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Autore: Ryo13    13/02/2013    7 recensioni
Erin Knight ha un solo obiettivo nella sua vita: da quando ha perso lo zio Klaus, ucciso dall'uomo che amava, non vive che per trovare colui il quale possiede il potere complementare al suo, ovvero quello di manovrare il tempo. Tuttavia la sua missione è ostacolata da Samuel Lex — adesso capo dei ribelli e conosciuto col nome di 'Falco' — e dai capi dell'esercito reale che la osteggiano, minacciando la sua carica di Luogotenente. Unica donna in un mondo di uomini e senza alleati, sarà costretta a forgiare nuove alleanze in luoghi inaspettati...
❈❈❈Storia in revisione ❈❈❈
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Allour... finalmente ho ultimato il capitolo 12 di Violet, per scrivere il quale ho impiegato moltissimo tempo >.<
Spero di non aver seccato nessuno col ritardo (@Giù, soprattutto tu, scusamiiiii >////< )
La storia non fa grandi passi in avanti, in quanto a trama, ma almeno posso dichiarare del tutto conclusa la parentesi "Surdesangr" XD
Spero di entrare più nel vivo dell'azione già dal prossimo capitolo! Inoltre, spero soprattutto che questo 12° soddisfi, per quanto possibile, le vostre aspettative *v*
Ps. Oggi è il mio compleanno, per questo rilascerò ben tre storie! <3 Oltre questa, vi lascio un capitolo di Milena e l'ultimo di The Creature! *v*

GRAZIE DI SEGUIRE QUESTA STORIA! SPERO DI LEGGERE I VOSTRI COMMENTI SUL CAPITOLO!

 

Capitolo 12 - Furtività
 

Un leggero bussare mi spinse a voltarmi in direzione della porta. Chev, che era già sveglio e pronto come me da un pezzo, si raddrizzò nel suo angolo e mi gettò un’occhiata per ricevere il mio assenso prima di esclamare: «Avanti».

Un serva aprì timidamente la porta, strabuzzò gli occhi quando vide l’uomo che le sbarrava il passo prima di abbassare il capo, arrossendo.

«S-signori, siete attesi in sala. Padron Vasil desidera s-sapere se siete pronti», balbettò.

«Arriviamo subito, ragazza. Puoi riferire il messaggio», la congedai.

Lanciò un’occhiata di sottecchi a Chevalier prima di inchinarsi frettolosamente, chiudendosi la porta alla spalle.

Smisi di guardami attorno: non avevo molto di mio da portarmi dietro. Vasil mi aveva messo a disposizione praticamente tutto ciò che mi serviva. Inoltre, nei giorni precedenti, ero stata talmente presa dai miei piani che l’idea di tornare al Palazzo delle Guardie non mi aveva nemmeno sfiorato la mente. Ciononostante mi rivolsi al mio nuovo alleato: «Chev, tu hai nulla da portare con te? Ieri abbiamo firmato le carte all’arena ma non siamo passati dalla tua cella. Hai qualcosa che desideri prendere? Possiamo affrontare il tuo vecchio padrone se è qualcosa di importante: la visita non sarebbe piacevole, ma non dubito di riuscire a persuaderlo a ricerverci.»

Sbuffò. «Lo affermi nonostante quello che è successo stanotte? Ma non dovrei sorprendermi a questo punto: solo pochi giorni fa hai annunciato che mi avresti vinto combattendo. Non ti avevo creduta, eppure eccomi qua. Esattamente, però, come pensi di farti ammettere al cospetto di un uomo presuntuoso come Stenton, dopo l’offesa che gli hai arrecato?»

Ridacchiai. «Basterebbe minacciarlo di soffiargli il prossimo Campione! Che ne dici, pensi funzionerebbe?»

Chev sorprendentemente tese le labbra nella cosa più simile a un sorriso divertito – piuttosto che uno di amara ironia – che gli avessi mai visto fare.

Scosse la testa e borbottò: «Oh, una simile minaccia non potrebbe non avere effetto su di lui, certo.»

Il sorriso pian piano si spense ma continuò a fissarmi con una strana luce nello sguardo. «Sei una donna da non sottovalutare», decretò con una punta di accusa nella voce.

Lo guardai con serietà, prima di ammorbidire le parole con un sorrisetto impertinente. «Credevo di averti già avvertito a riguardo.»

Accennò col capo. «Hai ragione, ma temo di stare iniziando a rendermi conto solo ora delle implicazioni delle tue parole.»

«Stai tranquillo, Chevalier. Ti ho dato la mia parola che non avrei usato giochetti con te, o sbaglio?»

«Mi hai promesso la salvezza di Finn.»

«Anche.»

«Devo vederlo.»

«E lo farai. Oggi stesso.»

