Fanfic su artisti musicali > Super Junior
Segui la storia  |       
Autore: Banana_Mecha    12/02/2013    4 recensioni
"La signora Kim siede vicino alla vetrina, nella sua caffetteria.
La porta è stata chiusa dall'interno con una spessa catena allucchettata; eppure non è neanche il tramonto.
Dentro le luci sono accese, e diffondono un caldo bagliore arancione, ma adesso che questo locale è vuoto… Prima che scatti il coprifuoco c'è ancora chi si azzarda a venire a trovarla. Sono molte meno di prima, certo, però vengono quasi ogni giorno.
Le passano ancora le lettere. Alcune addirittura portano del cibo.
Le si avvicinano e le sussurrano: «Yesung sta bene?»
Gli occhi della signora Kim si riempiono di lacrime. Non lo so, vorrebbe rispondere, mi manca mio figlio e non so niente di lui da mesi. Però non dice niente. Annuisce, e cerca di sorridere."
Settembre 2013. E' bastata una notte, e nessuno poteva sospettare che sarebbe accaduto così. Il Nord ha attaccato il Sud e la capitale è in ginocchio. La musica viene bandita dalla legge.
Gli artisti vengono costretti a rifugiarsi e a combattere contro i traumi di una guerra crudele e la paura di essere trovati. Non saranno soli però. Presto nel sottosuolo di Seoul nascerà la ribellione.
SJ, SNSD, B1A4, B.A.P.
Genere: Generale, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
WARNING! Il sesto capitolo è finalmente arrivato, non con poco ritardo. Mi scuso se ci ho messo tanto, ma per me questa fanfiction è un parto. Ce l'ho tutta in testa da mesi, eppure metterla nero su bianco non è affatto facile. Mi spremo le meningi per cercare di esprimere al meglio le emozioni dei personaggi, ma è veramente difficile e mi scuso perchè questo capitolo è veramente uno dei peggiori che abbia scritto. Non è facile parlare di emozioni come l'amore (soprattutto viste le mie grandi esperienze nel campo) e, strano a dirsi, NON SONO SODDISFATTA.
Il capitolo è una sorta di lungo (lunghissimissimo) flashback. Mi dispiace di aver dedicato poco tempo a Super Junior e company, ma questa era una parentesi veramente troppo necessaria per lo svolgimento futuro della storia.
Dunque, da un lato abbiamo Soon Mi, dall'altro Yangee. Della prima per ora sappiamo solo che è una giovane soldatessa nordcoreana che custodisce un segreto molto importante. Di Yangee invece non si sa altro che Hyukjae ne è innamorato e che sicuramente tra i due ci sono stati dei problemi.
Qual è la loro storia, dunque? E soprattutto, qual è il loro importantissimo legame?
Spero che riusciate a leggere tutto, nonostante la lunghezza chilometrica. Penso davvero che nel prossimo capitolo parlerò di Leeteuk, quindi tenete duro, vi prego çAç
Grazie di leggere la mia fanfiction, è importante per me. Buona lettura.
P.S. Mi sono dimenticata di ringraziare HaruHaru19 per l'aiuto che mi ha dato a un certo punto del capitolo, grazie mille Eonnie! Grazie anche a Elisa che mi ha dato il parere prima della pubblicazione. I sarang You.


Cinque anni prima, Pungsan, Corea del Nord.


Pungsan è in una regione molto montuosa. Il paese sta nella valle, circondato dai monti e da una vegetazione incolta; dopo la stagione delle piogge il sottobosco ai margini del villaggio si è impossessato prepotentemente dei cigli delle strade, e la vegetazione traspira umidità. Sì, fa un caldo afoso.
E’ luglio e la scuola sta per finire; sulla strada di casa una piccola Soon Mi gioca a evitare le pozzanghere come una bambina, del tutto incurante che ormai ha già dodici anni.  
Non ha niente di particolare per cui essere felice; la divisa le si appiccica fastidiosamente addosso, è stanca, accaldata e in più ha fame. Tanta. 
Percorrendo la strada sterrata verso casa sua ad un tratto cambia direzione e si  infila in una via secondaria. 
A Pungsan non ci sono tanti soldati; si potrebbe dire che lì in periferia non ce ne siano affatto.
Vengono solo a fine mese; controllano le produzioni, si prendono la loro parte e poi lasciano le tessere per gli approvvigionamenti, nel caso che sia cambiato qualcosa circa la distribuzione dei viveri.  Ultimamente la tessera viene sostituita quasi ogni mese;  ogni volta accanto ai nomi degli alimenti viene scritto un numero sempre più piccolo. 
In sostanza, nessuno si accorgerà se esce un po’ dal paese.
A Pyongyang Soon Mi ricordava soldati in quasi ogni strada. Ricordava soldati cattivi, minacciosi. La casa veniva controllata quasi ogni settimana, messa a soqquadro, depredata e poi, non avendo trovato niente fuori posto, prendevano quel poco che c’era da mangiare e se ne andavano.
E’ contenta di aver lasciato la capitale, anche se è stato difficile. E’ contenta di essersi buttata alle spalle quella vita spaventosa. 
Qui in campagna apparentemente non è molto diverso. Ha la stessa divisa scolastica, con la gonna blu, la camicetta bianca e il fiocco rosso, studia le stesse materie odiose e ha la stessa fame di prima. In pochi le parlano a scuola e continua ad andare male a poesia. 
Però sta bene. Forse è la lontananza da suo padre, un uomo violento che picchiava la mamma. Forse è merito del fatto che qui i soldati si fanno vedere poco e sono gentili e pacati. O forse è grazie a Yangee. 
