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Autore: CowgirlSara    16/03/2013    11 recensioni
Perché quando porti il nome di una ninfa greca che non è mai tornata dall’Ade, pensi che tutti gli eroi si volteranno troppo presto, lasciandoti nel grigio di un’esistenza qualunque. Ma a volte gli eroi somigliano a quel pazzoide sociopatico del tuo boss. O si nascondono dietro ad un paio di gentili e fermi occhi blu che hanno attraversato il tempo senza smettere di combattere.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Pepper Potts, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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INaH - 1
Bene, prima o poi dovevo decidermi a farlo: questa storia doveva uscire dal mio pc.
È la prima che scrivo in questo fandom e mi stupisco di aver cominciato con una long, ma tant’è. Mi sono infilata in territori che frequento poco e spero che la seconda parte non risulti un po’ troppo surreale anche per chi segue supereroi; quanto alla prima parte, ero nel mio campo, ma non so cosa ne sia uscito, ho avuto dubbi su tutto per un sacco di tempo. Nel caso, spero sarete magnanimi nel perdonarmi un tantino di marysueismo, può capitare a chiunque, anche a chi lo rifugge da sempre.

Infine – nota che potrebbe essere inutile, ma non la ritengo tale – questa è una storia molto musicale, che ha pesantemente risentito delle canzoni che ho ascoltato scrivendola. Mi farebbe piacere se qualcuna incuriosisse anche voi.

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà degli aventi diritto (non fatemeli citare tutti, vi prego); questa storia è stata scritta senza alcun scopo di lucro.
La canzone che introduce il capitolo è quella che da il titolo alla storia: “I need a Hero” di Bonnie Tyler, dalla colonna sonora di “Footloose” (quello vecchio, che io c’ho un’età).

Buona lettura, aspetto i vostri commenti!
Sara

Capitolo 1

Up where the mountains meet the heavens above
Out where the lightning splits the sea
I could swear that there's someone somewhere
Watching me

“Se ritieni ancora che sia la cosa giusta da fare, penso di avere la persona perfetta.” Dichiarò Pepper, mentre sistemava alcune carte sulla scrivania.
“Certo che lo è!” Esclamò Tony, immerso nella proiezione di almeno quaranta schermi diversi. “Quel ragazzo è incapace di affrontare questo secolo senza aiuto, almeno quanto è capace di sconfiggere da solo un’orda di alieni!”
“Bene, allora trovi i dati sullo schermo trentadue.” Riferì la donna.
Stark acchiappò con la punta delle dita la proiezione dello schermo trentadue e lo trascinò all’altezza dei suoi occhi con un gesto simile ad un dritto di tennis, poi lo ingrandì.
“Euridice Spitz…” Lesse attento, quindi si grattò il pizzetto scolpito. “Che razza di nome…”
“Tutti la chiamano Dixi.” Riferì la Potts.
“Ecco! Dixi Spitz, mi piace!” Esclamò allegro l’uomo, battendo le mani. “Sembra il nome di una pornostar, è divertente! Parlami un po’ di lei.”
“Laureata ad Harvard, ottimo quoziente intellettivo, lavora con noi dal 2007, brillante programmatrice, acuta osservatrice, poco appariscente, sensibile, carattere aperto, ama la musica, i fumetti e conosce quattro lingue…” Elencò la donna. “Non so se ricordi, ma si tratta della ragazza per cui i tuoi avvocati hanno fatto un accordo col procuratore federale Palmer.”
“Ah, sì!” Esclamò Tony. “È stato un ottimo intrattenimento, leggere quei verbali.” Aggiunse. “E per quanto riguarda le abilità più… diciamo, di sopravvivenza?” S’informò poi Stark.
“Mai tenuta in mano un’arma.” Riferì Pepper. “Se escludiamo la mazza da softball con la quale ha picchiato il vice allenatore del liceo che molestava una sua compagna.”
Tony la guardò sorpreso, poi fece un sorriso storto. “Questa ragazza già mi piace… Spero lo abbia spedito nel coro delle voci bianche.”
“Non sono informata su questo particolare.” Ammise lei.
“Oh, Miss Potts, lei mi delude…”
“Sono spiacente, Mister Stark.”
Si scambiarono uno sguardo complice e malizioso, poi Pepper gli si avvicinò e gli circondò le spalle con le braccia, appoggiando il mento sulla sua spalla. Si sorrisero.
“Allora, cosa ne pensi?” Domandò la donna, accennando allo schermo.
“Hm, avrebbe bisogno di un parrucchiere e, forse, delle lenti a contatto…” Affermò lui, osservando lo schermo. “…e magari un push up…”
“Tony!” Lo rimproverò scherzosamente Pepper.
“Non è nemmeno brutta brutta…” Lei gli diede una spinta. “Penso che vada bene, ci si può fidare?”
“Non te l’avrei proposta, altrimenti.” Rispose lei, prima di baciargli la guancia.

