“Non
stare qui mentre mi alleno,
Max”
“Ma
Jace mi lascia guardare quando
lo fa!”
“Perché
è un pezzo d’idiota, sei
ancora piccolo”
“Lui
queste cose non le dice mai”
“…Max,
aspetta…”
“Non
mi piace essere insultato!”
“Non
ti stavo insultando…”
“Hai
detto che sono piccolo. Non è
così, fra due anni papà dice che potrò
cominciare ad addestrarmi anche io!”
“Hai
ragione, scusami. Però per
adesso non sei ancora pronto per… armi e rune, e demoni col
caratteraccio e
l’alito pesante”
“Ma
quando anche io sarò un
cacciatore, potrò venire con te e Jace?”
“Certo”
“Allora
insegnami a tirare con
l’arco!”
“Fra
due anni, di sicuro”
“No,
non fra due anni… adesso!”
“Hai
le dita troppo piccole, ti
faresti solo male. E poi serve potenziare i muscoli delle
braccia… altrimenti
come fai a tendere la corda? Guarda che è bella
dura”
“Davvero?
Tu lo fai sembrare così
semplice…”
“Se
ti alleni, lo è. Lo sarà anche
per te, vedrai”
“Mi
aiuterai?”
“Ovvio.
Quando riceverai le tue
prime rune, ti insegnerò a tirare”
“…e
mi regalerai il tuo arco!”
“E
ti regalerò il mio arco. Adesso
fila, se ti infilzo come un pollo, non ci sarà nessuno a cui
insegnare un bel
niente”
“Izzyyyyy!
Jaaaace!! Alec ha detto
che mi darà il suo arcooooo!”
L’acqua
bollente continuava a scendere copiosa sulla testa e sulle spalle di
Alec, ma
sembrava che lui non se ne accorgesse affatto. Era dentro la doccia da
quasi
un’ora, i pugni stretti fino a farsi sanguinare i palmi
contro la parete, i
capelli che gli gocciolavano sul viso, la pelle arrossata dal calore
dell’acqua. Ma il dolore fisico non si faceva sentire in
alcun modo. Non
abbastanza da coprire quello che gli stava frantumando il cuore in
pezzi da
poche ore.
E’
morto.
Max
non c’è più.
Max
non c’è più.
Sembrava
assurdo, continuava a ripeterselo e continuava a suonare irreale. Max
era un
bambino innocente, non era ancora un guerriero, non aveva preso parte
alla
battaglia che aveva lasciato tanti cadaveri sul suolo di Alicante
quella notte.
Eppure il suo corpo sarebbe stato bruciato assieme agli altri
l’indomani.
Perché Max era morto. E per quanto potesse ripeterselo come
un orribile mantra,
Alec continuava a non trovare alcun senso concreto in quelle parole.
E’
un bambino, Max è solo un
bambino.
Ma
è morto.
Perché?
Che motivo c’era?
Non
era una minaccia, e non sapeva
neppure difendersi.
Max
è un bambino, non può essere
morto.
…lo
è…
Alec
chiuse forte gli occhi e i pugni, abbassando la testa sotto il getto
d’acqua
della doccia. Ricordava distintamente ogni istante di quelle ore
terribili. Le
urla di sua madre contro la famiglia Penhallow, suo padre completamente
spento
e senza la forza di replicare ad alcunchè, la disperazione
di Izzy, il silenzio
sgomento di Jace.
E
lui?
Lui
aveva fatto il bravo figlio.
Aveva
cercato di calmare sua madre, chiedere aiuto a Jace, a suo
padre… placare il
pianto di Izzy, perfino. Fin quando suo padre, per impedire che la
moglie
sfoderasse le armi contro Jia Penhallow, gli aveva messo in braccio Max.
E’
morto.
Max
non c’è più.
L’acqua
stava diventando fredda.
Il
piccolo corpo di Max fra le sue braccia lo era stato anche di
più.