Annuì, forse convinto. Secondo me non si sarebbe dato pace fino a quando non avesse toccato con mano il ragazzino e controllato personalmente che fosse vivo e in buona forma. Beh, poco male, avremmo salutato Vasil e Calis e ci saremmo congedati da loro. Non occorreva molto per tornare al Palazzo.

«Non hai risposto alla mia domanda, Cavaliere: hai qualcosa da recuperare o possiamo metterci in marcia?»

«Non ho mai posseduto nulla di importante. Solo il ragazzino.»

«Bene, allora. Sarà meglio affrettarci.»
 

ꕥꕥꕥ 

 

Ci trovammo nella sala principale, la tavola imbandita con ogni sorta di vivanda immaginabile per la colazione. Vasil era al suo posto, su un seggio placcato in ottone piuttosto consunto, mentre Calis gli sedeva di fianco. Alla nostra entrata, quest’ultimo ci accolse col consueto calore.

«Eccovi, finalmente. Pensavamo che ve ne sareste andati senza nemmeno lasciare un saluto!» si burlò.

Gli scoccai un’occhiata divertita. «Come se non mi conoscessi, Cal! Sai che sono l’incarnazione della buona educazione.»

«E anche della modestia, a quanto pare», rispose ridacchiando. Con un cenno ci invitò a sedere. «Prego, servitevi pure.»

In silenzio, Chev prese posto dopo che mi fui accomodata, ponendomisi accanto, più distante dal padrone di casa.

Vasil non aveva ancora aperto bocca. Per quanto preferisse per lo più tacere, non era da lui questo comportamento. Quando Cal si tuffò con foga sul proprio piatto, mi rivolsi al vecchio.

«Ti vedo piuttosto abbattuto, Vasil. Ti spiace rinunciare alla nostra animata presenza?»

Produsse un suono a metà tra uno sbuffo e un grugnito e si accigliò maggiormente. Non tentò nemmeno di rispondermi, chiese solo: «Tornerai al Palazzo delle guardie?»

«Sì, dove altro dovrei andare sennò?»

«Lui viene con te?»

Pur non facendo alcun segno, era scontato che si riferisse al voluminoso premio che avevo vinto con la Sfida.

Lo guardai confusa, alzando un sopracciglio. Volevo capire dove volesse andare a parare.

«Certo, vecchio. Avrei fatto tutti questi sforzi per niente?»

«Avevi detto che sarebbe dipeso da lui decidere se rendersi utile o meno ai tuoi scopi.»

Anche se gli davo le spalle, percepii un movimento da parte del Cavaliere e sospettai che mi stesse fissando in maniera piuttosto penetrante: mi sembrava di sentire il peso del suo sguardo.

«Infatti. Ha accettato di aiutarmi», replicai concisamente.

Vasil puntò i suoi occhi scrutatori sull’oggetto della discussione e lo studiò per alcuni secondi. Io distolsi lo sguardo e mi riempii il piatto di uova, pane caldo e formaggio.

«Ritieni che sia sicuro?» domandò nuovamente.

Sospirai, mentre mi portavo alla bocca il primo boccone. «Stiamo giusto lavorando sulla fiducia.»

Vasil capì dal mio tono che la conversazione iniziava a stancarmi. Tornò quindi a concentrarsi sulla sua colazione, ma, come c’era da aspettarsi, non mollò l'osso.

«Non vorrei insistere sull’ovvio, Erin, ma non lo conosci affatto.»

«Avremo tutto il tempo di farlo da ora in poi.»

«Sai cosa intendo dire!» si spazientì. «Non puoi farlo stare con te!»

Ah, ecco il problema.

«Vecchio, sono abbastanza grande da potere decidere da sola ciò che posso o non posso fare», sbottai. Poi continuai con voce più morbida, in fondo si preoccupava per me anche se era restio a dirlo apertamente. «Sono certa che Chev non ha cattive intenzioni. Avrebbe potuto uccidermi questa notte, nel sonno, ma non l’ha fatto.»

Lo dissi con un tono leggero di chi fa una constatazione per assurdo, eppure mi ritrovai a ringraziare il cielo, dentro di me, per non avere raccontato loro del piccolo incidente di quella notte: Chev non mi aveva uccisa, ma ci era andato maledettamente vicino.

Dall’immobilità del corpo accanto al mio, capii che anche Chevalier stava pensando la stessa cosa.

Vasil borbottò qualche parola incomprensibile e lasciò perdere.

Fu Calis a scoppiare in una grassa risata, rompendo l’atmosfera tesa della stanza. «Ah Ah Ah! Il vecchio è turbato dalla vicinanza che dovrete condividere. Non gli piace il fatto che ti dovrà mettere le mani addosso di tanto in tanto per quelle tue diavolerie magiche.»

