Echelon, scusatemi il ritardo davvero, ma tra Up In The Air (so much love per quella canzone *_*) e la scuola ho avuto la testa occupata! ahahah
Bè... ora avete questo capitolo, anche un pò lunghetto, tanto per farmi perdonare :D
Buona lettura, ci vediamo in basso ;)
Chapter 10. Who I really am?
“O madre santissima!”, disse Jared disperato, appena Devon aprì bocca. Aveva urlato solo perché il cantante l’aveva preso in braccio e ci mancava poco che svegliasse il vicinato, che poi non esisteva.
Inutile nasconderlo: Devon lo odiava intensamente per chissà quale motivo illogico.
“Devon, fa’ il bravo, su. E’ solamente Jared… lo zio Jared!”, cantilenò Tomo facendo delle facce buffe al bambino. Devon smise un attimo di lamentarsi e guardò il padre, come se capisse davvero cosa volesse da lui.
Poi fissò Jared con i suoi occhioni scuri e storse le labbra. Sembrava che non fosse convinto di quello che Tomo gli stava dicendo e infatti suo padre scoppiò a ridere. Poi però poggiò una manina sulla guancia del cantante, e alla fine indicò i suoi occhi azzurri.
“Pace?”, chiese Jared, annuendo, come se Devon gli avesse fatto una domanda. Tomo intanto guardava suo figlio, fiero come sempre.
Devon sorrise, come ad accettare il patto e tutte le sue condizioni, come ad esempio non vomitargli più in faccia od urlare appena lo prendeva in braccio.
“Alleluia al Signore, finalmente anche voi due la finirete di litigare!”, esultò Tomo prendendo dal divano il piccolo zainetto di Devon, per poi porgerlo a Jared. “Bene, ora che siete best friend forever andate a quel maledetto asilo”.
“Prova a ridirlo e sei fuori dalla band”, lo minacciò Jared, scioccato dalla seconda frase del suo chitarrista. Tomo ridacchiò ma il cantante lo fermò. “No, seriamente non scherzo”.
“Oddio, Jared, ho capito!”, continuò a ridere Tomo, cacciandoli praticamente di casa, visto che tra un po’ sarebbe tornata Vicki e voleva farle una piccola festa. Era andato bene il lavoro, l’album stava terminando e loro avevano bisogno di pace.
Era il momento perfetto.
“Va bene, grande saggio, vado. Tieni da conto la tua bella!”, lo prese in giro Jared, andandosene via con Devon tra le braccia, ridendo.
Andò in macchina, sistemando bene il bambino, e partì verso l’asilo, con davvero poca voglia. Ma era stato mandato in missione, se così possiamo chiamarla.
Il giorno prima Ash Connor era ritornata di nuovo al lavoro e quindi a Jared toccava il compito di farsi dire il più possibile da quella ragazza. Sarebbe stato difficile ma sperava di farcela.
“Non puoi parlarci tu?”, chiese al bambino, come se potesse rispondergli. “Voglio dire, lei ti adora e sono certo che tu sappia molte più cose di noi… mannagia a te!”.
Devon continuò a giocare, tutto allegro, con i giochi sulla macchina dello zio acquisito, senza destargli minimamente attenzione.
Bah, non l’avrebbe mai capito quel bambino. Era come se venisse da un altro mondo, tutto suo.
Sorrise e continuò a guidare, guardando le macchine passare, i cartelli tutti disegnati da qualche ragazzo che non aveva avuto niente da fare, i murales in giro per la città. Los Angeles era particolare anche per quello e lui l’adorava.
Devon mugugnò qualcosa, ridacchiando, e Jared si voltò per qualche secondo. Lo vide giocare, al sicuro, e tornò a stare attento alla strada. I borbottii di Devon l’avevano sempre preoccupato quando era da solo con lui, perché non sapeva bene cosa volessero dire, ma forse si stava solo divertendo con i suoi giochi.
Arrivati all’asilo, svoltò nel parcheggio e sistemò la macchina vicino all’entrata. Spense il motore e tolse le mani dal volante, per poi voltarsi e guardare Devon, che aveva smesso di giocare e guardava fuori.
“Come…?”, chiese retoricamente il cantante. Era come se il bambino avesse capito che erano arrivati e che era ora di scendere dalla macchina.