Alec
appoggiò la fronte contro il muro, gli occhi serrati ancora
più forte.
Ricordava perfettamente il modo in cui il collo spezzato del fratellino
si era
reclinato innaturalmente sul suo braccio, e aveva sentito il gelo che
solo un
corpo senza vita può trasmettere. Non si era reso conto di
aver praticamente
smesso di respirare, fin quando non aveva sentito la mano di Jace
stringergli
appena la spalla, mentre l’altra accarezzava i capelli di
Max. Alec lo aveva
fissato quasi inebetito, incapace di distinguere quel momento da tutte
le volte
che lo aveva riportato a letto, perché avevano sempre detto
che Max era una
specie di gatto capace di addormentarsi ovunque. E poteva sembrare che
dormisse, ma non era così. Non respirava. Max non respirava
più.
“Un
cacciatore mantiene sempre una
promessa, vero?”
“Certo,
è una questione di onore”
Max
era morto. Ucciso da chi avrebbe dovuto difenderlo. Senza la sua
protezione.
Ti
ho mentito.
Non
ho mantenuto la mia promessa.
Ti
ho mentito, Max.
“Alec?”
La
voce appena sussurrata sembrò il frutto della sua
immaginazione, confusa con il
rumore dell’acqua che gli scrosciava addosso. Alec socchiuse
gli occhi,
scorgendo un’ombra alta oltre il vetro smerigliato della
cabina della doccia.
Max
non c’è più.
“Alec…”
Magnus esitò. La sua voce era bassa, pacata. “Mi
ha fatto entrare Jace. Sei lì
dentro da parecchio”
Magnus
era lì? Alec si scansò i capelli bagnati dal
viso, tirando su col naso. Cercò
di mettersi dritto, gettando un occhio alla doccia come se la vedesse
in quel
momento per la prima volta. Dov’era finita la spugna con cui
si era
letteralmente scartavetrato di violenza il sangue di dosso?
“Sono
andato a porgere le mie condoglianze ai tuoi genitori,”
continuò Magnus,
appoggiando una mano contro il vetro. Inclinò appena il
capo, cercando
disperatamente di vedere qualcosa. S’inumidì le
labbra, prima di riprendere.
“So che ti sta a cuore sapere di loro, prima che di te
stesso. Tua madre si è
calmata, ora. Sono con tuo fratello”
No,
non è così.
Non
c’è nessuno con Max, Max era
solo nel momento del bisogno.
Non
c’era nessuno.
Non
c’ero io.
“E’
tutto sotto controllo,” Alec fu grato al rumore
dell’acqua, che in parte
camuffò la sua voce rauca. Inghiottì,
rabbrividendo. L’acqua gelida sembrava
una cascata di coltellate alla schiena. Niente che riuscisse a superare
quel
senso di vuoto che lo stava mangiando vivo, comunque. “Esco
fra un momento”
Magnus
sospirò. Alec ne vide la sagoma scuotere leggermente il capo.
“Niente
è sotto controllo, e neppure deve esserlo. Hai perso tuo
fratello. Hai tutto il
diritto di vivere questo dolore senza nasconderti”
“N-Non
è tempo di lacrime,” la voce di Alec
tremò appena. “Isabelle è convinta che
sia
colpa sua, non capisce… mia madre e mio padre, loro non si
parlano da una vita…
Alicante è sotto attacco-”
“E
tu?” Magnus sentì il cuore stringersi in una
morsa. Lo stava facendo di nuovo.