Imprecando, Vasil protestò: «Turbato! Tsk!».

«Dai zio, non fare il moralista! Violet sa badare benissimo a se stessa, non è vero, ragazza?»

Accennai di sì.

«Vedi? Nulla di cui preoccuparsi perché anche il nostro ragazzo si comporterà bene. Vero, Chev?»

Sentire chiamare “ragazzo” un uomo come Chevalier, fatto e finito, mi fece tendere le labbra in un sorriso che non riuscii a trattenere.

L’interpellato, tuttavia, tardò a rispondere mentre fissava in silenzio Calis.

«Allora?», insistette con un tono di minaccia poco velata.

«Non sarò io a creare problemi», disse infine, con voce bassa ma decisa.

«Benissimo!», approvò l’omone soddisfatto. «E ora continuiamo il pasto!»

Col sorriso che aleggiava ancora sulle labbra, mi voltai a guardare Chevalier. Era immobile al suo posto e ricambiò la mia occhiata. Per qualche secondo ci scrutammo in silenzio mentre qualcosa, una sorta di energia, passava tra di noi mettendoci all’erta e allo stesso tempo rilassando alcuni timori condivisi. Mi accorsi che non aveva preso nulla da mangiare.

«Perché non mangi? Non ti piace il cibo della tavola?»

Passò in rassegna le vivande scrollando le spalle.

«Non…», cominciò, prima di bloccarsi di colpo.

Attesi che continuasse ma quando capii che non l’avrebbe fatto, chiesi: «C’è qualcosa che non va?».

«È solo che… non credevo potessi…»

Sgranai gli occhi. «Oh!»

Allora compresi che il Campione non aveva ancora realizzato di essere finalmente libero. Lo avevo vinto con la Sfida e, sebbene gli avessi reso l’indipendenza, sicuramente ai suoi occhi dovevo apparire come una sorta di nuova padrona. Per quanto apparisse forte, risoluto e orgoglioso, qualche traccia della schiavitù subìta era difficile da cancellare. Questa cosa riuscì a intenerirmi in un modo del tutto inatteso. Doveva aver capito anche lui di avere esposto una debolezza, per questo ora appariva incerto e più chiuso.

Se fossi stata troppo gentile, avrebbe scambiato i miei gesti per pietà. Una persona orgogliosa come lui – come ero anche io – non sopportava di sentirsi compatito. Per cui optai per un atteggiamento più brusco, nel classico stile omertoso degli uomini.

«Riempiti il piatto e mangia, Chev. Non posso permettermi che mi crolli lungo la strada perché non hai sufficienti energie. Vasil potrà pure avere la sua da ridire, ma non lascia a digiuno i propri ospiti, non è così, vecchio?»

«Certo», brontolò. «Sarebbe un’offesa se rifiutassi il cibo della mia tavola», si stizzì.

Calis sorrise.

Dopo un attimo di indecisione, Chev allungò una mano e cominciò a divorare ogni cosa gli capitasse sotto tiro. Sicuramente era da troppo tempo che non gustava qualcosa di tanto raffinato.

Alla fine della colazione, si svolsero i convenevoli per gli ultimi saluti e i ringraziamenti, nonché i rinnovamenti del legame di solidarietà e amicizia.

Era ancora mattino presto quando io e Chevalier lasciammo la casa del Signore del Sangue e prendemmo la strada maestra che portava alla parte superiore della città, più ricca, che ospitava il complesso militare e il Palazzo reale.
 

ꕥꕥꕥ 

 

Alle porte del Palazzo mi fermai un momento, riflettendo sul da farsi. Anche se nessuno avrebbe potuto dirmi nulla per la presenza di Chevalier al mio fianco, sentivo che sarebbe stato meglio non introdurlo all’interno della zona militare dalla porta d’ingresso: troppe domande, e noi non eravamo ancora pronti a fronteggiare parecchie di quelle che ci avrebbero posto. No, meglio rimandare qualsiasi confronto a un momento successivo, mi dissi.

Chev, che intanto si era fermato accanto a me, mi fissava con l’espressione appena interrogativa ma non faceva domande.

«Vieni con me», gli dissi, facendogli cenno.

Ci incamminammo lungo l’alto muro di cinta, costeggiandolo e allontanandoci dal cancello principale. A un certo punto, abbandonammo la strada battuta per dirigerci nel boschetto che si estendeva ai margini della città, tutto attorno al Palazzo reale. Puntavo dritta a un luogo che conoscevamo solo io e poche altre persone. Davanti a un grosso albero storto, apparentemente uguale a molti altri della selva, scalciai col piede fino a trovare ciò che cercavo: un’inferriata piuttosto vecchia e pesante che apriva un buco nel terreno.

