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Autore: Carmen Black    20/01/2013    5 recensioni
Paul, dopo l'ennesimo litigio con un membro del suo stesso branco, si allontana, ritrovandosi sulla spiaggia. E' lì, che immerso nelle sue riflessioni, intravede una sagoma da lontano. " Un pazzo suicida ", lo definisce.
Ma più la sagoma si avvicina, più i suoi contorni prendono forma e lui viene sorpreso da un evento che cambierà irrimediabilmente la sua vita. Per Sempre.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Paul Lahote, Rachel Black
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Rachel

 

Dopo che Paul andò via, rimasi per un tempo indefinito a fissare le calamite attaccate all’anta del frigorifero.
Nella mia piccola casetta rossa regnava ancora il silenzio, udivo solo il gocciolare del lavello poco distante da me.
Mi sentivo un po’ strana…
Probabilmente non era stata un’idea saggia andare in spiaggia con quel freddo, avevo preso l’influenza.
Sospirai per l’ennesima volta quando l’immagine di Paul irruppe prepotentemente nella mia mente. Per quanto cercassi di pensare ad altro, non ci riuscivo. Nel modo più assoluto.
Mi alzai sistemando i cuscini sul piccolo divano e poi pensai a qualcosa da preparare per la cena. Ero felice di essere tornata a casa per un po’ e amavo prendermi cura di mio padre e mio fratello. Non nego che a volte venivo assalita dal senso di colpa per averli lasciati soli a La Push dopo la morte della mamma, però davvero non mi ci vedevo in quella piccola realtà, senza prospettive per il futuro, senza possibilità.
Iniziai a sbucciare delle patate, le avrei cucinate al forno insieme a un tacchino ripieno. Papà e Jacob ne andavano matti.
Mi chiesi stupidamente se capitava che mio fratello invitasse qualcuno dei suoi amici a cena… qualcuno tipo Paul.
Scossi la testa rimproverandomi da sola.
«Andiamo Rachel non essere sciocca. È soltanto un ragazzino».
Nonostante pronunciassi quelle parole, non ne ero per niente convinta.
Paul aveva diciotto anni, ben quattro meno di me, ma ne dimostrava venticinque.
Non avrei mai pensato che sarebbe diventato così bello e in un certo senso anche affabile, sì. Da bambino era una vera peste, litigava con tutti ed io molte volte lo avevo rimproverato perché quando eravamo in spiaggia, mi imbrattava i capelli con quelle che lui chiamava polpette di fango.
Erano così lontani quei giorni…
Il mio cellulare squillò per l’ennesima volta e mi ritrovai ad alzare gli occhi al cielo. Erano due giorni che evitavo di rispondere agli sms o alle telefonate del mio ragazzo Alan e lui con la sua testardaggine continuava ad assillarmi.
Ero andata via perché mi serviva una pausa, non ero sicura di volere realmente ciò che stavo facendo e per meditare meglio non potevo che ritornare nel posto dov’ero nata e avevo trascorso la mia spensierata infanzia.
Presi il cellulare e lessi l’ennesimo messaggio: “Pausa o no, non riesco a stare troppo a lungo senza sentirti. Richiamami”
Sospirai soffocando il senso di colpa e andai a farmi una bella doccia calda. Dovevo capire se Alan mi mancava realmente, se lo amavo davvero, perciò dovevo staccare la spina, non c’era altra soluzione.
Papà era andato a pesca con Charlie Swan e Jacob era andato a giocare nella foresta a qualche strano gioco… così aveva detto il piccolo Seth.
Mio fratello era un po’ troppo cresciuto per giocare come un bamboccio, evidentemente però non aveva nulla di meglio da fare.
Mi feci lo shampoo e stetti sotto il getto bollente dell’acqua più tempo del dovuto e tutto perché Paul affollava la mia mente impedendomi di ragionare bene.
Era così illogico ciò che mi stava accadendo, mi sentivo una ragazzina sciocca alla prima cotta. E poi dovevo ricordarmi che avevo un fidanzato!
Indossai dei jeans puliti e una camicetta aperta sopra a una canotta nera e tornai in cucina a spegnere il forno. Pensai che il giorno dopo avrei dovuto fare visita a Leah e anche a Emily, volevo vedere come se la passavano, era una vita che non scambiavamo quattro chiacchiere.
Accesi la tv sintonizzandola su un canale dove andava in onda un famoso talk show e fu allora che qualcuno bussò alla porta.