“Alexander, metti via il peso del cielo dalle tue spalle per
un momento,
d’accordo?” gli disse, parlando piano. Era come
parlare ad un cavallo furioso,
aveva paura di vederlo sgretolarsi o esplodere, alzando la voce anche
solo di
un soffio. “Stanno soffrendo tutti, lo so. Ma stai soffrendo
anche tu”
Alec
non rispose. Strinse i pugni contro la parete, gocce di sangue a
macchiare
l’acqua che scivolava giù, e se non fosse stato
ossessivamente preso a
ripetersi quel tragico mantra, si sarebbe accorto che Magnus era appena
entrato
all’interno della doccia. Non lo sentì imprecare a
bassa voce, né schioccare le
dita per riscaldare immediatamente l’aria e
l’acqua, né tantomeno distinse il
rumore della maglietta che veniva sfilata via. Capì che era
entrato solo quando
si sentì circondare i fianchi con le braccia, avvertendo il
contatto fra la
propria schiena gelida e il suo petto caldo, pulsante di vita. Lo
sentì
sospirare, mentre spostava un braccio a cingerlo dalla spalla, per
poterlo
avvolgere meglio nella sua stretta.
“Alec…
sono qui con te. Possiamo affrontare questa cosa insieme, va
bene?”
“Sto
bene”
“Non
è così,” Magnus sospirò,
stringendolo meglio a sé e depositandogli un bacio
sulla spalla ancora gelida. Se possibile, prese a parlare ancora
più piano, le
labbra accanto al suo orecchio, mentre si affidava al proprio calore
corporeo
perché riportasse alla normalità quello del
ragazzo. “E non sarebbe neppure
giusto, perché… sarebbe come negare quello che
è successo. E non si può”
Passò
qualche istante di interminabile silenzio, mentre Alec continuava a
fissare
come in trance un punto della parete.
“Max
è morto”
“Lo
so,” soffiò fuori Magnus, chiudendo gli occhi a
sentire la voce di Alec tanto
atona. Gli baciò a fior di pelle la tempia, accarezzandogli
con dolcezza il
fianco. “E non è colpa di nessuno”
Alec
fece una smorfia amara, senza distogliere lo sguardo da quel punto
perso chissà
dove, oltre la parete. “Isabelle è convinta del
contrario,” replicò, quasi come
se stesse raccontando qualcosa a cui era estraneo. Perché
era impossibile, no?
In
guerra muoiono i soldati.
Gli
adulti.
Non
i bambini.
“Esiste
il nome e il cognome del vero assassino di Max, e di sicuro non
è il suo”
“Non
è stata colpa di Izzy”
“Certo
che no”
“La
colpa è solo mia”
Max.
Alec
percepì a stento la stretta in cui era avvolto farsi
più protettiva. Che lo
volesse o meno, il corpo stava tornando alla temperatura normale, e
aveva
smesso di tremare.
“Ero
sicuro che lo avresti detto,” Magnus sospirò
tristemente, scansandogli i
capelli dall’orecchio. “Alexander, non farlo. Non
serve a niente, ti farai solo
del male ingiustamente”
“Ingiustamente…”
Alec sembrò perdersi di nuovo in quel senso di vuoto,
incapace di percepire
altro. “Max era un bambino. Era solo un bambino. Non poteva
fare del male a
nessuno, eppure nessuno di noi l’ha protetto, nessuno lo ha
aiutato, e lui
credeva in noi. Lo abbiamo tradito, io l’ho
tradito. E’ come se l’avessi ucciso io”
“Sebastian
Verlac ha ucciso tuo fratello,” il tono di Magnus si fece
leggermente più duro.
“Ha tradito voi tutti, e si è macchiato di un
crimine putrido quanto la sua
anima. Nessuno di voi poteva prevedere-”
“Non
dovevo uscire,” qualcosa cambiò nella voce di
Alec. Divenne sottile, tremula…
come se stesse facendo l’impossibile per trattenere un
fardello di emozioni
pronto ad esplodere. “Non dovevo lasciare soli Izzy e Max. I
miei genitori me
li avevano affidati, dovevo restare con loro”
“Hai
fatto solo il tuo dovere,” Magnus riuscì
finalmente ad incrociare lo sguardo di
Alec nello specchio all’angolo della doccia. Il cuore gli si
attorcigliò
dolorosamente, nel vedere in che stato fossero i suoi occhi. Vuoti, smarriti. Occhi blu vuoti e
smarriti, ancora una volta.
