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Autore: itstheinfinity_    03/02/2013    1 recensioni
mi chiamo julie, ho sedici anni e ho una storia da raccontare. una storia bellissima, per certi versi anche drammatica, la mia vita insomma. tutto incominciò quel lunedi sette gennaio...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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Beh eccomi qua. Sdraiata su un fottuto letto cercando di mettere insieme i pezzi del mio cuore, dopo l’ennesimo tradimento del mio ragazzo, Luke. Sorrido con amarezza, tracciando degli anelli di fumo con la bocca, aspirando l’odore della sigaretta, un appiglio sicuro, una roccia solida in mezzo alla tempesta… Do un’ occhiata alla mia sveglia, le cinque di mattina, perfetto. Fra tre ore comincia la scuola e il dolore al petto non accenna a diminuire. Tiro su col naso, levandomi una ciocca di capelli dagli occhi. Ciocche scure, color cioccolato, che ricadono scomposte sul mio viso, formando una tendina. Sorrido nuovamente, in fondo è grazie a mio padre se sono forte, lui mi ha insegnato a non piangere mai. “Julie – mi diceva sempre- se piangi mostri agli altri la tua debolezza, e la tua debolezza è la loro forza. Non devi piangere mi capisci? Mai.” Come mi manca papà, da quando è morto, la vita mi sembra spoglia, cruda, fredda. Voglio dire, ormai sono passati tre anni, ma talvolta il dolore è cosi forte che mi piego in due e a stento trattengo le urla. E’ dal giorno in cui una macchina lo prese in pieno che cominiciai a fumare. Avevo tredici anni, e ormai sarebbe impossibile smettere. Mia mamma non lo sopporta, e io non sopporto lei, nella vita non si può avere tutto. Nuovamente inspiro con forza, e butto fuori lentamente il fumo, assaporandolo lentamente. Mi volto verso il comodino, e mie occhi arrossati vedono subito la foto di me e Luke abbracciati, sette mesi prima, a Parigi. Come stavamo bene, allora, ero la ragazza più felice del pianeta con lui, era perfetto. Ma poi lui cominciò a bere, bere pesantemente, tanto, e spesso diventava violento, intrattabile, imprevedibile. Stava via settimane con ragazze incontrate in discoteca, mi picchiava, era orribile. Negli ultimi tempi qualcosa stava migliorando, era stato in clinica di riabilitazione, ma non era servito a niente, questa sera eravamo stati in discoteca, e io l’ho visto, l’ho visto mezzo fatto nei bagni con una biondina strafatta come lui. Le sue scuse patetiche mi sono scivolate addosso, non me ne frega più nulla di lui. Basta, storia chiusa, stop. Però ci sto male, soffro come un cane. Il mio telefono squilla improvvisamente, è Luke. Merda. Decido di non rispondergli e spengo il telefono con rabbia, ricadendo sul soffocante piumone invernale. Cerco di prendere sonno, così butto il pacchetto di sigarette e l’accendino a terra e chiudo gli occhi, sprofondando dopo pochi istanti in un sonno senza sogni. Mi risveglio due ore dopo dalla calda voce di John Lennon che si diffonde per la stanza. Senza alzarmi, resto qualche minuto sdraiata, con gli occhi chiusi, tranquilla. “Apri gli occhi Julie, devi andare a scuola, alza quelle tue chiappe e vestiti.” Con grande sforzo mi alzo, mi trascino in bagno, faccio una veloce doccia e asciugo i lunghi capelli scuri. Mi butto addosso una maglietta a righe e una felpa della Jack Willis, e un paio di converse a stelle e strisce consumate. Infine mi trucco, col mio amato mascara e la matita. Ecco fatto, Julie Edwards pronta per cominciare un’entusiasmante lunedì dopo che il suo ragazzo l’ha presa per il culo nuovamente. Devo ammettere che sto diventando troppo magra, troppo, il fumo, lo stress, la stanchezza giocano brutti scherzi. Credo che fra poco riuscirò a contarmi le costole. Mentre scruto la mia figura, i miei occhi castani mi osservano, viglili, attenti nonostante la nottataccia. Alla fine il mio viso non è male, ho dei bei occhi, labbra carnose e un naso piccolo. L’unica cosa di cui mi lamento sono i miei capelli, lunghi e costantemente aggrovigliati, una massa scura che ondeggia a ogni mio passo. Disgustata, me li lego in uno chignon, infilo un cappotto, la vecchia sciarpa di mio padre, di cui non mi separo mai e un cappellino grigio. Bene, sono pronta per uscire, mia madre starà già lavorando in quella scuola infernale. Una mamma maestra, che cosa deprimente, direi. Mi avvio verso la mia di scuola, un edificio piuttosto grande, abbastanza nuovo. Sì, non mi posso lamentare della mia scuola, è moderna e messa bene, e lì almeno qualcuno che tiene un po’ a me c’è. Sara. La mia migliore amica da tanto tempo ormai. Fu lei a salvarmi dal baratro, quando mio padre se ne andò. Fu lei che mi aiutò, che rimase con me, mentre mia madre stava immobile davanti alla finestra, insensibile a ciò che succedeva intorno a lei, tanto meno sua figlia. Credo sia per questo motivo che il nostro rapporto si è raffreddato sempre di più. Io avevo bisogno di lei, una tredicenne impaurita e addolorata, che cercò conforto nel fumo e in una ragazza italiana, che diventò la mia migliore amica. Afferro il cellulare dalla tasca, accendendolo. Otto chiamate perse di Luke. Siccome sono stufa di tutto ciò, gli scrivo un messaggio molto chiaro e lampante: è finita, caro, divertiti con la tipa, non cercami mai più. Adesso mi sento decisamente più soddisfatta. Mi trovo di fronte alla scuola, entro seguendo la massa di studenti con le classiche facce da lunedi. Q
  
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