Guardai l’orologio, erano le sei del pomeriggio. Bene, qualcuno finalmente si degnava a tornare a casa.
Quando aprii la porta, il cuore mi saltò in gola. Era Paul.
«Paul?».
«Eh già, sono proprio io».
La prima cosa che notai furono i suoi vestiti. E chissà quale parte scellerata di me, lo preferiva a petto nudo. Faceva di tutto per apparire a proprio agio, ma sentivo che era un po’ imbarazzato. Era il mio stesso riflesso.
«Emh, vuoi entrare?», chiesi spalancando la porta.
Lui annuì e con due falcate si ritrovò al centro della piccola cucina. Indossava dei jeans e una magliettina nera a maniche corte. Lo aveva per vizio allora?
«Come fai ad andare in giro così?».
«Abitudine».
«Ti prenderà un’accidenti prima o poi».
«Non credo».
Chiusi la porta dietro di me e mi mordicchiai le labbra non riuscendo a trovare nulla da fare né tantomeno da dire.
Abbozzai un sorriso sentendomi imbarazzata davanti al suo sguardo intenso.
«Come mai sei qui?».
Forse doveva incontrarsi con mio fratello o doveva parlare con mio padre. Alla fine mancavo da tantissimo tempo da La Push e non sapevo come si erano evoluti i loro rapporti. Più che altro, la dovevo smettere di sperare che fosse lì per me.
«Sono qui per te».
«Per me?», chiesi sorpresa reprimendo un sorriso di felicità.
Paul sembrò prendere un lungo respiro. Non era da lui tergiversare su qualcosa. Era stato sempre un ragazzo diretto, che parlava senza pensare, qualsiasi cosa dovesse dire. Perciò o ero io che vedevo ciò che non c’era o era cambiato davvero lui.
«Sì, volevo chiederti se ti andava di andare a fare un giro in città dopo cena». Spostò il peso da un piede all’altro infilandosi le mani nelle tasche posteriori dei jeans. Mi accorsi che la sua maglia era troppo stretta, a momenti si sarebbe strappata sui bicipiti.
«Non che sia cambiata molto da quando sei andata via, ma dovresti assaggiare la torta alle mele da Pako’s, è davvero squisita».
Paul fece un passo avanti sorridendomi ed io sentii di nuovo la sensazione di poco prima, il mio stomaco faceva i capricci.
Forse era la fame…
«E andremo con la mia macchina e non faremo tardi».
Si avvicinò di un altro piccolo passo, fermandosi davanti a me. Era altissimo, gli arrivavo a malapena al petto e la cosa mi intimoriva di piacere.  Stretta tra le sue braccia nessuno avrebbe potuto farmi del male.
Arrossii dei miei stessi pensieri e mi allontanai da lui andando a bere un sorso d’acqua.
Ero davvero patetica, patetica! Invaghirsi di un diciottenne solo per il suo bell’aspetto, con un fidanzato premuroso che attendeva il mio ritorno in un’altra città.
«Certo, perché no», risposi di getto. «Non vedo l’ora di assaggiare questa famosa torta di mele».
Il sorriso di Paul si allargò su quel viso dalla carnagione caramellata. Aveva pettinato i capelli all’insù e stava divinamente. Non era possibile che non avesse una ragazza e perdesse tempo con me, non aveva senso.
«Oh bene, mi fa piacere che tu abbia accettato il mio invito».
«Non faccio niente per niente Paul», asserii scherzosamente, ma lui sembro sorpreso dalla mia affermazione. «Accetto il tuo invito se tu accetti il mio di rimanere qui a cena».
Il ragazzo di fronte a me si grattò la nuca ridacchiando in uno strano modo. «Forse è meglio se ci vediamo dopo».
«Perché?», chiesi mascherando un tono troppo interessato. «Siamo amici, sei amico di Jacob, papà ti conosce. Gironzoli in casa mia da quando eri un ragazzino».
«E va bene», disse dopo qualche istante di riluttanza.
Presi la tovaglia dal cassetto e la sistemai sul tavolo, prendendo poi i bicchieri e i piatti.
Paul era a ridosso del lavello con le braccia incrociate sul petto. Sentivo il suo sguardo addosso e mi bruciava, non riuscivo a rilassarmi in nessun modo.
«Eppure non pensavo che fossi così timido da dover rimuginare sopra se accettare o meno un invito a cena», lo presi in giro.