Come ogni pomeriggio si sta recando da lei, nella casa in cima alla collina. 
Con la sacca dei quaderni in spalla salta; prende lo slancio tirando in fuori il sedere come una papera, e da lontano si potrebbe quasi dire che sia davvero una bambina delle elementari tanto è piccola di costituzione e si muove goffamente. 
Salta le larghe pozzanghere in mezzo alla ghiaia finchè non posa maldestramente i piedi sul primo gradino dell’hanok di Yangee. Alza lo sguardo e soffiando si scosta la frangia dagli occhi.
E’ un pomeriggio soleggiato tanto che dalla macchia si sentono la cicale, anche se è un suono debole e ovattato. Il sole a ovest illumina in pieno la facciata dell’hanok, tanto che il portone laccato di marrone scuro luccica. 
C’è qualcosa di innaturale in quella calma estiva; qualcosa che ha fatto fare le capriole allo stomaco di Soon Mi non appena il suo piede ha toccato il cemento del gradino.
In un attimo quella sensazione le è salita attorno alla gamba come una scarica elettrica e ha sgretolato la felicità di pochi istanti prima.
Non è niente, si dice. Quale stupida presterebbe attenzione a una cosa del genere? Eppure dentro di lei l’ansia cresce ogni secondo in più che passa immobile in piedi su quel gradino. 
Ne sale altri due, bussa; leggermente, con le nocche, non come al solito quando usa tutto il palmo della mano.
Nessuna risposta. Bussa di nuovo. Niente. Allora bussa ancora, più forte, e aspetta con il cuore in gola. 
Inizia a fremere e a sudare freddo. Si guarda intorno, prima dietro, nel sentiero deserto, poi si rivolge alla boscaglia che circonda la casa. 
Bussa ancora, con molta più insistenza e poi con il dito allarga il fiocco intorno al collo che è diventato soffocante. E’ da sola, è certa di essere sola, ma al tempo stesso qualcuno la osserva. 
Spera che arrivi il signor Go ad aprirle la porta così da potersi sottrarre da quello sguardo al più presto.
Ma la porta non si apre e il disagio di Soon Mi cresce. Inizia a chiamare Yangee e il signor Go a gran voce, battendo i palmi delle mani sul portone. Lascia scivolare la borsa a terra per poi lanciarsi con disperazione contro il legno, picchiando i pugni incessantemente e chiamandoli. 
Ad un tratto una folata di vento le scompiglia la frangia e il portone si apre da solo. Soon Mi rimane con i pugni a mezz’aria e la sensazione, nuovamente, che qualcuno la stia osservando. 
Stringe le nocche sbucciate intorno agli spallacci della sacca e varca la soglia a piccoli passi. 
«C’è nessuno?», sussurra, e fin da subito non si aspetta una risposta.
Sono circa le cinque e il sole inizia ad alzarsi; i bambù di cui tutto il perimetro del cortile è circondato allungano le loro ombre fino al vialetto di ciottoli, in mezzo all’erba. 
Nel fazzoletto di prato in ombra la panchina di legno su cui lei e Yangee erano solite sedersi a leggere fiabe  è rovesciata. Ovunque per terra sono sparsi plichi di fogli stampati e oggetti buttati alla rinfusa; tra l’erba, vicino al vialetto, c’è la foto della madre di Yangee. 
Soon Mi si china a raccoglierla, si gira la cornice di legno fra le mani e lucida il vetro incrinato con un lembo della gonna; si chiede come possano averla lasciata lì.
Procede, titubante; teme che se le sue scarpe faranno troppo rumore qualcuno possa sbucare fuori dal nulla e spaventarla.  Posa i piedini sul legno della veranda. Anche lì, sotto la tettoia, sembra che sia passato un uragano. Il divanetto ha i cuscini ribaltati e la fodera lacerata in più punti. Sovrappensiero Soon Mi infila il dito nell’imbottitura pensando che anche mamma a Pyongyang aveva cucito i risparmi nelle fodere dei cuscini perché i soldati non li trovassero.
Il tavolino tondo è rovesciato a terra, poco distante dai frantumi del vaso di cristallo. Continuando la sua esplorazione Soon Mi calpesta un fiore di campo caduto poco più in là. 
La porta scorrevole della cucina è aperta, così come gli sportelli della credenza, quasi interamente svuotati. Scosta delicatamente la sedia di legno e si siede a tavola come avrebbe fatto in un qualsiasi altro pomeriggio aspettando che il signor Go facesse il tè (tè vero, non come le erbe di campo che metteva in infusione la mamma). Distende le braccia sul tavolo, e non sente altro che il rumore dei suoi respiri leggeri.
Nello studio del signor Go neanche entra; si ferma sulla soglia, dove i pesanti tomi della libreria si ammucchiano disordinatamente. Ovunque fogli, scartoffie, libri e mappe buttati alla rinfusa.
E poi c’è la camera di Yangee… la camera di Yangee che è un universo a sé. 
Mentre tutto il resto della casa versa nel più totale caos in quella cameretta il tempo sembra essersi fermato al giorno prima. 
Solo l’armadio è leggermente dischiuso e le lenzuola disfatte. Soon Mi si siede delicatamente sul letto e fissa il vuoto davanti a sé, nella più totale penombra.
Passa in rassegna la scrivania, il comodino con la lampada e gli scaffali pieni di libri di fiabe e romanzi per bambini.  Una stanza che tutto sommato non è cambiata dalla prima volta che ci è entrata, due anni fa.