La ragazza si tormentò di nuovo le mani, mentre sedeva impacciata su quella poltrona di pelle nell’atrio tutto marmi e cristalli dell’ufficio di Tony Stark.
Era la prima volta che la convocavano ai piani alti, lei che di solito era relegata nel suo ufficio angusto, ad un modesto trentesimo piano da dove non si vedeva nemmeno il cielo.
Quando, due anni prima, era arrivata all’Ufficio Incarichi Speciali, aveva giustamente pensato che avrebbe avuto un incarico speciale, non soltanto un avanzatissimo pc da dove risolvere misteriosi bug in altrettanto misteriosi software. Per carità, le piaceva il suo lavoro, non era fatta per mestieri come fare la cameriera o la barista, tanto imbranata con le cose pratiche quanto era abile col computer. Adesso, invece, la signorina Potts – braccio destro/compagna/amministratore delegato di Tony Stark – le aveva proposto un incarico davvero speciale. Ancora non sapeva di cosa si trattasse, ma era abbastanza nervosa.
Era necessario che incontrasse il gran capo in persona. Lei lo aveva visto solo in televisione. Aveva tutta l’apparenza di un tipo dall’ego strabordante che si divertiva ad infilarsi dentro un’ipertecnologica armatura e salvare il mondo.
Beh, in effetti, sembrava proprio che lo avesse fatto più di una volta. Solo qualche mese prima un’invasione di mostruosi alieni era stata fermata da un fantomatico gruppo di super eroi, lasciando la città devastata. Ora c’erano lavori in corso praticamente ovunque e lei doveva fare lo slalom tra buche e cantieri per arrivare ogni giorno al lavoro.
Chissà cosa l’aspettava adesso… Si strinse di più nel maxi cardigan nero e attese la chiamata.
Pochi istanti dopo la testa biondo fragola di Pepper Potts apparve tra le ante di legno lucido alla sua destra. Le sorrise gentile, mentre lei si alzava.
“Ora puoi entrare, Dixi.” Le disse la donna.
“Grazie.” Fece lei e si diresse verso la porta.
L’ufficio di Stark era il più bello che Dixi avesse mai visto. A parte le immense vetrate da cui si poteva godere della vista dell’intera baia fino al New Jersey, tutto l’arredamento era modernissimo eppure elegante, con oggetti particolari che rispecchiavano sicuramente la personalità eclettica del proprietario delle Stark Industries.
“Oh, Dixi Spitz!” La accolse entusiasta l’uomo dietro la scrivania, osservandola con due brillanti occhi scuri. “Finalmente la conosco, la Signorina Potts mi ha parlato moltissimo di lei.”
“Ah, davvero?” Mormorò lei un po’ intimidita, con un sorriso tirato.
Pepper le sorrise. “Tranquilla, cara.” Le disse rassicurante. “Siediti.” La invitò poi.
La ragazza sorrise, ancora un po’ rigida, sedendosi sul bordo della poltroncina. I sorrisi della Potts e di Stark erano gentili, ma era comunque davanti al suo capo, non riusciva a rilassarsi del tutto.
“Allora, Dixi, ti senti pronta per il tuo primo incarico speciale?” Le chiese Tony.
“Beh… non ho ben capito di cosa si tratta…” Ammise titubante la ragazza, spostando lo sguardo tra l’uomo davanti a se e la donna al suo fianco.
“Hai presente un life coach?” Fece Stark.
“Ehm, sì… ne avrei bisogno…” Rispose lei con un sorriso nervoso.
Tony guardò scoraggiato Pepper. “Non è la risposta che mi aspettavo…” Biascicò deluso.
“Non mi state chiedendo di insegnare a vivere a qualcuno, vero?” Domandò preoccupata Dixi.
“Oh, no, cara!” Soggiunse immediata la bionda, prendendole la mano.
“Vogliamo solo che insegni a qualcuno come funziona questo secolo.” Precisò Tony.
“Come: questo secolo?!” Esclamò incredula la ragazza. “Perché, dov’è stato finora? Cosa gli è successo? È stato in coma?” S’informò con febbrile curiosità.
“Una cosa del genere…” Spiegò vaga Pepper.
“È stato, diciamo… in freezer…” Aggiunse Stark con un sorriso beffardo.
“Cosa?!”
“Ibernato.” Affermò la donna.
“Sotto ghiaccio per un po’ di tempo, tutto qui.” Disse lui a mani aperte.
“Andiamo, mi prendete in giro?!” Sbottò Dixi offesa. “Non sono una stupida! Nessuno potrebbe uscirne vivo!”
“Senza entrare in particolari, è un tipo piuttosto resistente.” Dichiarò Tony.
“E quanto ci sarebbe rimasto, sotto ghiaccio?” S’informò lei.
“Beh…” Soffiò la bionda, guardando altrove.
“Più o meno settant’anni.” Rispose l’uomo.
“Ok, mi state prendendo in giro.” Sostenne Dixi. “È una specie di prova, per vedere quanto ci metto a capire che è uno scherzo… Non so il motivo, ma mi state esaminando…”
“Non è uno scherzo, Dixi.” Le disse seria Pepper.
“Il mio amico è stato veramente ibernato per settant’anni ed ora ha bisogno di qualcuno che gli spieghi come vanno le cose nel ventunesimo secolo.” Aggiunse Tony.
Lei li osservò guardinga per qualche minuto, spostando gli occhi da uno all’altra, ancora dubbiosa.
“Bene, ammettiamo anche che sia vero.” Affermò poi. “Ma questo tizio, ormai, sarà decrepito…”
“Ti assicuro che si è conservato piuttosto bene…” Sostenne convinta la bionda con sguardo compiaciuto.
“Signorina Potts!” La rimproverò Stark, lei si strinse nelle spalle con un sorriso incurante. “Dixi Spitz…” Riprese poi l’uomo, rivolgendosi all’altra donna. “…ti assicuro che, se accetterai la mia proposta, ci saranno enormi vantaggi per te.”
“Sentiamo un po’ di cosa si tratta.” Fece lei, più collaborativa. Gli altri due si scambiarono uno sguardo significativo.

Nei giorni successivi, dopo l’accettazione dell’accordo, Dixi ebbe un avanzamento di carriera con relativo aumento di stipendio, il trasferimento in un nuovo, luminoso appartamento con vista sul parco e perfino una macchina. L’unica cosa che mancava era l’uomo dei ghiacci.
Una mattina, però, le arrivò un messaggio sul fiammante Blackberry d’ordinanza – che lei riteneva indubbiamente tracciato dalle industrie Stark.
«Clark Building, piano interrato, 416 della 32° - riconoscimento all’entrata – Capitano Steve Rogers» questo era il testo.
E lei sapeva che si trattava praticamente di un ordine. Prese le chiavi della macchina, sapendo che non avrebbero accettato che evitasse il traffico usando la metropolitana.