«Oh non sono timido, credimi».
«Hai litigato forse con Jake?».
«Quello è all’ordine del giorno», disse fiero. «Non volevo essere di troppo, sei tornata da poco…».
«Non preoccuparti, avrò un po’ di tempo da trascorrere con loro da sola».
Però… Paul aveva fatto un cambio radicale. Quando era un ragazzino che non smetteva di infastidirmi, avrei voluto mettergli le mani addosso. La situazione adesso non era cambiata, forse era pure peggiorata. Avevo sempre una maledettissima voglia di mettergli le mani addosso, volevo toccarlo. Volevo sentire che emozioni mi scatenava quel suo corpo forte e possente. E volevo accertarmi che quelle sue mani grandi fossero in grado di dare tutto il piacere che promettevano.
Prima che potessi rendermi conto del verso sconcio dei miei pensieri, Jacob spalancò la porta di casa.
«Sentivo una certa puzza», esordì facendo una smorfia con la bocca, poi fulminò Paul con lo sguardo. «Che stai facendo a casa mia?».
«Jacob, che modi sono?», chiesi stranita.
Mio fratello mi ignorò e si tolse la giacca lanciandola sull’attaccapanni. Lui e Paul erano molto simili fisicamente, enormi, muscolosi e a tratti sembravano che assumessero la stessa postura.
«Rachel mi ha invitato a cena».
Jacob sbuffò buttando gli occhi al cielo, poi ritornò subito guardingo. «Come ha fatto a invitarti a cena? Quando e dove vi siete incontrati?», chiese ancora rivolto verso Paul.
Mi misi le mani sui fianchi e sbattei convulsamente il piede in terra. Perché mio fratello non chiedeva direttamente a me?
«Hey tu, ragazzino! Paul è stato gentile al contrario di te che quando sono arrivata mi hai a malapena detto un ciao. Mi ha invitato a fare un giro in città e io ho voluto ricambiare la sua gentilezza».
Jacob scoppiò a ridere e si buttò sul divano di casa rischiando di sfondarlo. Pensai che avesse qualche serio problema comportamentale, ne avrei dovuto parlare con mio padre, non appena avesse fatto ritorno.
Guardai Paul che ricambiò il mio sguardo e si strinse nelle braccia mimando alcune parole con la bocca: «È pazzo».
Annuii concordando con lui e mentre tornavo a girarmi per controllare che altra azione stramba stesse facendo Jake, mi passò davanti come una saetta andando muso a muso contro Paul.
«Tu non uscirai con lei, maniaco pervertito che non sei altro!».
«Calmati e piantala Jacob, andiamo da Pako’s e la riporto indietro».
«Assolutamente no, lei è mia sorella e conosci la nostra legge».
«Quale legge?», sbottai curiosa.
«Non si toccano le sorelle altrui», rivelò Paul con l’espressione avvilita frapponendosi stranamente tra me e Jacob.
A quel punto mi sentii in dovere di intervenire in quell’assurdo litigio. Sapevo bene quanto possessivo potesse essere Jacob, ma stava esagerando. E poi perché diceva che Paul era un pervertito? A me sembrava un così bravo ragazzo.
«Che cosa sta succedendo qui?», intervenne nostro padre con le sopracciglia corrucciate mentre entrava in casa.
«Jacob e Paul, che cosa sta succedendo?», ripeté minaccioso e per niente sorpreso da ciò che stava accadendo nella nostra piccola cucina, come se ci fosse ormai abituato.
Jacob si sedette intorno al tavolo passandosi una forchetta da una mano all’altra. «Paul ha invaso un territorio non suo».
«Te l’avevo detto che non era una buona idea», sussurrò l’interessato al mio orecchio. Un brivido mi colse lungo la schiena e dovetti trattenermi dal non sorridere e mostrare così l’effetto che mi faceva quel ragazzo.
Jacob, come se lo avesse sentito, lo trafisse di nuovo con gli occhi.
«Papà ti dispiace se Paul rimane a cena qui?», chiesi io aprendo il forno e tirando fuori il tacchino.
Papà sorrise, ma non fu un sorriso affabile, bensì una minaccia. «Oh certo che no, ci divertiremo un mondo».