“Sei un
cacciatore, il tuo posto era a combattere per la tua città
che stava cadendo
sotto l’attacco dei demoni. Fermare quei mostri era il tuo
modo di proteggerli”
“Se
fossi rimasto, forse Max sarebbe ancora vivo”
“O
forse sarei morto io,” con una delicatezza quasi surreale,
Magnus gli scansò i
capelli dagli occhi e lo strinse meglio a sé, continuando a
guardarlo
attraverso lo specchio. “Ricordi che mi hai salvato la vita,
prima? Per di più,
so che avete affrontato in tre Sebastian Verlac e per poco non ha avuto
la
meglio lui. Se fossi rimasto, forse ora i tuoi genitori piangerebbero
due
figli, invece di uno. Certe cose… certi eventi non possono
essere evitati,
Alec, e cercare una spiegazione all’impossibile
può solo farci impazzire”
Alec
rabbrividì bruscamente. Un fremito che non riconobbe come il
singhiozzo che
reclamava di uscire. Un pianto che non si era concesso, ma che gli si
era
imbottigliato proprio al centro del petto, impietoso. Reclamava di
uscire.
“Ti
prego… amore, ascolta la mia voce,” nessuno dei
due fece caso al termine usato
d’istinto da Magnus, a sua volta troppo preso ad accarezzare
con dolcezza la
nuca del ragazzo. “Io sono uno stregone, e sono anche
potente, lo sai. Eppure
ci sono cose che neppure io so spiegarmi, limiti che nemmeno io posso
oltrepassare, anche se richiamo tutta la magia di cui dispongo. Lo
stesso vale
per te… non hai abbandonato tuo fratello, hai cercato di
proteggerlo impedendo
che altri demoni lo raggiungessero. Né tu né
Isabelle potevate immaginare che
Sebastian fosse un traditore. Jia Penhallow è una
cacciatrice con anni di
esperienza alle spalle, per di più è una sua
parente, e non si è accorta di
niente. Questo non è il momento di cercare delle
colpe… il tempo della vendetta
verrà,” Magnus gli baciò leggermente il
collo, accarezzandogli il braccio. “Ora
è il momento di dire addio a tuo fratello, solo questo
conta”
Se
fosse stato in sé, Alec si sarebbe accorto del sollievo
nello sguardo di
Magnus, quando si decise a smettere di fissare il vuoto per cercare i
suoi
occhi nello specchio. Era come se in tutta quella nebbia di emozioni
convulse,
le parole di Magnus fossero riuscite a fare breccia. A scavarsi un
piccolo
passaggio, così da raggiungere il suo cuore. E fu come
sentire un milione di
punture d’aghi, su quel cuore, perché la prima
sensazione che lo risvegliò da
quel torpore da shock fu il dolore.
Max
è morto.
Alec
scosse appena la testa, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.
Magnus
lo avvolse più saldamente nella sua stretta, baciandogli la
spalla con
dolcezza.
“Siamo
solo io e te… non c’è nessuno, ho
insonorizzato la stanza. Non ti vedranno e
non ti sentiranno, Alec, siamo solo io e te… piangi. Hai
perso tuo fratello.
Non negarti il dolore, impazziresti, e questo non posso
permetterlo”
Max
è morto.
Il
primo singhiozzo fu forte abbastanza da lasciarlo senza fiato. E poi ne
venne
un secondo. E un terzo. E alla fine Alec non capì neppure se
quel pianto
disperato fosse davvero il suo, se fossero state le sue gambe a cedere,
trascinando entrambi in ginocchio a terra. Il dolore gli irruppe nella
mente e
nel cuore con una prepotenza che non si aspettava, e lacerò
definitivamente
quella sensazione di vuoto e apatia. Il suo fratellino non sarebbe
tornato mai
più. Non gli avrebbe mai insegnato a tirare con
l’arco, e neppure lo avrebbe
aiutato ad addestrarsi, come gli aveva promesso. Non riconobbe come
propria la
voce che continuava a scusarsi, a ripetere fra i singhiozzi quanto gli
dispiacesse. Il dolore era così forte da impedirgli di stare
dritto, curvo
sotto il peso di un’emozione troppo violenta e impietosa.