Allora Soon Mi si era da poco trasferita a Pungsan dalla capitale; papà era morto e mamma era scappata con lei in montagna, dove risiedevano ancora i suoi vecchi genitori.
Soon Mi non era esattamente una bambina socievole; in casa aveva sempre parlato poco per paura di innervosire suo padre e a scuola aveva subito capito di essere diversa dagli altri bambini. 
Perciò anche nella piccola scuola che frequentava ora a Pungsan aveva faticato a fare amicizia; si può dire che non ne avesse fatta nessuna. Aveva circa nove anni e mezzo e al contrario di tutti i suoi compagni faceva il tragitto del ritorno da sola.
Aveva preso l’abitudine, con l’avvenire della primavera, di gironzolare un po’ per la macchia prima di tornare a casa. In città non aveva mai visto tanta natura, in più il nonno le aveva indicato un cespuglio che faceva delle bacche nere dolcissime. 
Fu proprio in uno di questi giri che si imbatté nell’hanok di Yangee. 
Lei era seduta sui gradini del portone, al sole, e leggeva un libro enorme, di quelli con la copertina cartonata e lucida. Si mordicchiava l’unghia del pollice, assorta. 
Soon Mi le si era avvicinata, e allora sembrava davvero una paperina. Era incredibilmente piccola e magra, e chiunque non le avrebbe dato più di sei anni. Leccandosi le dita sporche di succo violaceo, era rimasta con lo sguardo fisso in quello di Yangee per chissà quanto. 
Yangee era alquanto bizzarra. Aveva guance piene e rosee, e portava una salopette di jeans, tessuto che Soon Mi non aveva mai visto da nessuna parte.
Ciò che veramente aveva attratto la bambina però era stato il libro che Yangee teneva sulle ginocchia. 
L’illustrazione raffigurava una ragazza dai capelli lunghi e gialli e gli occhi blu, con un abito a dir poco incredibile; tutto balze, merletti e maniche a  palloncino rosa salmone. La ragazza toccava quello che aveva tutta l’aria di essere il fuso di un telaio.
«Che cos’è?», aveva domandato, lasciando un’impronta violetta dove con il ditino aveva toccato la pagina. 
Fu così che a Soon Mi fu raccontata la fiaba de “La Bella Addormentata”. Da allora tornò lì ogni pomeriggio.
Conobbe il signor Go, con la sua grande libreria e la sua aria calma e affettuosa, divorò tutti i libri di Yangee.
Con il tempo aveva capito che i due venivano dal Sud, ma non ne aveva fatta parola con nessuno; sapeva che sarebbero potuti finire in guai grossi se la voce fosse arrivata ai soldati.
Sinceramente preferiva molto di più passare il tempo nel bell’hanok di Yangee leggendo libri di principesse straniere dai capelli d’oro, bevendo tè e schiacciando pisolini sul divanetto della veranda piuttosto che tornare nella devastante solitudine della vecchia casa dei nonni.
Varcato il portone di Yangee, poteva sognare il Mondo. Tutto quello che c’era al di fuori dei piccoli confini della Corea del Nord rappresentava un miraggio bellissimo che fra quelle quattro mura prendeva vita. 
E ora invece Soon Mi era rimasta da sola. Più volte aveva sperato che la mamma e il signor Go si sposassero, avrebbe voluto che lui fosse diventato il suo papà. Adesso però le viene il dubbio che sia stato tutto un sogno.
Senza Yangee e suo padre quella casa sembra un vecchio relitto abbandonato; nessuno saprebbe dire con certezza se sia stata lasciata la mattina stessa o 20 anni fa, tanto è fredda.
Soon Mi vuole piangere con la consapevolezza che non ne è capace. Sente gli occhi pungere e le lacrime che non si decidono a uscire.
Si alza di scatto e con tutta la rabbia che ha in corpo inizia a  scaraventare via i libri di fiabe. Non contenta rovescia l’intera libreria e inizia a calpestare le copertine dei romanzi, gridando.
Yangee se n’è andata. La sua unica amica se n’è andata via con il suo papà. E’ sparita senza dire niente, senza salutare, senza dirle addio. E’ andata e ha spezzato l’incantesimo; Soon Mi è ancora al Nord, sarà per sempre al Nord. Niente più sogni di libertà, niente più tè caldo per calmare la fame. 
Sente di avere dentro rabbia sufficiente per distruggere tutto ciò che rimane in quella casa. Si alza di scatto e trascina giù la lampada che va in frantumi, prende a calci il comodino, rovescia la scrivania con un fracasso infernale. Lancia via cuscino e materasso, monta in piedi sulla rete e prende uno ad uno i libri sulla mensola strappandone le pagine e lanciandoli contro il muro.
Poi la piccola mano le si stringe intorno a una custodia di plastica, appena in tempo prima di mollare la presa e lanciarla con furia verso il pavimento. 
In un secondo torna lucida. Si rende conto di essere in piedi sulle doghe di legno del letto e di aver appena devastato la cameretta di Yangee. Si accorge di avere il fiato corto e di aver suo malgrado pianto lacrime di rabbia.
Si porta la custodia del CD al viso, mentre cerca di riprendere fiato; ne liscia la copertina con il pollice, poi segue il profilo del bordo zigrinato. Sorry Sorry.
Lei non sa leggere quella scritta, sa che si dice così perché gliel’ha detto Yangee. Vuol dire “scusa, scusa”, in inglese.
Di tutti i CD di Yangee questo è il suo preferito in assoluto. Soon Mi non piange mai; lei stessa è convinta di non esserne in grado.