Il Clark Building era un edificio come tanti, nel centro di New York. Quando Dixi entrò si trovò davanti un anonimo atrio con un semplice e spoglio bancone, dietro il quale c’era una donna in uniforme nera. La ragazza si avvicinò.
“Salve.” Salutò, attirando l’attenzione della guardia. “Cerco il Capitano Rogers, mi manda il Signor Stark.” Le disse quindi.
“Il suo cartellino di riconoscimento?” Replicò immediata l’altra donna.
Dixi le passò il proprio badge e quella lo introdusse in un lettore, poi aspettò che i dati comparissero sul suo schermo, mentre uno scanner di riconoscimento facciale analizzava i tratti della ragazza.
Santo cielo, ma dove siamo, all’Area 51… pensò Dixi infastidita.
“Devo lasciarle anche l’esame della retina?” Scherzò sarcastica, la guardia la guardò malissimo.
“Può andare.” Le disse fredda, restituendole il tesserino. “Tenga il badge in vista, il piano è il B3.” Aggiunse, indicandole l’ascensore.
Dixi lo prese, premette il tasto per il terzo piano interrato e, quando le porte si aprirono, si ritrovò in uno stanzone grigio, attrezzato in modo simile ad una palestra. E lei odiava le palestre.
S’incamminò lungo il grande spazio deserto, osservando i vari attrezzi che le ricordavano una sala di tortura; ad un certo punto si fermò, notando un qualcosa che doveva essere stato un vogatore, ma che adesso giaceva praticamente smontato sul pavimento. Alzò le sopracciglia, stupita.
Un rumore la distrasse dalla contemplazione. Si voltò e vide, dietro una parete formata da sostegni per i pesi, un piccolo ring, sul quale un uomo fendeva l’aria con i pugni. Aggirò la rastrelliera ed ebbe una visuale migliore.
Lui indossava i pantaloni di una tuta ed una canottiera bianca. Il suo corpo era quanto di più vicino alla perfezione Dixi avesse mai visto: due spalle larghe e scolpite scendevano verso una vita sottile e poi in due gambe chilometriche. I glutei marmorei riempivano perfettamente il tessuto aderente della tuta. La ragazza non poté trattenere la sua bocca dall’aprirsi incredula.
E questo sarebbe Capitan Sotto Zero? Santo cielo, tesoro, ti sei conservato meglio di un trancio di merluzzo! Tutto questo ben di Dio sprecato sotto i ghiacci della Groenlandia?! Che il Signore benedica le attrezzature moderne!
Questi furono i veloci pensieri di Dixi, prima che il panico di dover dividere l’appartamento con lui prendesse il sopravvento.
Si avvicinò timorosa al ring. Lui sembrava talmente concentrato che non se ne accorse. Dixi poté osservarlo di soppiatto ancora un po’.
Lei non si poteva certo considerare un’esperta in fatto di uomini. Sì, aveva avuto un paio di storie importanti, ma poco più. E nessuno dei suoi grandi amori si poteva considerare un adone. Che gli raccontava lei, a uno così? Si ricordò dei bellocci sportivi del liceo, che la chiamavano Bastoncella, o Stecco, o Stampella e la deridevano per gli occhiali e l’apparecchio…
Dio, fa che non sia uno stronzo, ti prego… supplicò, prima di fermarsi a qualche metro dal ring.
“Capitano Rogers?” Chiamò interrogativa.
L’uomo si fermò e si voltò, ansimante e sudato. Aveva un bel viso da bravo ragazzo americano, grandi gentili occhi blu circondati da lunghe ciglia. I capelli biondo scuro erano un po’ scompigliati.
“Sì.” Fece, con la voce appesantita dal respiro veloce. “La Signorina…” Sembrò riflettere per un secondo. “…Spitz?”
“Sì.” Annuì lei.
Lui la osservò per un istante, forse incuriosito dai jeans skinny neri infilati in un paio di anfibi pieni di borchie, o dalla maglietta col Tricorder di Star Trek e la scritta «Ricerco vita intelligente». Lei si sentì imbarazzata e abbassò gli occhi.
Rogers, a quel punto, afferrò una delle corde del ring e, con un balzo elegante, volò con agilità direttamente sul pavimento sottostante, come avesse saltato non più di un paio di gradini. Sconvolta dal gesto atletico, Dixi spalancò gli occhi.
“Piacere di conoscerla.” Fece lui, porgendole la mano.
“Piacere mio.” Replicò lei, stringendogliela. “Lo fa spesso?” Aggiunse, indicando il ring, lui la fissò interrogativo. “Il salto, dico.”
Il capitano si strinse nelle spalle. “È un salto basso.”
“Sì, basso…” Dixi guardava i quasi due metri, perplessa. “Io mi sarei frantumata le rotule, ma è basso, sì…”
“Deduco che il Signor Stark non le abbia parlato delle mie caratteristiche.” Affermò l’uomo.
“Ehm… no.” Ammise lei.
“Quindi sarà un argomento di conversazione…” Mormorò rammaricato.
“Come vuole.” Lo stupì lei, stringendosi nelle spalle. “Se non vuole parlarne, non lo faremo.”
La osservò per un attimo. La ragazza era abbastanza alta, ma piuttosto magra; i capelli, di un castano smorto, erano raccolti in una coda arruffata. Doveva avere dei begli occhi, di un nocciola dorato, ma erano nascosti dietro un paio di grandi occhiali squadrati dalla grossa montatura nera. La pelle era chiara, con leggere lentiggini. Forse aveva più anni di quelli che dimostrava. C’era una strana malinconia nel suo sguardo e questo gl’ispirò fiducia.
“Senta…” Riprese Rogers. “…se non le dispiace, vado a farmi una doccia, poi potremo parlare.”
“Prego, vada pure.” Lo invitò lei, con un bel sorriso. “Io l’aspetto qui.”