E
pianse.
Alec
pianse come avrebbe voluto fare fin dal primo istante, e neppure seppe
per
quanto tempo.
L’acqua
non si raffreddò mai, e nemmeno la stretta di Magnus si
allentò. Qualche volta
gli sentì mormorare qualche parola in una lingua che non
riconobbe, o più
semplicemente iniziò ad accorgersi delle carezze e del suo
calore mentre lo
abbracciava forte, come a volerlo inglobare in sé. E fu un
gesto così naturale
cercare la sua mano e stringerla, quasi a volersi arpionare ad uno
scoglio
solido durante la peggiore delle tempeste.
Pianse
finchè il corpo non reclamò attenzione,
indebolito e massacrato dai crampi alle
gambe per la posizione innaturale. In qualche modo Magnus se ne rese
conto,
perché si mise seduto di spalle contro il vetro della
doccia, attirandolo a sé
e facendolo appoggiare con la schiena contro il proprio petto. Alec
aveva il
corpo ancora scosso dai sussulti e dai singhiozzi, anche se le lacrime
ormai
sembravano finite. Stanco, reclinò la testa indietro sulla
spalla di Magnus,
che gli baciò dolcmente la tempia, la guancia e il collo.
Alec sospirò appena,
cercando di nuovo la sua mano. Si sentiva talmente sfibrato e confuso
che non
riusciva neppure a pensare. L’unica cosa che continuava a
vedere era il corpo
senza vita di suo fratello fra le proprie braccia.
“So
che fa male,” Magnus inclinò appena il capo,
cercando lo sguardo di Alec nello
specchio. Aveva il viso rigato da due impercettibili linee
umide… lacrime.
“Vorrei poter fare qualcosa, ma
non posso. Non posso alleviare il tuo dolore”
Alec
socchiuse gli occhi, limitandosi a scuotere leggermente il capo. Non
credeva
neppure di avercela, una voce su cui fare affidamento. Non sarebbe
riuscito a
dire nulla.
“Imparerai
a convivere con il dolore,” continuò piano Magnus,
appoggiando il mento sulla
sua spalla. “E’ come ritrovarsi senza la mano
destra. Non sei morto… continui a
vivere. Ma tutta la tua vita deve essere ridisegnata,
perché… tutto quello che
facevi con la mano destra, devi imparare a farlo con la sinistra. E non
è
facile, anzi, ma alla fine diventa solo un’altra abitudine.
Il tempo non medica
nessuna ferita, ma ti insegna a convivere con le cicatrici”
Forse
fu il tono morbido che stava usando, il calore nella sua voce, o
più
semplicemente quella presenza forte e rassicurante insieme. Il cuore
continuava
a fargli male, ma oltre al dolore c’era qualcosa di diverso
che Alec stava
iniziando a percepire. Si mosse piano, usando solo la mano libera,
tirandosi
seduto in modo da poter guardare Magnus negli occhi. Gli vide inclinare
appena
il capo e accennare un sorriso, pizzicandogli il mento.
Non
voglio che tu te ne vada…
Iniziò
come un bacio lento, senza alcuna fretta, senza frenesia. Alec fu il
primo a
ricercare quel contatto, e Magnus lasciò che fosse lui a
dettare i tempi,
accarezzandogli lentamente la nuca. Alec lasciò scivolare la
mano lungo il suo
petto, soffermandosi all’altezza del cuore. Aveva un battito
strano, Magnus.
