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Autore: DazedAndConfused    12/03/2013    2 recensioni
Due cuori lontani che si cercano da anni.
Due cuori improvvisamente vicini che si trovano quasi per caso.
Quattro persone legate dalla storia di una delle band più famose di sempre.
Un romanzo che aspetta soltanto di poterla raccontare.

Collaborazione tra Snafu e DazedAndConfused.
Genere: Comico, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Axl Rose, Izzy Stradlin, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Richard Fortus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ill always follow the quiet curve of your hip, on my way back home.

 

3.      Un autodafé dei miei innamoramenti

 

Jasmine aveva messo le mani sulla sua prima suite da poche ore: aveva fatto un bagno con i sali e la schiuma come aveva visto solo nei film e si era messa il pigiama, pronta a farsi avvolgere da un letto che aveva tutta l’aria di essere comodissimo. Vi si era lanciata sopra e si era messa sotto le coperte: sentiva un gran casino nelle orecchie, come un fischio continuo, dovuto probabilmente all’effetto degli amplificatori. Aveva chiuso gli occhi e si era detta che si sarebbe riposata: era stanca morta ed era stata una giornata di quelle che spaccavano. Avrebbe dormito davvero, se alcuni rumori parecchio equivoci di testate del letto che sbatacchiavano contro il muro o molle del letto che cigolavano, che si alternavano a gemiti sconnessi e gridi di nomi, non fossero provenuti dalla stanza accanto.

Jasmine sperò che la scelta del management di mettere la sua stanza accanto a quella di Steven e Tiffany non fosse permanente. Stava cercando di tapparsi le orecchie con il cuscino extra che il letto matrimoniale aveva in dotazione, quando qualcuno, bussando violentemente alla porta, gridò:

«Donnaaaaaaaaa

Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. La moretta si alzò dal letto e indossò la vestaglia che aveva trovato piegata sul fondo del letto, poi si trascinò fino all’uscio. Aprì e trovò Axl intento a finire una conversazione che forse aveva intrapreso da solo.

«… eja, di ghisa.»

«Di ghisa? Di cosa stai parlando, Axl? Hai bevuto?» chiese lei, preoccupata.

«Secondo te?»

Il cantante strinse la fibbia della cintola, lanciando un’occhiata di sufficienza alla nuova corista, poi fece irruzione nella stanza, trascinando con sé Stradlin.

«So che non hai ancora intervistato Izzy. Quindi mi sono offerto di portartelo qui, così puoi fargli tutte le domande che vuoi. Naturalmente, non è detto che lui risponda, ma devi provarci se vuoi avere un quadro completo del gruppo…»

«Finito di parlare come se non fossi qui?» mormorò il chitarrista.

«Come non detto, Izzy oggi è in vena di chiacchiere. Buon lavoro.»

Jaz tremò con la porta che veniva sbattuta dopo l’uscita del rosso, quindi non ebbe il tempo di pensare al fatto che il despota le avesse perfino augurato buon lavoro. La ragazza fece giusto in tempo a voltarsi per vedere che Izzy si era accomodato su una poltroncina stile impero, e questo le risparmiava l’incombenza e l’imbarazzo di invitarlo ad accomodarsi, cosa che naturalmente avrebbe potuta essere fraintesa. L’uomo stava tracannando il primo miniwhisky che un tempo era alloggiato nel minibar: aveva tutta l’aria di uno che non ha intenzione di far sopravvivere il contenuto di neanche una bottiglia.

«Insomma, com’è stata la tua prima volta?» domandò quello, insolitamente loquace.

La ragazza arrossì violentemente: stava ancora pensando ai messaggi subliminali di Axl, alla ghisa, ai suoi vicini di camera e la bocca di Izzy incollata alla bottiglietta non era affatto d’aiuto.

«C-che?»

«Ti sei divertita?»

Solo allora la ragazza capì che Stralin si stava sicuramente riferendo alla prima esibizione, così si affrettò a rispondere: «Oh, sì, moltissimo!»

«Bene.»

«Già, bene.»

Il silenzio piombò nella suite e una palla di erba secca rotolò con nonchalance tra i due, nonostante non spirasse alcun alito di vento.