«Ma cosa diavolo…?» esclamò Chevalier quando capì di cosa si trattava.

«È un passaggio segreto che porta all’interno della residenza delle Guardie.»

«Perché siamo qui? Perché preferisci usare questa strada?», domandò cupo.

Lo fissai, spiegandogli brevemente le mie motivazioni. «Penso sia meglio che non ti vedano ancora, gli altri soldati. Finn è nelle mie stanze ma nessuno sa della sua presenza e sapere di te potrebbe portare a rivelare di lui; meno persone sanno del ragazzo meglio è, mi pare di capire. Non possiamo permettere che diventi un facile bersaglio per nessuno nelle schermaglie interne del reggimento. Intanto entriamo, dai un’occhiata al ragazzino e poi pensiamo a un modo per sistemare tutta la situazione, va bene?»

Chev annuì, serio in viso.

Mi seguì senza più fiatare giù per lo stretto spazio nel terreno. Una scala stretta e sdrucciolevole portava a un corridoio sotterraneo buio e umido. Non avevamo una torcia con noi, quindi procedemmo con cautela tastando le pareti rocciose ai lati.

Non trascorse troppo tempo, però, quando sbucammo in una delle cripte sotterranee della fortezza. Spinsi la graticola di ferro ostacolata dal terriccio pregno d’umidità. I cardini scricchiolarono in maniera inquietante e il loro rumore si riprodusse in un eco che ne ingigantì il suono. Non mi preoccupai di allertare eventuali guardie, giacché da quelle parti nessuno vi metteva quasi mai piede a meno che non ci fosse un motivo particolare. Nei tempi passati, accanto alle cripte, dove venivano sepolti i grandi eroi di guerra e i generali che si erano distinti per le loro imprese, sorgeva la zona delle prigioni dove, oltre cento anni prima, venivano rinchiusi i criminali più pericolosi. Quest’uso era stato abbandonato in seguito a un evento particolarmente rovinoso per la milizia: un noto brigante, infatti, conosciuto col nome di Uuruk di Vass, vi era penetrato con la complicità di un soldato corrotto, fingendo di farsi arrestare, e in seguito era evaso rubando importanti documenti segreti, custoditi nelle stanze del Comandante di quei tempi. I documenti costarono a Orvo il possesso di due grandi città limitrofe, Verna e Russna, di cui contendeva il controllo col regno allora nemico della Valdora.

Valutando poco saggio il tenere simili serpi così in seno al sistema, il re Broyothim – antenato dell’attuale reggente, re Gustav IV – dispose che le celle del Palazzo delle Guardie fossero svuotate e che i criminali venissero trasferiti nelle nuove prigioni, costruite appositamente in una zona non troppo distante.

Portai la mano all’altezza della spalla, trovando nella parete umida e polverosa una maschera di leone in rilievo; ne schiacciai un occhio attivando così un meccanismo segreto: si aprì un passaggio nella finta parete che ci permise di accedere alla vera e propria cappella dedicata al Generale Fyhe VII, vissuto tre secoli prima.

«Siamo nelle cripte sotterranee», spiegai a Chevalier nonostante non avesse fatto domande. «Dobbiamo fare attenzione quando usciamo da qui a non incrociare nessuno fino alle mie stanze.»

«In che zona alloggiate?», chiese con tono calmo e pratico.

«La parte periferica a Est dell’entrata. In questo momento ci troviamo al di sotto di qualche piano.»

Uscimmo dalla cappella e ci trovammo in un corridoio molto luogo e poco illuminato. Il motivo per cui non eravamo immersi nel buio più totale era che avevo dato disposizione a Marien, tramite Rob, di farmi trovare una torcia di fuoco accesa. La mia serva sapeva dei miei spostamenti segreti in quelle zone del Palazzo, ma mi ero assicurata che non conoscesse tutte le ubicazioni dei passaggi o i meccanismi di attivazione. Io stessa avevo impiegato anni a scoprirne molti.

Iniziai a guidare Chev attraverso le stanze e gli stretti corridoi, fino a quando salimmo le scale verso la zona abitata della struttura.

Spensi la torcia e la nascosi in un angolo stretto tra due colonne decorative.

Scrutammo il corridoio al pian terreno ma non c’era alcuna traccia di guardie. Procedemmo a passo svelto, salendo i gradini larghi della tromba di scale orientali. 

A un certo punto un vociare in avvicinamento ci costrinse ad arrestarci.

Ci scambiammo uno sguardo cupo e ci precipitammo di nuovo alla rampa inferiore, sperando che il gruppo di guardie proseguisse diritto nel corridoio, senza scendere dabbasso. La fortuna fu dalla nostra parte e quando non udimmo più alcun rumore, tornammo a salire. Mi precipitai alla porta come fosse un’ancora di salvezza. In realtà, non sarebbe andata troppo male se anche ci avessero scoperti: certo, sarebbe stato difficile spiegare come eravamo entrati, ma avrei comunque saputo inventarmi qualcosa. Eppure, la clandestinità dei nostri spostamenti furtivi mandava adrenalina nel sangue.