E invece ora piange, e i singhiozzi le scuotono il piccolo petto con violenza. 
Di tutte le cose che amava dei pomeriggi con Yangee, la più bella era stata la scoperta di quella cosa chiamata “amore”.
C’era una storia d’amore in ogni fiaba, in ogni libro, in ogni film di Yangee. L’amore era quella cosa che teneva unita la gente; era un miscuglio di rispetto, generosità e fratellanza. Era la colla fra le persone, quella che permette a una madre di non abbandonare mai il figlio e di arrivare a morire pur di salvarlo. Era la cosa che Soon Mi respirava in ogni gesto mosso in quella casa. 
La mamma non parlava mai del papà; lei lo odiava. 
La parola d’ordine nel regime non era amore; era “paura”. Per anni Soon Mi non aveva conosciuto altro.
E invece c’era un altro modo per vivere con la gente. Il signor Go teneva una foto della moglie morta sul tavolinetto della veranda e le metteva vicino sempre un mazzo di fiori. Il signor Go abbracciava Soon Mi ogni volta che lei gli tendeva le braccia.
Ascoltando i suoi CD, Soon Mi aveva finalmente iniziato a sentirlo, questo “amore”. Aveva iniziato a comprenderne le diverse sfaccettature, aveva capito che nella sua breve vita era certamente mancato.
Ed eccolo lì, l’amore. Ce l’ha fra le mani, in un dischetto di metallo dentro una custodia di plastica. 
Si asciuga le lacrime con la manica della camicia, poi prende gli altri CD di Yangee e li ficca nella sacca insieme al piccolo lettore portatile nel cassetto dell’armadio. Infine esce dalla stanza, chiude la porta, gira i tacchi e scappa.
Negli anni a venire farà amicizia con Min Ji. Amicizia per davvero. Min Ji sembra stupida, ma in realtà è l’unica che capisce al volo cosa passa per la testa di Soon Mi. Min Ji è buona.
Loro due, da sole, sono riuscite a far nascere l’amore. Si amano come sorelle. Sono come una fiammella guizzante nell’oscurità, una fiammella inestinguibile. Solo la morte potrà dividerle, ma sicuramente non spegnerà quel sentimento.
L’amore è indelebile. E’ come la traccia di un CD che si ripete all’infinito, ogni volta che vuoi, e rimane lì. Per sempre.


Quell’estate, Seoul, Corea del Sud.


Yangee si guarda allo specchio, e per lei è un po’ la prima volta.  Si liscia la gonna del vestito, una bellissima gonna di tulle color tortora.  Fa un paio di giri per ammirare l’abito da tutti i lati, liscia il corpetto di seta color avorio, si scosta la frangia dagli occhi. 
Torna a guardarsi, per convincersi che è lei davvero.
Che quella creatura bella e sorridente è davvero lei, Go Yangee, diciannove anni. 
Si chiede se ora che è truccata, solo un po’, giusto un filo, e si è sistemata i capelli e si è messa quel vestito stupendo e i tacchi… si chiede se Hyukjae le chiederà di ballare con lui.
Chissà se vedendola penserà che è bella, che la ama.
Al pensiero le guance di Yangee diventano rosse. 
E’ così strano sentirsi innamorati; avere le dita delle mani che formicolano e il sorriso stampato in faccia. E’ così strano sentirsi vivi… 
Yangee si sistema la frangia un’ultima volta, poi, traballando sui tacchi, esce sul pianerottolo di casa, si chiude la porta alle spalle e, prendendo un lungo respiro, inizia a scendere lentamente le scale.
Un piede dietro l’altro, con fiducia.
Non è più il fantasma che nel cuore della notte fino a qualche mese prima scendeva quelle stesse scale avvolto in dei vecchi vestiti larghi e sformati. Non è più la ragazza smagrita, con le guance incavate, le occhiaie e le sneakers sgualcite che ogni notte  si trascinava stancamente a lavoro.

Yangee non sa bene come si sia innamorata di Hyukjae. Per la verità le sfugge anche il modo esatto in cui sono diventati amici.
Però per lei Hyukjae è tutto. E quando dice tutto, intende davvero tutto.
C’era stato un periodo nella vita di Yangee in cui si sarebbe potuta considerare una bambina nella norma, con una vita nella norma, ma quel periodo è così lontano che a volte, tentando di ricordarlo, si chiede se la sua mente non stia immaginando tutto. Il volto di sua madre spesso si confonde con i volti delle donne che vede per strada, e non sa dire se il calore che ricorda sia quello del suo petto o quello delle coperte, d’inverno. 
Poi, quando aveva sei anni, sua madre morì. Faceva la giornalista, come suo padre.  Una bomba se la portò via a Kabul, con altri due della troupe. Fu allora che Yangee si rese conto di che uomo meraviglioso fosse suo padre.
Rimasto da solo con lei piccola non si perse d’animo e cercò di farle anche da madre, per quanto poteva. Così, tra alti e bassi, bene o male tutta la sua infanzia era stata un’infanzia bella; il vuoto lasciato da sua madre veniva colmato dall’affetto di cui la riempiva suo padre.
Poi arrivarono dei tempi duri, e papà accettò un lavoro molto rischioso; si trattava di infiltrarsi in Corea del Nord insieme ad un’équipe di medici umanitari giapponesi e stilare un resoconto dettagliato della vera situazione economica del Paese. Yangee aveva dodici anni quando si trasferirono a Pungsan. Le era stato concesso di portarsi poche cose, e quindi i suoi passatempi erano perlopiù la lettura dei soliti libri, qualche film e cinque, sei CD. Non poteva mai uscire di casa perché qualcuno, non riconoscendola tra gli scolari, si sarebbe potuto insospettire. Furono tre anni di noia, salvo che per i pomeriggi con Soon Mi. 