Jasmine però cercò disperatamente di non precipitare nel buco nero del mutismo imbarazzante, e optò per il dire le prime stronzate che le passavano per la mente in quel preciso istante.

«Posso… posso offrirti qualcosa?»

Per tutta risposta il chitarrista le mostrò il miniwhisky che teneva in mano (il quinto, per la precisione, sottrattole con le abilità del Mago Silvan), un’espressione impenetrabile dipinta sul volto.

«Oh, vedo che hai fatto da te… bene.»

Izzy giurò di aver visto la palla di erba secca fare retromarcia e ballare spensierata un tip tap davanti ai loro occhi… ma forse era solo l’alcool che cominciava a fare effetto.

«Non dovevi intervistarmi?»

Quelle parole riscossero la ragazza, che si ritrovò a ringraziarlo mentalmente.

«Oh, sì, certo! Allora, cominciamo subito con le domande facili che potrebbero sembrare pure sceme: quand’è che hai deciso di voler far parte di una band?»

«… potrei rigirarti la domanda.»

«… c-come, scusa?» si affrettò a balbettare lei, la salivazione improvvisamente scomparsa.

Izzy le si avvicinò, sempre restando seduto sulla poltrona, spostando il suddetto oggetto d’arredamento con scarsa delicatezza e grande frastuono.

«Ok, hai una bella voce, non lo metto in dubbio, ma sappiamo benissimo entrambi che fare la corista non sia la tua ambizione: allora perché sei venuta al matrimonio di Steven?»

«Ma che razza di domande sono!» s’inalberò lei, cercando di essere il più convincente possibile «Mi ci ha trascinato il mio capo, che è zio di Tiffany! Per caso la mia presenza ti ha arrecato fastidio?»

«Oh, niente affatto…» le sorrise sornione «E comunque ho capito, t’ha dato lo zuccherino dopo un milione di caffè recapitatigli a domicilio, dico bene?»

La vena della tempia della ragazza cominciò a pulsare vistosamente, rischiando di causarle un embolo, anche se in quel momento era troppo impegnata a reprimere una vagonata d’insulti per potersi preoccupare delle proprie condizioni di salute.

«Senti, io non so se lo stronzo che ti ritrovi come cantante t’ha contagiato, fatto sta che non ti devi assolutamente rivolgere così a me: voglio fare la corista? Farò la corista! Voglio imbucarmi ad uno stracazzo di matrimonio? Sono libera di fare anche quello, e non sarai di certo tu ad impedirmelo!» urlò, ormai in piedi «Non ho capito perché devo rendere conto di ogni mia azione: non so come cazzo ho fatto a diventare corista, non ne ho la più pallida idea… ma sai che ti dico? Che, finché dura, me la godrò!»

A quelle parole il chitarrista sorrise nuovamente e, dopo essersi alzato in piedi, la raggiunse, posizionandosi esattamente di fronte a lei.

«Te lo dico io perché sei diventata corista: perché è dal giorno del matrimonio che non mi stacchi gli occhi di dosso, e questo non puoi negarlo…» le mise una ciocca di capelli dietro un orecchio «Ma sei fortunata, sai? Perché è la stessa cosa che è successa a me.»

Per tutta risposta Jasmine deglutì rumorosamente e si precipitò fuori dalla porta, il volto in fiamme e il cuore in gola.

Aveva una sola salvezza, e quella era Tiffany.

 

 

Tiffany sorrise e digitò il numero di telefono di Richard, che ormai sapeva a memoria. L’apparecchio squillò a vuoto, come sempre, fino ad innescare la segreteria, e il classico lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.

Lei non se lo fece ripetere due volte e iniziò a parlare: «Hey Rich, sono Tiffany. Quando hai parlato del chitarrista più figo degli Stati Uniti non avevo realizzato che stessi parlando di te stesso! E comunque sono certa che la mia collega avrebbe avuto da ridire… ahahahahah scherzo, lo sai che ti adoro anche se non ti ho mai visto né sentito suonare. Ho fiducia nelle tue doti di musicista! Sei stato fortunato a riavere indietro la tua chitarra. Io troverò qualcuno che mi insegni al posto tuo. Sto cercando di rimpiazzarti da anni, ormai. Sai, la prima tappa è stata una figata pazzesca, avresti dovuto esserci. In realtà, avresti dovuto esserci molte volte… »

 

 

Dopo aver girovagato come una furia per tutto l’hotel e per tutta la notte, alle prime luci dell’alba Jasmine si ricordò finalmente che la stanza di Tiffany era quella attaccata alla sua: quando fu davanti alla sua porta fece per bussare, ma la voce dell’amica la persuase dal farlo.