Meno di un’ora dopo erano seduti ad un tavolino all’aperto, davanti ad un trancio di pizza. E non sapevano cosa dirsi.
Lui sembrava… timido, e si limitava a mangiucchiare la sua pizza distrattamente. Lei avrebbe preferito essere sepolta viva, piuttosto che avere addosso gli sguardi degli altri clienti del locale.
“Sembra che non riusciamo a rompere il ghiaccio, eh Capitano?” Fece ad un certo punto Dixi, stanca di quel silenzio fastidioso.
“Per due che dovranno vivere insieme è un po’ strano, vero?” Replicò lui con un breve sorriso.
“Pare che non abbiamo molto in comune…” Ipotizzò lei, prima di bere un sorso di coca.
“Non ci conosciamo per niente, è presto per dirlo.” Affermò Rogers, sorprendendola. Il suo tono era ottimista e le piaceva la sua voce, era mite, dolce. “Perché lo dice?” Chiese quindi l’uomo.
“Beh…” Rispose lei, dopo essersi pulita la bocca. “…stiamo su due lati diversi della figaggine.” Il capitano la fissò interrogativo. “Lei è un figo e io una sfigata.” Spiegò Dixi, scrollando le spalle.
Rogers abbassò gli occhi con una smorfia amara. “Non sono sempre stato così.” Affermò poi. “E lei non mi sembra tanto sfigata. Mi creda, so bene cosa significa esserlo.”
Dixi lo fissò sospettosa. Santo cielo, era bello! E atletico! E c’erano almeno cinque ragazze distribuite su due tavolini diversi che la guardavano con odio solo per essere seduta con lui! Che discorso era quello?
“Va bene, allora, conosciamoci meglio.” Affermò infine, dopo un lungo respiro. “E smettiamola con le formalità, è assurdo se dobbiamo convivere.”
Lui sorrise, visibilmente più rilassato. “Molto bene.” Annuì, poi le porse di nuovo la mano. “Io sono Steve.” Si presentò.
Lei gli strinse la mano e sorrise a sua volta. “E io sono Dixi.” Gli disse.
“Dixi?” Fece Steve, tornando seduto compostamente. “Ma sul tuo tesserino c’era una E puntata…”
“Oh, beh…” Mormorò la ragazza, tormentandosi un buco nei jeans. “…in realtà il mio nome di battesimo è un imbarazzante Euridice…”
“Imbarazzante perché?” Replicò lui con tono sincero. “È un bel nome, particolare.”
“Sei il primo che lo dice.” Commentò la ragazza. “Nessuno ha mai pensato che fosse carino avere il nome di una tizia rimasta intrappolata nell’Ade…”
“Non m’interessa.” Negò Steve. “Euridice è più bello di Dixi.”
“Devo dedurre che mi chiamerai Euridice, quindi…” Sostenne lei con tono lugubre.
“Sì.” Annuì l’uomo, prima di addentare nuovamente la sua pizza.
“Quando pensi di trasferirti?” Gli domandò allora la ragazza.
“Non ho molta roba.” Affermò lui. “Quando fa più comodo a te, Euridice…”
Dixi alzò gli occhi con divertito rimprovero quando lui sottolineò divertito il suo nome; il capitano rise piano. Aveva un bel sorriso.
“Quanto sei spiritoso, Stevie…” Lo prese in giro lei. “Ad ogni modo, sono venuta in macchina, puoi caricare le tue cose e trasferirti stasera stessa.”

Dixi stava finendo di preparare la cena, mentre Steve era appollaiato su uno degli sgabelli di cucina con Zephyr acciambellata in grembo.
Quella traditrice di una gatta! Era altezzosa e scostante con qualunque umano le si avvicinasse, compresa la sua padrona e dispensatrice di cibo, ed ora arrivava Capitan Ghiacciolo con i suoi occhioni blu e in meno di un secondo scoccava l’amore incondizionato!
La ragazza osservò per un attimo l’uomo che carezzava con dita gentili il morbido pelo argentato del gatto e pensò che, con la sua camicia a quadretti e i capelli pettinati con la riga di lato, era così adorabilmente fuori moda da sembrare uscito da un film di Lubitsch.(1)
Lui alzò improvvisamente i suoi sinceri occhi azzurri su di lei e le sorrise con dolcezza. Dixi poté solo rispondere allo stesso modo.
“Non avevi detto che la tua gatta era sociopatica e lunatica?” Le chiese, mentre delle chiaramente avvertibili fusa riempivano la stanza.
“Lo è.” Rispose scoraggiata. “Ma evidentemente avevo sottovalutato la sua mancanza di feromoni maschili.” Aggiunse sarcastica. Ridacchiarono.
“Potevo aiutarti, con la cena.” Affermò Steve, accennando alle stoviglie.
“Cominceremo da domani a spartirci i compiti.” Decretò Dixi, mentre cominciava ad apparecchiare.
“Non è la prima volta che convivi con qualcuno.” La ragazza lo guardò, non era una domanda ma una costatazione.
“Già.” Ammise quindi. “All’università avevo un coinquilino, adorabile ragazzo gay.” Raccontò poi. “Ed ho vissuto un paio d’anni col mio fidanzato, Julian.”
“Ah…” Fece Steve, con un tono strano, deviando gli occhi. “E lui dov’è ora?”
“Fidanzato con un’altra.” Rispose Dixi senza amarezza.
“Mi dispiace.” Mormorò lui e sembrava veramente rammaricato. “Spero tu non abbia sofferto.”
“Non più di tanto.” Disse lei, scrollando le spalle. “Non eravamo tutta questa perfezione, come coppia.” Aggiunse, mentre mescolava l’insalata. “E tu, ce l’hai una ragazza?”
Steve la guardò stupito. “Non credi che, nel caso, sarei con lei?”
“Oh, sì, che scema… scusa!” Esclamò Dixi, ma poi vide sul viso dell’uomo un’espressione triste e remota e capì di aver toccato un tasto infelice. “Lasciamo stare, dai!” Fece allora, cambiando argomento con tono allegro. “C’è una cosa che voglio chiederti da stamattina.”
“Dimmi.” La incitò lui.
“Cosa è successo a quel vogatore, nella palestra? Era tutto smontato…” Domandò la ragazza.
“Oh…” Esalò Steve, grattandosi imbarazzato la nuca. “Alla seconda vogata è andato in pezzi, credo che fosse assemblato male…”
“Sì, oppure sei Capitan America!” Commentò divertita Dixi, prima di girarsi verso il lavello a prendere i bicchieri.
Il silenzio pesante che avvolse la stanza fu l’unica replica che giunse da Rogers. Qualcosa fece realizzare a Dixi di aver appena affermato una verità pensando di dire una cazzata. Si girò verso di lui e lo vide fare un sorrisino tirato.
“Tu non sei Capitan America, vero?” Gli chiese titubante.
“Sì.” Rispose impacciato lui.
“Quello con la tutina a stelle e strisce e lo scudo invincibile…”
“Lui…”
“Cioè, te ne vai in giro a combattere i cattivi con addosso una calzamaglia patriottica?”
“Detto così, sembra un tantino ridicolo…”
“Anche se l’idea di te con addosso qualcosa di aderente come una calzamaglia, potrebbe turbarmi molte notti a venire…” Rifletté lei senza ascoltarlo, occhi al cielo e indice sul mento.
“Guarda che i miei poteri sono una cosa molto seria per me.” Dichiarò severo Steve, riportando l’attenzione di Dixi su di se. “È un dovere che mi sono preso, una responsabilità.”
La ragazza lo fissò, colpita. “Sembra proprio che sia così.” Mormorò, rendendosi conto che lui non scherzava davvero. “Scusami, se ti ho offeso.”
“No… insomma, non ti preoccupare.” Replicò il capitano. “Il costume è solo una parte, la più appariscente, ma non è quello che conta, ciò che importa davvero è quello che faccio quando ce l’ho addosso.” Precisò quindi.
“Ho sentito che hai salvato un sacco di gente, durante l’attacco.” Gli disse, con un sorriso comprensivo. “Quindi è ok, anche se somigli un po’ ad un ballerino col sospensorio…”
“Un che?!” Esclamò sconvolto Steve.
“Mangia il pollo, Capitano, ti fa bene ai muscoli.” Soggiunse Dixi, spingendo il vassoio verso di lui.  