Talvolta Yangee ripensa a lei con rammarico; se ne sono dovuti andare in fretta e furia senza neanche salutarla; senza di lei il tempo non sarebbe mai trascorso. 
Al rientro al Sud però qualcosa era andato storto. La ricerca di papà era incompleta, c’erano stati dei problemi, fatto sta che lui perse il lavoro e con quello crollò definitivamente.
Tutta la sua solitudine, la sua tristezza e i suoi sensi di colpa salirono a galla. Il fatto che forse Yangee fosse ormai grande  gli aveva fatto credere di potersi finalmente lasciar cadere nell’oblio dei sensi di colpa, anche solo per  un po’. E così, aveva iniziato a bere. Chissà cosa rimuginò in quel breve periodo, fatto sta che qualcosa in lui si ruppe; la cosa che lo teneva ancorato alla realtà si spezzò di netto, come una vecchia corda, e da allora Yangee non riebbe più indietro suo padre.
Arrivata da sua zia probabilmente non era pronta a dover condividere la casa con delle perfette estranee, in tutta la sua vita non aveva vissuto che con suo padre, non aveva la minima idea di cosa significasse.
Aveva cercato di non essere di disturbo dando una mano in casa, e aveva finito per diventare la sguattera, nel vero senso del termine. Le cugine la detestavano.
Si era dovuta trovare persino un lavoro in una ditta delle pulizie.
I primi tempi si ripeteva che era solo una cosa momentanea, finchè papà non fosse stato dimesso dall’ospedale psichiatrico; le lettere che riceveva ogni tanto le davano la speranza che si fosse rimesso, poi però ne arrivavano alcune che erano dei veri folli deliri.
Arrivata a compiere 17 anni, davanti a una pasticceria, aveva guardato le torte nella vetrina. Le aveva osservate una ad una, e poi se ne era andata senza prenderne nessuna, quasi con rassegnazione.
Quella sera aveva chiuso tutte le lettere di suo padre in una scatola di metallo, e l’aveva cacciata sotto il letto. Da allora non aveva più aperto neanche una delle sue buste; le aveva riposte nella scatola e mai lette.
E così aveva seppellito tutte le emozioni insieme a quelle carte, dalla rabbia alla stanchezza, dalla tristezza alla solitudine; tutto era stato assorbito da quelle pagine.  
Arrivata a diciannove anni era più simile a un fantasma che a un essere umano. Della Yangee spensierata che era stata durante l’infanzia non era rimasto niente, neanche l’aspetto.
Però poi aveva incontrato Hyukjae, quel mattino.

La sveglia suona e Yangee prontamente la spegne. La sua camera è avvolta nell’oscurità.
Si issa a sedere sul letto e si scosta i ciuffi arruffati dal viso, poi posa i piedi per terra e inforca le sue vecchie pantofole sbucciate. La sveglia segna che sono le quattro in punto del 15 Dicembre 2012.
Ben attenta a non inciampare in tutte le cianfrusaglie che In Hee e le sue figlie lasciano in giro, si fa strada in bagno al buio, e cerca di dare un verso a quel cespo intricato di capelli color ebano. Si lava facendo attenzione a non svegliare nessuno, poi scivola nella sua divisa di seconda mano.
Non si guarda mai allo specchio. Ogni tanto intravede un riflesso in una vetrina, un’ombra nello specchio del bagno, ma non sa che forma abbia il suo naso, né come siano i suoi occhi; se ha la faccia ovale o larga e se le sue orecchie sono normali o appuntite.  Ormai tutto ciò che riguarda sé stessa non le interessa più.
In cucina c’è puzza di fritto. La tavola ha ancora tutti i piatti sporchi della sera prima e nell’acquaio le scodelle si sono accumulate l’una sopra l’altra in pile pericolanti. Yangee afferra una mela, inforca le sue vecchie scarpe da ginnastica e poi esce in strada.
Seoul è una grande metropoli. La gente la trova rumorosa, caotica e affollata, ma c’è un momento, passate le quattro di notte, in cui tutto si ferma. Le strade si svuotano completamente, i rumori cessano e il tempo si congela. 
Yangee è l’unica ombra a scivolare lungo quelle vie di periferia; raramente un autobus o un taxi illumina per qualche istante la carreggiata e scivola via silenziosamente, ma per il resto, nota Yangee, le strade sono così deserte che ci si potrebbe tranquillamente camminare in mezzo senza paura di essere investiti… Com’era quella leggenda metropolitana che andava di moda una decina d’anni fa?, a Yangee è immediatamente venuto in mente. Anni addietro era uscito un film che era diventato piuttosto famoso e le persone si erano fissate con una di queste citazioni tipica del genere: nell’ora in cui il tempo si ferma e la città si svuota, le anime sole scendono e ballano il tango in mezzo alla carreggiata della strada. O era il valzer?, si domanda Yangee. Scuote il capo; non è tempo per riflettere su delle stupide citazioni. 
Imbocca una scaletta di cemento un po’ nascosta in mezzo ai palazzi. Attraversa la strada e si fruga nella tasca del giacchetto in cerca del pesante mazzo di chiavi, con le mani intirizzite dal freddo ne prende una e la infila nella toppa di una porta di metallo. 