‘Ripeto: io questo bambino non lo capirò mai’, si disse ancora mentalmente.
Scuotendo la testa, uscì dalla macchina e andò a prendere il bambino in braccio, togliendolo dai suoi giochi. Devon, al contrario di urlare come al solito, gli sorrise e ridacchiò, guardandolo dolce.
Non era da lui, almeno non da lui quando era da solo con Jared.
“Tu sei davvero strano, non smetterò mai di dirtelo”, lo prese in giro il cantante, rispondendo al suo sorriso. “Andiamo, forza. Siamo in missione, piccolo soldato”.
Sistemò meglio il cappellino leggero di Devon e cominciò a camminare verso l’entrata dell’asilo, tenendolo il braccio.
Anche l’asilo era diverso: non c’era più quell’ansia che aveva caratterizzato la scomparsa di Ash Connor, la prima volta. Tutto era tranquillo e illuminato dal sole, anche se non c’erano bambini a giocare fuori.
Era uno di quei pochissimi anni in cui già a Settembre fa un po’ freddo e non era il caso di lasciare dei bimbi a giocare in giardino. Forse ci sarebbe stata anche la neve a Natale, se continuava così.
“Eccoci arrivati, campione pazzo”, disse aprendo la porta d’ingresso e entrando nell’edificio, che era pieno di giochi sparsi in giro, forse perché erano appena tornati tutti in classe.
La segretaria non era al solito posto, ma stava sistemando il grande salone riempito di giocattoli. Jared tossì, per farsi notare, e la donna si girò all’istante.
“Oh, buongiorno!”, disse arrivando verso di loro con passo veloce, sorridente. “Scusate il trambusto”.
“Si figuri, è pur sempre un asilo”, fece il gentile Jared, mentre Devon si allungava tra le braccia dello zio acquisito per avvicinarsi ai giocattoli.
“Devon! Come sta il nostro ometto, eh?”, chiese la donna, facendogli segno di passargli il bambino. Jared obbedì e si liberò del peso, sorridente. La donna prese Devon e gli passò un gioco che aveva in mano. “Ash sarà felice di vederti!”.
“A proposito, i Milicevic mi hanno chiesto se posso parlare con lei”, cominciò Jared.
“Qualche problema con Ash?”, chiese scioccata la segretaria.
“No, anzi… ma vorrei poterne discutere solo con lei”, si difese il cantante, mentre quella annuiva, sempre allegra, e gli fece segno di seguirla verso la classe in cui Ash stava insegnando.
Jared la seguì guardò anche Devon tra le sue braccia, tutto contento e sorridente che giocava. Sorrise e arrivati davanti alla classe si fermò, sotto ordine della donna. Lei, invece, entrò con il bimbo, e andò a chiamare la bionda.
Il cantante rimase lì ad aspettare, ma non ci volle molto prima che anche Ash Connor uscì dalla porta.
“Buongiorno signor Leto. Ha bisogno di me?”, chiese, dandogli ancora del lei.
“Dopo una cena ancora mi dai del lei?”, domandò lui in risposta, scherzando, mentre Ash alzò gli occhi al cielo.
“Buongiorno Jared. Hai bisogno di me?”, ripeté la domanda, ridendo, mentre lui fece un’espressione scocciata.
“Oh che cambiamento!”, commentò.
“Ovviamente. Devo ripetere o mi rispondi?”, si stufò Ash, guardandolo ironica. Non era arrabbiata, aveva ancora i capelli del solito biondo mechato di blu.
“Ok, va bene. Volevo sapere dov’eri finita in questi giorni”, disse Jared, grattandosi la nuca, imbarazzato. Che missione idiota, si sentiva un ragazzino!
“Oh, be a casa. Non stavo molto bene, quindi…”, si giustificò la bionda, riprendendo la bugia che aveva usato Edmund per giustificare la sua futura assenza, prima di portarla all’Esis.
“Bè, lo capisco. Comunque Devon sarà molto felice di ritornare sotto il tuo controllo”, commentò il cantante, sorridendo.
“Ne sono certa”, rispose Ash, per poi mordersi un labbro, come se si dovesse decidere sul fare o no una domanda. “Posso… posso chiederti una cosa?”.