Trovai, com’era naturale che fosse, gli appartamenti sbarrati e mi affrettai a bussare quattro colpi secchi e brevi. In un primo momento non percepii alcun rumore, poi una voce chiese: «Chi bussa?».

«Sono Erin», risposi.

Un tramestio indistinto mi avvertì che vi era più di una persona all’interno. Finalmente la porta si spalancò e comparve Marien con un’espressione sollevata.

«Mia signora!», esclamò soffocandosi. Si guardò attorno, per verificare che non ci fossero spettatori indesiderati. «Presto, entrate», si spostò per lasciarci passare.

Una volta entrati trovammo la stanza apparentemente vuota. Marien si affrettò a richiudere.

«Potete farvi vedere», dissi, «Siamo noi.»

Al suono della mia voce si fece avanti, da dietro una tenda, Rob con un ghigno compiaciuto.

Chev invece chiamò: «Finn, dove sei?».

Fu solo allora che sentimmo sbatacchiare l’armadio. Un’anta si spalancò e si precipitò fuori un ragazzino tutto ossa con i lunghi capelli mogano arruffati a coprirgli metà del volto.

Volò letteralmente all’altro capo della stanza, lanciandosi tra le braccia dell’uomo, già pronto ad accoglierlo.

«Padre!», esclamò con una vocina acuta e molto scossa. «Mi avevano detto che presto vi avrei visto ma non ne ero del tutto sicuro! Siete davvero voi! Siete venuto per me!»

Rimasi scioccata dalle parole del fanciullo; le funzioni cerebrali ebbero come un collasso in un primo momento. Quando mi ripresi, il ragazzino stava ancora stringendosi forte al petto di Chev, mentre Rob, notai, aveva dipinta in volto un’espressione di meraviglia, simile alla mia. Che strano che nemmeno Rob sapesse che il ragazzino era in realtà il figlio del Cavaliere. Più di tutto, a sconcertarmi fu la mia stessa sorpresa, pochi momenti dopo. Perché ero rimasta così turbata? Pensandoci bene era piuttosto probabile che fosse così: quale altro motivo poteva avere un uomo come Chevalier di tenere tanto a un ragazzino se non fosse stato un suo parente?

Rob boccheggiò, gli occhi sgranati e si rivolse al diretto interessato.

«Non sapevo che fosse tuo figlio, Chev! Perché non me lo hai detto?»

Chevalier sollevò il viso ma non allontanò il ragazzo. «Non c’era motivo di farlo», disse conciso.

«Ah… beh, è vero, ma… credevo… cioè, io pensavo… non avevo capito!», balbettò rosso di imbarazzo. «Scusami se avevo supposto che… ma non ho visto somiglianze tra di voi…»

«Non preoccuparti, Rob. Finn non è mio figlio di sangue ma non per questo lo ritengo meno caro che se lo fosse.»

«Come?», dissi, prima di realizzare di avere aperto bocca.

Chev mi lanciò uno sguardo obliquo, quasi sprezzante. «Non importa che Finn non sia carne della mia carne. Lo considero mio figlio comunque.»

«Sì, non volevo offenderti pensando altrimenti. Mi chiedevo solo come mai… ecco, che rapporto ci sia tra di voi.»

Chev mi guardò per un momento. Poi si voltò verso Finn e allontanandolo da sé controllò che stesse bene. Gli accarezzò i capelli e gli chiese: «Tutto ok?».

Il fanciullo annuì entusiasta. «Sì. Mi hanno trattato bene. La signorina», disse, indicando Marien rimasta in silenzio accanto alla porta, «ha insistito per farmi fare un bagno ma non ho voluto perché non la conoscevo bene. Rob dice di essere uno schiavo come te, papà, e anche lui è stato buono con me.»

Chev annuì, soddisfatto. «Bene. Ora però devi lavarti, non puoi rimanere in questo stato.»

«Papà…», cominciò Finn con tono incerto. «Perché ci nascondiamo? Stenton ci sta cercando? Ora dovremmo fuggire?»

«Stenton non può più farci nulla, Finn. Ora sono un uomo libero.»

«Davvero, papà?!»

Il grido meravigliato riecheggiò  per tutta la stanza.

«Sì. È stata quella signorina a liberarmi, ragazzo», mi indicò e Finn fissò su di me uno sguardo pieno di ammirazione e incredulità.

«Una donna?» domandò, infatti, spiazzato.