Più lento, eppure talmente stabile che sembrava il ritmo
più rassicurante che
avesse mai scandito la sua vita. Staccò le labbra dalle sue,
cercando
avidamente quel punto sul collo che ogni volta gli strappava un gemito
rauco, e
divincolò la mano dalla sua per sbottonargli i pantaloni
grigi. Il gemito
arrivò, ma accompagnato da un gesto malfermo con cui Magnus
lo allontanò
leggermente, guardandolo dritto negli occhi. Alec questa volta lesse
chiaro e
tondo il dubbio nel suo sguardo d’ambra.
Non
voglio perderti.
Non
voglio perderti mai più.
“Voglio
stare con te”
Magnus
sbattè gli occhi, socchiudendo le labbra. Lo stava guardando
come se non
credesse a quelle parole, come se le avesse aspettate da troppo tempo.
Abbastanza da non credere che sarebbero mai arrivate.
“Non…
non lo so che cosa succederà da domani,” Alec
scosse appena la testa, senza
distogliere lo sguardo. “Non so quanto mi resta da vivere,
non so che cosa ci
trovi di speciale in me… però so che voglio stare
con te. Fino a che avrò
respiro in corpo, ok?”
Alec
fece a stento in tempo a finire la frase, che Magnus lo stava divorando
avidamente. Un bacio che sapeva di gioia inattesa, di frenesia, di
bisogno. E
lui rispose allo stesso modo, perché in mezzo a tanto dolore
soffocante, quel
sentimento non si stava lasciando schiacciare, anzi. Aveva finalmente
trovato
forza e voce. E quel che restava dei vestiti dello stregone finirono
appallottolati in un angolo della doccia, mentre continuavano a
cercarsi e
divorarsi, ad unirsi ripetutamente, a gemere l’uno il nome
dell’altro come
fosse la più dolce delle preghiere. E ore dopo, quando si
rifugiarono sotto il
calore delle coperte ancora stretti l’uno
all’altro, Alec chiuse gli occhi
quasi immediatamente. Non ebbe il tempo di pensare a tutti gli incubi
che lo
aspettavano, al dolore, alla tristezza, alla paura di quello che
sarebbe
successo. Le braccia di Magnus lo circondavano e lo stringevano, e il
sonno lo
accolse senza problemi.
In
qualche modo, sarebbe andata bene.
In
qualche modo, avrebbe avuto la forza di andare avanti.
E
avrebbero affrontato ogni cosa insieme.
Che
voglia che avevo di scrivere questo capitoletto *-* ooh, finalmente
tutto come
dovrebbe essere :D E io devo un grazie grande quando un grattacielo a
tutti,
perché mi avete commossa con le vostre recensioni *____*
quindi special thanks
to:
Mizar:
ma grazie, che complimento importante *____*
Dontblinkcas:
mille grazie *-* anche io adoro Alec, perché nella sua
fragilità è uno di
quelli che cresce di più (lui e Simon) nell’arco
dei libri… ci si identifica
facilmente, è un insicuro cronico perennemente messo alla
prova dalla realtà,
povero cuore XD e si, questo è stato il suo punto di svolta
perché secondo me
aveva bisogno di un evento davvero forte, il classico ceffone in
faccia, che ti
fa rendere conto di cosa vuoi davvero. Bacini!
Pulla68:
grazie mille, sei gentilissima! *-*
Maggyeberty:
siamo in due a voler andare a quelle feste :D e grazie tipo GRAZIE XD
perché mi
hai detto delle cose bellissime *o* e anche questa volta, abbiamo Malec
struggenti… ma finalmente si sono trovati. Non ce
n’è, per me sono proprio due
calamite *-* in qualsiasi emozione, dolore o gioia, si attraggono e si
attirano
anche se si sforzano di fare il contrario *___* Bacissimiiii :3
Emilia_asr:
anche io amo molto Magnus *___* e ti sono più che grata per
le cose bellissime
che hai detto *-*
Bene,
adesso sgattaiolo via… un baciozzo enorme a tutti, grazie a
chi leggerà, a chi
recensirà… e ci si vede al prossimo capitoletto!
:D