Il mattino dopo, Steve si svegliò a causa della luce che attraversava le tende chiare della sua camera. Doveva ammettere che il letto era molto più confortevole di quello che aveva nel bunker e vedere il sole di prima mattina lo metteva di buon umore.
Si alzò ed andò a scostare le tende. Una bella giornata di primavera lo accolse, mentre osservava con un sorriso il cielo azzurro sopra Central Park.
All’improvviso una musica lo distrasse dalla contemplazione del panorama. Si voltò verso la porta, attraverso la quale filtrava la melodia. Non era esattamente una delle cose che era abituato a sentire un tempo, niente che uscisse da una radio degli anni quaranta poteva essere così violento.
Incuriosito, lasciò la camera da letto. La musica si fece subito più forte, ma lui dovette fermarsi, perché si ritrovò Zephyr tra le gambe, che si strusciava miagolando.
“Andiamo dalla tua padrona.” Le disse, prendendola in braccio.
Trovarono Dixi che, in mezzo alla cucina, cantava il testo della canzone con una banana in mano.
The walls start shaking, earth was quaking, my mind was aching, we were making it… And you shook me all night long! Yeah, you shook me all night loooong!(2)
“Buongiorno.” Salutò divertito Steve.
“Oddio!” Esclamò lei sussultando, poi si girò e abbassò la banana.
Si squadrarono per un attimo. Lei aveva addosso una maglia un po’ lunga, ma che lasciava comunque scoperte abbondantemente le gambe, mentre lui indossava nient’altro che un paio di boxer e un gatto. Entrambi arrossirono e si voltarono nelle direzioni opposte.
“Metto i pantaloni!” Si ordinò Dixi, filando in camera propria.
“Prendo una maglia!” Dichiarò Steve, lasciando andare il gatto.
Pochi minuti dopo, quando tutti e due avevano recuperato la propria dignità, il caffè era pronto e gli AC/DC erano stati sostituiti da un pezzo meno duro, loro erano di nuovo seduti in cucina come la sera prima.
Tutto era di nuovo tranquillo, si disse la ragazza. Anche se lo scolo dei suoi addominali mi tormenterà anche dopo la morte… pensò poi. Smettila di ragionare come una stupida fangirl! Si rimproverò, dandosi un pugno in testa.
Steve la guardò stranito, da sopra il bordo della sua tazza.
“Scusa, era per tutto un ragionamento con me stessa che preferirei non riferire…” Spiegò vaga lei.
“Tranquilla.” Le concesse il capitano. “Tu, adesso, vai al lavoro?” Le chiese poi.
“Sì.” Rispose la ragazza annuendo. “Tu hai qualche programma?”
“Hm…” Steve fece una smorfia. “Sembra che attualmente non ci siano minacce aliene, folli dittatori che vogliono assoggettare il mondo, né fanciulle in pericolo, quindi posso considerarmi disoccupato.” Affermò lui stringendosi nelle spalle.
“Hey!” Sbottò Dixi divertita. “Sei più autoironico di quello che pensavo!”
“Qualcuno mi ha fatto notare che mi prendo troppo sul serio.” Commentò lui; risero piano.
“Che ne dici di pranzare insieme, allora?” Propose quindi la ragazza. “Mi passi a prendere verso l’una alla Stark Tower e andiamo a mangiare al parco.”
“Mi sembra una buona idea.” Approvò l’uomo con un sorriso.
“Bene.” Annuì Dixi. “Te la cavi con la metropolitana?” S’informò poi, presa da un’improvvisa preoccupazione riguardo alle sue capacità di sopravvivenza nella metropoli.
“È una delle poche cose rimaste simili ai miei tempi.” La rassicurò Steve. “Penso di farcela.”
“Anche perché sarebbe imbarazzante per un supereroe perdersi nella metro…” Ipotizzò ironica la ragazza; lui la guardò con divertito rimprovero e lei rise.