Stava parlando a voce piuttosto bassa, ma lei riusciva a sentirla distintamente perché doveva essere proprio nei pressi dell’entrata della stanza.

Pur sapendo che non fosse eticamente corretto, poggiò un orecchio sul legno della porta per poter ascoltare meglio.

«Serve una mano?»

La giovane si vide sventolare un bicchiere di fronte al naso e, dopo aver alzato il capo, si accorse che chi le aveva rivolto la parola era nientepopodimeno che mister McKagan.

A quel punto, resasi conto di essere stata scoperta, si scostò immediatamente dalla porta, iniziando a balbettare scuse campate per aria.

«I-io… non è come sembra, eh! Passavo di qui per caso e…»

«Tranquilla, non me ne frega nulla se sei una psicopatica o se hai disagi di qualsiasi tipo…» le sorrise lui «Dai, prendi questo e prova a vedere se funziona: l’ho sempre visto fare nei polizieschi ma non ho mai avuto modo di sperimentare questa tattica.»

La ragazza fissò titubante il bicchiere, per poi afferrarlo e sorridergli a propria volta; dopodiché si mise all’opera, cercando di carpire più parole possibili.

«Sai, avevo il bicchiere in mano perché me ne stavo andando giù alla reception a protestare: ne ho chiesto di più grandi e non me li hanno voluti dare, perché dicono che questi bastano… così volevo andare a farglieli vedere di persona, magari capiscono che la situazione è urgente e…»

«Duff, ti spiacerebbe stare zitto per due secondi, almeno riesco a capire qualcosa?» sbuffò quella per tutta risposta, schiacciandosi ancor di più contro il legno, ma poi sorrise soddisfatta «Bingo!»

«Ah, sapevo che avrebbe funzionato!» esclamò lui, appoggiandosi alla porta perché la curiosità aveva preso il sopravvento. «Sai…» continuò poi, mentre lei era ancora concentrata ad origliare «Mi chiedevo se ti andasse di venire con me a reclamare… cioè, non che tu sia una grande fan degli alcolici, questo l’ho notato… però sicuramente con le parole ci sai fare più di me, e sono sicuro che li convinceresti, quegli stronzi… e poi potrei offrirti da bere o magari portarti fuori a cena, che ne so»

«Duff, non mi sembra il caso…» sussurrò quella piano, cercando di non farsi sentire.

«Perché no? Non ho un secondo fine, eh! È solo una cena tra amici, niente di che…»

«Volevo dire “Duff, non mi sembra il caso che”…» e, com’ebbe detto quello, la porta cigolò e cadde per terra, facendoli ruzzolare nella stanza di Tiffany, che a quel frastuono sobbalzò spaventata e riagganciò la cornetta immediatamente.

«… “non mi sembra il caso che tu ti appoggi troppo a quella porta”, ecco quel che volevo dire.» sbuffò Jasmine ancora frastornata, pronta a sorbirsi la ramanzina dell’amica.

 

 

 

 

Nda:

Dazed: Innanzitutto vi devo ringraziare per la pazienza infinita che state portando, compresa la mia socia u.uEja, di ghisa” è un’espressione sarda che si usa per dire “certo, come no” (tradotta letteralmente sarebbe “sì, certo, di ghisa”) e io e la Cath la usiamo sempre… è diventata un tormentone e la Cath l’ha affibbiata a mister Rose, che ci volete fare lol

Altro da dire? NO.

(grazie-grazie-grazie a chi si prenderà la briga di leggere :3)

Snafu: Grazie a tutti i lettori, a chi ha commentato e a chi ha pazientemente aspettato!  (non ho altro da aggiungere, bye :D)

 

 

Disclaimers:

Il titolo del capitolo è tratto da un brano di Franco Battiato.

   
 
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