Una volta tutti intorno al tavolo, tra di noi calò il silenzio. Jacob sembrava uccidere per la seconda volta il suo tacchino nel piatto, papà sorseggiava tranquillamente dell’acqua e Paul era a suo agio, non sembrava affatto turbato e la cosa mi sollevò. Non volevo che a causa del comportamento di Jacob lui non venisse più a trovarmi o peggio ancora non mi chiedesse più di uscire.
«Allora, vi piace la mia cena?», chiesi per rompere un po’ il ghiaccio.
«Squisita», rispose Paul sorridendo. Jacob gli fece subito il verso e probabilmente gli tirò anche un calcio sotto il tavolo, però di quello non potei esserne sicura. A ogni modo Paul non sembrò avvertire dolore.
«Squisita», disse bonariamente anche mio padre donando poi una lunga occhiata a Paul.
Ma che cosa c’era che non andava lì dentro? Potevo capire il senso di protezione, la gelosia, ma non era troppo? Oppure ero io che detestavo quel comportamento perché volevo che Paul non andasse via? Molto probabilmente era la seconda ipotesi.
Finimmo di cenare in silenzio, scambiandoci a stento qualche battuta. Sparecchiai con l’aiuto di Jacob e Paul che continuavano a darsi frecciatine e spinte. Lavai i nostri piatti e poi li lasciai da soli per andare a prepararmi.
Per tutto il tempo avevo evitato di pensarci perché farlo, mi gettava in una specie di ansia che mi faceva battere forte il cuore. E ogni volta che succedeva sia Jacob sia Paul mi guardavano come se riuscissero a sentirlo.
Il pensiero di stare da sola con lui mi imbarazzava ed entusiasmava allo stesso modo ed era da tanto tempo che non provavo quelle sensazioni, esattamente da quando quattro anni prima avevo incontrato Alan all’università.
Già Alan… il mio fidanzato. Eravamo in pausa di riflessione, ma era ancora il mio ragazzo e io stavo uscendo con Paul l’amico bellissimo di mio fratello, il moccioso che anni addietro avrei voluto strozzare con le mie stesse mani.
Svuotai la testa e tornai in cucina trovando solo mio padre e Paul.
«E Jake dov’è?».
«In giro con i suoi amici», rispose mio padre.
«Oh, bene, Paul vogliamo andare?».
«Certo», disse avviandosi verso la porta e aprendola per lasciarmi uscire per prima. «Ciao Billy, ci vediamo».
«Ciao papà a dopo!».
«Ciao tesoro», disse con un sorriso un po’ teso.
Non appena la porta di casa si richiuse, Paul scrollò le spalle forse liberandosi da un grosso peso.
Doveva essere una serata spensierata e divertente e invece era stata orribile e si era sentito di troppo a cena con noi.
Mi dispiaceva tanto, non avrei voluto che accadesse, ma non avrei mai immaginato di trovare una simile situazione. Forse, il mio stare lontano da casa, aveva reso Jake e papà, iperprotettivi.
Mentre ci dirigevamo verso l’auto di Paul, parcheggiata poco fuori dal nostro sentiero, gli afferrai la mano.
«Mi dispiace», dissi ignorando un brivido per poi accorgermi di quanto calda e accogliente fosse la sua mano.
«Per cosa?», chiese confuso guardando la mia mano che teneva la sua.
«Jacob è uno stupido».
Paul rise di gusto. «Noi siamo fatti così, ci farai l’abitudine».
«Ah…quindi è normale?».
Paul annuì ancora spostandosi di fronte a me. Allungò due dita vicino al mio viso spostandomi una ciocca di capelli dalla fronte. Quel gesto così intimo e tenero mi fece battere forte il cuore.
«Sì, è normale», sussurrò a voce tanto bassa che stentai a capirlo. Ogni volta che mi guardava sembrava catturarmi.
Poi all’improvviso l’ululato di un lupo irruppe nell’aria.
Sobbalzai guardandomi intorno. «Lupi?», chiesi a voce stridula. Non sapevo che alla Riserva li avessero reintrodotti.
«Meglio andare», disse Paul annoiato. «Credo che domani sarà una lunga giornata».


Angolino Autrice

Ciao a tutti e buona domenica. Ecco il secondo capitolo dal punto di vista di Rachel.
Non tarderemo ad arrivavare al vivo della storia, stavolta ho messo da parte le mie solite controindicazioni* ahahah.
Vi lascio il link della mia prima originale romantica, DARK SHADOWS fateci un salto se vi va 
A domenica prossima! <3 <3 <3

  
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