Quando Steve si muoveva per la città, restava ancora sorpreso da quanto il mondo fosse cambiato.
Le cabine del telefono, ad esempio: esistevano ancora? Insomma, sembrava che la gente vivesse in simbiosi con quegli aggeggi portatili appoggiati all’orecchio, oppure in mano a scorrere gli schermi con le dita, sempre con gli occhi fissi su qualcosa che sembrava più interessante della vita vera.
Ne avevano dato uno anche a lui, Tony gli aveva detto che non poteva vivere senza. Ancora non aveva neanche capito come fare una telefonata. Sapeva che avrebbe dovuto chiederlo a Dixi, che gli sarebbe bastata una breve spiegazione per capire, ma gli sarebbe piaciuto molto di più farlo da solo… Non voleva sembrare stupido e inutile.
E poi c’era il traffico, le automobili – completamente diverse dai suoi tempi – i cartelloni pubblicitari, i negozi… Tutto era un turbine di luci, suoni e colori quasi disturbante.
Le persone erano cambiate forse più del resto. Nessuno sorrideva più, salutava più, nessuno chiedeva permesso o si scusava. Tutti sembravano arrabbiati e di fretta, troppo presi dallo squillare dei telefoni per guardare in faccia chi gli passava davanti.
Si erano trasformati anche i vestiti. Come ti giravi potevi vedere ragazzi dai bizzarri abiti colorati ascoltare musica incomprensibile, ragazze con addosso praticamente niente – ma davvero i genitori le mandavano fuori così? – donne con tacchi vertiginosi. Perfino i completi grigi giacca e cravatta erano diventati più morbidi, meno formali e impettiti di un tempo.
I costumi sessuali, poi, dovevano essersi evoluti in un modo inaspettato. Come ti giravi potevi vedere cartelloni con donne completamente nude che pubblicizzavano qualcosa che non c’entrava niente col sesso. C’erano enormi manifesti di uomini in mutande che esponevano i loro attributi in modo imbarazzante. C’erano anche giganteschi pannelli retroilluminati con sopra coppie avvinghiate in pose decisamente troppo poco caste.
Erano i momenti, quelli, in cui si sentiva più spaesato. Andiamo, lui era nato nel 1917… Avrebbe dovuto essere morto da un bel pezzo, come tutti quelli che conosceva, come la città che una volta era la sua e ora non riconosceva. Come… Peggy.
Si disse che non doveva ragionare così, mentre si avvicinava all’imponente Stark Tower. Gli era stata data un’altra possibilità ed ora, il suo tempo era quello e doveva viverlo.
Gli sarebbe piaciuto sentirsi, nella vita, sicuro come in mezzo alla battaglia, sapendo che poteva fare la differenza, che se diceva la cosa giusta l’avrebbero seguito, ma vivere non gli era mai riuscito così facile.
Sospirò, entrando nel moderno, elegante, ecosostenibile atrio della torre e si diresse alla portineria, dove un’impiegata lo stava già squadrando da capo a piedi con espressione lussuriosa. Ma cosa sono diventate, le donne? Si disse sconsolato Steve.

Arrivato al trentesimo piano e attraversato un atrio con diverse porte, Rogers trovò quella che cercava; oltre di essa c’era un grande ufficio diviso in molti cubicoli.
Lì lavorava alacremente il più assurdo insieme di esseri umani che lui avesse mai visto, ed era un Vendicatore… Tra capelli dai colori più improbabili, accessori dall’uso sconosciuto, bizzarre figurine umanoidi in plastica, penne biro col ciuffo e la faccina, teschi inquietanti, il capitano riuscì a scovare l’angolo di Dixi.
Anche la ragazza aveva il suo nutrito gruppo di improbabili soprammobili. A parte lo scheletrino fosforescente che pendeva a lato di uno dei suoi schermi, c’erano anche il poster di qualcosa che poteva somigliare ad una nave spaziale appeso al muro – Millenium Falcon? Bah… – un pupazzetto con le orecchie a punta e una maglia blu seduto nell’angolo dietro lo schermo di destra, un portapenne con un altro scheletro scolpito, c’era anche una fila di borchie che decorava il bordo della scrivania.
“Capitano Rogers!” Esclamò la ragazza appena lo vide, mentre lui esaminava ancora il piccolo spazio che diceva così tanto di lei.
“Ciao.” La salutò lui con un breve sorriso. “Ufficio particolare, eh?” Aggiunse poi.
Lei si alzò sorridendo. “Ci lavora gente strana qui, sai.” Gli disse in tono cospirativo. “Anche qualche ex ricercato dal FBI…”
“Ricercato dal FBI? E per che cosa?” Rispose Steve allibito.
“Diciamo, per pura ipotesi, che abbia crackato alcuni codici segretissimi tipo della NASA…”
Lui la guardò male. “Tu non hai…”
“Ho detto: per ipotesi.” Sostenne Dixi. “Dimmi, perché avevi quella faccia afflitta, quando sei entrato?” Gli domandò quindi, cambiando agilmente argomento.
“Oh, beh…” Fece lui, abbassando il capo. “Non capisco perché le ragazze continuino a fissarmi in quel modo, come se fossi… fossi…”
“Una cialda belga inzuppata nel cioccolato?” Lo imbeccò lei.
“Sì… è imbarazzante.” Disse Steve, massaggiandosi la nuca.
“Oh, ma tu devi capire che è più forte di loro!” Esclamò Dixi. “Insomma, si vedono passare davanti Capitan Culosodo e non gli danno nemmeno un’occhiatina famelica? Hm, non sarebbero le ragazze di oggigiorno!”
“Non darmi questi nomignoli stupidi, somigli a Stark.” Brontolò offeso il ragazzo.
“E tu smettila di essere così umile!” Ribatté Dixi. “Dovresti tirartela come una fionda!”
“Io… io non sono così…” Mormorò lui, sempre ad occhi bassi.
“Ed è ok, non sei così, sei umile e timido, va bene.” Annuì lei, prendendolo per gli avambracci, Steve la guardò negli occhi. “Però devi sapere che il rapporto tra i sessi è molto cambiato, mentre tu eri sotto ghiaccio, non c’è più quel corteggiamento demodé, fiori e cioccolatini, poi t’invito a ballare e ti riporto a casa con un casto bacino.” Aggiunse a bassa voce.
“Non capisco cosa vuoi dirmi…” Fece lui smarrito, con le sopracciglia aggrottate.
“Che ora le donne sono sessualmente libere e quando vedono un bel ragazzo, fanno di tutto per portarselo a letto.” Gli spiegò dura lei. “E fanculo il matrimonio, i bambini e la casetta monofamiliare.”
“Sembra che la cosa non ti piaccia.” Affermò Steve stupendola. Lei spalancò gli occhi e si scostò, abbassando poi il viso.
“Io… vorrei essere come loro, ma non mi riesce.” Biascicò a capo basso. “Quindi resto l’imbranata che non è capace di trovarsi uno straccio d’uomo.”
“Hey, hai me!” Sbottò Steve, lei lo guardò incredula.
“Sì, ma noi…”
“Se sono veramente così attraente come dici.” La interruppe lui. “È la volta che fai morire d’invidia
queste donne così brave con gli uomini.”
“Lo faresti veramente?” L’interrogò la ragazza ancora stupita.
“Non mi costa niente, tenerti a braccetto.” Rispose il capitano con un sorriso dolce.
Dixi fece un gridolino allegro e acchiappò il braccio solido di Steve, poi alzò su di lui uno sguardo malizioso.
“Posso toccarti il sedere?”
“Ora non ci allarghiamo…” La rimproverò bonariamente lui.
“Va bene…” Piagnucolò delusa la ragazza. “Solo perché è ora di pranzo.” Si guardarono e risero, poi uscirono dall’ufficio sotto braccio, tra le occhiate incredule dei presenti.