“Certamente, fa pure”, le permise.
“Hai mai avuto parenti alla lontana che abitavano lontano da qui? Zii, più che altro”, domandò lei, pensando ad una specifica persona, mentre Jared non capì molto.
“No… voglio dire da parte di mamma arriviamo da Bossier City, se lo vuoi sapere. Da parte di padre… be la questione tra i nostri padri è molto complicata. Consanguinei veri non credo di conoscerli neanche”, disse Jared imbarazzato. La sua situazione famigliare non era certo un modello esemplare e in più non si aspettava una domanda del genere.
“Oh… va bene, grazie comunque”, sorrise lei, senza essere davvero felice.
“Davvero sei stata malata, Ash?”, ritornò alla carica lui, desideroso di capire cosa davvero nascondesse quella ragazza.
“Credi che io menta?”, rispose lei, con un’altra domanda. “Piuttosto, Jared… raccontami di te. Non conosco il tuo passato”.
“Nemmeno io il tuo, ma sono certo che non me lo diresti mai”, la sfidò lui.
“Mettimi alla prova”, accettò lei.
“Una volta mi hai detto che ti sei trasferita a Los Angeles perché non ti trovavi a tuo agio a casa tua”, commentò Jared, mentre Ash si faceva curiosa. “Ma dov’è davvero casa tua?”.
“Vengo da… da… da un paesino abbastanza sconosciuto del… Montana”, sparò a caso, non sapendo cosa dire. I capelli cominciarono a diventare verdognoli: aveva paura di essere scoperta.
“Montana? Eppure la segretaria una volta aveva detto a Tomo che vieni dal North Carolina”, chiese Jared, sapendo di averla intrappolata. Vicki, tu sì che sei un genio, continuò, pensandolo.
“Sì… voglio dire sono nata nel North Carolina e mi sono trasferita varie volte. Prima di venire qui sono stata nel Montana”, riprese a parlare Ash.
Poi però, lasciando morire la domanda di Jared nella sua bocca, si voltò e chiamò la segretaria. “Scusami, ma ora dovrei tornare”, provò a salvarsi.
“Ma certo, ne riparleremo”, la lasciò andare, salutandola con una stretta di mano fin troppo professionale. Lei si voltò e scappò letteralmente in classe, mentre la donna che l’aveva accompagnato fino a lì uscì dalla stanza.
“E’ tutto sistemato?”, chiese la segretaria.
“Perfettamente… ci sarebbe solo una cosa che potrebbe fare per me, se non le dispiace”, fece il gentile Jared, guardandola sorridente.
“O-okay”, balbettò la donna.
Era andata. Se tutto procedeva secondo i piani di Vicki era fatta. Sarebbero riusciti ad intrappolarla nelle sue stesse bugie e farle dire la verità.
L’odore di sangue era ovunque nella stanza.
Faceva star male solo a metterci piede e loro, invece, dovevano pure stare lì a guardare. Dio, che orrore!
Il pavimento della stanza era ricoperto di quel liquido rossastro tendente al nero che dovrebbe rimanere all’interno del nostro corpo, al posto che sporcare una casa intera. Proveniva tutto dal corpo abbandonato addosso al muro, seduto per terra e rigido a causa della morte che l’aveva colpito.
Di fianco ad esso tante, tantissime impronte rosse di dita o mani che forse tentavano di scappare, di liberarsi, forse uccidere ma senza successo. Aveva lottato, era certo, ma non aveva vinto.
Il corpo era di una studentessa, come tutti quelli che erano morti a causa sua.
Lilian Wendy Anderson, diciotto anni, pelle d’avorio, capelli scuri, occhi color cioccolato e un sorriso stupendo: ecco come era ricordata da tutti.
Una vita stroncata sul nascere per essere usata come inchiostro. Ciò che aveva scritto con il sangue della Anderson era scritto su tutta la parete su cui la ragazza era poggiata; segno che di sangue ne aveva perso ancora di più di quello che già non fosse sul pavimento.
Scappi, scappi, ma tanto torni sempre, recitava il messaggio, misto al suo nome. Ash Connor: quel nominativo riempiva tutti gli spazi vuoti che il messaggio lasciava.