Nello sgabuzzino fa freddo. Apre il suo armadietto e raccoglie un post-it giallo che qualcuno le ha messo dentro attraverso le fessure dello sportello: Ho fatto il doppio turno e ho pulito anche il terzo piano. A te tocca il secondo oggi. JungMin. 
Yangee appallottola il foglietto e prende il grembiule blu. E’ un grembiule che le sta largo di almeno tre taglie, puzzolente, sgualcito e macchiato qua e là di vernice. Su una tasca ci sono delle macchie più chiare, testimonianza di un incidente con la varichina, e mancano due o tre bottoni. 
Yangee ama indossare il grembiule; è una delle poche cose che può dire di amare davvero. L’unica. 
Le si affloscia addosso e ci scompare dentro fino a metà polpaccio, ha un odore di vecchio, ma è ciò che di più simile a un abbraccio abbia mai provato. E’ qualcosa di sicuro a cui aggrapparsi, è il suo segno distintivo. Quando indossa il grembiule Yangee non è più un fantasma, è il fantasma con il grembiule blu.
Trascinandosi sulle sue esili gambe prende il carrello, riempie il secchio e si infila i guanti gialli. Anche i guanti gialli le piacciono, non come il grembiule ovviamente, ma le suscitano una sorta di simpatia. Quando li indossa le sue mani sembrano zampe di gallina.
Spinge il carrello lungo i corridoi dell’agenzia. 
L’agenzia è un posto magico; non chiude neanche quando fuori ormai tutto tace. C’è sempre qualcuno. 
In qualche stanza c’è la luce accesa e si sente della musica.
Yangee solitamente pulisce il terzo piano. Sono tutti uffici, raramente sono occupati a quell’ora e non  è mai stata al secondo piano; non ha la minima idea di cosa ci sia. 
Trascina il carrello stancamente fino alla prima porta; il corridoio è illuminato dalle luci esterne che filtrano attraverso una parete a vetro; sembra un luogo magico avvolto di bagliori rossastri di cui lei sola è a conoscenza.
Spinge la maniglia, e i cardini cigolano; Yangee si sente per un attimo Alice prima di cadere nella tana che porta al Paese delle Meraviglie. Trattiene il respiro e accende la luce. 
Lo specchio è lì, su tutta la parete. Non può evitarlo. Ora che ci pensa ha paura del suo riflesso; ha paura che possa sbatterle in faccia chissà quale verità e sa di non poterla accettare.
Però lei c’è. Ci mette qualche istante a capire che è proprio quella nel riflesso. 
Che la ragazza alta, magrissima, con il viso stanco, le occhiaie e i capelli mossi è lei. Che il grembiule le sta veramente troppo grande ma che tutto sommato le dona. Non capisce se è bella o no. Sicuramente è troppo trascurata e stanca, e ha il viso grigiastro. Non ha l’aria molto sana. 
La cosa che più la stupisce però è che ha avuto la prova evidente di esistere. Fino ad ora si è sentita una presenza trasparente che osservava il mondo, ora ha la certezza di avere un corpo tutto suo. 
Che stupidaggine vero? E’ ovvio che ha un corpo, si canzona mentalmente, però sente il cuore che batte. Rimane qualche istante senza respiro, sopraffatta dall’emozione.
Lì in piedi nella sala prove, guarda quella sconosciuta allo specchio e sente gli occhi inumidirsi. 
Perché ti sto maltrattando così?, pensa e si tampona il naso con il dorso della mano.
«Da quando in qua i pavimenti si puliscono con le lacrime?»
Yangee sussulta; presa com’era dalla sua immagine allo specchio non aveva notato la figura appoggiata  allo stipite della porta. Girandosi di scatto urta il secchio e l’acqua si rovescia sul parquet.
Serra i pugni e rimane a guardare la pozza allargarsi; odia l’acqua. Specialmente quella versata, quella che nessuno è stato capace di confinare in un recipiente. E’ come lacrime non trattenute, e Yangee odia non riuscire a trattenerle. Con le labbra che tremano sente l’acqua inumidirgli i calzini.
Sente una dietro l’altra le ingiustizie che subisce, i suoi soldi che finiscono in mano a In Hee, la fatica accumulata e i bocconi amari ingoiati. Si sente in colpa di non amarsi e di essersi fatta tanto male fino ad ora. Le gambe le cedono e cade in ginocchio; poco importa se si bagnerà tutta.
Il ragazzo sullo stipite della porta si decide a muoversi. Prende uno straccio asciutto dal carrello, si china e inizia ad asciugare il pavimento al posto di Yangee.
«Per un po’ d’acqua versata non credo sia necessario piangere», mormora strizzando il canovaccio dentro il secchio. Le esili spalle di Yangee sono scosse dai sussulti.
«Non piango per l’acqua», singhiozza. Piango perché mi stai aiutando, vorrebbe aggiungere, però tace.
Lui è Eunhyuk. C’è stato un periodo prima in cui ascoltava i Super Junior, ma adesso non saprebbe ridire neanche di cosa parlavano le canzoni. Guardando Eunhyuk negli occhi, non occhi particolarmente belli ma con qualcosa dentro, per un attimo vede balenare una luce. Una luce che non c’è mai in nessuno degli sguardi che le vengono rivolti solitamente.
E’ per questo che piange. 

«Grazie»,la ragazza tira su con il naso. Hyukjae si blocca per un secondo e la guarda negli occhi.
Nessuno gli ha mai rivolto un grazie del genere. E’ più un “grazie” che si direbbe a chi ti ha appena salvato la vita. E’ un “grazie” caldo, ruvido, un po’ goffo, ma carico di sollievo. 
Non si sente a disagio, si chiede solo il perché di quello sguardo carico di gratitudine.