“Una mega con doppio formaggio e una normale con salame piccante, sono sette e ottanta.” Disse con tono cantilenante il fattorino della pizzeria.

“Grazie!” Rispose Dixi, allungandogli una banconota a dieci e dicendogli che poteva tenere il resto.
Portò le pizze sul bancone della cucina e poi, invece di urlare al suo coinquilino, decise di adottare un sistema che a lui sarebbe piaciuto decisamente di più: gli avrebbe bussato alla porta.
La ragazza si diresse lungo il corridoio coperto da moquette chiara, fino alla porta di Steve. Era socchiusa e poteva vederlo seduto sul bordo del letto ad osservare alcune carte. Zephyr era accoccolata poco più in là, contro qualcosa di azzurro e ben piegato.
“Posso?” Chiese Dixi. Lui alzò gli occhi e le sorrise.
“Certo, vieni.” La invitò.
Lei si avvicinò al letto guardando il gatto. “Quello non è il costume di Capitan America, vero?”
“Preferisco chiamarlo uniforme.” Precisò lui, mentre continuava a sorriderle.
“Comunque lo chiami, sarà pieno di peli di gatto, la prossima volta che lo metti.” Fece lei con tono sarcastico, mentre si sedeva accanto al ragazzo.
“Lasciala stare, è così dolce.” Replicò Steve, carezzando appena il gatto, che rispose con fusa entusiaste: a quanto pareva il colpo di fulmine era stato reciproco.
“Solo se poi mi lasci usare su di te il rullo leva pelucchi.” Ribatté immediata Dixi, con un malizioso sollevamento di sopracciglia. Lui la guardò strano, ma con gli occhi divertiti.
“Lei, signorina Spitz, cerca troppi pretesti per mettermi le mani addosso.” Scherzò poi.
“Non è colpa mia, hai un corpo da reato!” Esclamò la ragazza; risero. “Che stai facendo?” Domandò quindi.
“Mettevo in ordine vecchie cose.” Rispose il capitano, tornando con lo sguardo alle carte sul copriletto. C’erano documenti ingialliti, vecchie foto, rapporti più moderni, una quantità di documentazione medica, bellissimi schizzi tracciati a matita.
Dixi ne osservò un paio, domandandosi se li avesse fatti lui; nel caso, era veramente bravo e la delicatezza del tratto, secondo lei, la diceva lunga sull’indole del capitano.
La sua attenzione, poi, fu attirata dalla foto di una donna in divisa: l’immagine aveva il classico color seppia delle foto antiche, ma era ancora nitida abbastanza. La donna era bella, giovane, con un sorriso dolce ed i capelli scuri.
“Lei chi è?” Chiese timorosa la ragazza, sfiorando appena il bordo della foto.
“È… Peggy.” Rispose piano Steve.
Dixi lo guardò. Aveva gli occhi fissi sull’immagine e di nuovo quello sguardo remoto e triste che gli aveva già visto. Non sapeva cosa dirgli, se spronarlo a tirare fuori il suo dolore oppure tacere. Gli sfiorò un braccio attirando la sua attenzione; quando lui alzò gli occhi, lei gli sorrise accogliente, ma non ci fu un seguito. Steve coprì la foto di Peggy con altre carte e Dixi lasciò che il discorso cadesse.
La ragazza allora, un po’ delusa, si mise ad esplorare le altre foto. Le capitò tra le mani l’immagine di una famiglia: un uomo impettito e una donna vestita di chiaro con in braccio un bambino.
“È la tua famiglia?” Domandò, senza togliere gli occhi dalla foto.
“Sì.” Annuì lui.
“Era bella, tua madre.”
“Molto.” Affermò Steve con una dolce malinconia nella voce.
“E questo?” Fece Dixi, afferrando un’altra fotografia. “Non dirmi che sei tu…”
Steve osservò con un sorriso nostalgico l’immagine di due ragazzi, fatta davanti alle giostre di Coney Island in un giorno d’estate.
“Siamo io e Bucky.” Spiegò poi. “Poco dopo, lui si è arruolato e io sono stato respinto per l’ennesima volta.” Aggiunse con amarezza.
“Eri magrolino…” Commentò lei, faticando a riconoscere in quello scricciolo biondo il ragazzone muscoloso e proporzionato che aveva davanti, se non forse dalla luce sincera in quegli occhi chiari.
“Dillo pure.” La spronò lui. “Ero rachitico.”
“Ma no…” Tentò Dixi.
“Non cercare di essere gentile.” La bloccò Steve. “Sono perfettamente consapevole di qual era la situazione, sono stato l’obiettivo preferito dei bulli fin dall’asilo…”
“Parlami della trasformazione.” Gli chiese allora lei, incuriosita; lui la guardò un po’ stupito. “È stata dolorosa?”