Edmund riguardò di nuovo le scritte, mentre il suo stomaco cercava di funzionare come al solito, ma invano.
Joel e Zoe provavano a cercare qualche altro indizio, stando attenti che non ci fosse più nessuno in quella casa.
Sorrow, invece, esaminò il cadavere, come al solito. Il volto era sfigurato, forse bruciato durante una tortura orribile, il collo presentava dei piccoli tagli che però non andavano mai a scontrarsi con l’arteria, che invece era stata completamente lacerata da un solco unico e maggiore.
Il corpo era coperto da vestiti leggeri, strappati in punti illogici, ma coprivano a malapena le altre aperture che le erano state inferte per raccogliere più sangue. Quasi tutte le vie di maggior scorrimento del liquido erano state aperte e il cuore era completamente fuori dalla gabbia toracica.
Guardò il viso e notò che sul collo, vicino all’attaccatura dei capelli, aveva il suo marchio. Quella a che spaventava il loro mondo da fin troppi anni…
Sorrow chiuse gli occhi per qualche secondo e poi coprì il buco con la camicetta che la ragazza indossava.
Riguardo allo scheletro, le aveva rotto due costole, la tibia sinistra, una spalla e qualche dito. Forse per punizione perché provava a liberarsi.
Non c’era mai stata compassione in quel mostro… nemmeno Sorrow era riuscita a rimanere forte e cinica davanti a quella visione.
Una diciottenne era morta così… per scrivere un messaggio di morte ad un’altra sua quasi coetanea. E per quando Sorrow potesse odiare Ash, non sopportava l’idea che quest’ultima venisse uccisa nello stesso modo.
L’aveva vista distrutta dopo quello che le era capitato, dopo tutti gli esperimenti, dopo tutte le sue esperienze. Non se lo meritava alla fine e lei l’avrebbe fermato.
Si alzò in piedi e ordinò agli agenti di portare via il corpo. Poi andò da Joel e Zoe, che erano in cucina ha discutere sul perché avesse scelto la Anderson e come avesse fatto a compiere l’omicidio. Chiese loro di liberare la casa e di portare via anche Edmund.
Una volta sola, Sorrow andò nella vecchia camera di Lilian e prese carta e penna. Lei era diversa, non sarebbe arrivata a usare il suo sangue per fare una cosa del genere.
Si fece coraggio e compose il messaggio di risposta, per poi lasciarlo sulla scrivania della ragazza.
Lui sarebbe tornato a vederlo, ne era certa.
“Ora torniamo a casa”, sussurrò, controllando ancora il messaggio e poi uscire da quella stanza pura, da quella sala insanguinata, e andarsene via da quella famiglia distrutta.
‘Non l’avrai mai. La proteggeremo sempre’.
“Mamma!”, esultò Jared, vedendo sua madre davanti alla sua porta di casa. “Oddio, ma che ci fai qui? Sono così felice di vederti!”.
“Oh tesoro”, sorrise la donna, fiera del suo bambino troppo cresciuto, ma sempre così caro. “Ho deciso di farvi una sorpresa! Dov’è quel pazzo di tuo fratello? Mi siete mancati tanto”.
“Anche tu, mamma. Aspetta… Shannon?! Shannon, muoviti, c’è mamma!”, urlò dentro casa, facendole cenno di seguirla. “Shannon! Ma ti svegli?!”.
Lei alzò gli occhi al cielo, vedendo suo figlio più piccolo dirle di sedersi sul divano della sala e attenderlo lì, mentre chiamava suo fratello. Era sempre stato così: Jared era costantemente su di giri, felice e spensierato quando stava con sua madre, mentre Shannon era più tranquillo, rimaneva sempre lo stesso.
Jared era sempre stato il mammone della famiglia: la cercava sempre, aveva bisogno del suo parere su ogni cosa facesse o dicesse e doveva starle vicino.
“Ora arriva… forse”, tornò Jared, salterellando per sedersi al suo fianco. “Staccarlo dalla batteria è impossibile a volte!”.
“Nuovo pezzo?”, chiese la donna.
“Sì, vuole finirlo finchè ha questa grandiosa idea… parole sue non mie”, spiegò il figlio, comportandosi come un ragazzino. Non aveva potuto esserlo alla giusta età, era bene che lo facesse ora, sebbene nei momenti opportuni.