La prende per il braccio – un braccio esile e fragile – e la aiuta a rialzarsi con la stessa facilità con cui solleverebbe una piuma.
«Vieni, ti offro un tè caldo».

Era andata a grandi linee così. Avevano preso un tè dal distributore automatico. Lui le aveva detto che era lì a tarda ora per perfezionare una coreografia. Le aveva parlato per circa un’ora, ininterrottamente, finchè Yangee non aveva fatto un sorriso – il primo dopo un tempo incalcolabile – e lui si era sentito soddisfatto ed era tornato in sala prove. 
Da allora avevano preso l’abitudine di incontrarsi ai distributori verso le cinque, andare sul terrazzo e sorseggiare del tè guardando le luci abbaglianti della città.
Yangee no ricordava di essere capace di parlare tanto a lungo, tanto meno di ridere. Ma lui era così… Yangee lo guardava senza trovare un aggettivo che rendesse abbastanza l’idea.
Era l’apice dell’imperfezione; non era bello, affatto. Il viso rifiutava di attenersi ad ogni regola della simmetria; il naso era grande, gli occhi piccoli e le mascelle pronunciate.  Era così disarmonico.
Eppure Yangee non poteva non guardarlo. 
Non sa dire cosa l’avesse fatta innamorare di lui. Hyukjae la trattava da essere umano, no, anzi, di più. Lui la trattava con affetto. Quando gli capitava di doverle porgere un bicchiere di tè, o la aiutava a portare il carrello fino all’ascensore, lo faceva con una tale delicatezza che Yangee non credeva neanche più di meritare. E poi negli occhi aveva qualcosa.
Era qualcosa che le ricordava incredibilmente lo sguardo che le rivolgeva suo padre.  Era il qualcosa che hanno tutte le persone buone e incapaci di mentire.
Davanti a quello sguardo, certe notti, era anche capace di raccontargli di sé. Di rispondere alle sue domande e di piangere con lui, di parlargli di suo padre. 
Davanti a quello sguardo, certe notti, era quasi stata tentata di dirgli che lo amava. Che non le importava di essere ricambiata finchè lui si fermava a parlare un po’ con lei.
Erano passate le stagioni, portandosi via le notti passate insieme a parlare su quel terrazzo. L’inverno aveva ceduto il passo all’aria tiepida della primavera, e infine era arrivata l’estate. 
E quella notte di luglio, lui l’aveva aspettata all’uscita, per strada.
«Lee Hyukjae, che ci fai qui! Vai a dormire!», gli aveva intimato lei, ma lui aveva scrollato le spalle e le aveva teso una mano.
“Vuole che l’afferri?”. “Sì”, gli aveva risposto il suo sguardo, e allora Yangee aveva posato le piccole dita sul palmo della sua mano.
Hyukjae l’aveva guardata, trovandola bellissima; le guance erano tornate piene e si era tagliata i capelli, e in quel momento il suo sguardo innocente gli aveva ricordato il suo primo amore.
E allora aveva pensato di amarla, sì, di amarla così com’era. 
Con l’altra mano le aveva circondato i fianchi, e poi senza dirle niente aveva iniziato a guidarla. Un, due, tre. Un, due, tre.
Come la scena del film, aveva pensato Yangee, con il cuore che batteva a mille. 
Quando Hyukjae si era fermato lei l’aveva guardato come si guarda un sogno che si allontana.
« Tieni i passi bene a mente e balla al mio ritmo, se ci riesci. Sabato prossimo l’agenzia organizza un party e… », aveva preso un lungo respiro e le aveva sussurrato, con il suo brutto sorriso stampato in faccia: «Ho intenzione di premiare la dama che mi concederà un valzer… con un bacio». Poi l’aveva lasciata andare, si era girato e con le mani in tasca si era diretto verso la sua  auto.
«Ah, maledetto! Chi credi che lo voglia un bacio da te!», lo aveva preso in giro lei. Poi però si era morsa il labbro inferiore non appena la macchina era sparita dietro l’incrocio.
Io lo voglio, quel bacio, si era detta. Aveva preso una lunga boccata d’aria e poi si era diretta verso la fermata dell’autobus.

E così. Per la verità Yangee non sarebbe voluta andare; per tutta la settimana si era provata i vestiti da sera di sua cugina mentre lei non c’era, se li era messi e sfilati un’infinità di volte prima di decretare che era ridicola, pazza e illusa. 
Poi però, quella sera stessa, guardando le lancette dell’orologio sulla parete della cucina segnare le otto in punto, qualcosa l’aveva convinta. Aveva aspettato che sua cugina uscisse con le amiche e poi si era intrufolata in camera sua e si era messa il vestito tortora, quello che la faceva sembrare più carina.
Ed eccola lì, sull’autobus, con quel vestito principesco e dei tacchi su cui non si sarebbe mai sognata di montare. Eccola lì, con il cuore in gola che guarda le luci della città sfrecciare fuori dal finestrino. 
Si chiede se la troverà bella o se invece le riderà in faccia per aver anche solo pensato di poterlo sembrare.
Si chiede se ciò che è avvenuto quella notte è stato un sogno, e se non lo è stato, perché l’ha fatto.
Esiste una qualche possibilità che Hyukjae la ami? E’ lei la ragazza che vuole baciare?
Tutti questi pensieri le si aggrovigliano in testa mentre si stringe con forza il lembo di tulle della gonna.
L’autobus la scarica davanti all’agenzia; le porte si chiudono con un suono metallico, il motore soffia e poi riparte lasciandola lì, da sola.