«È una donna molto forte», spiegò.

Finn non sembrava molto convinto, se il sopracciglio esageratamente arcuato era un indizio dei suoi pensieri. Tuttavia rispose: «Se lo dite voi, padre».

Poi, rivolto a me, chiese: «Come vi chiamate, signorina?».

«Erin Knight. Sono una guardia reale», dissi.

«Una guardia donna?»

Sorrisi gentilmente e annuii.

«Allora dovete essere davvero molto forte!», decretò. «Vi ringrazio di avere aiutato mio padre e me», concluse formale ed educato.

«È stato un piacere, Finn. Ma non l’ho fatto gratuitamente: tuo padre ha accettato di darmi una mano a trovare una persona.»

Ciò non lo sorprese apparentemente. «Se ha accettato di aiutarvi, lo farà.»

Mi rivolsi e Marien che era alle mie spalle. «Porta il ragazzo a lavarsi nelle tue stanze. Poi prepara un bagno anche per Chevalier e me», comandai.

«Non occorre preparare una vasca in più. Posso usare quella di Finn quando avrà finito.»

«Come desideri», accettai. «Marien, fai come ha detto ma assicurati che alla fine del primo bagno, l’acqua sia ancora abbastanza calda per il secondo.»

«Sì, mia signora», disse la serva. Si fece seguire dal ragazzino e sparì dietro la porta che collegava la mia camera a una più piccola che era la sua.

Seguì un momento di silenzio.

A spezzarlo fu Rob che esclamò: «Meno male che siete arrivati! Ancora un po’ e avrebbero mandato giù la porta!».

«Che vuoi dire? Cosa è successo mentre eravamo via?», domandai inquieta.

«Erano giorni che, a quanto pare, non avevano tue notizie. Qualcuno si è innervosito e non smetteva di fare domande… il Comandante, mi pare che fosse. O almeno così ho capito da quello che mi ha spiegato Marien. Sembrava convinto che la serva sapesse dove trovarvi, per questo ha insistito affinché parlasse. Lei però ha tenuto la bocca chiusa e dopo un po’ ha lasciato perdere. È tornato alla carica quando ha visto dei movimenti sospetti, sicuramente deve avere capito che qualcosa non andava perché ha sorpreso Marien con un carico di cibo – che era per me e per Finn – e non ha creduto alla storia che fosse per lei. Pensava di trovarti nelle tue stanze e che ti stessi nascondendo per chissà quale motivo; pretendeva di entrare a dare un’occhiata. Non so come abbia fatto, ma la ragazza è riuscita a evitare che buttasse giù la porta con la forza, solo che poi è tornato un paio di volte a bussare, chiedendo di entrare. Abbiamo finto di non esserci ma temevamo che mettesse in pratica le sue minacce e ci sorprendesse qui dentro. Non avremmo saputo come dare spiegazioni.»

«Ahh… Raafeal!», borbottai. Perché si preoccupava tanto? Ero già sparita altre volte prima e per molto più tempo. Perché si era agitato in questo modo? Ma soprattutto, cosa voleva da me adesso?

Non finii quelle considerazioni tra me e me che una voce familiare mi fece sussultare sul posto per la veemenza con la quale si annunciò.

«Erin!», gridò con furia Raafael dall’altra parte della porta. «Aprimi immediatamente, lo so che sei là dentro! Ho appostato un soldato qua fuori perché spiasse i tuoi movimenti! Mi ha appena riferito di averti vista entrare con un uomo sconosciuto. Apri subito se non vuoi che butti giù la porta! E questa volta lo faccio, non ti conviene scherzare oltre con la mia pazienza!»

Chevalier, Rob e io ci fissammo paralizzati, almeno fino a quando altre imprecazioni del mio Comandante, farcite di nuove e più colorite minacce, non ci destarono precipitandoci nel panico.

Corsi ad afferrare un braccio di Rob e, scuotendolo, con voce bassa e frenetica gli ingiunsi: «Vai di là e nasconditi con Finn! Non fiatate, non fate rumore e dì a Marien di restare nelle sue stanze come se glielo avessi comandato io! Presto, vai!».

Gli diedi una spinta nella direzione da prendere. Dopo essere quasi inciampato, lanciò un’occhiata terrorizzata a Chevalier e sparì nell’altra stanza.

«Lascia parlare me», lo istruii, mentre fissava la porta, già pronto ad affrontare la minaccia imminente. «Cerca di non apparire troppo minaccioso, per cortesia.»

Finalmente mi avvicinai alla porta e mi incollai al viso l’espressione più scocciata che mi riuscisse di fare.

Aprii l’uscio, tremante sotto i colpi di Raafael, e studiai in pochi secondi la figura imponente del Comandante e il suo viso tirato dalla rabbia.