“Immagino…”, commentò sorridente la donna. “Bè, come va la vita?”.
“Mmm… okay”, disse il cantante, pensando se dirle tutta la verità, una mezza verità oppure non dirle proprio niente.
“Va bene, questo indica chiaramente che qualcosa non va”, intuì Constance, mentre Jared sgranava gli occhi. “Oh, non fare quella faccia, tesoro. Sono tua madre, ti conosco meglio di qualsiasi altro… ti ho visto per prima, ti ho fatto il bagnetto per prima; ho ricevuto dei poteri da mamma grazie a queste esperienze”.
Constance la mise sul ridere ma evidentemente non era così divertente, perché Jared sorrise divertito, ma rimane un attimo serio.
“No, davvero tesoro, che succede?”, continuò la donna.
Ok, in fondo era sua madre, perché non diglielo? Ne aveva parlato con Vicki, Tomo e suo fratello… magari anche Constance forse l’avrebbe aiutato.
“C’è questa ragazza, mamma, Ash Connor… no, non pensare che sia la mia nuova fiamma. È solo una babysitter dell’asilo dove Tomo porta suo figlio, ha vent’anni credo, ma…”, cominciò il ragazzo.
“Ma?”, chiese curiosa sua mamma, evidentemente interessata alla faccenda.
“Ma è tutta andata!”, arrivò all’improvviso Shannon, in tutta la sua eleganza, completamente sudato fradicio, segno che aveva suonato seriamente per un bel po’, senza fermarsi.
“Shannon! Non si dicono certe cose sulle ragazze; cosa ti ho insegnato?”, lo riprese Constance, severa.
“No, davvero, mamma, quella è tutta matta. Voglio dire, o è un genio incompreso o ha il cervello non molto a posto. Tu non l’hai mai vista, ne sentita parlare”, continuò il batterista, mentre la donna lo spedì subito a farsi una sana doccia rinfrescante.
“Magari si pulisce anche il cervello ed evita di dire baggianate”, commentò, per poi tornare su Jared. “Cosa stavi dicendo, tesoro?”.
“Che Ash Connor sembra una ragazza come tutte le altre, ma… ma non lo è, mamma, e Shannon ha ragione, in parte”, spiegò lui, mentre Constance continuava a diventare sempre più curiosa. “Continua a sparire per giorni e giorni con scuse come le ferie o una malattia ma nessuno sa dove va o come sta. Se ne va senza preavviso, da un giorno all’altro… voglio dire, non è possibile che tu non avvisi prima se devi andare in ferie, no?
“Oppure dice cose assurde… come se venisse da un altro pianeta. Una volta aveva sussurrato che avrebbe preferito di gran lunga essere un vampiro piuttosto di quello che è, ovvero il niente… fa paura se ci pensi.
“Poi se ne esce con la storia che, in realtà, è dovuta tornarsene a casa, ma appena le chiedi di dove sia, ti risponde ogni volta con una versione diversa, come se stesse inventando tutto di sana pianta”.
“E quindi ti stai scervellando per capire quale mistero nasconda, non è così? Vuoi capire da dove arrivi questa ragazza?”, chiese Constance.
“Non solo quello… ma anche che cosa sia davvero. Accadono cose un po’ strane quando lei è nei paraggi”, aggiunse sottovoce, come se rivelasse un segreto a cui nemmeno lui credeva. “La prima volta che l’ho vista, ho notato che alcune ciocche dei suoi capelli avevano cambiato colore, dal blu tinto al violaceo. La seconda volta, invece, mentre eravamo a cena, ho visto sgorgare acqua dal suo bicchiere di vetro vuoto… insomma lei mi ha fatto credere che fosse un gioco di magia, ma…”.
“E se fosse davvero magia?”, disse la donna.
“Non esiste la vera magia, mamma”, rispose Jared, razionalmente.
“Allora perché stai impazzendo per capire cosa nasconda questa ragazza se tutto ciò che dici riporta ad una sola conclusione?”, gli domandò, mettendogli dubbi ovunque. “E’ una maga. Che sia vera o falsa, se così vogliamo definirla, sta a te pensarci”.