Stringe la pochette e traballa sui tacchi fino all’entrata. Prende un lungo respiro, chiude gli occhi.

Hyukjae controlla l’orologio. Sono già le dieci di sera, la festa è già iniziata da quasi un’ora, e di Yangee neanche l’ombra. Si fa versare un bicchiere di champagne e va a berlo fuori, sull’attico. Guarda la città con le sue luci accecanti. Guarda il punto in cui potrebbe trovarsi la casa di Yangee e sospira.
Ci sono momenti nella vita in cui credi di avere la felicità in mano. Ti sembra di averla presa e di tenerla stretta in pugno, e poi ti accorgi che in chissà quale momento ti è scivolata via fra le dita senza che te ne accorgessi.
Vuota il bicchiere d’un fiato e ingoia lo champagne. Era certo che sarebbe venuta.
Dal primo momento lei lo aveva guardato con quello sguardo… dal primo momento lo aveva fatto sentire così indispensabile, così importante.
«Ah, le pene d’amore».
Hyukjae si volta e vede Hyoyeon che gli sorride, i lunghi capelli biondi le circondano il viso perfetto dal sorriso smagliante. Hyukjae annuisce, abbozzando un sorriso.
C’era stato un tempo in cui quelle stesse pene le provava verso di lei. Un tempo in cui la loro vita era felice e calma, ed erano solo compagni di lezioni di danza. 
«Ma che vuoi saperne tu, Kim Hyoyeon. Il tuo cuore è troppo grande per poterci ospitare un uomo solo», le risponde lui, e si gira di nuovo verso i grattacieli illuminati. Gli occhi della ragazza si velano per un attimo, poi alza la testa: «Hyukjae oppa, senti, hanno messo il valzer!», mormora.
Hyukjae tende l’orecchio; è vero, l’unico valzer della serata, quello che avrebbe voluto ballare con Yangee.
«Aish… peccato che hai già una dama invisibile, o ti avrei chiesto di ballarlo con me», scherza Hyoyeon; in un qualsiasi altro momento Hyukjae avrebbe riso.
Abbi fede, si ripete, arriverà. 
Ma Yangee non arriva e Hyoyeon lo guarda impaziente. Hyukjae annuisce e i due rientrano in sala.
Cinge i fianchi della ragazza e inizia a ballare, pensando al bacio che stasera non darà.

Yangee sale le scale, un piede dietro l’altro, tremante. Sente che il cuore le esploderà in petto. Sente che lo bacerà, stasera gli dirà che lo ama e lo bacerà.
Anche se il respiro inizia a farsi pesante continua ad avanzare, finchè non entra nella grande sala da ballo, gremita di persone.  Inizia a sentire il sangue bollire e andarle alla testa. Avrà il coraggio di farlo?
Deglutisce e inizia a guardarsi intorno, mentre nell’ambiente inizia a diffondersi dolcemente la melodia di un valzer.  
Inizia a farsi strada titubante fra le persone; chi non la riconosce le lancia strani sguardi, ma lei va avanti, finchè non si ritrova in mezzo alla pista.
E lui è lì. 
Ma non le tende la mano come l’altra notte; sta ballando il valzer con un’altra. Una ragazza bellissima per giunta, con cui Yangee non può neanche lontanamente competere.
Quando Hyukjae si gira e la vede, in piedi e con il viso rigato di lacrime, non fa neanche in tempo a realizzare la cosa che lei si è già voltata ed è corsa via, sparendo fra la gente.
Lascia Hyoyeon, mollandola da sola, in mezzo alla pista.
Che cos’ha fatto. Si sente uno stupido.
Alla fine era venuta davvero, era venuta per lui. Era venuta per il suo bacio. 
E lui ha rovinato tutto.
La rincorre giù per le rampe di scale, la vede poco più in giù lanciare via i tacchi e scappare via.
«Yangee, Yangee! Fermati!»
Ma lei non si ferma. Scappa via con il tulle spumeggiante che le avvolge le gambe.
Esce in strada e si guarda un attimo intorno, con la vista offuscata dalle lacrime. Vorrebbe urlare. Vorrebbe odiare Hyukjae per averla fatta innamorare, per averla illusa e per averla presa in giro.
Vorrebbe detestarlo perché per lui si è messa quel vestito che la fa sembrare un’idiota, perché tutti gli stupidi progetti che ha fatto da quella notte si sono rivelati solo le fantasie di una bambina ingenua.
E poi riprende a correre, in una direzione che neanche lei sa, a piedi nudi. Corre via come il vento, singhiozzando, con il cuore a pezzi.
Vuole odiarlo, ma non può. Lui le ha salvato la vita.
Hyukjae esce fuori con il fiatone in tempo per vederle svoltare l’angolo, all’incrocio, e la guarda svanire nel nulla, come una nuvola di vapore. 
«Mi dispiace Yangee, MI DISPIACE!»,grida, ma la sua voce si disperde nell’aria della sera. Sente l’ossigeno mancare e gli occhi pungere. Si siede  sul bordo del marciapiede, prendendosi la testa fra le mani.

Hyoyeon non piange mai è così? Ormai ci è abituata.
Sospira; sarà meglio che liberi il centro della pista alla svelta. Intercetta un cameriere e prende un bicchiere di champagne; lo sorseggia delicatamente con un’espressione vuota. Lo posa sul tavolo e in silenzio se ne va via.
Fottiti, Lee Hyukjae, pensa, nel mio cuore un uomo c’è eccome.
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Super Junior / Vai alla pagina dell'autore: Banana_Mecha