“Sì, molto.” Raccontò allora il capitano, arrendendosi alla delicata curiosità della ragazza. “Quando sono uscito dal macchinario non mi sono reso conto subito del cambiamento, fino a quando ho realizzato di essere molto più alto.” Lei ridacchiò. “Poi ho inseguito un nazista, a piedi, ed ho distrutto il suo sottomarino…”
“A mani nude?!” Fece Dixi.
“Sì, non avevo altro…” Rispose lui. “…ed ero arrabbiato.”
“Non è pericoloso solo Hulk, quando s’incazza, allora!” Commentò divertita la ragazza. Steve le sorrise, gentile.
“Ti confesso…” Riprese l’uomo ad occhi bassi. “…che a volte mi sento ancora estraneo in questo corpo.” Lei alzò le sopracciglia stupita. “Anche stamattina, mi sono fatto la doccia, poi mi sono guardato in quello specchio laggiù…” Indicò il grande specchio a figura intera. “…e mi sono detto: chi è questo?”
Lei trattenne palesemente una risatina. “Mi dispiacerebbe rispondere ai tuoi crucci esistenziali con una battuta lasciva, quindi mi tratterrò.” Mormorò poi, le labbra arricciate senza controllo.
“Euridice, le brave ragazze…” Predicò serio lui.
“Vanno in Paradiso.” Lo interruppe lei. “E io, invece, vivo a New York, quindi devo essere pratica, vieni con me.” Aggiunse poi, prima di prenderlo per un braccio a trascinarlo davanti allo specchio.
Si ritrovarono riflessi sul grande rettangolo. Lei, con la maglietta larga dei Deep Purple ed i leggins. Lui, con la sua t-shirt bianca ed i pantaloni caki.
“Guardati.” Lo incitò Dixi. “Sei Steve Rogers, il bravo ragazzo di Brooklyn, un uomo buono, con degli ideali e pronto a combattere per difenderli…” Lui, però, guardava la ragazza nello specchio che con sguardo deciso proclamava le sue qualità, e le sorrideva dolcemente. “…sei l’eroe di cui avevamo bisogno.”
“Lo dici come se ci credessi.” Sostenne Steve.
“Ma io ci credo!” Esclamò Dixi. “Io credo nei supereroi e tu devi smetterla di fare Capitan Ingenuità e capire che invece sei Capitan Figo, con stuoli di ragazze questuanti ai piedi.”
“Non m’interessano queste cose.” Negò lui con tono quasi offeso.
“E allora, abbi almeno pietà e mettiti maglie più larghe!” Sbottò Dixi. “O un giorno potrei non rispondere di me!” Stavolta rise anche lui.
“Perché non hai un fidanzato, Euridice?” Le domandò con delicatezza.
“Beh…” Fece lei, stringendosi nelle spalle. “…suppongo di aver passato troppo tempo sui computer e troppo poco a cercarmi un uomo e poi… guardami, sono una nerd.”
Steve la guardò riflessa nello specchio, pallida, con i capelli appuntati sulla nuca e gli occhialoni, un sorriso incerto che faceva tremare di luce i suoi occhi nocciola.
“Secondo me, sei carina.” Affermò quindi, poi si girò verso di lei.
Dixi non se lo aspettava, si ritrovò a mezzo passo di distanza dai pettorali di Steve. Fece un istintivo passo indietro, ma lui se la riportò vicino con una facilità disarmante, quasi fosse fatta di paglia leggera, quindi le tolse gli occhiali e li gettò sul letto, poi fece lo stesso col fermaglio dei capelli. La ragazza, in un istante, si trovò di nuovo voltata verso lo specchio.
Ora aveva i capelli sciolti che le scendevano ai lati del volto in morbide onde, il viso e le labbra accese da un lieve rossore e gli occhi lucidi.
“Lo vedi, che sei bella?” Le disse la voce gentile di Steve all’orecchio.
Lei deglutì a vuoto, continuando a guardarsi incredula: si vedeva davvero bella. Forse perché non aveva gli occhiali e tutto era sfocato. E sentiva le mani calde di lui sulle braccia.
“Dai, andiamo a mangiare questa pizza.” La incitò l’uomo, prima di lasciarla.
Lei barcollò un secondo, confusa, poi si riscosse come se le mani di Steve le avessero scottato la pelle. Si girò e lo vide infilare la porta.
Lui profumava di buono e lei, lei non era proprio all’altezza.

CONTINUA

NOTE:
(1) Famoso regista di origine tedesca noto per alcune commedie dell’epoca d’oro di Hollywood, ad esempio “Ninotchka” con Greta
Garbo.
(2) Si tratta di “You shook me all night long” degli AC/DC, Tony Stark apprezza e ringrazia con un inchino XD
   
 
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