mi incatenò con lo sguardo alcuni secondi e poi mi buttò direttamente giù sulla schiena, mettendosi a cavalcioni su di me. Sì, sapevo perfettamente cosa volesse dire questo atteggiamento: adesso voglio te.
Non ricordo bene quand’è stata la prima volta che ci siamo scambiate tante effusioni tutte insieme. Credo sia stato graduale… e credo anche sia stata colpa mia. Lei è in perenne mancanza d’affetto per via del suo desiderio di avere un ragazzo. Io sono sempre stata molto affettuosa con le mie amiche più strette. Quindi, semplicemente, io giorno dopo giorno le dimostravo con abbracci o carezze che le volevo bene, lei ebbe sempre più bisogno della mia affettuosità che veniva a colmare quel suo desiderio d’amore e alla fine siamo arrivate a quello che questa storia racconta. Me la spiego così. Dopo anni, questo meccanismo psicologico in entrambe era diventato così inarrestabile che dai semplici abbracci di quando avevamo quindici anni eravamo passate a quello che stavamo facendo quel giorno d’estate sul quel letto a quasi diciotto.
Lyn, avvicinando il viso al mio, mi baciò la fronte. Io sorrisi e con uno scatto repentino ribaltai la situazione: ora che ero sopra e libera nei movimenti le sfiorai il collo col naso e poi le lasciai lì un leggero bacio. Rabbrividì. Se c’era una cosa a cui non poteva resistere erano i baci sul collo. Continuai a posarle le labbra ovunque sul suo collo scoperto, caldo per via dei trenta gradi di quella mattina. O per via di quello che le stavo facendo. Continuando a stringerla mi ritrovai lentamente stesa al suo fianco, mentre sentivo la sua mano iniziare ad accarezzarmi la schiena sotto la maglia. Continuai a baciarla arrivando fin sotto il mento, i nostri corpi a stretto contatto tra loro; poi lei mi bloccò posandomi una mano sulla sulle labbra:
«Alex»
«Sì?»
«Ti voglio bene»
Le sorrisi dolcemente, sfiorandole il naso con il mio.
«Anche io… tanto».





Angolo della scrittrice.
Ebbene, eccomi col secondo capitolo (li ho già scritti tutti fino al 4, che sto completando...). Finalmente comincia un po' di racconto vero. Ringrazio infinitamente chi segue e recensisce questa storia, che credevo (sinceramente) non avrebbe mai avuto qualcuno disposto a seguirla! Spero che l'ironica pacatezza di Alex nel raccontare la sua vicenda si stata di vostro gradimento.
Al prossimo,
Videl
   
 
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