«Perché tutto questo baccano, Raaf? Si può sapere che problemi hai?!», lo aggredii col tono di sdegno proprio di chi fosse stato indebitamente disturbato.

Mi spinse di lato per entrare nella stanza. Individuò immediatamente l’ospite indesiderato.

«Quello chi è?!», chiese con voce più bassa ma non meno minacciosa. Il dito puntato come un coltello affilato nella direzione di Chevalier non lasciava presagire nulla di buono per quell’incontro.

«La mia nuova guardia del corpo», risposi semplicemente.

«Che cosa?!», esclamò Raafael, misurando il soggetto in questione. «Dove lo avresti trovate e a che ti servirebbe?»

«L’ho vinto al Surdesangr se proprio vuoi saperlo. Era il Campione di uno dei Signori del Sangue.»

Inutile nascondere qualcosa che avrebbe sicuramente scoperto in breve tempo.

«È lì che sei stata tutti questi giorni?»

«Non che la cosa ti riguardi… però sì, sono stata lì. Qualche problema?»

Finalmente si degnò di guardarmi in faccia. «Perché non hai fatto sapere dove eri finita? Sono stato in pensiero per te!»

Sgranai gli occhi e mi misi sulla difensiva. «Non ti ho mai dovuto dire dove passassi il mio tempo quando non ero in missione per la milizia, perché avrei dovuto iniziare proprio ora?»

Raafael strinse i pugni e digrignò i denti. «Non puoi permetterti di andartene in giro in questo modo! Soprattutto ora che non hai più un contingente di uomini su cui contare in caso di pericolo! Non ti rendi conto? Sei troppo preziosa e…»

«No, Raafael, non darmi colpe che non ho», lo interruppi. «Io me ne vado in giro dove e quando mi pare e se questo ti crea problemi… beh, non posso farci niente. Ti preoccupa sapermi sguarnita di uomini? Ti ricordo che è stata una tua decisione assieme al Consiglio: io non intendo piangerne le conseguenze. Ti avevo avvisato che non avrei rinunciato alla mia missione.»

«Maledizione!», scattò il Comandante esasperato dai miei modi impertinenti e probabilmente fin troppo diretti, al limite dell’insubordinazione. «Speravo che toglierti un po’ di potere ti avrebbe indotta a essere più cauta!», borbottò fra sé.

A braccia conserte, mi limitai a fissarlo con espressione scettica.

Sapendo di non poterla spuntare, tornò ad accanirsi contro l’elemento più vistoso dell'ambiente.

«Quello lì!», lo puntò ancora una volta. «Non puoi tenerlo, Erin!»

«E perché mai?», chiesi con finta innocenza.

«Non è consono che… Oh, insomma! Dove pensi di metterlo? Non abbiamo posto qui al Palazzo! Senza contare che non è nemmeno una Guardia Reale, quindi non possiamo tenerlo!»

«So di non potere gravare il corpo armato della sua presenza…», cominciai.

Raafael mi lanciò uno sguardo diffidente mentre diceva: «Perché questa premessa non mi tranquillizza affatto?».

«…quindi dormirà qui con me, nella mia stanza», conclusi d’un fiato.

Ci fu un attimo di incredulo silenzio.

Poi l’esplosione.

«Ma sei del tutto ammattita?! Non puoi metterti dentro questo… questo…» lo fissò col viso tutto rosso di rabbia, mentre cercava un termine per definire l’uomo grande e grosso che, a parer suo, volevo tenere come animale da compagnia. Rinunciò, gesticolando vagamente. «Non puoi tenerlo e basta, Erin! È un uomo, santiddio, non ti rendi conto. E tu sei una donna, per quanto in gamba… non puoi farlo dormire con te, in questa stanza. Se ne approfitterebbe e…»

«Per l’amor del cielo, Raafael, non sono certo una bambina! Credo di sapere valutare i rischi che corro da quel punto di vista», allusi. «Chevalier è un gentiluomo, non mi prenderebbe mai con la forza. Sbaglio forse?», domandai a quest’ultimo.

Chevalier, che era rimasto in silenzio, in posizione di guardia, per tutto il tempo, grugnì affermativamente.

«Vedi?»

«Vedo un corno! Credi che basti una parola per stare al sicuro? Nemmeno lo conosci e dici di averlo pescato al Surdesangr, nientedimeno! Che ricordi, in quel luogo, non si aggirano certo giovani innocenti e uomini d’onore! Puah!»

«Innocenti forse no, ma uomini d’onore sì, sebbene di un onore tutto loro», provai a scherzare.

Raafael mi guardò bieco.