“Mamma… non ci hai cresciuti con le favolette per bambine e non ho mai creduto in mondi o creature fantastiche. Perché dovrei cominciare ora?”, chiese Jared a sua madre, mentre gli sorrideva, come se già conoscesse la risposta.
“A volte, Jared, la verità non è mai come la conosciamo… voglio dire, anche ai tempi di Galileo l’universo e i suoi movimenti erano cose fantasiose, oppure con Edison, con la sua elettricità appena accennata”, spiegò Constance. “Noi non abbiamo mai visto certe cose, ma questo non implica che non esistano”.
“Mi stai dicendo che esiste un mondo… come quello delle favole?”, si stupì il cantante.
“Una volta tuo padre mi raccontò di casa sua: non ci eravamo mai stati insieme, ma diceva sempre che era un posto meraviglioso… incantato”, sorrise la donna. “Lui però era visto un po’ negativamente, perché era diverso da tutta la sua famiglia. Così decise di trasferirsi e, devo ammettere, fu una fortuna, perché così lo incontrai”.
“Mio padre biologico?”, domandò Jared.
“Carl Leto, tesoro. Per quanto fossi sposata, cedetti e cominciai a vedermi con lui, mentre mio marito andava via per lavoro. Sono abbastanza certa che mi tradisse anche lui, in fondo la scelta di sposarci era stata avventata…”, cominciò a raccontare sua madre. “Bè, non sto qui a raccontarti tutta la storia perché non basterebbe una vita intera, Jared. Solo che nacque Shannon, così io e mio marito ci lasciammo.
“Carl allora mi chiese di andare ad abitare con lui nella cittadina di Bossier City, dove aveva trovato lavoro, e così feci. Qualche anno dopo nascesti tu, io e Carl decidemmo di sposarci e così poté riconoscere anche Shan come figlio biologico”.
“Alla fine però morì”, commentò Jared, triste. Suo padre era stato, per quel che ricordava, una figura davvero importante nella sua vita. E quando scomparve, verso i suoi quattordici anni, se non sbagliava, ci stette male per molto tempo.
Anche Shannon si era affezionato molto a lui, infatti avevano deciso entrambi di appoggiare la scelta della madre sui loro cognomi. Leto era davvero il cognome che meritavano.
“Morì perché dovette tornare a casa”, commentò Constance. “Jared, io non so se le due storie, la mia e la tua, possano trattare dello stesso mondo, ma tuo padre era sempre perso tra le nuvole, immaginava spesso universi diversi, con creature fantastiche… credevo fosse solo fervida immaginazione, ma a questo punto non so a cosa pensare”.
“Nostro padre è parente di Ash?”, spuntò di nuovo Shannon, con i capelli bagnati, da dietro di loro. Evidentemente era riuscito ad ascoltare un bel pezzo della conversazione tra suo fratello e sua madre.
“Non ho detto questo… vorrei potervi dirvi posso chiederglielo, ma non credo sia possibile”, disse Constance, e Jared l’abbracciò. Ricordava bene il dolore della donna alla morte di Carl Leto e non voleva che stesse di nuovo male.
“Dovremmo parlarne con Vicki”, commentò il più grande, avvicinandosi ai due e dando un bacio sui capelli alla madre.
“Già, dovremmo”, commentò Jared, pensandoci su.
Davvero poteva essere figlio di uno di loro? Ma sul serio poteva esistere un altro mondo? Con diverse creature?
Scosse la testa: non ci avrebbe mai capito niente, poco ma sicuro.
...
Note dell'Autrice:
CONSTAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAANCE! E' arrivata la donna migliore del mondo! ahahah scusate, ma io adoro troppo quella donna, non ci posso fare nulla. E anche qui aiuta i nostri piccoli grandi eroi (?) a capire un pò più il mistero. Chi sarà mai Ash?
Che Carl Leto nascondesse qualcosa di simile?
....e chi cavolo è Lilian Wendy Anderson? Nessuno d'importante, povera vittima sfigata. Ma immagino abbiate capito chi l'abbia usata come Bic ;) *pessima, lo so, scusate* ahhha
Il sole mi rende euforica, UITA mi fa impazzire e sono stanca, quindi parlo a caso :D
Comunque un abbraccione a tutte,
Ronnie 02
*recensiteeeee*