«Senti, Raaf, mettiti l’anima in pace. Siete stati voi a privarmi dei mezzi, non puoi biasimarmi se ho cercato un aiuto laddove ho potuto. Chev rimane, fine della discussione. Ovviamente provvederò io stessa al suo sostentamento, non graverà sulle finanze militari», aggiunsi con sarcasmo. Dopotutto era assurdo pensare che un grande corpo militare come quello di un regno avesse davvero problemi a sfamare un singolo uomo.

«‘Chev’… è così che si chiama?», chiese Rafael arrendendosi.

«Diciamo di sì. Chevalier è il suo soprannome.»

Fece un passo nella sua direzione, gli si avvicinò con aria cupa. «Chevalier… un soprannome particolare...», mormorò. «Non ce l’hai un nome?»

Chev non rispose, si limitò a sostenerne lo sguardo.

Raafael gli si pose dinanzi e si arrestò, i loro volti alla stessa altezza. «Sappi che mi informerò su di te. Se solo ti azzardi a giocare brutti scherzi te la dovrai vedere con me.»

Poi, rivolto a me, disse: «Noi due ne riparliamo. Non sparire di nuovo senza avvertire».

Ciò detto, si diresse all’uscita.

Prima che si dileguasse, lo chiamai: «Ehi, Raaf!»

Voltò il capo, pur rimanendo di spalle.

«Non appostare più nessuno alle mie porte e non ti sognare di farmi piantonare, non è una cosa che apprezzo. Se pesco una tua spia te la rimando indietro ridotta in poltiglia.»

«Mi stai minacciando?», domandò astioso e per nulla contento.

Non mi lasciai intimidire dal suo tono di voce o dall’espressione furente, dovevo mettere le cose in chiaro prima che fosse troppo tardi. Soprattutto, doveva capire che non ero certo una sprovveduta e che non mi sarei piegata al suo volere come un qualsiasi altro sottoposto. La disciplina era una cosa, il rispetto personale un’altra.

«Chiamalo avvertimento», sorrisi cortesemente, «sono pur sempre una donna e potrei diventare isterica su alcune questioni.»

«Ricorda che stai parlando al tuo Comandante», nella voce si avvertiva l’eco di un ringhio.

«Signorsì, Signore. Avete tutto il mio rispetto in quanto tale».

Il sorriso scemò lasciando il posto a un’espressione più seria adatta allo scambio che stavamo avendo. «Tuttavia, è mio dovere ricordarvi, Signore, che se la carriera militare diventerà un ostacolo non esiterò ad abbandonarla. Comunque, non è che mi sia di molto aiuto in questo momento… non vorrei che si aggiungesse al resto il fastidio di essere spiata pure da chi si suppone essere mio “alleato”.»

«Non stai combattendo una guerra, Erin, quand’è che lo capirai? La persona che cerchi non esiste, renditene conto prima che sia troppo tardi. Non dovresti guardarti le spalle da me», aggiunse, «ma da lui!» accennò a Chev con un colpo secco del capo. «E sappi anche tu che la mia pazienza non è infinita: non tollererò ancora questa tua insubordinazione senza punirla. Ritieniti fortunata che oggi qui non ci fossero altri testimoni del tuo comportamento inqualificabile.»

«Sì, signore.»

Il tono apparentemente sottomesso non lo quietò affatto. Mi lanciò un’ultima occhiata rovente prima di sparire lungo il corridoio e poi giù dalle scale. Richiusi la porta lasciandomi andare a un sospiro di sollievo e guardai Chevalier.

«Beh, non è andata tanto male. Per fortuna non ha voluto controllare le stanze. Se avesse trovato anche Rob e Finn avrebbe dato di matto e magari mi avrebbe cacciata fuori.»

Mi avvicinai a una poltrona e mi ci lasciai cadere. «Ho proprio bisogno di un bel bagno caldo», mormorai languidamente.

Chevalier si avvicinò, sovrastandomi. «Parlavi sul serio quando hai detto che lasceresti l’esercito se ciò diventasse un ostacolo?»

«Sì, perché?»

«L’incarico di luogotenente è ben retribuito.»

Scrollai le spalle. «Posso fare a meno di quel denaro.»

«Ma non è solo per questo, vero?»

Sollevai gli occhi per scrutarlo profondamente. Risposi lentamente: «No, non si tratta di soldi, per me».

«Lo immaginavo.»

Si accomodò sulla poltrona di fronte alla mia. «Dovrai spiegarmi tutto per bene.»

«Lo farò, ma prima concediamoci un bel bagno, vuoi?»

Diede un’occhiata alle sue condizioni: anche se aveva smesso gli abiti logori concessigli da Stenton in quanto suo Campione, aveva decisamente bisogno di una bella ripassata di acqua e sapone per riacquistare un aspetto dignitoso e meno selvaggio.

«Direi che può andare bene», concesse con un ghigno.

 

 

   
 
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